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Legge regionale “disposizioni urgenti inerenti misure di salvaguardia ambientale in materia di gestione del ciclo dei rifiuti” (13-8-2015)
Basilicata
Legge n.35 del 13-8-2015
n.34 del 14-8-2015
Politiche infrastrutturali
5-10-2015 /
Impugnata
La legge regionale in esame, che reca “disposizioni urgenti inerenti misure di salvaguardia ambientale in materia di gestione del ciclo dei rifiuti” risulta censurabile, relativamente alle norme di seguito indicate per i motivi specificati.
1) L’articolo 1 della legge in esame sostituisce l’articolo 42 (Misure di salvaguardia ambientale in materia di gestione del ciclo dei rifiuti) della l.r. 26/2014, il cui comma 6 dispone che «nelle more della realizzazione, adeguamento e/o messa in esercizio dell’impiantistica di trattamento programmata è possibile smaltire presso le discariche autorizzate ed in esercizio i rifiuti solidi urbani non pericolosi, previo trito-vagliatura e biostabilizzazione anche parziale degli stessi», mentre il successivo comma 8 prevede che «le disposizioni di cui al presente articolo restano in vigore fino all’approvazione del Nuovo Piano regionale dei Rifiuti e comunque non oltre il 31 agosto 2016».
La norma regionale in esame consente, quindi, il conferimento in discarica dei rifiuti solidi urbani che abbiano subito un pretrattamento costituito da una separazione meccanica mediante trito-vagliatura ed una biostabilizzazione anche solo parziale della frazione organica, ponendosi in contrasto con la normativa statale di settore di cui al decreto legislativo 13 gennaio 2003 n. 36, di attuazione della Direttiva discariche 1999/31/CE, che all’articolo 7 vieta il conferimento in discarica dei rifiuti non trattati, eccetto quelli per i quali sia dimostrato che il trattamento non è necessario e, al successivo articolo 17, comma 1, prevede che «le discariche già autorizzate alla data di entrata in vigore del presente decreto possono continuare a ricevere, fino al 31 dicembre 2006, i rifiuti per cui sono state autorizzate». Si noti, al riguardo, che il termine del 31 dicembre 2006 è stato infine prorogato al 31 dicembre 2009 (art. 5, comma 1-bis, del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 208).
Si rammenta che le disposizioni dell’articolo 42 della l.r. 26/2014 sono state oggetto di impugnativa, nel testo originario, in quanto, ai commi 4 e 5, permettevano, fino alla data 31 luglio 2015, il conferimento in discarica dei rifiuti solidi urbani «previo trattamento parziale degli stessi». Tali disposizioni sono state dichiarate illegittime dalla Corte Costituzionale, con la sentenza n. 180/2015, in quanto consentivano la «prosecuzione del conferimento in discarica di rifiuti non trattati» – anche in considerazione del fatto che in alcun modo era stata illustrata la valenza della “parzialità” del trattamento – ben oltre il termine previsto dalla legge statale, riducendosi così il livello di tutela dell’ambiente stabilito da quest’ultima, in violazione dell’art. 117, secondo comma, lett. s), Cost.
L’attuale formulazione dei commi 6 e 8 dell’articolo 42 della l.r. 26/2014, come modificati dalla legge in esame, appare censurabile per analoghi motivi. Tali disposizioni, infatti, consentono la prosecuzione del conferimento in discarica fino al 31 agosto 2016 dei rifiuti «previo trito-vagliatura e biostabilizzazione anche parziale degli stessi». Si tratta di una norma che, nonostante la specificazione di cosa debba intendersi per “trattamento” dei rifiuti - non presente nella precedente formulazione dell’art. 42 de quo - determina la medesima riduzione del livello di tutela dell’ambiente già sanzionata dalla citata sent. n. 180/2015, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lett. s), Cost.. Ciò in quanto in tale circostanza, come nella precedente, la mera “parzialità” del pretrattamento dei rifiuti impedisce che questi ultimi possano essere considerati correttamente “trattati”.
Il processo di biostabilizzazione della frazione organica, infatti, consiste in trattamenti svolti in impianti industriali che trasformano la sostanza organica prima che questa finisca in discarica, eliminando il rischio che tale naturale trasformazione si realizzi nell’ambiente tipico della discarica producendo cattivi odori, metano e soprattutto percolati che, drenando dalla discarica, potrebbero raggiungere la falda acquifera ed i terreni sottostanti. All’esito di questi trattamenti la sostanza organica è appunto stabilizzata in quanto non più putrescibile.
Sul punto, la Commissione europea, con il parere motivato prot. n. 9026 del 1/6/2012, ha fornito chiarimenti sui contenuti minimi essenziali che le attività di trattamento devono osservare per essere conformi al dettato comunitario, evidenziando che:
a) «il trattamento dei rifiuti destinati a discariche deve consistere in processi che, oltre a modificare le caratteristiche dei rifiuti allo scopo di ridurne il volume o la natura pericolosa e di facilitarne il trasporto favorirne il recupero, abbiano altresì l’effetto di evitare o ridurne il più possibile le ripercussioni negative sull’ambiente e la salute umana» (art. 1, direttiva 1999/31/CE);
b) «un trattamento che consiste nella mera compressione e/o triturazione dei rifiuti indifferenziati da destinare a discarica e che non includa una adeguata selezione delle diverse frazioni dei rifiuti e una qualche forma di stabilizzazione della frazione organica dei rifiuti stessi, non è tale da evitare o ridurre il più possibile le ripercussioni negative sull’ambiente e la salute umana».
Il generico riferimento alla “parzialità” del trattamento dei rifiuti, nella presente formulazione dell’art. 42 della legge n. 26/2014, così come nella precedente stesura, impedisce di individuare un qualsiasi standard minimo richiesto ai fini del conferimento in discarica. La mera “parzialità” del trattamento determina, analogamente a quanto avveniva con la precedente versione della norma de qua, la strutturale impossibilità di conseguire l’obiettivo di evitare o ridurre il più possibile le ripercussioni negative sull’ambiente e la salute umana. Di fatto, se il trattamento e in particolare la biostabilizzazione è solo parziale, appare evidente che non è stato ridotto, il più possibile, il rischio di danni all’ambiente e alla salute umana.
Le disposizioni regionali esaminate risultano in contrasto, oltre che con la normativa statale, con quanto previsto dalla Direttiva discariche 1999/31/CE, nonché con i principi generali elaborati sul punto dalla Corte di giustizia in numerose pronunce; al riguardo si evidenzia la sentenza 15 ottobre 2014 nella causa C-323/13, Commissione europea contro Repubblica italiana. In tale sentenza viene precisato che, dall’art. 13 della direttiva 2008/98: «discende che gli Stati membri hanno l’obbligo, per quanto riguarda i rifiuti da sottoporre a trattamento, di prendere le misure necessarie affinché solo i rifiuti già trattati vengano collocati a discarica».
Per questi motivi le norme contenute nell'art. 42, commi 6 e 8 , della l.r. 26/2014 come modificato dall'articolo 1 della legge regionale in esame, violano sia l'articolo 117 , comma 1 della Costituzione, che impone, anche alle Regioni, il rispetto dei vincoli comunitari nell'esercizio del potere legislativo, nonché l'articolo 117, comma 2, lettera s) della Costituzione, che riserva allo Stato la competenza esclusiva sin materia di tutela dell'ambiente.
2) Si evidenzia inoltre la violazione dell’art. 136 Cost., in riferimento alla sent. n. 180 del 2015 - Le disposizioni in esame, riproducendo nella sostanza il contenuto normativo dell’art. 42, commi 4 e 5, della legge della Regione Basilicata n. 26 del 2014, dichiarato costituzionalmente illegittimo con sentenza n. 180 del 2015, dalla Corte costituzionale, determinano una violazione sia dell’art. 136 Cost. che del principio del rispetto del giudicato costituzionale in esso sancito. Di fatto, come ha osservato, tra le altre, la sent. n. 245 del 2012 «il giudicato costituzionale è violato non solo quando il legislatore emana una norma che costituisce una mera riproduzione di quella già ritenuta lesiva della Costituzione, ma anche laddove la nuova disciplina miri a «perseguire e raggiungere, “anche se indirettamente”, esiti corrispondenti» (sentenze n. 223 del 1983, n. 88 del 1966 e n. 73 del 1963)». Il che, per le ragioni sopra illustrate, è precisamente quanto accaduto nel presente caso.
Per questi motivi le norme regionali indicate devono essere impugnate di fronte alla Corte Costituzionale ai sensi dell'articolo 127 della Costituzione.
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