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Integrazioni e modificazioni alla legge regionale 13 marzo 2015, n. 4 (Istituzione del registro regionale per le libere dichiarazioni anticipate di trattamento sanitario (DAT) e disposizioni per favorire la raccolta delle volontà di donazione degli organi e dei tessuti). (10-7-2015)
Friuli Venezia Giulia
Legge n.16 del 10-7-2015
n.28 del 15-7-2015
Politiche socio sanitarie e culturali
4-9-2015 /
Impugnata
La legge della regione autonoma Friuli Venezia Giulia 10 luglio 2015, n. 16, recante “Integrazioni e modificazioni alla legge regionale 13 marzo 2015, n. 4 (Istituzione del registro regionale per le libere dichiarazioni anticipate di trattamento sanitario (DAT) e disposizioni per favorire la raccolta delle volontà di donazione degli organi e dei tessuti)” presenta profili di illegittimità costituzionale.
Occorre premettere che la legge in argomento è stata emanata dalla regione Friuli Venezia Giulia a seguito dell’impugnativa, da parte del Governo, della precedente legge regionale n. 4/2015, recante “Istituzione del registro regionale per le libere dichiarazioni anticipate di trattamento sanitario (DAT) e disposizioni per favorire la raccolta delle volontà di donazione degli organi e dei tessuti”. Con riguardo a quest’ultima legge, infatti, il Consiglio dei Ministri, con delibera del 18 maggio 2015, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione.
La legge regionale n. 16/2015 in esame, composta da un unico articolo, apporta modifiche e integrazioni alla citata legge regionale n. 4/2015, evidentemente nell’intento di sanare i rilievi di costituzionalità sollevati dal Governo.
Tuttavia le modifiche apportate dall’unico articolo di cui si compone la legge, non sono sufficienti a superare le censure di illegittimità costituzionale del ricorso pendente dinanzi alla Corte Costituzionale.
La legge regionale in esame, infatti, analogamente alla precedente legge n. 4 del 2015, prevede l’istituzione di un registro regionale che raccolga le dichiarazioni anticipate di volontà relative ai trattamenti sanitari, nonché la possibilità di rendere esplicita la volontà in merito alla donazione post mortem dei propri organi e tessuti contestualmente al deposito nel registro regionale delle predette dichiarazioni anticipate di trattamento sanitario. Così disponendo l’intera legge regionale, avente contenuto omogeneo e recante disposizioni strettamente connesse tra loro, è costituzionalmente illegittima, in quanto esorbita, a vario titolo, dalle competenze legislative regionali costituzionalmente riconosciute. Le disposizioni di cui si compone, infatti, intervenendo sulla disciplina degli atti di disposizione del proprio corpo, attengono ai diritti fondamentali dell’individuo, rispetto ai quali sono evidenti le esigenze di unitarietà dell’ordinamento, demandate alla potestà legislativa esclusiva dello Stato. Dette disposizioni pertanto invadono la competenza esclusiva dello Stato sia in materia di ordinamento civile di cui all’art. 117, secondo comma, lett. l), della Costituzione, sia in materia di tutela della salute, i cui principi fondamentali sono riservati alla legislazione statale, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost.
In particolare.
1) l’articolo 1, comma 1, lettera a), della legge regionale n. 16/2015 sostituisce integralmente l’articolo 1 della legge regionale n. 4/2015, senza tuttavia mutarne, nella sostanza, i contenuti. Resta, infatti, l’istituzione del registro regionale delle dichiarazioni anticipate di trattamento sanitario, censurato dal Governo con la menzionata delibera d’impugnativa del 18 maggio 2015.
In particolare la norma regionale in esame, nell’introdurre una nuova formulazione del comma 2 dell’art. 1 della l. r. n. 4 del 2015, dispone che: “La Regione Autonoma, per le finalità di cui al comma 1, istituisce un registro regionale delle dichiarazioni anticipate di trattamento sanitario (DAT), con accesso ai dati tramite la Carta regionale dei servizi, disciplinando in modo omogeneo su tutto il territorio regionale la raccolta di tali medesime dichiarazioni anticipate, in osservanza e in attuazione degli articoli 2, 3, 13 e 32 della Costituzione, nonché nel rispetto della normativa in materia a livello nazionale, europeo e internazionale”.
La disposizione in parola si limita a riscrivere, con parole diverse, quanto già previsto dall’originaria versione dell’articolo 1 della legge regionale n. 4/2015, il quale, al comma 3, disponeva che “La Regione, in attuazione di quanto previsto dagli articoli 2, 3, 13 e 32 della Costituzione, dall'articolo 9 della Convenzione di Oviedo del 4 aprile 1997, ratificata dalla legge 28 marzo 2001, n. 145 e dall'articolo 3 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, istituisce un registro regionale delle dichiarazioni anticipate di trattamento sanitario (DAT), con accesso ai dati tramite Carta regionale dei servizi”.
Inoltre, il medesimo art. 1, comma 1, lett. a) dalla legge regionale in esame, nel riformulare il comma 1 dell’art. 1 della l. r. n. 4/2015, non fa che parafrasare quanto già disposto dall’articolo 1, comma 1 della versione originaria, prevedendo che “la Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia riconosce e promuove la possibilità della persona di rendere esplicite con certezza le proprie determinazioni in ordine ai trattamenti sanitari, nell'ambito del Servizio sanitario regionale e in tutte le fasi della vita, ivi compresa quella terminale, e anche per l'ipotesi in cui la persona stessa non sia più in grado di intendere e di volere, fino alla morte accertata nei modi di legge”.
Appare evidente la sostanziale invarianza di contenuti rispetto alla versione originaria dell’articolo 1, commi 1 e 2, della legge regionale n. 4/2015, secondo cui: “a. La Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia riconosce e tutela la vita umana quale diritto inviolabile che viene garantito anche nella fase finale dell'esistenza e nell'ipotesi in cui la persona non sia più in grado di intendere e di volere, fino alla morte accertata nei modi di legge. 2. La Regione garantisce, altresì, il diritto all'autodeterminazione della persona nell'accettazione o rifiuto delle cure mediche per sé più appropriate in relazione a tutte le fasi della vita, ivi compresa quella terminale.”.
A tal riguardo, pertanto, non si possono che ribadire le censure di costituzionalità già formulate dal Consiglio dei Ministri del 18 maggio 2015, nei confronti della legge regionale n. 4/2015.
La disciplina introdotta dalla legge regionale in esame, infatti, analogamente a quella regolamentata dalla l. r. n. 4/2015, involge diverse materie, a seconda dei casi riservate alla potestà legislativa esclusiva dello Stato o concorrente Stato-regioni, integrando, tuttavia, in quest’ultimo caso, principi fondamentali della materia, dunque rimessi alla legislazione statale.
In linea generale, il Consiglio dei Ministri, nel censurare la l. r. n. 4 del 2015, ha rilevato, con rilievo da ribadirsi anche avverso la legge in esame, come “la disciplina del c.d. “fine vita” non possa tollerare regolamentazioni differenziate sul territorio nazionale, attenendo ai diritti fondamentali dell’individuo, rispetto ai quali sono evidenti le esigenze di unitarietà dell’ordinamento. Essa, dunque, è da intendersi rimessa alla potestà legislativa esclusiva dello Stato.”.
Peraltro, è da considerarsi ancora valida, e si ribadisce anche nei confronti della legge in esame, la considerazione del Governo, secondo cui l’istituzione di un tale registro, “avendo la finalità di attribuire certezza giuridica a specifiche situazioni, con il conseguente condizionamento dei diritti soggettivi fondamentali, necessita di una disciplina statale che regolamenti le dichiarazioni anticipate di trattamento sanitario, i loro contenuti, i loro limiti, le loro modalità di manifestazione e i loro effetti, analogamente a quanto avviene per i registri istituti presso pubbliche amministrazioni che certificano i dati identificativi di una persona, o la provenienza e la data di deposito di un determinato documento, ecc. (si vedano, ad esempio, gli articoli da 449 a 445 del codice civile per quanto riguarda gli atti di stato civile).”
Nel merito, dunque, permangono i rilievi in ordine all’istituzione di un registro regionale delle DAT formulati dal Governo nei confronti della l. r. n. 4 del 2015. Infatti le disposizioni della legge in esame sopra menzionate, che istituiscono il registro delle DAT, e le disposizioni ad esse collegate: “sono destinate a registrare una tipologia del tutto speciale di atti, cioè le dichiarazioni di volontà concernenti il consenso o dissenso dei cittadini rispetto a determinati trattamenti sanitari. Pertanto, detto registro coinvolge, in primo luogo, la materia dell’ordinamento civile, in quanto attinente a vere e proprie dichiarazioni di volontà – quindi atti manifestazione di autonomia privata - e ai loro possibili limiti, alle loro modalità di espressione, alla loro efficacia nel rapporto con i terzi. Si tratta, dunque, di materia rimessa, ai sensi dell’art.117, secondo comma, lett. l), della Costituzione, alla potestà legislativa esclusiva dello Stato”.
D’altra parte, la circostanza che nel settore delle dichiarazioni anticipate di trattamento vengano in rilievo istituti tipici dell’ordinamento civile è testimoniata anche dall’articolo 1, comma 1, lettera c), della legge in esame, che nel sostituire il comma 1 dell’articolo 3 della legge n. 4/2015, prevede che nella dichiarazione anticipata l'interessato possa nominare uno o più soggetti fiduciari, per l'interlocuzione e il contraddittorio con il Servizio sanitario regionale concernente la dichiarazione anticipata medesima. Infatti la figura dei fiduciari – già prevista dall’art. 3 della l. r. n. 4 del 2015 e che permane nel testo riformulato – non è prevista dalla normativa vigente statale, che invece fa riferimento all’istituto della rappresentanza. Sotto questo profilo, dunque, la norma regionale in questione sembra configurare un istituto giuridico non meglio definito, quale quello del “fiduciario”, che ha evidenti analogie con la rappresentanza disciplinata dal codice civile, senza tuttavia seguirne il regime, in quanto resta comunque distinta da quest’ultima. Non può che ribadirsi, pertanto, la lesione della potestà legislativa esclusiva statale in materia di ordinamento civile.
La norma in esame e le disposizioni della legge in esame ad esso collegate, inoltre, attenendo all’eventuale consenso a (o rifiuto di) determinati trattamenti sanitari, incide certamente anche sulla materia “tutela della salute”. Come è noto, la tutela della salute è rimessa alla potestà legislativa concorrente Stato-Regioni, in virtù dell’articolo 117, terzo comma, Cost. A tal riguardo, tuttavia, si deve considerare che l’eventuale previsione di atti attraverso i quali le persone possano disporre il proprio anticipato consenso o dissenso a determinati trattamenti sanitari, nonché la previsione delle relative modalità di manifestazione e degli effetti, costituiscono, per la loro rilevanza, aspetti che certamente integrano principi fondamentali della materia, non profili di dettaglio o meramente organizzativi.
Pertanto la legge regionale in esame regolamentando profili che, in base alla giurisprudenza costituzionale, sono da configurarsi come attinenti ai principi fondamentali della legislazione statale in materia di tutela della salute, eccede dalle competenze regionali, in violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost. Ciò vale, in particolare, con riferimento alla necessità di garantire che ogni determinazione in ordine al consenso o al dissenso rispetto a determinati trattamenti sanitari, avvenga sulla base di una scelta davvero libera, consapevole e informata. In altri termini, nella materia delle dichiarazioni anticipate di trattamento assume eminente importanza il principio del “consenso informato”. Anche in tal caso, tuttavia, la delicatezza dei profili coinvolti fa sì che la relativa disciplina sia dettata in maniera uniforme sul territorio nazionale, senza differenziazioni che sarebbero certamente suscettibili di incidere sul principio di uguaglianza, sancito dall’articolo 3 della Costituzione.
Viene in rilievo, a tal riguardo, la sentenza della Corte Costituzionale n. 438/2008, che ha precisato che “il consenso informato […] si configura quale vero e proprio diritto della persona e trova fondamento nei principi espressi nell’art. 2 della Costituzione, che ne tutela e promuove i diritti fondamentali, e negli artt. 13 e 32 della Costituzione, i quali stabiliscono, rispettivamente, che «la libertà personale è inviolabile», e che «nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge»”.
La Corte ha altresì rilevato che “il consenso informato trova il suo fondamento negli artt. 2, 13 e 32 della Costituzione”, sottolineandone la funzione di “sintesi di due diritti fondamentali della persona: quello all’autodeterminazione e quello alla salute, in quanto, se è vero che ogni individuo ha il diritto di essere curato, egli ha, altresì, il diritto di ricevere le opportune informazioni in ordine alla natura e ai possibili sviluppi del percorso terapeutico cui può essere sottoposto, nonché delle eventuali terapie alternative; informazioni che devono essere le più esaurienti possibili, proprio al fine di garantire la libera e consapevole scelta da parte del paziente e, quindi, la sua stessa libertà personale, conformemente all’art. 32, secondo comma, della Costituzione.”
Sulla base di tali considerazioni, il Giudice delle leggi ha tratto la conclusione che “il consenso informato deve essere considerato un principio fondamentale in materia di tutela della salute, la cui conformazione è rimessa alla legislazione statale”.
In particolare, la Corte ha osservato come l’individuazione dei soggetti legittimati al rilascio del consenso informato, nonché le modalità con le quali esso deve essere prestato e acquisito, costituiscono aspetti di primario rilievo dell’istituto del consenso informato, non potendosi, dunque, configurare quali norme di dettaglio, attuative dei principi fondamentali della legislazione statale.
Si tratta, dunque, di aspetti che non possono tollerare regolamentazioni differenziate sul territorio nazionale, come ben evidenziato dalla citata sentenza della Corte Costituzionale n. 438/2008.””.
2) Alla stregua di tali considerazioni, peraltro, è da considerarsi illegittima anche la disposizione di cui all’articolo 1, comma 1, lettera b), n. 1), della legge regionale in esame, che sostituisce il comma 3 dell’articolo 2 della legge regionale n. 4/2015, e che disciplina, appunto, il consenso informato finalizzato al rilascio delle DAT. In particolare, nella nuova versione, la disposizione in argomento prevede che “la Regione garantisce al cittadino una compiuta informazione sugli accertamenti e i trattamenti sanitari, nell'ambito del Servizio sanitario regionale, assicurando la possibilità di presentare all'Azienda per l'assistenza sanitaria territorialmente competente un atto, avente data certa con firma autografa, contenente la dichiarazione anticipata della persona di essere o meno sottoposta a trattamenti sanitari in caso di malattia o lesione cerebrale che cagioni una perdita di coscienza e volontà definibile come permanente e irreversibile secondo i protocolli scientifici riconosciuti a livello internazionale”.
La disposizione da ultimo citata non si differenzia molto da quella originaria, risultante dal combinato disposto dei commi 3 e 5 dell’articolo 2 della legge n. 4/2015. In particolare, il comma 3 prevedeva che “[…] il cittadino, acquisita una compiuta informazione, presenta all'Azienda per l'assistenza sanitaria territorialmente competente un atto contenente la dichiarazione anticipata di trattamento sanitario, avente data certa con firma autografa”. Il comma 5 (abrogato dalla legge regionale n. 16/2015, la quale, però, ne fa sostanzialmente confluire il contenuto nel novellato comma 3) aggiungeva che “La dichiarazione [anticipata di trattamento] ha ad oggetto la volontà del singolo di essere o meno sottoposto a trattamenti sanitari in caso di malattia o lesione cerebrale che cagioni una perdita di coscienza e volontà definibile come permanente e irreversibile secondo i protocolli scientifici riconosciuti a livello internazionale”.
Non si può non rilevare come la riformulazione del comma 3 dell’articolo 2 introdotta dalla disposizione in esame, non faccia che parafrasare quanto già previsto dalla versione originaria della legge regionale n. 4/2015.
Sul punto, dunque, occorre ribadire l’illegittimità costituzionale della disposizione in argomento, sulla base di quanto sancito dalla citata sentenza della Corte Costituzionale n. 438/2008, che ha configurato la disciplina del consenso informato come attinente al principi fondamentali della legislazione statale in materia di tutela della salute, rimessi alla potestà legislativa dello Stato. Tale pronuncia, peraltro, evidenzia come, laddove un determinato profilo, inerente ad una materia di potestà legislativa concorrente, sia strettamente connesso alla conformazione di diritti fondamentali costituzionalmente fondati – e questo è certamente anche il caso degli aspetti disciplinati dalla legge regionale in esame, che interviene in una materia delicata come il “fine vita” – tale profilo assurge di per sé al rango di “principio fondamentale”, “la cui conformazione è rimessa alla legislazione statale”.
In tali casi, pertanto, come pure è stato rilevato, una legge regionale che intervenisse su tali profili non sarebbe incostituzionale per il modo in cui li ha disciplinati, ma per il fatto stesso di averli disciplinati.
Quanto all’oggetto delle DAT, prima previsto dal richiamato comma 5 dell’articolo 2 della legge n. 4/2015, e ora, in conseguenza delle modifiche apportate dall’articolo 1, comma 1, lett. b) della legge n. 16/2015, confluito nel comma 3 del medesimo articolo 2, si deve ribadire che esso attiene alla materia dell’ordinamento civile. Le relative disposizioni, infatti, attengono ai contenuti delle DAT, quali vere e proprie dichiarazioni di volontà – quindi atti di manifestazione di autonomia privata - e ai loro possibili limiti, alle loro modalità di espressione, alla loro efficacia nel rapporto con i terzi. Risulta dunque violato l’articolo 117, secondo comma, lett. l), della Costituzione, che attribuisce l’ordinamento civile alla potestà legislativa esclusiva dello Stato.
Del resto, come osservato nella menzionata impugnativa governativa della l. r. n. 4 del 2015, è interessante rilevare come nell’ambito delle dichiarazioni anticipate di trattamento “le materie “ordinamento civile” e “tutela della salute” si intersechino inscindibilmente, specialmente con riguardo alla definizione degli eventuali limiti al possibile contenuto delle dichiarazioni stesse. Tali limiti, infatti, circoscrivendo le dichiarazioni di volontà – che costituiscono, come detto, espressione di autonomia privata - rientrerebbero, per ciò stesso, nella materia “ordinamento civile”, ma potrebbero essere stabiliti, in ipotesi, proprio per finalità di “tutela della salute”. La relazione tecnica allegata alla menzionata delibera d’impugnativa della l. r. n. 4 del 2015 del Consiglio dei Ministri del 18 maggio 2015, ricorda, a titolo di esempio, che “nella precedente legislatura è stato presentato, in materia, il ddl 2350, il quale statuiva che “l’alimentazione e l’idratazione, nelle diverse forme in cui la scienza e la tecnica possono fornirle al paziente, sono forme di sostegno vitale e fisiologicamente finalizzate ad alleviare le sofferenze fino alla fine della vita. Esse non possono formare oggetto di dichiarazione anticipata di trattamento”. E’ evidente come tali aspetti non possano essere rimessi all’autonoma iniziativa delle regioni o, tanto meno, degli enti locali, necessitando, invece, di una disciplina uniforme sul territorio nazionale.
3) Quanto all’articolo 1, comma 1, lettera c), della legge regionale n. 16/2015, esso sostituisce il comma 1 dell’articolo 3 della legge n. 4/2015, prevedendo che “Nella dichiarazione anticipata l'interessato può nominare uno o più soggetti, ai fini della presente legge denominati fiduciari, per l'interlocuzione e il contraddittorio con il Servizio sanitario regionale concernente la dichiarazione anticipata medesima”. La versione originaria di tale disposizione, invece, prevedeva che “Nella dichiarazione anticipata di trattamento sanitario il soggetto interessato può nominare uno o più fiduciari o un amministratore di sostegno ai sensi dell' articolo 408 del codice civile con il compito di controllare il rispetto della volontà dal medesimo espressa nella dichiarazione e di contribuire a realizzarne la volontà”.
Come è facile rilevare, le modifiche apportate alla disposizione originaria sono di poca portata e non ne mutano la sostanza. La differenza principale consiste nell’aver eliminato la possibilità di nominare un amministratore di sostegno, lasciando la figura del fiduciario.
Sul punto, il Consiglio dei Ministri aveva rilevato, ancora una volta, la violazione della potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile, in quanto, in particolare, “ai sensi dell’articolo 408 del codice civile, l’amministratore di sostegno può essere designato dallo stesso interessato, in previsione della propria eventuale futura incapacità, “mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata”. Orbene, le dichiarazioni anticipate di trattamento previste dalla legge regionale in esame non configurano né un atto pubblico né una scrittura privata autenticata; il che è sufficiente a rilevare, anche sotto questo profilo, la lesione della competenza statale in materia di ordinamento civile.”.
L’aver eliminato la figura dell’amministratore di sostegno non appare sufficiente a superare la censura di costituzionalità, in primo luogo perché la disposizione riformulata, attenendo alle modalità per far valere nei confronti dei terzi i contenuti di un atto, quale la DAT, che, per i motivi sopra illustrati, non può essere previsto da una legge regionale, è comunque investito da illegittimità consequenziale (essendo a monte illegittima la stessa istituzione del registro delle DAT e la disciplina di queste ultime). In secondo luogo, perché, come illustrato sopra, al punto 1), anche la figura dei fiduciari – che permane nel testo riformulato – non è prevista dalla normativa vigente statale, che invece fa riferimento all’istituto della rappresentanza. Sotto questo profilo, dunque, la norma regionale in questione sembra configurare un istituto giuridico non meglio definito, quale quello del “fiduciario”, che ha evidenti analogie con la rappresentanza disciplinata dal codice civile, senza tuttavia seguirne il regime, in quanto resta comunque distinta da quest’ultima. Non può che ribadirsi, pertanto, la lesione della potestà legislativa esclusiva statale in materia di ordinamento civile, in violazione dell’art. 117, secondo comma, lett. l).
4) Infine, si devono ribadire nei confronti dall’art. 1, comma 1, lett. a), della legge regionale in esame, che riformula il comma 3 dell’art. 1 della legge n. 4/2015, le censure già formulate avverso l’originaria formulazione dell’articolo 1, comma 5, della legge regionale n. 4/2015. Esse concernono la possibilità di rendere esplicita, contestualmente al deposito nel registro regionale delle dichiarazioni anticipate di trattamento sanitario, la volontà in merito alla donazione post mortem dei propri organi e tessuti.
Su tali previsioni (che vanno lette in combinato disposto con l’articolo 7 della legge n. 4/2015, rimasto vigente e invariato), il Consiglio dei Ministri, nella relazione tecnica allegata alla menzionata delibera del 18 maggio 2015, ha rilevato come “anche la donazione degli organi, oltre che attenere alla materia “tutela della salute” (essendo finalizzata a curare coloro i quali necessitano degli organi medesimi), costituisce certamente un atto di disposizione del proprio corpo, tanto che le diverse fonti che ne recano la disciplina si pongono in rapporto di specialità rispetto al generale divieto di cui all’articolo 5 del codice civile. Essa, pertanto, attiene anche alla materia dell’ordinamento civile, rimessa, come più volte ribadito, alla potestà legislativa esclusiva dello Stato, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione. E’ peraltro da ritenere che anche alla predetta materia siano connessi i profili concernenti le modalità di espressione del consenso alla donazione di organi, quale atto di disposizione del proprio corpo. Anche in tal caso, dunque, assume primario rilievo la tematica del consenso informato, la cui disciplina, come evidenziato, integra i principi fondamentali in materia di tutela della salute, riservati alla potestà legislativa statale. Sul punto, peraltro, si osserva che il citato articolo 7 della legge regionale, pur disponendo l’acquisizione delle volontà secondo le procedure statali già in corso, non prevede l’invio delle suddette dichiarazioni al Sistema informativo trapianti, come previsto dalla legge n.91/1999. Per questi profili, dunque, esso viola l’articolo 117, terzo comma, della Costituzione, in quanto contrastante con i principi fondamentali della legislazione statale in materia di tutela della salute”.
Per tutti i suddetti motivi, è da ritenere che la legge regionale n. 16/2015 violi, nel suo complesso, l’articolo 117, secondo comma, della Costituzione, per contrasto con i principi fondamentali della legislazione statale in materia di tutela della salute, nonché l’articolo 117, secondo comma, lettera l) della Costituzione, per interferenza con la potestà legislativa esclusiva dello Stato in materi di ordinamento civile.
In particolare l’interferenza con la materia ordinamento civile è resa evidente dalla circostanza che la legge regionale n. 16/2015, analogamente alla legge regionale n. 4/2015, prevede una particolare categoria di atti espressione di autonomia privata, quali, appunto, le dichiarazioni anticipate di trattamento, disciplinandone:
- i contenuti e l’oggetto (ovvero la volontà della persona “di essere o meno sottoposta a trattamenti sanitari in caso di malattia o lesione cerebrale che cagioni una perdita di coscienza e volontà definibile come permanente e irreversibile secondo i protocolli scientifici riconosciuti a livello internazionale” – art. 1, comma 1, lett. b), n. 1);
- le modalità con cui possono essere portate a conoscenza di terzi (prevedendo che “il soggetto dichiarante può rilasciare l'autorizzazione a comunicare a chiunque ne faccia richiesta o a determinati soggetti l'esistenza della dichiarazione anticipata di trattamento o anche del suo contenuto […]” – art. 1, comma 1, lett. b), n. 3);
- la validità, la revoca e la modifica (prevedendo che “Le dichiarazioni anticipate di trattamento sanitario sono rilasciate per il momento in cui intervenga lo stato di incapacità decisionale del predisponente e non possono essere modificate o revocate se non su richiesta del dichiarante, non necessitando comunque di alcuna conferma successiva al rilascio” – art. 1, comma 1, lett. d);
- la possibilità per il cittadino di nominare uno o più fiduciari, per l'interlocuzione e il contraddittorio con il Servizio sanitario regionale concernente la dichiarazione anticipata medesima – art.1, comma1, lett. c).
Si tratta, dunque, di una disciplina che, attenendo ai contenuti, ai limiti e alle modalità di esternazione di atti tipicamente di autonomia privata, in quanto concernenti la disposizione del proprio corpo mediante l’adesione o meno a determinati trattamenti sanitari, rientra, inequivocabilmente, nella materia dell’ordinamento civile, che è riservata, in via esclusiva, alla potestà legislativa statale.
Come già rilevato dal Consiglio dei Ministri del 18 maggio 2015, dunque, “anche sotto questo profilo è illuminante la giurisprudenza costituzionale. Viene in rilievo, in particolare, la sentenza della Corte Costituzionale n. 253/2006, che ha dichiarato l’incostituzionalità, per interferenza nella materia dell’ordinamento civile, di una norma della regione Toscana, la quale prevedeva che “Ciascuno ha diritto di designare la persona a cui gli operatori sanitari devono riferirsi per riceverne il consenso a un determinato trattamento terapeutico, qualora l'interessato versi in condizione di incapacità naturale e il pericolo di un grave pregiudizio alla sua salute o alla sua integrità fisica giustifichi l'urgenza e indifferibilità della decisione”.
La medesima legge regionale disciplinava il procedimento per rendere operative le relative dichiarazioni di volontà. Orbene, la Corte Costituzionale, nel giudicare tale legge regionale, ha sancito che “la Regione ha così disciplinato la possibilità per il soggetto, in vista di un’eventuale e futura situazione di incapacità naturale e al ricorrere delle condizioni indicate dall’art. 7, di delegare ad altra persona, liberamente scelta, il consenso ad un trattamento sanitario. Così operando il legislatore regionale ha ecceduto dalle proprie competenze, regolando l’istituto della rappresentanza che rientra nella materia dell’ordinamento civile, riservata allo Stato, in via esclusiva, dall’art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione”.
Si tratta, come si vede, di fattispecie del tutto analoga a quella disciplinata dalla legge della regione Friuli Venezia Giulia n. 4/2015, anche come riformulata dalla legge n. 16/2015, rispetto alla quale, pertanto, non possono che permanere i rilievi di incostituzionalità già espressi e sopra riportati.
5) Da ultimo, la disciplina recata dalla legge regionale in discorso, e in particolare le lettere b), ed e), dell’art. 1, comma 1, della legge in esame, che sostituiscono, rispettivamente, l’art. 2, comma 3, e l’art. 6, comma 2, della precedente legge regionale n. 4/2015, e che prevedono che l'azienda per l'assistenza sanitaria inserisca le DAT della banca dati e ne curi la tenuta, coinvolgono anche direttamente la materia della protezione dei dati personali ed hanno importanti implicazioni sulla stessa e sulla tutela della riservatezza, che - come noto- rientrano nell'ambito dell'ordinamento civile, che è riservato alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, ai sensi dell'articolo 117, comma 2, lett l), Cost. (cfr., per tutte, la sentenza della Corte costituzionale n. 271/2005).
Come noto, detta competenza è stata esercitata dal legislatore statale segnatamente attraverso il decreto legislativo n. 196/2003 (Codice in materia di protezione dei personali, in prosieguo: il "Codice"). In proposito, va evidenziato che, da un lato, la tipologia di informazioni contenute nella DAT è per la maggior parte esplicitamente collegata a dati sanitari ed a informazioni relative alla salute; dall'altro, la DAT trascende inevitabilmente l'ambito prettamente sanitario e finisce per coinvolgere delicati aspetti della vita umana di carattere etico, religioso, filosofico e di altro genere. Sotto entrambi i menzionati profili, pertanto, la DAT implica anche il trattamento di dati sensibili, tra i quali sono ricompresi i dati idonei a rivelare "le convinzioni religiose, filosofiche e di altro genere" dell'individuo, "nonché i dati personali idonei a rivelare lo stato salute" (cfr. l’art. 4, co. 1, lett. d), del Codice).
Per operare il trattamento di dati personali, comuni e sensibili, implicato dalla DAT occorre che il trattamento inerisca allo svolgimento delle funzioni istituzionali delle aziende per l'assistenza sanitaria (articolo 18, comma 2, del Codice) e che una norma di rango statale individui le finalità di rilevante interesse pubblico alla base dello stesso, secondo quanto previsto dall'articolo 20, comma 1, del Codice.
Né appare possibile effettuare l'individuazione della rilevante finalità di intesse pubblico con un regolamento regionale (a cui rinvia l'articolo 9 della legge regionale in oggetto), occorrendo a tal uopo una fonte di rango statale; la normativa secondaria regionale può svolgere un ruolo di tipo integrativo, disciplinando differenti profili del trattamento, come l'individuazione dei tipi di dati e di operazioni eseguibili, nel caso in cui il trattamento da parte del soggetto pubblico (qui, le aziende per l'assistenza sanitaria) riguardi dati sensibili (cfr. art 20, comma 2, Codice).
Secondo quanto stabilito dalla Corte con la richiamata sentenza n. 271/2005, infatti, il predetto articolo 20, comma 2, del Codice, ammette "solo l'integrazione delle prescrizioni legislative statali che siano incomplete in relazione al trattamento di dati sensibili da parte di pubbliche amministrazioni (poiché non determinano tipi di dati sensibili e di operazioni eseguibili) operata tramite appositi regolamenti a cura dei soggetti che ne effettuano il trattamento, seppure in conformità al parere espresso dal Garante ai sensi dell'art. 154, comma 1, lettera g), anche su schemi tipo. In questi ambiti possono quindi essere adottati anche leggi e regolamenti regionali, ma solo in quanto e nella misura in cui ciò sia appunto previsto legislazione statale.
Né valgono a fugare i dubbi di un possibile contrasto con il dettato costituzionale le affermazioni presenti nella legge regionale circa l’“osservanza della normativa statale, europea e internazionale sul trattamento dei dati personali e sulla protezione della riservatezza” (cfr. art. 1, comma 1, lett. b, n. 3), e lett. e), quando invece la legge regionale in concreto contraddice sotto molteplici profili la legislazione statale vigente in materia di protezione dei dati personali (nonché le stesse direttive europee che ne sono all’origine) (cfr. la sentenza della Corte cost. n. 271/2005).
Allo stato, la materia della DAT non trova disciplina nella legislazione statale; risultano solo presentati in Parlamento alcuni disegni di Legge il cui esame, peraltro, non è stato ancora avviato (AS 433 e AC 1432, entrambi recanti "Disposizioni in materia di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento sanitario").
Pertanto, in assenza di disposizioni statali che includano tra i compiti istituzionali delle aziende sanitarie tale specifica funzione e che affermino la rilevante finalità di interesse pubblico perseguita, la legge regionale in esame contrasta con la disciplina ed i principi della legislazione statale in materia di protezione dei dati personali, con specifico riferimento, quali "norme interposte", alle disposizioni del Codice indicate in motivazione e viola pertanto l'articolo 117, secondo comma, lett. l), della Costituzione.
Per i motivi esposti sussistono le condizioni per sollevare questione di legittimità costituzionale, ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione, avverso l’intera legge regionale specificata in oggetto, avente contenuto omogeneo e recante disposizioni strettamente connesse tra loro, o, in subordine, avverso gli articoli specificamente indicati e le disposizioni ad essi collegate.
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