Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per raccogliere statistiche in forma aggregata e consentire l'accesso a media esterni.
Se non acconsenti all'utilizzo dei cookie di terze parti, alcuni contenuti potrebbero non essere disponibili.
Per maggiori informazioni consulta la privacy policy. Acconsenti all'utilizzo di cookie di terze parti?
Legge di stabilità regionale per l'esercizio 2015. (27-4-2015)
Veneto
Legge n.6 del 27-4-2015
n.41 del 27-4-2015
Politiche economiche e finanziarie
23-6-2015 /
Impugnata
In merito alla legge regionale Veneto n. 6/2015 – Legge di stabilità regionale per l’esercizio - si rilevano profili di incostituzionalità con riferimento alle seguenti disposizioni per le motivazioni di seguito specificate:
1. articolo 2,
2. articolo 49
3. articolo 69.
L’articolo 2 rubricato “Disposizioni in materia di tassa automobilistica” prevede l’esenzione dal pagamento della tassa automobilistica ordinaria per i veicoli e motoveicoli muniti di certificato di interesse storico collezionistico rilasciato da ASI, Storico Lancia, Italiano FIAT, etc., a decorrere dal ventesimo anno dalla loro costruzione.
La norma è in contrasto con l’articolo 63 della L. n. 342/2000, che nella versione vigente, per effetto delle modifiche apportate dall'art. 1, co. 666 della L. n. 190 del 2014 (legge di stabilità 2015), non prevede più l'esenzione dalla tassa automobilistica per i veicoli di particolare interesse storico e collezionistico dai 20 ai 29 anni, bensì solo l'esenzione per veicoli e motoveicoli a decorrere dal trentesimo anno di costruzione.
I veicoli iscritti nei suddetti registri continuerebbero ad essere esenti, diversamente dalla norma statale che per tali fattispecie non prevede più alcuna forma di esenzione. Pertanto, la norma regionale, nel reintrodurre un'esenzione dal pagamento della tassa automobilistica abrogata dalla normativa statale, si pone in netto contrasto con quest'ultima.
Si evidenzia, in merito, la circolare del Dipartimento delle Finanze che recita “L’abrogazione dei commi 2 e 3 dell’art. 63 della legge n. 342 del 2000, comporta che agli autoveicoli ed ai motoveicoli di particolare interesse storico e collezionistico non è più riconosciuta l’esenzione dal pagamento delle tasse automobilistiche” e che “detto principio, sotteso alle disposizioni dell’art. 1, comma 666, della legge n. 190 del 2014, deve essere naturalmente rispettato anche dalle leggi regionali in materia di tasse automobilistiche”.
Il successivo comma 4 delle legge in parola istituisce la "tassa di circolazione forfettaria" sugli stessi veicoli e motoveicoli, per i quali, la normativa statale già prevede l'assoggettamento alla tassa automobilistica ordinaria (art. 63 della L. n. 342/2000).
La Regione, quindi, per i predetti veicoli, sostituisce il regime di tassazione ordinaria, prevista dal sistema statale, con un tributo ad hoc.
Si conferma che la tassa automobilistica (disciplinata dal DPR n. 39 del 1953) è stata attribuita dall'art. 23 del d.lgs. n. 504 del 1992 alle regioni, le quali provvedono anche alla riscossione, all'accertamento, al recupero, ai rimborsi ed al relativo contenzioso (art. 17, co. 10 della I. n. 449/1997). Successivamente l'art. 8, co. 2 del d.lgs. n. 68/2011 ha riconosciuto alle regioni la possibilità di disciplinare la tassa de qua, fermi restando i limiti massimi di manovrabilità previsti dalla legislazione statale. Il tributo, dunque, non può essere annoverato tra i tributi propri delle regioni bensì tra i "tributi propri derivati" e dunque istituito con legge statale e manovrabile dalle regioni nei limiti stabiliti dalla legislazione nazionale.
Il punto è stato chiarito con sentenza n. 288 del 2012, con la quale la Corte costituzionale, nel delineare il quadro normativo in cui si colloca la tassa automobilistica regionale - anche a seguito delle modifiche introdotte dalla legge n. 42 del 2009 (legge delega in materia di federalismo fiscale) e del relativo decreto attuativo (decreto legislativo n. 68 del 2011) - ha precisato, con riferimento a tale imposta, "che si qualifica come tributo proprio derivato", che le regioni:
a) non possono modificare il presupposto e i soggetti d’imposta, attivi o passivi;
b) possono modificare le aliquote, ma solo entro il limite massimo fissato dal legislatore;
c) possono disporre esenzioni, detrazioni e deduzioni nei limiti di legge e, quindi, non possono escludere agevolazioni già previste dal legislatore statale.
La Corte ha aggiunto che, con la formulazione dell'articolo 8 del decreto legislativo n. 68 del 2011 e, soprattutto, dalla diversificazione operata tra i commi 2 e 3 del predetto articolo, si intende " non già la natura di tributo proprio della tassa automobilistica regionale, ma solo la volontà del legislatore di riservare ad essa un regime diverso rispetto a quello stabilito per gli altri tributi derivati, attribuendone la disciplina alle regioni, senza che questo comporti una modifica radicale di quel tributo, come anche confermato dall’inciso “fermi restando i limiti di manovrabilità previsti dalla legislazione statale”.
Pertanto, alla luce delle argomentazioni espresse dalla Corte costituzionale, sia con riferimento alla natura giuridica della tassa auto (tributo proprio derivato) sia ai limiti del potere delle regioni di disciplinare con propria legge tale tributo (ai sensi dell'articolo 8 del D.lgs. n. 68 del 2011), appare evidente come le regioni non possano intervenire nella disciplina del tributo con la modifica della soggettività attiva e passiva, con l'introduzione di esenzioni non previste dalla normativa statale ovvero con la sostituzione del regime di tassazione statale.
In relazione a quanto precede, si propone l'impugnativa dinanzi alla Corte costituzionale dell'articolo 2 della legge Veneto n. 6 del 2015 per violazione dell'articolo 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, che riserva alla competenza esclusiva dello Stato la materia del sistema tributario e dell’articolo 119, comma 2, della Costituzione, che subordina la possibilità per le regioni e gli enti locali di stabilire ed applicare tributi ed entrate proprie al rispetto dei principi (statali) di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario.
L'articolo 49 della legge in commento si propone di valorizzare il patrimonio produttivo e culturale del Veneto, nonché i prodotti di qualità del territorio veneto, attraverso la registrazione e promozione di marchi collettivi di qualità, istituiti ai sensi delle vigenti leggi nazionali e regionali, di proprietà della stessa Regione.
L'istituzione e la conseguente disciplina di siffatti marchi collettivi di qualità, da parte della Regione Veneto, si pone in conflitto con il diritto dell'Unione europea - in relazione a quanto disposto, fra l'altro, dagli artt. 34 e 35 del T.F.U.E. (Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea), che fanno divieto agli Stati membri di porre in essere restrizioni quantitative all'importazione e all'esportazione, nonché qualsiasi misura di effetto equivalente, e, quindi, in violazione dell'art. 117, primo comma, della Costituzione, che richiede, nell'esercizio della potestà legislativa, il rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario.
In diverse occasioni la Corte di Giustizia ha sottolineato che una legislazione nazionale che regoli o applichi misure di marcatura di origine, siano i marchi obbligatori o volontari, è contraria agli obiettivi del mercato interno, perché può rendere più difficile la vendita in uno Stato membro della merce prodotta in un altro Stato membro, ostacolando gli scambi intracomunitari e facendo così venir meno i benefici del mercato interno. Nella sentenza del 5 novembre 2002 (C-325/00), la Corte ha ritenuto che un sistema di marcatura, seppure facoltativo, nel momento in cui esso è imputabile ad autorità pubblica, ha, almeno potenzialmente, effetti restrittivi sulla libera circolazione delle merci tra Stati membri, in quanto l’uso del marchio “favorisce, o è atto a favorire, lo smercio dei prodotti in questione rispetto ai prodotti che non possono fregiarsene”.
L’articolo 49 contrasta, altresì, con l’art. 120, primo comma, della Costituzione, in quanto le misure adottate dalla Regione Veneto possono potenzialmente ostacolare la libera circolazione delle merci, anche all'interno del mercato nazionale, inducendo i consumatori a preferire i prodotti veneti rispetto a quelli provenienti da altre Regioni.
Sul tema si è recentemente (e chiaramente) espressa la Corte Costituzionale con sentenza 8 aprile 2013, n. 66 che ha ribadito l’orientamento giurisprudenziale secondo cui l’istituzione di un marchio regionale (nella specie collettivo, di qualità, dei prodotti agricoli ed agroalimentari) è incostituzionale, poiché induce i consumatori a preferire i prodotti contraddistinti con il marchio in questione rispetto ad altri similari e, dunque, viola il divieto di misure di effetto equivalente a restrizioni quantitative all’importazione e all’esportazione, previsto dal Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, oltre a rischiare di frammentare il mercato interno nazionale.
Ciò posto, per i motivi sopra enunciati, la legge regionale in commento, nella parte in cui all'art. 49 prevede la possibilità di istituire marchi collettivi di qualità dei prodotti del Veneto, contrasta con l'art. 117, comma 1, Costituzione per la possibile interferenza nei rapporti dello Stato con l'Unione europea e con l'art. 120, primo comma, Costituzione nella parte in cui rischia di limitare la libera circolazione delle merci, anche all'interno del mercato nazionale.
Articolo 69: (Norme a garanzia della copertura del Fondo anticipazione di liquidità di cui all'articolo 3 del decreto legge 8 aprile 2013, n. 35 "Disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonché in materia di versamento di tributi degli enti locali", convertito con modificazioni dalla legge 6 giugno 2013, n. 64).
La norma stabilisce che le risorse destinate alla copertura delle anticipazioni di liquidità, acquisite dalla regione per il pagamento dei debiti sanitari pregressi, ai sensi dell'articolo 3 del DL n. 35/2013, convertito, con modificazioni dalla legge n. 64/2013, siano comunque garantite anche mediante l'utilizzo delle risorse destinate al finanziamento del fondo sanitario regionale, vale a dire del finanziamento sanitario corrente.
Al riguardo, si rappresenta che la Regione ha avuto accesso alle anticipazioni di liquidità per il pagamento dei debiti pregressi in conseguenza, fra l'altro, della predisposizione, espressamente richiesta dal richiamato articolo 3, comma 5, del DL n. 35/2013, di idonee e congrue misure di copertura del rimborso allo Stato delle anticipazioni stesse, oggetto di verifica da parte del Tavolo di verifica degli adempimenti regionali. Il Tavolo di verifica degli adempimenti non avrebbe positivamente verificato una copertura effettuata a valere sulle risorse correnti del Servizio sanitario regionale, in quanto già finalizzate, ai sensi della legislazione vigente, a garantire l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza (LEA).
Ora, la presente legge regionale dispone invece che la copertura dei rimborsi di cui trattasi avvenga anche attingendo alle risorse destinate al finanziamento sanitario corrente (con ciò intervenendo sulle coperture già adottate e positivamente verificate ai fini della sottoscrizione dei contratti di prestito con il Ministero dell'Economia e delle Finanze). La disposizione introduce quindi, a carico del Servizio sanitario regionale, in palese contrasto con l'articolo 3 del DL n. 35/2013 e con l'articolo 81 della Costituzione, un onere del tutto improprio (rimborso di prestiti) ed ulteriore rispetto agli oneri finanziati a carico del Servizio sanitario nazionale, senza indicare le necessarie fonti di copertura.
Pertanto, l’articolo 69 si pone in contrasto con l’articolo 81, terzo comma, della Costituzione per mancata copertura finanziaria.
Tutto ciò considerato, si propone l'impugnativa degli articoli art. 2, 49 e 69 ai sensi dell'art. 127 della Costituzione.
A 50 anni dall'istituzione delle Regioni a statuto ordinario, un volume approfondisce lo stato ed i tempi di sviluppo economico e sociale conseguito a livello regionale, le modalità di confronto tra Stato e Regioni, le opportunità di finanziamento da parte dell'Unione Europea e altri temi rilevanti sul ruolo delle Regioni.
Il Dipartimento per gli Affari Regionali e le Autonomie è promotore del Progetto ReOPEN SPL, finalizzato a supportare gli enti territoriali con competenze nei settori di acqua, rifiuti e trasporti, anche attraverso attività di ricerca e analisi territoriale.
Un approfondimento sulle Commissioni paritetiche di ciascuna Regione a statuto speciale, con i Decreti di costituzione e l’elenco dei decreti legislativi concernenti le norme di attuazione