Dettaglio Legge Regionale

Disposizioni in materia di liberi Consorzi comunali e Città metropolitane (4-8-2015)
Sicilia
Legge n.15 del 4-8-2015
n.32 del 7-8-2015
Politiche ordinamentali e statuti
5-10-2015 / Impugnata


Con la legge regionale n. 15/2015, la Regione Sicilia reca disposizioni in materia di liberi Consorzi comunali e Città metropolitane.

La legge regionale in esame incide su una materia che gli articoli 14, comma 1, lettera o) e 15 dello Statuto speciale attribuiscono alla competenza esclusiva della Regione siciliana in materia di “regime degli enti locali e delle circoscrizioni relative” nonché in materia di “circoscrizione, ordinamento e controllo degli enti locali”. Inoltre, l’articolo 15 comma 2 dello Statuto prevede che “L’ordinamento degli enti locali si basa nella Regione stessa sui comuni e sui liberi Consorzi comunali, dotati della più ampia autonomia amministrativa e finanziaria”.

In materia di disposizioni sulle province e sulle città metropolitane, a livello di legislazione statale, è intervenuta la legge n. 56/2014, cui le regioni sono tenute ad adeguarsi. Ai fini dell’adeguamento, la stessa legge ha introdotto due “clausole di salvaguardia” per le regioni ad autonomia speciale.

La prima è richiamata nell’ultima parte dell’art. 1, comma 5, ove si precisa che la disciplina dettata per le neoistituite Città ed aree metropolitane rappresenta una disciplina di principi di grande riforma economica e sociale, alla quale le regioni speciali (in particolare: Sardegna, Sicilia e Friuli-Venezia Giulia) si adeguano in conformità ai relativi statuti. La seconda clausola, di carattere più generale, è contenuta nel comma 145, che individua un termine di dodici mesi per le citate regioni a statuto speciale, affinché adeguino i propri ordinamenti interni ai principi della legge n. 56/2014.

La clausola di cui al citato comma 145, per la Regione Siciliana (oltreché per la Sardegna e il Friuli Venezia Giulia), prevede l’adeguamento ai principi della legge 56/2014 senza il richiamo alla compatibilità con lo Statuto e successive norme attuative, come stabilito invece per le regioni Trentino Alto Adige e Valle d’Aosta. Si potrebbe desumere pertanto che per la Regione Siciliana l’adeguamento ai “principi” (e non certo alle “norme puntuali”) della legge in esame – che realizza una “significativa riforma di sistema della geografia istituzionale della Repubblica, in vista di una semplificazione dell’ordinamento degli enti territoriali” – sia necessitato.
Inoltre, in particolare, i principi della legge medesima relativi alla disciplina di città e aree metropolitane sono qualificati (art. 1 comma 5, legge 56/2014) come principi di grande riforma economica e sociale e, quindi, come tali costituiscono limite all’esercizio della competenza legislativa esclusiva che impone alle regioni speciali l’adeguamento della propria legislazione a quella statale nella materia. Va evidenziato che la Corte costituzionale con la sentenza n. 50 del 2015 ha confermato che “la normativa in esame costituisce principio di grande riforma economica e sociale per le Regioni a statuto speciale, ai sensi del comma 5, ultimo periodo, dell’impugnato art. 1 della legge n. 56 del 2014”, come peraltro già formulato nella sentenza n. 265/2013, che afferma che anche la competenza esclusiva delle regioni a Statuto speciale trova un limite derivante dalle norme fondamentali delle riforme economico- sociali della Repubblica.

Con riferimento al quadro istituzionale delineato, la legge regionale non si adegua ai principi della legge n. 56 del 2014 e, pertanto, è censurabile in quanto eccede dalle competenze statutarie di cui agli articoli 14, 15 e 17 dello Statuto speciale della Regione (R.D.Lgs. N. 455/1946).

La legge n. 56 del 2014 delinea un quadro istituzionale articolato su tre organi e individua: nel sindaco metropolitano – che è di diritto il sindaco del comune capoluogo - l’organo monocratico con funzioni di rappresentanza e con responsabilità per lo svolgimento delle funzioni e l’esecuzione degli atti imputabili all’ente; nel consiglio metropolitano l’organo ad elezione indiretta con funzioni di indirizzo e di controllo, con poteri anche deliberativi; nella conferenza metropolitana l’organo composto dai sindaci dell’area metropolitana con poteri propositivi e consultivi e di deliberazione in ordine allo statuto.

L’elezione diretta del sindaco metropolitano e del consiglio è subordinata a precise condizioni, tra cui la previa articolazione in comuni del territorio metropolitano a garanzia della rappresentatività dei territori. L’elezione indiretta del consiglio è presidiata da elementi di ponderazione a garanzia della rappresentanza dei territori.

Non si rinviene in alcuna disposizione della legge regionale per l’elezione degli organi della città metropolitana e per gli organi dei liberi Consorzi l’introduzione di meccanismi di ponderazione del voto in base alla consistenza della popolazione dei diversi comuni ripartiti in fasce demografiche, come invece è previsto dall’articolo 1 comma 32 per il consiglio metropolitano, e comma 63 per il presidente della provincia, della legge n. 56/2014. Ciò oltre a contrastare con la citata normativa statale viola i principi costituzionalmente garantiti di ragionevolezza, uguaglianza e di unità di cui agli articoli 3 e 5 della Costituzione. Appare, inoltre, in contrasto con la sentenza della Corte Costituzionale n. 50/2015 nella parte in cui dice che gli organismi di secondo grado sono compatibili col contesto costituzionale, in quanto rispettino l'esigenza "di una effettiva rappresentatività dell'organo rispetto alle comunità interessate". L’introduzione del voto ponderato previsto dalle citate disposizioni statali è senz’altro un elemento di garanzia nel quadro complessivo delle dinamiche della formazione della volontà assembleare in ambito locale. La legge statale con esso opera una diversificazione del peso della rappresentanza in funzione degli abitanti, esprimendo un principio di segno radicalmente opposto a quello sintetizzato nel principio “una testa un voto”, secondo cui il voto di ciascun avente diritto ha lo stesso valore di quello degli altri. Tale introduzione risulta essenziale e non derogabile nella legislazione statale, in quanto l’utilizzo di un sistema di voto ponderato è esplicitazione del principio di proporzionalità e ragionevolezza poiché assegna un valore al voto finale che è proporzionale alla popolazione del comune che si rappresenta.

In particolare, i principi relativi alla preposizione alla carica del sindaco metropolitano e del consiglio metropolitano nonché l’articolazione organica e funzionale della città metropolitana sono derogati dalla legge regionale n. 15/2015. Ferma restando la competenza esclusiva della Regione, in virtù degli articoli 14, comma 1, lettera o) e 15 dello Statuto speciale in materia di “regime degli enti locali e delle circoscrizioni relative” nonché in materia di “circoscrizione, ordinamento e controllo degli enti locali” e di liberi Consorzi comunali, si rileva quanto segue:

1) Gli articoli 12 e 13 prevedono che il sindaco metropolitano non sia di diritto il sindaco del comune capoluogo ma eletto in via indiretta da un organo con funzioni essenzialmente elettorali ossia dall’adunanza elettorale metropolitana (art. 17), organo non previsto dalla legge statale, composto dai sindaci e dai consiglieri comunali in carica dei comuni appartenenti alle città metropolitane nonché dai presidenti dei consigli circoscrizionali, in carica, del comune capoluogo, secondo una disciplina in cui l’unico elemento di ponderazione a favore dei comuni con maggior numero di abitanti è dato dalla previsione dell’elettorato attivo ai presidenti dei consigli circoscrizionali del comune capoluogo. In primo luogo tali disposizioni si pongono in contrasto con l’ articolo 1 commi 19 e seguenti della legge n. 56/2014, che prevedono espressamente che il sindaco metropolitano sia di diritto il sindaco del comune capoluogo. Peraltro, l’individuazione del sindaco metropolitano, in fase di prima attuazione, nel sindaco del comune capoluogo di provincia, è ritenuta anche dalla Corte Costituzionale, non irragionevole in considerazione dell’importanza del comune capoluogo intorno al quale si aggrega la citta metropolitana e della possibilità dello statuto di optare per l’elezione diretta, seppure condizionata all’articolazione territoriale del comune capoluogo in più comuni (Sentenza n. 50 del 2015), in ossequio anche al principio costituzionale di unità di cui all’articolo 5 della Costituzione. In secondo luogo, in conseguenza del fatto che l'elezione del Sindaco metropolitano è di secondo grado come previsto dalla legge in esame, l'articolo 13, comma 6 che prevede che " Sono candidabili a Sindaco metroplitano i sindaci in carica dei comuni appartenenti alla Città metropolitana il cui mandato scada non prima di diciotto mesi dalla data di svolgimento delle elezioni…" è suscettibile di configurare una violazione ex articolo 51, della Costituzione del diritto di elettorato passivo del sindaco del comune capoluogo delle città metropolitane, che gli impedisce di candidarsi qualora il suo mandato arrivi a scadenza nei diciotto mesi precedenti alle elezioni degli organi metropolitani.

Inoltre, viene previsto che l'Adunanza elettorale metropolitana (art. 17) approvi la mozione di sfiducia al Sindaco metropolitano, presentata da almeno un quinto dei componenti della Conferenza metropolitana che rappresentino almeno un quinto della popolazione della città metropolitana, fermo restando che la legge n.56/2014 non prevede alcun rapporto fiduciario tra gli organi da essa disciplinati, in quanto esclude la funzione di indirizzo politico della Città metropolitana essendo un ente di secondo livello, rappresentativo dei territori.

2) Alla Conferenza metropolitana (art. 15), sono attribuite competenze che la legge n.56/2014 riconosce invece al Consiglio metropolitano - organo di indirizzo politico e di controllo con poteri anche deliberativi - ma non è costituito a seguito di elezione indiretta , come invece il consiglio metropolitano previsto dalla suddetta legge statale ( art. 1 commi 25 e seguenti L. n. 56/2014).

3) L’articolo 16 prevede che alla giunta metropolitana, organo non previsto dalla legge n. 56/2014 sono attribuiti poteri esecutivi ed è eletta dall’Adunanza elettorale metropolitana, ai cui membri possono essere assegnate deleghe di funzioni da parte del presidente. La giunta metropolitana, quindi, è stata considerata dalla legge regionale, come autonomo organo decisionale della città metropolitana, diversamente da quanto previsto dalla legge n. 56/2014, istitutiva di un sistema composto da tre organi metropolitani di cui il Presidente è l'unico organo esecutivo.

Pertanto tali disposizioni, oltre a porsi in contrasto con gli articoli summenzionati della legge 56/2014, violano il principio di ragionevolezza uguaglianza e rappresentatività di cui all’articolo 3 della Costituzione.

4) Medesimi rilievi vanno formulati per gli organi del libero Consorzio comunale, che qui vengono espressamente richiamati, in quanto si ravvisano rilevanti deroghe ai principi stabiliti dalla legge n. 56 del 2014, analoghe a quelle constatate per la disciplina della città metropolitana. Esse riguardano la previsione di quattro organi, anziché tre, in quanto sono istituiti:

- il presidente del libero Consorzio comunale (artt. 5 e 6), per la cui elezione la legge regionale reca due rilevanti deroghe alla legge statale: infatti, l’elezione indiretta, che la legge statale stabilisce come principio indefettibile (art. 1, commi 55 e seguenti L. n. 56/2014), è superabile dagli statuti dei liberi consorzi comunali a vantaggio dell’elezione diretta a suffragio universale e diretto (art. 6, comma 8); inoltre, per l’elezione indiretta (art. 6, comma 7) si prevede che sia eletto il candidato che abbia riportato il maggior numero di voti senza introdurre gli elementi di ponderazione per fasce demografiche dei comuni previsti dalla legge statale (art. 1, commi 63 e seguenti L. n. 56/2014) per attribuire un più peso ai comuni con maggior numero di abitanti, a garanzia dei principi di ragionevolezza, uguaglianza e rappresentatività dei territori;
- la giunta del libero Consorzio comunal(artt. 4 e 9), non prevista dalla legge statale quale organo ad elezione indiretta con funzioni esecutive, eletta dall'Adunanza elettorale del libero Consorzio;
- l’assemblea del libero Consorzio (art. 8), organo composto di diritto dai sindaci dei comuni consorziati, con funzioni di indirizzo, di controllo e deliberative;
- l’adunanza elettorale del libero Consorzio (art. 10), organo non previsto dalla legislazione statale, composta da sindaci e consiglieri comunali, con funzioni elettorali del presidente del libero Consorzio e della giunta, condizionando la permanenza in carica del presidente del libero Consorzio con l’esercizio del potere di sfiducia.

Le disposizioni surrichiamate si pongono in contrasto con quanto stabilito dall'articolo 1, commi 51 e seguenti della legge n. 56/2014.

Per i profili connessi alla composizione, alla ponderazione dei voti e alle funzioni di tali organi, per quanto non espressamente evidenziato, si richiamano le analoghe considerazioni e i rilievi sopra formulati per la disciplina regionale delle città metropolitane.

5) Articolo 20 – La disposizione in esame individua le indennità da conferire alle cariche negli organi degli enti di area vasta.
Al riguardo, si fa presente che la predetta norma contrasta con la disciplina di cui all’articolo 1, commi 24 e 84, della L. n. 56/2014, secondo cui gli incarichi di presidente della provincia, di consigliere provinciale e di componente dell'assemblea dei sindaci ed, altresì, di sindaco metropolitano, di consigliere metropolitano e di componente della conferenza metropolitana sono esercitati a titolo gratuito.

Ciò posto, l’articolo in esame non appare in linea con la vigente normativa nazionale in materia di razionalizzazione dei costi degli enti locali, tenuto conto che la gratuità degli incarichi espletati in applicazione dell’articolo 1, commi 24 e 84, della L. n. 56/2014 persegue l’obiettivo di ridurre la spesa pubblica corrente per il funzionamento degli organismi di area vasta attraverso una disciplina uniforme. Pertanto, la disposizione è suscettibile di porsi in contrasto con il comma terzo del medesimo art. 117, nell’ottica del coordinamento della finanza pubblica, cui la regione, pur nel rispetto della sua autonomia, non può derogare.


6) l’articolo 27, comma 1, stabilisce che «il libero Consorzio comunale, quale ente territoriale di area vasta, è titolare, oltre che delle funzioni già spettanti alle ex province regionali ai sensi della normativa vigente, delle seguenti funzioni proprie già attribuite, ai sensi dell’articolo 13 della legge regionale 6 marzo 1986, n. 9 e successive modifiche ed integrazioni, alle ex province regionali» attribuendogli, quindi, al punto 3, lett. e), l’ «organizzazione e gestione dei servizi nonché localizzazione e realizzazione degli impianti di smaltimento dei rifiuti e di depurazione delle acque, quando i comuni singoli o associati non possono provvedervi».
Tale disposizione deve ritenersi incostituzionale per le seguenti ragioni:

I. Illegittimità costituzionale dell’art. 27, comma 1, ove interpretato nel senso di attribuire ai comuni, singolarmente o in forma associata, l’organizzazione e la gestione dei servizi concernenti lo smaltimento dei rifiuti e, qualora non riescano a provvedervi, al Consorzio comunale (anziché agli enti di governo degli ambiti), per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettere e) ed s), Cost.
Il settore dei rifiuti, nel riparto di competenze previsto dallo Statuto speciale della Regione siciliana, ricade nell’ambito delle materie della «igiene e sanità pubblica» e della «assunzione di pubblici servizi», affidate dall’art. 17, lettere b) ed h), di tale atto normativo alla competenza concorrente della Regione, da esplicarsi «entro i limiti dei principi ed interessi generali cui si informa la legislazione dello Stato» (sentt. nn. 167 del 1993 e 981 del 1998). Nel settore de quo, invece, le Regioni ad autonomia ordinaria dispongono della competenza legislativa residuale ex art. 117, quarto comma, Cost., in tema di «servizi pubblici locali» (ex plurimis, cfr. Corte cost. n. 272 del 2004). Da ciò la conclusione secondo la quale, ai sensi dell’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, anche la Regione siciliana deve ritenersi titolare, nel predetto ambito, di una competenza legislativa residuale ex art. 117, quarto comma, Cost. in quanto integrante un caso di “maggiore autonomia” rispetto alla competenza concorrente ex art. 17 St. Reg. sic.
Da ciò la conclusione – anche alla luce della giurisprudenza costituzionale concernente l’applicazione del menzionato art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001 (cfr., ex plurimis, sentt. nn. 365 e 162 del 2007, 51 del 2006, 383 del 2005, 236 del 2004, 274 del 2003) – secondo la quale anche la legislazione siciliana in tema di rifiuti deve conformarsi alle norme dettate dallo Stato in base ai titoli trasversali di intervento di cui all’art. 117, secondo comma, lett. e) ed s), che rappresentano altrettanti limiti per la competenza residuale regionale ex art. 117, comma quarto, Cost.
Tutto ciò premesso, rileva nella presente sede la considerazione delle disposizioni di cui all’articolo 3-bis, commi 1 e 1-bis, del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito con modificazioni dall’articolo 1, comma 1, della legge 148 del 2011, in tema di servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica. Tali disposizioni stabiliscono che, a tutela della concorrenza e dell’ambiente, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano organizzano detti servizi «definendo il perimetro degli ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei tali da consentire economie di scala e di differenziazione idonee a massimizzare l’efficienza del servizio e istituendo o designando gli enti di governo degli stessi, entro il termine del 30 giugno 2012» e che «la dimensione degli ambiti o bacini territoriali ottimali di norma deve essere non inferiore almeno a quella del territorio provinciale», potendo le Regioni «individuare specifici bacini territoriali di dimensione diversa da quella provinciale, motivando la scelta in base a criteri di differenziazione territoriale e socio-economica e in base a principi di proporzionalità, adeguatezza ed efficienza rispetto alle caratteristiche del servizio». A garanzia dell’adempimento di tale obbligo, il citato comma 1 prevede inoltre che il Consiglio dei Ministri eserciti, a tutela dell’unità giuridica ed economica del Paese, «i poteri sostitutivi di cui all’articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131, per organizzare lo svolgimento dei servizi pubblici locali in ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei, comunque tali da consentire economie di scala e di differenziazione idonee a massimizzare l’efficienza del servizio».
Ancora, il successivo comma 1-bis dell’articolo 3 dispone che «le funzioni di organizzazione dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica, compresi quelli appartenenti al settore dei rifiuti urbani, di scelta della forma di gestione, di determinazione delle tariffe all’utenza per quanto di competenza, di affidamento della gestione e relativo controllo sono esercitate unicamente dagli enti di governo degli ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei istituiti o designati ai sensi del comma 1 del presente articolo cui gli enti locali partecipano obbligatoriamente, fermo restando quanto previsto dall’articolo 1, comma 90, della legge 7 aprile 2014, n. 56. Qualora gli enti locali non aderiscano ai predetti enti di governo entro il 1° marzo 2015 oppure entro sessanta giorni dall’istituzione o designazione dell’ente di governo dell’ambito territoriale ottimale ai sensi del comma 2 dell’articolo 13 del decreto-legge 30 dicembre 2013, n. 150, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2014, n. 15, il Presidente della regione esercita, previa diffida all’ente locale ad adempiere entro il termine di trenta giorni, i poteri sostitutivi». Con specifico riferimento al settore dei rifiuti urbani, l’applicabilità delle norme de qua è inoltre ribadita dal successivo comma 6-bis del medesimo articolo 3-bis.
Deve infine essere considerato l’articolo 200, comma 1, del d.lgs. 152/2006, il quale sancisce che “La gestione dei rifiuti urbani è organizzata sulla base di ambiti territoriali ottimali, di seguito anche denominati ATO, delimitati dal piano regionale di cui all’articolo 199, nel rispetto delle linee guida di cui all’articolo 195, comma 1, lettere m), n) ed o), e secondo i seguenti criteri:
a) superamento della frammentazione delle gestioni attraverso un servizio di gestione integrata dei rifiuti;
b) conseguimento di adeguate dimensioni gestionali, definite sulla base di parametri fisici, demografici, tecnici e sulla base delle ripartizioni politico-amministrative”(omissis).
Di contro, l’articolo 27 della legge regionale 15/2015, nell’attribuire, in via sussidiaria, ai liberi Consorzi le funzioni di «organizzazione e gestione dei servizi nonché localizzazione e realizzazione degli impianti di smaltimento dei rifiuti (…) quando i comuni singoli o associati non possono provvedervi», sembra presupporre la spettanza comunale, in via “ordinaria”, delle medesime funzioni, che pure in base all’art. 8, comma 1, della legge della Regione siciliana n. 9 del 2010 risultano già attribuite alle Società per la regolamentazione del servizio di gestione dei rifiuti (SRR), mentre dall’art. 5, comma 2-ter, della citata legge regionale vengono attribuiti ai comuni le funzioni inerenti la raccolta, lo spazzamento e il trasporto dei rifiuti (articoli 4 e 5).
L’articolo in questione, dunque, ove si dovesse interpretare nel senso di una implicita attribuzione ai comuni, singolarmente o in forma associata, della realizzazione e localizzazione degli impianti di smaltimento dei rifiuti, si porrebbe in contrasto con la normativa statale sopra citata, violando da diversi punti di vista il principio di unicità verticale e orizzontale della gestione all’interno dell’ambito ottimale, posto dalle norme legislative statali sopra menzionate. Ciò per le seguenti ragioni:
i) l’attribuzione delle funzioni inerenti lo smaltimento dei rifiuti ai comuni viola il principio dell’unicità orizzontale della gestione, consentendo l’organizzazione e lo svolgimento di più servizi all’interno del medesimo ambito: da questo punto di vista, è possibile affermare che la disposizione de qua approfondisca l’incostituzionalità di cui è gravata la citata norma di cui all’art. 5, comma 2-ter, della legge della Regione siciliana n. 9 del 2010;
ii) in secondo luogo, l’affidamento (sia pure in via suppletiva) ai liberi consorzi di comuni delle sole funzioni inerenti lo smaltimento, violano il principio di unitarietà verticale del servizio, approfondendo la frammentazione del ciclo integrato dei rifiuti che la legislazione regionale siciliana già realizza;
iii) infine, l’attribuzione della funzione in via sussidiaria al Consorzio comunale viola anche il principio di unicità orizzontale della gestione nella misura in cui gli ambiti potrebbero in concreto essere dimensionati in modo ultraprovinciale, determinandosi in tal modo la possibilità di una molteplicità di gestioni nel singolo ambito; a tale ultimo proposito, deve ricordarsi che la Regione Siciliana, in data 7.08.2015, è stata diffidata ai sensi dell’art. 120, secondo comma, Cost., con nota prot. 21389 della Presidenza del Consiglio dei Ministri, a provvedere entro i termini ivi indicati alla perimetrazione degli ATO per il servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani e, di conseguenza, a ridefinirne la consistenza numerica individuando non più di cinque ambiti.

Alla luce delle precedenti considerazioni si deve ritenere che l’articolo 27, comma 1, punto 3), lett. e), della legge 15/2015, ove interpretato nel senso di attribuire ai comuni, singolarmente o in forma associata, l’organizzazione e la gestione dei servizi concernenti lo smaltimento dei rifiuti e, qualora non riescano a provvedervi, al Consorzio comunale (anziché agli enti di governo degli ambiti), violi l’art. 117, comma secondo, lett. s), Cost., per contrasto con le norme statali interposte di cui all’articolo 3-bis, commi 1 e 1-bis, del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dall’articolo 1, comma 1, della legge n. 148 del 2011 e all’articolo 200, comma 1, lettere a) e b), del d.lgs. 152/2006.

II. Illegittimità costituzionale dell’art. 27, comma 1, nella parte in cui affida in prima battuta le funzioni concernenti la depurazione delle acque ai comuni, singoli o associati, e in via sussidiaria ai Consorzi comunali, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettere e) ed s), Cost., nonché dell’art. 14, comma 1, dello Statuto della Regione siciliana.
Analoghe conclusioni possono essere raggiunte in tema di servizio idrico. Al riguardo, è tuttavia necessario premettere alcune considerazioni.
Come già evidenziato più sopra in relazione alle funzioni concernenti lo smaltimento dei rifiuti, l’articolo in esame è suscettibile di essere interpretato nel senso di affidare implicitamente ai comuni, singoli o associati, la realizzazione degli impianti di depurazione delle acque, disponendo altresì, per il caso in cui gli stessi non riuscissero a provvedervi, l’assegnazione di tali funzioni al Consorzio comunale. Al riguardo, bisogna tuttavia tenere in considerazione gli effetti derivanti dall’entrata in vigore della legge della Regione siciliana n. 19 del 2015, la quale ha attribuito – salve eccezioni, che determinano autonomi profili di incostituzionalità – le funzioni inerenti il servizio idrico integrato agli enti di governo degli ambiti territoriali ottimali dalla medesima istituiti, ossia alle Assemblee territoriali idriche. Tale attribuzione generalizzata dovrebbe comportare – alla luce dell’art. 141, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006 – il conferimento alle menzionate Assemblee territoriali anche delle funzioni concernenti il servizio di depurazione. Tuttavia tale conclusione è smentita dal tenore dell’art. 11 della richiamata legge n. 19, il quale prevede modelli tariffari che escludono il costo di questo servizio: ciò che confermerebbe l’attribuzione delle funzioni concernenti la depurazione ai comuni, in base all’art. 27, comma 1, punto 3), lett. e), della legge 15/2015. In sintesi, anche la considerazione della sopravvenuta legge regionale siciliana n. 19 del 2015 offre argomenti per sostenere che la disposizione de qua determina, sia pure in via implicita, l’attribuzione ai comuni delle funzioni inerenti il servizio di depurazione, oltre a disporre l’assegnazione ai liberi consorzi di comuni, in via sussidiaria, delle medesime funzioni.
Interpretato in tal senso, l’art. 27, comma 1, punto 3), lett. e), della legge della Regione siciliana n. 15 del 2015, viola i parametri sopra indicati.
Al riguardo, è necessario evidenziare che, in tema di servizio idrico integrato, la Regione siciliana dispone di competenza legislativa esclusiva ai sensi dell’art. 14 del relativo Statuto di autonomia, il quale assegna a tale titolo competenziale le materie delle «acque pubbliche», dell’«urbanistica» e dei «lavori pubblici». Tuttavia, nell’esercizio di questa competenza, la Regione è tenuta, in base all’art. 14, comma 1, del proprio Statuto di autonomia, a rispettare le c.d. norme di grande riforma economico-sociale poste dalle leggi dello Stato (cfr. Corte cost. n. 142 del 2015, in relazione alla Regione Valle d’Aosta), tra le quali, senz’altro, quelle adottate in base ai titoli trasversali d’intervento della “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema” e della “tutela della concorrenza” (art. 117, comma secondo, lettere s) ed e). Ciò non si verifica nel caso di specie. Al riguardo si deve considerare quanto segue.
L’articolo 142, comma 3, del d.lgs. 152/2006 prevede che «gli enti locali, attraverso l’ente di governo dell’ambito di cui all’articolo 148, comma 1, svolgono le funzioni di organizzazione del servizio idrico integrato, di scelta della forma di gestione, di determinazione e modulazione delle tariffe all’utenza, di affidamento della gestione e relativo controllo, secondo le disposizioni della parte terza del presente decreto». Il successivo art. 147, inoltre, prevede quanto segue: «1.Gli enti locali ricadenti nel medesimo ambito ottimale partecipano obbligatoriamente all’ente di governo dell’ambito, individuato dalla competente regione per ciascun ambito territoriale ottimale, al quale è trasferito l’esercizio delle competenze ad essi spettanti in materia di gestione delle risorse idriche, ivi compresa la programmazione delle infrastrutture idriche di cui all’articolo 143, comma 1. 2. Le regioni possono modificare le delimitazioni degli ambiti territoriali ottimali per migliorare la gestione del servizio idrico integrato, assicurandone comunque lo svolgimento secondo criteri di efficienza, efficacia ed economicità, nel rispetto, in particolare, dei seguenti principi: a) unità del bacino idrografico o del sub-bacino o dei bacini idrografici contigui, tenuto conto dei piani di bacino, nonché della localizzazione delle risorse e dei loro vincoli di destinazione, anche derivanti da consuetudine, in favore dei centri abitati interessati; b) unicità della gestione; c) adeguatezza delle dimensioni gestionali, definita sulla base di parametri fisici, demografici, tecnici».
Alla luce del quadro normativo brevemente richiamato, cui deve essere aggiunto il riferimento all’art. 3-bis, commi 1 e 1-bis, del d.l. n. 138 del 2011, già più sopra citato, le competenze sul servizio idrico integrato, costituito dall’insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili, di fognatura e di depurazione delle acque reflue, devono essere esercitate dagli enti di governo d’ambito e lo stesso deve essere gestito secondo principi di efficienza, efficacia ed economicità al fine di consentirne una gestione ottimale (articolo 141, comma 2, d.lgs. 152/2006). Si tratta di principi ascrivibili – come ha più volte evidenziato la giurisprudenza costituzionale – ai titoli legislativi esclusivi statali della “tutela della concorrenza” e della “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema” (cfr., ad es., le sentt. nn. 246 del 2009, 325 del 2010), e dunque riconducibili alle norme di grande riforma economico-sociale di cui all’art. 14 dello Statuto speciale della Regione siciliana.
L’attribuzione anche al singolo comune della realizzazione e della localizzazione degli impianti di depurazione viola il principio di unicità della gestione, sia verticale che orizzontale.
La violazione del principio di unicità verticale dipende dalla circostanza secondo la quale si attribuisce in prima battuta ad un ambito sub-provinciale, e in via sussidiaria ai Consorzi di comuni, le sole funzioni afferenti la depurazione delle acque, scorporandole, dunque, dall’insieme dei servizi che, come risulta dagli artt. 141 e 147 del d.lgs. n. 152 del 2006, devono essere affidati unitariamente agli enti di governo d’ambito, mentre, per quanto attiene alla violazione del principio di unicità orizzontale, la norma de qua è in grado di determinare una eccessiva frammentazione della funzione nell’ambito ottimale, tramite la sua allocazione al livello comunale. L’attribuzione della funzione in via sussidiaria al Consorzio, inoltre, viola il principio di unicità orizzontale della gestione nella misura in cui gli ambiti potrebbero in concreto dimensionati in modo ultraprovinciale, determinandosi in tal modo la possibilità una molteplicità di gestioni nell’ambito.
È dunque necessario concludere che l’articolo 27, comma 1, punto 3, lett. e), della legge della Regione siciliana n. 15 del 2015, nella parte in cui affida in prima battuta le funzioni concernenti la depurazione delle acque ai comuni, singoli o associati, e in via sussidiaria ai Consorzi comunali, viola l’art. 117, secondo comma, lett. e) ed s), e l’art. 14, comma 1, dello Statuto speciale di autonomia della Regione siciliana, in relazione agli articoli 141, comma 2, 142, comma 3, e 147 del d.lgs. 152/2006, e 3-bis, commi 1 e 1-bis, del d.l. n. 138 del 2011.



7) L’art. 33 della legge della Regione siciliana indicata in oggetto dispone quanto segue: «La Regione svolge, oltre alle funzioni ad essa spettanti ai sensi della normativa vigente, le seguenti ulteriori funzioni proprie già attribuite alle ex province regionali, ai sensi dell’articolo 13 della legge regionale 6 marzo 1986, n. 9 e successive modifiche ed integrazioni, alla data di entrata in vigore della presente legge: (…) 2) in materia di tutela dell’ambiente: a) tutela dell’ambiente ed attività di prevenzione e di controllo dell’inquinamento, anche mediante vigilanza sulle attività industriali».
Tale previsione appare costituzionalmente illegittima nei termini e nei limiti di seguito precisati.

III. Illegittimità costituzionale dell’art. 33, comma 1, n. 2, per violazione degli articoli 117, secondo comma, Cost., lett. s), e 118, secondo comma, Cost.
Come ha in più occasioni messo in luce la giurisprudenza costituzionale, la Regione siciliana non ha competenza legislativa in materia di “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema”. Secondo il Giudice delle leggi, infatti, «non trova fondamento la tesi» della Regione siciliana «circa una competenza legislativa in materia di ambiente che deriverebbe da specifiche disposizioni dello statuto di autonomia» (sent. n. 380 del 2007, ribadita dalla sent. n. 12 del 2009; in tema cfr. anche la sent. n. 422 del 2002). Infatti «nello statuto speciale non si rinvengono disposizioni che prevedono, in materia, considerata nel suo complesso, di ambiente ed ecosistema, una disciplina derogatoria rispetto a quella stabilita, in via generale, dal secondo comma, lettera s), dell’art. 117 Cost.» (sent. n. 12 del 2009). Dato che, sul tema, «neppure più ampie forme di autonomia possono derivare dall’applicazione dell’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione)» (così, ancora, la sent. n. 12 del 2009), è necessario concludere che in relazione alla materia “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema”, considerata nel suo complesso, la Regione siciliana non vanta alcuna competenza legislativa.
Come la giurisprudenza costituzionale ha evidenziato in svariate circostanze, peraltro, il titolo di intervento legislativo dello Stato concernente la “tutela dell’ambiente” ha carattere trasversale, legittimando regolazioni afferenti ai più diversi settori materiali. Da ciò la conclusione che, ove in alcuno di quei settori la Regione siciliana disponga di una competenza legislativa ai sensi degli artt. 14 e 17 del proprio Statuto speciale di autonomia, mantiene, alla luce dell’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, tali competenze, che dovranno naturalmente esercitarsi nel rispetto delle disposizioni poste dallo Stato in ragione della finalità di “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema”.
La conclusione che da quanto sin qui osservato è necessario trarre per il menzionato art. 33 della legge della Regione siciliana n. 15 del 2015 è la seguente.
La competenza legislativa circa l’allocazione di funzioni amministrative dipende dalla competenza legislativa nel settore di volta in volta considerato, come risulta, nel vigente testo costituzionale, dall’art. 118, secondo comma, Cost. La menzionata disposizione della legge della Regione siciliana in oggetto, dunque, viola i parametri sopra indicati nella parte in cui si riferisce a funzioni amministrative ricadenti in settori materiali che non spettano alla competenza legislativa regionale siciliana in base agli artt. 14 e 17 del proprio statuto di autonomia, come invece accade, ad esempio, in relazione al settore concernente il servizio idrico integrato.



Per i suesposti motivi, si ritiene di promuovere la questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte Costituzionale della legge regionale in esame.

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