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Modifiche alla legge regionale 4 settembre 1997, n. 36 (Legge urbanistica regionale). (2-4-2015)
Liguria
Legge n.11 del 2-4-2015
n.11 del 9-4-2015
Politiche infrastrutturali
6-6-2015 /
Impugnata
La legge della Regione Liguria n. 11 del 2015 presenta profili di illegittimità costituzionale con riferimento a numerose disposizioni, per i motivi di seguito specificati.
1) Gli articoli 2 (c. 1, 3); 3 (c. 2); 12 (c. 1); 14 (c. 1); 15 (c. 1); 17 (c. 1); 18 (c. 1); 27 (c. 1), per le ragioni d’appresso specificate, si pongono in contrasto con le norme in materia di pianificazione paesaggistica contenute nel decreto legislativo n. 42/2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), e quindi violano l’art. 117, comma 2, lettera s) della Costituzione, che attribuisce allo Stato la potestà legislativa esclusiva statale in materia di tutela dei beni culturali e del paesaggio. In particolare:
1.1) L’articolo 2, di modifica dell’art. 2 della l.r. 36/97, è censurato con riferimento ai commi 1 e 3. Il comma 1 prevede che la pianificazione territoriale sia attuata soltanto nel rispetto delle competenze in materia di governo del territorio, nonostante l’art. 14 della l.n. 11/2015 attribuisca al PTR il valore di piano paesaggistico regionale. La norma, dunque, non collega la pianificazione territoriale, con specifica considerazione dei valori paesaggistici, al rispetto delle competenze statali in materia di paesaggio previste dagli articoli 135 e 143 del d.lgs. n. 42/2004. Si tratta, in particolare, della previsione del necessario accordo con lo Stato - e in particolare con il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo – per la pianificazione paesaggistica delle aree e degli immobili sottoposti a vincolo paesaggistico.
Il comma 3, inoltre, subordina il PTR con valore di piano paesaggistico ai piani di bacino ed ai piani delle aree protette, in contrasto con l’art. 145, comma 3, del codice, che prevede, per quanto attiene alla tutela del paesaggio, che le disposizioni dei piani paesaggistici sono comunque prevalenti sulle disposizioni contenute negli atti di pianificazione ad incidenza territoriale previsti dalle normative di settore, ivi compresi quelli degli enti gestori delle aree naturali protette (cfr. Corte Cost. n. 180/ 2008 e n. 193/2010).
1.2) L’articolo 3, che modifica l’art. 3, comma 3, della l.r. 36/97, è censurato in riferimento al comma 2. Secondo tale disposizione “3. Il PTR è elaborato in coerenza con gli obiettivi ed i contenuti degli atti di programmazione regionale, secondo le modalità partecipative previste nell’articolo 6”.
L’articolo 6 disciplina la conferenza di pianificazione, a cui partecipano gli enti territoriali e le altre pubbliche amministrazioni coinvolte, ai sensi del comma 4 di tale articolo “Le Amministrazioni, gli Enti e le Associazioni partecipanti alle conferenze di pianificazione espongono le proprie osservazioni, proposte e valutazioni, delle quali si dà atto nel relativo verbale ai fini della loro considerazione nel processo di pianificazione avviato”.
Poiché la disciplina cui fa rinvio la disposizione qui censurata per l’individuazione delle “modalità partecipative” non contiene alcun richiamo al codice dei beni culturali e del paesaggio e al ruolo dello Stato nella pianificazione paesaggistica, la disposizione impugnata non assicura la necessaria partecipazione dello Stato mediante l’elaborazione congiunta della pianificazione paesaggistica relativa alle aree e agli immobili sottoposti al vincolo paesaggistico, e quindi contrasta con gli articoli 135 e 143 del d.lgs. n. 42/2004.
1.3) L’articolo 12, che sostituisce l’articolo 11 della l.r. 36/1997, è censurato con riferimento al comma 1. La disposizione di cui al comma 5 dell’art. 11 della legge regionale n. 36 del 1997, come modificata dalla norma in esame, rinvia al PTGcm e al PTC provinciale “l’integrazione e lo sviluppo di alcuni elementi” della disciplina di tutela paesaggistica, “fornendo specifiche indicazioni in tal senso”. Tale previsione contrasta con le norme statali secondo le quali gli strumenti di pianificazione territoriale non possono sostituirsi al Piano paesaggistico, ma, in quanto strumenti sotto ordinati, devono ad esso adeguarsi o conformarsi ai sensi degli articoli 143, comma 9 e 145 del codice (cfr. sent. Corte cost. 182/2006).
1.4) Congiuntamente, sono censurate le disposizioni contenute all’articolo 14 (nella parte in cui sostituisce il comma 3 dell’art. 13 della l.r. 36/97); l’articolo 15, comma 1 (che sostituisce l’art. 14, comma 3, della l.r. 36/97) e l’articolo 17, comma 1 (che sostituisce l’articolo 16 della l.r. 36/1997).
L’articolo 13, comma 3, della l.r. n. 36/1997, come sostituito dall’articolo 14 della l.r. n. 11/2015, attribuisce al PTR valore di “piano urbanistico-territoriale con specifica considerazione dei valori paesaggistici”, operando un parallelo, ambiguo rinvio ad una “successiva attribuzione ad esso del valore di Piano paesaggistico ai sensi degli articoli 135 e 143 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42… da conseguirsi mediante procedura di variante di cui all’articolo 16 o accordo di pianificazione di cui all’articolo 57”.
L’articolo 16 della l.r. n. 36/1997, come sostituito dall’articolo 17, comma 1, della l.r. n. 11/2015, prevede che “1. Il PTR può essere variato con la procedura di cui all'articolo 14 ovvero con le procedure concertative di cui agli articoli 57 [Accordo di pianificazione], 58 [Accordo di programma] e 61 in caso di modifiche che interessino soltanto parti del territorio regionale o sue specifiche componenti. 2. Con riferimento alle varianti al PTR che interessino soltanto una parte del territorio regionale sono in ogni caso coinvolti esclusivamente gli enti locali interessati. 3. Decorsi cinque anni dall'approvazione del PTR, il Consiglio regionale Assemblea Legislativa, su proposta formulata dalla Giunta, accerta l'adeguatezza del piano stesso anche alla luce degli esiti delle verifiche effettuate in attuazione del programma di monitoraggio approvato in sede di procedure di VAS.”
L’articolo 14, comma 3, della l.r. n. 36/1997, come sostituito dall’articolo 15 della l.r. n. 11/2015, prevede che “Dell'avvenuta adozione del progetto di PTR è dato avviso nel BURL e nel sito informatico della Regione. Il progetto di PTR è reso consultabile nel sito informatico regionale … per sessanta giorni consecutivi decorrenti dalla data di pubblicazione del ridetto avviso. Dell'avvenuto inserimento nel sito informatico è data inoltre comunicazione alle amministrazioni ed enti di seguito indicati: a) alla Città metropolitana, alle province, ai comuni, agli enti Parco, al Ministero per i Beni e le Attività Culturali, nonché alle regioni limitrofe per l'espressione di parere da inviare alla Regione entro il termine di novanta giorni dalla pubblicazione dell'avviso nel BURL”.
Tanto la procedura di variante (art. 14, l.r. n. 36/1997) quanto l’accordo di pianificazione (art. 57, l.r. n. 36/1997), al quale “partecipano tutte le Amministrazioni interessate, intendendosi per tali gli Enti, gli Organismi e gli Uffici competenti a pronunciarsi a vario titolo sugli atti suddetti, mediante l'espressione di pareri, intese, nulla-osta o assensi comunque denominati”, limitano il coinvolgimento del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ad una mera espressione di parere sul “progetto di PTR”. In entrambi i casi non vi è alcun riferimento ad una fase di effettiva copianificazione con il Ministero, che anzi sembra essere relegato ad una mera funzione formale e “notarile” di attribuzione postuma di una pretesa valenza paesaggistica di un piano territoriale regionale la cui elaborazione sembra essere demandata esclusivamente alle autonomie territoriali. Tale procedura sovverte la logica del Codice e risulta, pertanto, incostituzionale per contrasto con gli articoli 135 e 143 del Codice medesimo.
1.5) L’articolo 18 (Inserimento dell’articolo 16 bis della l.r. 36/1997), al comma 1, prevede che il PTR è attuato mediante “progetti a scala urbanistica o edilizia, costituenti strumenti operativi da promuovere o da approvare da parte della Regione”. Il comma 4 precisa che detti progetti “sono approvati con deliberazione della Giunta regionale, sentito il Comitato tecnico regionale per il territorio, nei successivi novanta giorni dal ricevimento dei pareri ed assensi previsti dalla vigente legislazione in materia”. La norma regionale non reca nessuna previsione del coinvolgimento ministeriale nell’esame della conformità degli strumenti attuativi alle disposizioni del piano paesaggistico regionale e omette di prevedere che anche tali strumenti di attuazione, peraltro non previsti dal codice dei beni culturali e del paesaggio, si devono raccordare con il processo di pianificazione paesaggistica congiunta e devono assicurare il ruolo decisionale autonomo proprio del Ministero. Infatti, la mancata (o non adeguata) partecipazione degli organi ministeriali al procedimento di conformazione ed adeguamento degli strumenti urbanistici alle previsioni della pianificazione paesaggistica, contrasta con l’articolo 145 e, quindi, con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., che riserva allo Stato la competenza legislativa esclusiva in materia di paesaggio.
In tal senso si è espressa più volte la Corte Costituzionale che, anche da ultimo, con la recente sentenza n. 64 del 2015 ha ribadito che: “la mancata (o non adeguata) partecipazione degli organi ministeriali al procedimento di conformazione ed adeguamento degli strumenti urbanistici alle previsioni della pianificazione paesaggistica determina l’evidente contrasto con la normativa statale, che – in linea con le prerogative riservate allo Stato dall’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. (tra le molte, sentenza n. 235 del 2011) – specificamente impone che la Regione adotti la propria disciplina di conformazione «assicurando la partecipazione degli organi ministeriali al procedimento medesimo» (sentenze n. 211 del 2013 e n. 235 del 2011). Costituisce, infatti, affermazione costante – su cui si fonda il principio della gerarchia degli strumenti di pianificazione dei diversi livelli territoriali, dettato dall’evocato art. 145, comma 5, del d.lgs. n. 42 del 2004 (sentenze n. 197 del 2014, n. 193 del 2010 e n. 272 del 2009) – quella secondo cui l’impronta unitaria della pianificazione paesaggistica «è assunta a valore imprescindibile, non derogabile dal legislatore regionale in quanto espressione di un intervento teso a stabilire una metodologia uniforme nel rispetto della legislazione di tutela dei beni culturali e paesaggistici sull’intero territorio nazionale» (sentenza n. 182 del 2006). Al contrario, la generale esclusione o la previsione di una mera partecipazione degli organi ministeriali nei procedimenti di adozione delle varianti, nella sostanza, viene a degradare la tutela paesaggistica da valore unitario prevalente e a concertazione rigorosamente necessaria, in mera esigenza urbanistica (sentenza n. 437 del 2008)”.
Risulta, inoltre, poco chiara la natura dei progetti, atteso che il comma 4 dell’articolo 16-bis, della legge regionale n. 36 del 1997, come modificato dalla norma in esame, prevede che il procedimento di approvazione degli stessi (con delibera della Giunta regionale) “è comprensivo del rilascio dell’autorizzazione paesaggistica della Regione…..” . Non risulta evidente, infatti, se detto procedimento preveda l’acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica in conformità con le procedure previste dall’art. 146 del Codice, ovvero sia sostitutivo della stessa, oppure in alternativa, intenda sostituire il parere previsto dagli articoli 16 e 28 della legge n. 1150 del 1942.
1.6) L’articolo 27, comma 1, sostituisce l’articolo 23 della l.r. 36/1997, prevedendo che “1. Il PTC provinciale può essere variato, anche su proposta degli enti locali interessati, con le procedure di cui all'articolo 22, nonché nelle ipotesi previste dagli articoli 57, 58, comma 6, e 61, comma 1, con le procedure ivi rispettivamente previste. 2. Decorsi cinque anni dall'approvazione del PTC provinciale il Consiglio provinciale ne accerta l'adeguatezza, alla luce anche del PTR e degli esiti delle verifiche effettuate in attuazione del programma di monitoraggio approvato in sede di procedure di VAS”. Anche tale disposizione, che prevede che le procedure di approvazione delle varianti del PTC provinciale e verifica di adeguatezza, non contempla la partecipazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo alle attività di verifica dell’adeguatezza del PTC provinciale al PTR, in contrasto con le previsioni di cui all’art. 145, comma 5, del Codice di settore, secondo cui “La regione disciplina il procedimento di conformazione ed adeguamento degli strumenti urbanistici alle previsioni della pianificazione paesaggistica, assicurando la partecipazione degli organi ministeriali al procedimento medesimo”. Pertanto, anche a questa norma si estendono le censure di incostituzionalità sopra specificate e relative alla violazione dell’articolo 117, comma 2, lettera s) della Costituzione.
2) Ulteriori profili di incostituzionalità sono rilevati con riferimento all’articolo 34, che inserisce l’articolo 29-ter (Riqualificazione edilizia o urbanistica e credito edilizio) nella L.R. n. 36/1997, prevede che il piano urbanistico comunale (PUC) possa “individuare negli ambiti e nei distretti di trasformazione gli edifici o complessi di edifici esistenti suscettibili di riqualificazione edilizia o urbanistica caratterizzati da: …a) condizioni di rischio idraulico o di dissesto idrogeologico; b) condizioni di incompatibilità per contrasto con la destinazione d'uso dell'ambito o del distretto di trasformazione o per la tipologia edilizia.. d) situazioni di interferenza con la previsione di realizzazione di servizi pubblici o infrastrutture pubbliche”. Il comma 2 del medesimo articolo stabilisce che “Ove gli interventi di cui al comma 1 prevedano la demolizione totale o parziale dei fabbricati, il PUC stabilisce i parametri per l'utilizzazione del corrispondente credito edilizio in funzione della destinazione d'uso degli edifici da demolire ed individua gli ambiti e i distretti nei quali tale credito può essere trasferito, anche con tempistiche di utilizzo differite, fissando le relative percentuali di utilizzo per l'attuazione degli interventi previsti nei distretti e negli ambiti secondo la rispettiva disciplina”. Al comma 3 si chiarisce che “Non possono dar luogo al riconoscimento del credito edilizio gli edifici realizzati in assenza od in difformità dai prescritti titoli abilitativi edilizi e paesaggistici, se non previa loro regolarizzazione”.
La disposizione, nel postulare la possibilità di un riconoscimento di un credito edilizio a fronte della demolizione di edifici o complessi di edifici esistenti realizzati in assenza o in difformità dai prescritti titoli abilitativi e paesaggistici “se non previa loro regolarizzazione”, si pone in contrasto con i principi fondamentali in materia di governo del territorio contenuti nel testo unico dell’edilizia (d.p.r. n. 380/2001), e in particolare con gli articoli 36 e 37, che subordinano il rilascio del titolo in sanatoria alla conformità dell'intervento alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda. Si tratta del requisito della c.d. “doppia-conformità” che la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 101/2013 ha espressamente qualificato principio fondamentale della materia. Le condizioni degli edifici oggetto degli interventi di riqualificazione individuate dalle lettere a),b),c) e d) del comma 1, e soprattutto il fatto che lo stesso piano urbanistico postuli la necessità di demolire questi edifici, sono intrinsecamente incompatibili con il requisito individuato dal testo unico per la sanatoria, ovvero che l’intervento per il quale si richiede la sanatoria “risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda”. Pertanto, la disposizione censurata, travalica i limiti indicati dalla Corte Costituzionale in materia di condono edilizio (sentenza nn. 225/2012 e 290/2009) e contrasta con i principi generali in materia di “governo del territorio” sopra richiamati, violando l’articolo 117, terzo comma, Cost. nella materia “governo del territorio”
3) È incostituzionale, per contrasto con i principi fondamentali in materia di governo del territorio contenuti nel d.p.r. n. 380/2001 e con la normativa statale in materia di paesaggio contenuta nel d.lgs. n. 42/2004, la disciplina dei “margini di flessibilità” del PUC contenuta all’articolo 31, co. 1 (nella parte in cui sostituisce l’articolo 27 della l.r. n. 36/1997, introducendo, al comma 1, lettera b), i c.d. “margini di flessibilità” nel PUC), all’articolo 50 (nella parte in cui sostituisce l'articolo 43 della L.R. 36/1997, rubricato “Flessibilità e aggiornamento del PUC”); all’articolo 51 (nella parte in cui prevede che “1. Costituiscono varianti al PUC le modifiche non rientranti nei margini di flessibilità o nell'aggiornamento di cui all'articolo 43”), all’articolo 68 (nella parte in cui modifica l'articolo 60, comma 5, lett. b) della L.R. 36/1997, prevedendo che “5. In sede di approvazione dei progetti … può essere demandata al Comune: b) la facoltà di assentire direttamente in sede di titoli edilizi varianti non essenziali al progetto rientranti nei margini di flessibilità, da prefissare in apposito elaborato facente parte di quelli costitutivi del progetto approvato”), all’articolo 80, comma 1, lettera b) (nella parte in cui prevede che “1. Fino all'approvazione del PUC a norma della L.R. 36/1997 come modificata dalla presente legge: …b) per i comuni dotati di PUC già approvato a norma delle previgenti disposizioni della L.R. 36/1997 si applicano le disposizioni di cui al Titolo IV, Capo III e IV, ed al Titolo V della L.R. 36/1997 come modificata dalla presente legge..”.
Ai sensi dell’art. 43, comma 1, l.r. n. 36/1997, come sostituito dall’50, comma 1 della l.r. n. 11/2015, le norme del PUC definiscano “i margini di flessibilità entro cui le relative previsioni possono essere attuate senza ricorso né alla procedura di aggiornamento di cui al comma 3, né alla procedura di variante di cui all'articolo 44”.
I “margini di flessibilità” consistono, nei “distretti di trasformazione”, in “indicazioni alternative degli elementi di cui all'articolo 29, comma 3, con esclusione della definizione del perimetro del distretto di cui alla relativa lettera a)”. Tali elementi includono, “c) la disciplina urbanistico-edilizia, paesistica e geologica e vegetazionale” (art. 29, comma 3, come sostituito dall’art. 33, comma 4, l.r. n. 11/2015). Negli “ambiti di conservazione, di riqualificazione e di completamento” i margini di flessibilità sono costituiti da “indicazioni alternative rispetto ai contenuti stabiliti all'articolo 28, comma 4, che non incidano sul carico urbanistico e sul fabbisogno di standard urbanistici”. Tali elementi, per cui possono essere definite “indicazioni alternative”, comprendono “b) la disciplina urbanistico-edilizia degli interventi ammessi, anche in applicazione delle misure di cui agli articoli da 29-bis a 29-quinquies, e la disciplina paesistica e geologica”.
Benché la norma regionale persegua evidenti finalità di semplificazione, deve, tuttavia, rilevarsi che il concetto di “margine di flessibilità” dei piani urbanistici non è definito dalla vigente legislazione statale in materia urbanistica. Legislazione che, ai sensi l’art. 82 comma 2, lett. a) (secondo cui “…le disposizioni della presente legge… sostituiscono …1) il Titolo I, il Titolo II, Capi I, II, III e IV - articoli 33, 34, 35 e 36 - e il Titolo IV - articoli 41-quater e quinquies, 42, 43, 44 - della legge 17 agosto 1942, n. 1150…”) è quasi interamente sostituita dalle disposizioni regionali.
Per effetto del combinato disposto delle disposizioni regionali richiamate, dunque, un indeterminato ambito di fattispecie, che interessano anche la disciplina paesaggistica e geologica, sotto sottratte alle ordinarie procedure di varianti e, conseguentemente, agli obblighi di partecipazione e pubblicità previsti e procedimentalizzazione che scaturiscono dall’applicazione del principio generale per cui il procedimento di variante è analogo a quello necessario per la formazione dell’atto variato. Inoltre, introducendo la possibilità per il Comune di modificare unilateralmente la disciplina paesistica contenuta nel PUC, senza contestualmente prevedere la partecipazione dei competenti organi ministeriali, risulta essere violato anche l’articolo 145 del d.lgs. n. 42/2004, perché non si prevede la conformità di queste modifiche alla pianificazione paesaggistica, da un lato, e, dall’altro, non si assicura, ai sensi di quanto previsto dal comma 5 del medesimo articolo, la partecipazione degli organi ministeriali al procedimento di variante.
Inoltre, per effetto delle disposizioni censurate, gli interventi realizzati in contrasto con la disciplina urbanistico-edilizia contenuta in PUC approvati possano successivamente essere legittimati sotto il profilo urbanistico ed edilizio. In questo modo, le disposizioni sopra riportate introducono una surrettizia forma di condono edilizio, andando così ad invadere la competenza legislativa statale. Pertanto, anche in questo caso, con le citate disposizioni sono stati travalicati i limiti indicati dalla Corte Costituzionale in materia di condono edilizio (sentenza nn. 225/2012 e 290/2009, cit.). Al riguardo, è utile rammentare che le modifiche della disciplina urbanistica non hanno effetto retroattivo (cfr. Consiglio di Stato, IV, n. 32/2013), e che la Corte Costituzionale, come già precisato, nella sentenza n. 101/2013 ha definitivamente individuato nella cd. “doppia conformità”, ex art. 36 del TUE un principio fondamentale nella materia “governo del territorio”. Si rileva, pertanto, che le norme in questione sono state adottate in contrasto con gli articoli 36 e 37 (cd. doppia conformità) e con l’articolo 30, comma 1 (lottizzazione abusiva) del TUE, e quindi in violazione dell’articolo 117, terzo comma, Cost. nella materia “governo del territorio”.
Un ulteriore effetto del combinato disposto delle disposizioni impugnate è la previsione della facoltà per i Comuni di assentire direttamente in sede di titoli edilizi, varianti non essenziali al progetto rientranti nei margini di flessibilità, da prefissare in apposito elaborato facente parte di quelli costitutivi del progetto approvato. Al riguardo, si rileva un contrasto con l’articolo 22, comma 2-bis del TUE (inserito dall’articolo 17, co. 1, lett. m), n. 2), del DL n. 133/2014, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 164/2014) con il quale si prevede che “2-bis. Sono realizzabili mediante segnalazione certificata d'inizio attività e comunicate a fine lavori con attestazione del professionista, le varianti a permessi di costruire che non configurano una variazione essenziale, a condizione che siano conformi alle prescrizioni urbanistico-edilizie e siano attuate dopo l'acquisizione degli eventuali atti di assenso prescritti dalla normativa sui vincoli paesaggistici, idrogeologici, ambientali, di tutela del patrimonio storico, artistico ed archeologico e dalle altre normative di settore”. Anche per tale aspetto, si rileva la violazione dell’articolo 117, terzo comma, Cost. nella materia “governo del territorio”.
4) L’articolo 61 aggiunge la lettera d-bis al comma 1 dell'articolo 53 della L.R. 36/1997. Tale norma dispone che i P.U.O. sono considerati conformi al PUC anche qualora, oltre i margini di flessibilità previsti dal PUC e dal PUO, comportino "d bis) la fissazione di distanze tra fabbricati inferiori a quelle stabilite dal PUC che risultino idonee ad assicurare un equilibrato assetto urbanistico e paesaggistico in relazione alle tipologie degli interventi consentiti e tenuto conto degli specifici caratteri dei luoghi e dell'allineamento degli immobili già esistenti, fermo restando comunque il rispetto delle norme del codice civile e dei vincoli di interesse culturale e paesaggistico. Tale riduzione è applicabile anche nei confronti di edifici ubicati all'esterno del perimetro del PUO”. La prevista possibilità di ridurre le distanze tra edifici anche nei confronti di edifici ubicati all'esterno del perimetro del PUO, contrasta con l’articolo 2-bis del TUE nella lettura interpretativa della Corte Costituzionale (sentenza n. 134/2014), la quale, confermando un orientamento ormai consolidato in materia di distanze tra fabbricati ha precisato che l’articolo 2-bis del TUE recepisce il principio in base al quale “le deroghe all’ordinamento civile delle distanze tra edifici sono consentite se inserite in strumenti urbanistici, funzionali a conformare un assetto complessivo e unitario di determinate zone del territorio”. A ciò si aggiunga che, in base all’articolo 82, comma 1, lettera a, n. 3), salvo quanto stabilito in via transitoria agli articoli 79, 80 e 81, le disposizioni della legge regionale in esame sostituiscono il DM n. 1444/1968.
Pertanto, stante i puntuali criteri interpretativi della Consulta, la disposizione regionale in esame risulta adottata in violazione della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di “ordinamento civile” (art. 117, secondo comma lettera l), nonché di quella concorrente nella materia “governo del territorio” (art. 117, terzo comma).
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