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Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2016. Legge di stabilità regionale. (17-3-2016)
Sicilia
Legge n.3 del 17-3-2016
n.12 del 18-3-2016
Politiche economiche e finanziarie
10-5-2016 /
Impugnata
La legge Regione Sicilia n. 3 del 2016 recante “Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2016. Legge di stabilità regionale.” presenta i seguenti profili di illegittimità costituzionale.
1) L’articolo 12 rubricato "Principi di regolamentazione delle Zone a traffico limitato" prevede che:
1. I comuni che hanno istituito o che istituiscono zone a traffico limitato (ZTL) approvano, entro novanta giorni dall'entrata in vigore della presente legge, un regolamento che preveda:
a) le tariffe per ottenere il permesso di accesso alle ZTL;
b) le riduzioni per i veicoli meno inquinanti;
c) l'accesso gratuito alle ZTL per le persone disabili, le cui autovetture siano dotate di contrassegno speciale, e per le vetture a trazione elettrica;
d) le agevolazioni per i residenti all'interno del perimetro ZTL e l'applicazione agli stessi di tariffe differenziate rispetto a quelle applicate ai non residenti;
e) le misure necessarie volte ad incentivare il trasporto pubblico e la lotta all'inquinamento;
f) il regime delle sanzioni da applicare in base al Codice della strada, nonché appositi strumenti di monitoraggio sull'inquinamento.”.
In tema di regolamentazione della circolazione nei centri abitati, il comma 9 dell’articolo 7 (Regolamentazione della circolazione nei centri abitati), comma 9, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 “Nuovo codice della strada”, così recita:
“9. I comuni, con deliberazione della Giunta, provvedono a delimitare le aree pedonali e le zone a traffico limitato tenendo conto degli effetti del traffico sulla sicurezza della circolazione, sulla salute, sull'ordine pubblico, sul patrimonio ambientale e culturale e sul territorio. In caso di urgenza il provvedimento potrà essere adottato con ordinanza del sindaco, ancorché di modifica o integrazione della deliberazione della Giunta. Analogamente i comuni provvedono a delimitare altre zone di rilevanza urbanistica nelle quali sussistono esigenze particolari di traffico, di cui al secondo periodo del comma 8. I comuni possono subordinare l'ingresso o la circolazione dei veicoli a motore, all'interno delle zone a traffico limitato, anche al pagamento di una somma. Con direttiva emanata dall'Ispettorato generale per la circolazione e la sicurezza stradale entro un anno dall'entrata in vigore del presente codice, sono individuate le tipologie dei comuni che possono avvalersi di tale facoltà, nonché le modalità di riscossione del pagamento e le categorie dei veicoli esentati.”
In attuazione di quanto previsto all’ultimo periodo del richiamato comma 9, è stata emanata la Circolare del Ministero dei lavori pubblici 21 luglio 1997, n. 3816, recante “Direttive per l'individuazione dei comuni che possono subordinare l'ingresso o la circolazione dei veicoli a motore, all'interno delle zone a traffico limitato, al pagamento di una somma, nonché per le modalità di riscossione della tariffa e per le categorie dei veicoli a motore esentati.” (GU Serie Generale n.213 del 12-9-1997).
La richiamata disposizione regionale, invadendo ambiti di competenza attribuiti alla legislazione esclusiva dello Stato in materia di ordine pubblico e sicurezza, contrasta con le disposizioni di cui all’articolo 7, comma 9, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, recante “Nuovo Codice della strada”, nonché con quelle di cui alla citata Circolare attuativa, cui fa riferimento anche il d.P.R. n. 250 del 1999, quale normativa volta a garantire esigenze di uniformità su tutto il territorio nazionale.
Ciò sia poichè individua principi per l’emanazione di regolamenti comunali - ai fini della disciplina delle Zone a traffico limitato - mentre la predetta normativa statale di riferimento rimette la regolamentazione di tali zone alla diretta competenza dei Comuni stessi. In secondo luogo, in quanto i principi contenuti nella disposizione regionale in commento si discostano da quelli recati dalla suddetta normativa statale.
Al riguardo, a mero titolo esemplificativo, si evidenzia che al comma 1, lettere b), c) e d) dell’articolo 12 della LR in commento sono previsti, rispettivamente: “le riduzioni per i veicoli meno inquinanti”; “l'accesso gratuito alle ZTL per le persone disabili, le cui autovetture siano dotate di contrassegno speciale, e per le vetture a trazione elettrica”; “agevolazioni per i residenti all'interno del perimetro ZTL e l'applicazione agli stessi di tariffe differenziate rispetto a quelle applicate ai non residenti”, limitando le categorie esentate ed agevolate individuate dalla predetta Circolare ministeriale del 1997.
Infatti, tale circolare, indica:
- tra le categorie esentate, anche i veicoli di polizia stradale, dei vigili del fuoco, dei servizi di soccorso, i veicoli per il trasporto delle merci, i taxi, i ciclomotori, i motocicli di cilindrata non superiore a 125 cc.;
- tra le categorie agevolate, anche i veicoli per il trasporto delle merci, vincolati però a determinati orari e percorsi (in rapporto alle maggiori dimensioni dei veicoli medesimi rispetto a quelle delle autovetture), i ciclomotori, in relazione alla minore occupazione di spazio, dinamico e statico, rispetto alle autovetture, i domiciliati in analogia ai residenti.
Le disposizioni in questione, pertanto, si ritengono adottate in contrasto con le citate disposizioni del Codice della strada e relativa Circolare attuativa, nonché con quanto previsto dal d.P.R. n. 250/1999, in materia di sicurezza stradale, che la giurisprudenza costituzionale riconduce alla competenza esclusiva dello Stato in materia di ordine pubblico e sicurezza e, quindi, in violazione dell’articolo 117, secondo comma, lett. h), della Costituzione (sentenze n. 428 del 2004 e n. 9 del 2009), nonché in violazione dei principi di eguaglianza e di buon andamento di cui agli articoli 3 e 97 della Costituzione.
Articolo 27: la disposizione in esame interviene in materia di personate precario. Il comma 9, nella parte in cui modifica il comma 4 dell'art. 32 della legge regionale n. 5/2014, sostituendo le parole "e fino al 31 dicembre 2016" con "e fino al 31 dicembre 2018", è un contrasto con i commi 9 e 9 bis dell'art. 4 del decreto legge n. 101/2013 che fissano il tennine per la proroga dei contralti di lavoro a tempo determinato al 31 dicembre 2016. Sul punto, si evidenzia che anche i commi 2 e 3 dell'articolo in esame sono tesi ad individuate una procedura volta alla stabilizzazione del personale precario con termine al 31 dicembre 2018 invece che al 31 dicembre 2016. Inoltre, tenuto conto che i fondi previsti dai commi 8 e 10 dell'art. 30 della legge regionale n. 5/2014 per le finalità di stabilizzazione del personale precario sono previsti ed alimentati (anche dal comma 1 dell'art. 27 della legge regionale in esame) solo per il triennio 2014 2016 e che la spesa autorizzata dal comma 5 del predetto art. 32 della legge regionale n. 5/2014 è riferita al solo triennio 2014 2016 e non anche al biennio 2017 2018, si ritiene che il comma 9 dell'articolo in esame sia in contrasto con l'articolo 81 della Costituzione e quindi si rende necessario il suo rinvio alla Corte Costituzionale.
L’articolo 34 disciplina il tributo speciale per il conferimento in discarica dei rifiuti solidi, la c.d. Ecotassa.
2) Il comma 1 stabilisce che i soggetti conferitori in discarica dei rifiuti corrispondono alla Regione, a decorrere dal 1° gennaio 2017, il tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti, secondo la disciplina di cui all'articolo 2 della legge regionale n. 6/1997, nella misura successivamente indicata nella disposizione, in considerazione del livello di raccolta differenziata su base annua.
Al riguardo, si deve premettere che l’ambito di applicazione del tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi risulta compiutamente disciplinato dalla legge statale del 28 dicembre 1995 n. 549, la quale, peraltro, all’articolo 3, comma 34, indica esplicitamente i limiti entro cui è ammessa la potestà legislativa regionale.
Ciò posto, la disposizione regionale nella parte in cui individua il soggetto tenuto al pagamento del tributo nei "soggetti conferitori in discarica dei rifiuti" non è conforme alla normativa statale, che individua nel soggetto passivo del tributo, in base all'art. 3, comma 26, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, il gestore dell'impresa di stoccaggio definitivo. In tal modo si configura una modifica della soggettività passiva del tributo, che non è prerogativa riconosciuta alla competenza legislativa regionale.
Peraltro la disposizione confligge con lo stesso art. 2, comma 3, della legge regionale 7 marzo 1997, n. 6, che, nel dettare la disciplina generale del tributo, rinvia al riguardo alla norma nazionale.
Lo stesso comma 1 fissa, poi, la misura minima e massima del tributo, variandone gli importi in base alla percentuale di raccolta differenziata del comune.
Al riguardo, si precisa che le misure del tributo, pur essendo in linea con i limiti minimi e massimi stabiliti dall'art. 3, comma 29, della legge n. 549 del 1995, per i rifiuti ammissibili al conferimento in discarica per rifiuti non pericolosi e pericolosi, non sono altrettanto in linea con la normativa nazionale per la modalità della loro determinazione.
Infatti, la scelta della Regione di modulare la misura del tributo in base alla percentuale di raccolta differenziata effettuata dal comune non è conforme all'art. 3, comma 29, della Legge n. 549 del 1995, che stabilisce la misura del tributo in base alla tipologia dì rifiuti conferiti, fissando il minimo ed il massimo degli importi.
E' pur vero che altra disposizione nazionale (comma 3-bis dell'art. 205 del d.lgs. n. 152 del 2006) fa ricorso alla percentuale di raccolta differenziata (RD), ma ciò avviene al solo fine di applicare una riduzione del tributo nel caso in cui venga realizzata una raccolta differenziata dei rifiuti urbani superiore al livello di RD stabilito dalla normativa statale, fissato dal comma 1, lettera c) dello stesso ad. 205 del d.lgs. n. 152 del 2006, nella misura del 65%, fatto salvo l'ammontare minimo fissato dal comma 29 dell'art. 3 della legge n. 549 del 1995.
La norma modula, infatti, la riduzione del tributo su percentuali fissate in un'apposita tabella che aumentano all'aumentare della percentuale di RD realizzata.
Alla luce di quanto illustrato, è evidente che la norma regionale, adottando una diversa modalità di determinazione del tributo, travalica i limiti stabiliti dall'art. 117, secondo comma, lettera e) e dall'art. 119, secondo comma, della Costituzione, che subordina il potere delle Regioni e degli enti locali di stabilire ed applicare entrate e tributi propri al rispetto dei principi di coordinamento del sistema tributario.
3) Al comma 7 del citato articolo 34 è previsto che «per gli scarti, i sovvalli, i fanghi anche palabili, dal 1° gennaio 2017, il tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti è pari al venti per cento del tributo di cui al comma 1, oltre l'addizionale di cui al comma 4, ove dovuta».
Al riguardo, si precisa che il tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi risulta compiutamente disciplinato dalla legge statale n. 549 del 28 dicembre 1995, la quale, come prima evidenziato, all’articolo 3, comma 34, indica esplicitamente i limiti entro cui è ammessa la potestà legislativa regionale.
Più precisamente, l’articolo 3 della legge n. 549/1995, al fine di favorire la minore produzione di rifiuti e il recupero dagli stessi di materie prime ed energia, istituisce e disciplina il tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi (comma 24), devolvendone il gettito alle regioni ed alle province.
Il successivo comma 27 dispone che «l'ammontare dell'imposta è fissato, con legge della regione entro il 31 luglio di ogni anno per l'anno successivo, per chilogrammo di rifiuti conferiti: in misura non inferiore ad euro 0,001 e non superiore ad euro 0,01 per i rifiuti ammissibili al conferimento in discarica per i rifiuti inerti ai sensi dell'articolo 2 del D.M. 13 marzo 2003 del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 67 del 21 marzo 2003; in misura non inferiore ad euro 0,00517 e non superiore ad euro 0,02582 per i rifiuti ammissibili al conferimento in discarica per rifiuti non pericolosi e pericolosi ai sensi degli articoli 3 e 4 del medesimo decreto. In caso di mancata determinazione dell'importo da parte delle regioni entro il 31 luglio di ogni anno per l'anno successivo, si intende prorogata la misura vigente. Il tributo è determinato moltiplicando l'ammontare dell'imposta per il quantitativo, espresso in chilogrammi, dei rifiuti conferiti in discarica, nonché per un coefficiente di correzione che tenga conto del peso specifico, della qualità e delle condizioni di conferimento dei rifiuti ai fini della commisurazione dell'incidenza sul costo ambientale da stabilire con decreto del Ministro dell'ambiente, di concerto con i Ministri dell'industria, del commercio e dell'artigianato e della sanità, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge», prevedendo, altresì, al comma 40, che «per i rifiuti smaltiti in impianti di incenerimento senza recupero di energia o comunque classificati esclusivamente come impianti di smaltimento mediante l'operazione "D10 Incenerimento a terra", ai sensi dell'allegato B alla parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, per gli scarti ed i sovvalli di impianti di selezione automatica, riciclaggio e compostaggio, nonché per i fanghi anche palabili si applicano le disposizioni dei commi da 24 a 39. Il tributo è dovuto nella misura del 20 per cento dell'ammontare determinato ai sensi del comma 29».
Il comma 34 dell’art. 3 della legge 549/1995 prevede, infine, che «l'accertamento, la riscossione, i rimborsi, il contenzioso amministrativo e quanto non previsto dai commi da 24 a 41 del presente articolo sono disciplinati con legge della regione».
Alla luce del quadro normativo nazionale appena descritto, il tributo speciale per il conferimento in discarica dei rifiuti solidi trova nella legge statale la sua base e, nel rispetto dei parametri indicati nel comma 29, spetta alla Regione formulare l’ammontare dell’imposta per le varie tipologie di rifiuti.
Tuttavia, per quanto concerne il sistema premiale come disciplinato dal legislatore nazionale, il citato articolo 3, comma 40 circoscrive la riduzione dell’ammontare del tributo, nella misura del 20 per cento, esclusivamente a specifiche categorie di rifiuti, tra i quali rientrano «gli scarti ed i sovvalli derivanti da impianti di selezione automatica, riciclaggio e compostaggio» che rappresentano, pertanto, la quantità residuale e non più utilizzabile del rifiuto trattato, una volta esaurite le operazioni da ultimo citate.
Detta riduzione del tributo, dunque, trova applicazione solamente per quei residui derivanti da un complesso trattamento meccanico biologico finalizzato alla separazione di quella frazione di materiale da riutilizzare; sicché la premialità sopracitata non può applicarsi, ad esempio, a una mera separazione automatica di rifiuti indifferenziati ovvero a quei rifiuti che non abbiano ancora subito alcun trattamento oppure un trattamento minimo. Lo scopo primario della legge n. 549/1995 è, infatti, quello di favorire la minore produzione di rifiuti e il recupero dagli stessi di materie prime ed energia, incentivando i soggetti che realizzino sistemi di smaltimento alternativi alle discariche, nonché a realizzare la bonifica dei suoli inquinati.
Di contro, la legge regionale in esame non riferendo il termine “scarti e sovvalli” ai materiali derivanti da impianti di selezione automatica, sembra voler estendere la riduzione del tributo anche a tipologie di rifiuti non previste dalla normativa nazionale, esorbitando i limiti e i principi previsti dalla citata legge 549/1995.
La stessa Corte Costituzionale ha affermato, in merito al tributo speciale di cui all’articolo 3 della legge 549/1995, che «(…) la disciplina sostanziale dell'imposta rientra tuttora nella competenza esclusiva dello Stato, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., e che è preclusa, se non nei limiti riconosciuti dalla legge statale, la potestà delle regioni di legiferare su tale imposta. Si tratta, infatti, di un tributo che va considerato statale e non già “proprio” della Regione, nel senso di cui al vigente art. 119 Cost., senza che in contrario rilevino né l’attribuzione del gettito alle regioni ed alle province, né le determinazioni espressamente attribuite alla legge regionale dalla citata norma statale (sentenze n. 335 del 2005, v., analogamente, a proposito delle tasse automobilistiche e dell’IRAP, le sentenze n. 431, n. 381 e n. 241 del 2004, n. 311, n. 297 e n. 296 del 2003; v. altresì, in generale, le sentenze n. 37 e n. 29 del 2004)».(Corte Cost. 397/2005).
Si deve, peraltro, evidenziare che la norma censurata intervenendo sulla disciplina dei rifiuti, incide sulla “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema”, attribuita alla competenza legislativa esclusiva dello Stato dall’articolo 117, comma 2, lett. s).
Secondo la costante giurisprudenza della Corte Costituzionale: «La disciplina dei rifiuti è riconducibile alla «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema», di competenza esclusiva statale ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., anche se interferisce con altri interessi e competenze, di modo che deve intendersi riservato allo Stato il potere di fissare livelli di tutela uniforme sull’intero territorio nazionale, ferma restando la competenza delle Regioni alla cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali» (tra le molte, sentenze n. 58/2015, n. 67 del 2014, n. 285 del 2013, n. 54 del 2012 e n. 244 del 2011, n. 225 del 2009, n. 164 del 2009 e n. 437 del 2008). Tale disciplina inoltre «in quanto rientrante principalmente nella tutela dell’ambiente, e dunque in una materia che, per la molteplicità dei settori di intervento, assume una struttura complessa, riveste un carattere di pervasività rispetto anche alle attribuzioni regionali» (Corte Cost. sentenza n. 249 del 2009)».
Nell’ipotesi in esame, la riserva di legge statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., deve essere applicata nell’accezione che consenta di preservare il bene giuridico «ambiente» dai possibili effetti distorsivi derivanti da vincoli imposti in modo differenziato in ciascuna Regione. In questo caso, «una disciplina unitaria rimessa in via esclusiva allo Stato è all’evidenza diretta allo scopo di prefigurare un quadro regolativo uniforme degli incentivi e disincentivi inevitabilmente collegati alla imposizione fiscale, tenuto conto dell’influenza dispiegata dal tributo (i cosiddetti «effetti allocativi») sulle scelte economiche di investimento e finanziamento delle imprese operanti nel settore dei rifiuti e della loro attitudine a ripercuotersi, per l’oggetto stesso dell’attività esercitata da tali imprese, sugli equilibri ambientali» (Corte Cost. n. 58/2015).
Alla luce delle precedenti considerazioni, l’articolo 34, comma 7, della legge regionale Sicilia n. 3 del 2016, nella parte in cui applica illegittimamente la riduzione del tributo a categorie di rifiuti non previste dalla normativa nazionale esorbita dalla competenza che la legge 549/1995, all’articolo 3, comma 34 riserva alla Regione, in violazione dell’articolo 117, secondo comma, lett. e) e s), Cost. determinando, altresì, un minor gettito del tributo.
4) Il comma 12 dell’articolo 34 della legge regionale 3/2016, inoltre, prevede delle agevolazioni applicabili durante il triennio dalla data di entrata in vigore della legge.
Il terzo periodo del suddetto comma, in particolare, stabilisce che «non si applica l'addizionale di cui al comma 4 per i comuni che nell'ultimo triennio, avendo raggiunto almeno il trentacinque per cento di raccolta differenziata, realizzino un incremento anche inferiore a dieci punti percentuali».
Per quel che è di più prossimo interesse, il comma 4, dell’articolo 34 prevede che «I comuni che non raggiungono, nell'anno precedente, la percentuale di raccolta differenziata del 65 per cento, sono tenuti al pagamento dell'addizionale del venti per cento prevista dall'articolo 205 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152».
La previsione regionale contrasta con quanto previsto dall’articolo 205 del d.lgs. 152/2006 che, al comma 3, prevede che «nel caso in cui, a livello di ambito territoriale ottimale se costituito, ovvero in ogni comune, non siano conseguiti gli obiettivi minimi previsti dal presente articolo, è applicata un'addizionale del 20 per cento al tributo di conferimento dei rifiuti in discarica a carico dei comuni che non abbiano raggiunto le percentuali previste dal comma 1 sulla base delle quote di raccolta differenziata raggiunte nei singoli comuni.».
I commi 1 e 1 bis dell’articolo 205 sopracitato dispongono, altresì, che «1. Fatto salvo quanto previsto al comma 1-bis, in ogni ambito territoriale ottimale, se costituito, ovvero in ogni comune deve essere assicurata una raccolta differenziata dei rifiuti urbani pari alle seguenti percentuali minime di rifiuti prodotti:
a) almeno il trentacinque per cento entro il 31 dicembre 2006;
b) almeno il quarantacinque per cento entro il 31 dicembre 2008;
c) almeno il sessantacinque per cento entro il 31 dicembre 2012.
1-bis. Nel caso in cui, dal punto di vista tecnico, ambientale ed economico, non sia realizzabile raggiungere gli obiettivi di cui al comma 1, il comune può richiedere al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare una deroga al rispetto degli obblighi di cui al medesimo comma 1. Verificata la sussistenza dei requisiti stabiliti al primo periodo, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare può autorizzare la predetta deroga, previa stipula senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica di un accordo di programma tra Ministero, regione ed enti locali interessati, che stabilisca:
a) le modalità attraverso le quali il comune richiedente intende conseguire gli obiettivi di cui all'articolo 181, comma 1. Le predette modalità possono consistere in compensazioni con gli obiettivi raggiunti in altri comuni;
b) la destinazione a recupero di energia della quota di rifiuti indifferenziati che residua dalla raccolta differenziata e dei rifiuti derivanti da impianti di trattamento dei rifiuti indifferenziati, qualora non destinati al recupero di materia;
c) la percentuale di raccolta differenziata dei rifiuti urbani, da destinare al riciclo, che il comune richiedente si obbliga ad effettuare».
Alla luce del quadro normativo nazionale sopra esposto, pertanto, l’addizionale al tributo di conferimento in discarica si applica nell’ipotesi in cui non siano state raggiunte le percentuali di raccolta differenziata stabilite dallo stesso articolo 205, comma 1, d.lgs. 152/2006.
Una deroga rispetto a detti obblighi di raccolta differenziata può essere autorizzata esclusivamente dal Ministero dell’Ambiente, una volta valutato che, dal punto di vista tecnico, ambientale ed economico, non sia realizzabile raggiungere gli obiettivi di cui al comma 1.
Di contro la norma regionale nel prevedere che l’addizionale del 20 per cento non si applichi ai comuni che, avendo raggiunto almeno il trentacinque per cento di raccolta differenziata, realizzino un incremento inferiore a dieci punti percentuali, deroga illegittimamente a quanto previsto dall’articolo 205 d.lgs. 152/2006.
Le Regioni non sono, infatti, legittimate a consentire deroghe in assenza di autorizzazione ministeriale e conseguentemente le disposizioni regionali difformi dalla norma richiamata come parametro interposto risultano illegittime, in quanto invasive della competenza statale esclusiva in materia di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, di cui all’articolo 117, comma 2, lett. s) Cost.
La stessa Corte costituzionale, nella sentenza 158/2012, ha affermato che «la potestà di concedere deroghe ai Comuni, nel caso in cui non sia realizzabile il raggiungimento degli obiettivi di raccolta differenziata, appartiene allo Stato - titolare di competenza legislativa esclusiva in materia di ambiente, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. - e si inserisce nell'ambito di un'attività di programmazione, che coinvolge anche la Regione. Quest'ultima pertanto non può disciplinare unilateralmente la concessione delle suddette deroghe, come invece stabilisce, in modo costituzionalmente illegittimo, la norma regionale censurata».
Per i motivi esposti, l’articolo 34, comma 12 ultimo periodo contrasta con l’articolo 117, secondo comma, lett. s) della Costituzione.
5) Il comma 13 dell’articolo 34 dispone che per il primo triennio dalla data di entrata in vigore della legge regionale, la quota del 20 % prevista dall'art. 2, comma 2, della legge regionale n. 6 del 1997, relativa alle maggiori risorse di cui al comma 5, è destinata ai comuni che raggiungono un incremento di almeno il 10 % della raccolta differenziata su base annua. Tale norma contraddice, quindi, la finalità della legge regionale che al comma 15 impone che l'intero gettito tributo deve affluire in un apposito fondo della Regione.
Il comma 15 è, infatti, in linea con le previsioni statali, in quanto, modificando il comma 2 dell'art. 2 della legge regionale n. 6 del 1997, prevede che il gettito derivante dal tributo in questione affluisce in un apposito fondo del bilancio della Regione, così come previsto dall'art. 3, comma 27, della legge, n. 549 del 1995.
L'intervento del legislatore regionale, infatti, ha lo scopo di uniformare la norma regionale con le modifiche apportate all'art. 3, comma 27, della legge n. 549 del 1995, dall'art. 34, comma 2, della citata legge, n. 221 del 2015, che ha soppresso ogni previsione inerente la quota del tributo spettante alle province, disponendo conseguentemente che l'intero gettito derivante dall'applicazione del tributo affluisca in un apposito fondo della regione destinato a favorire la minore produzione di rifiuti, le attività di recupero di materie prime e di energia, con priorità per i soggetti che realizzano sistemi di smaltimento alternativi alle discariche, nonché a realizzare la bonifica dei suoli inquinati, ivi comprese le aree industriali dismesse, il recupero delle aree degradate per l'avvio ed il finanziamento delle agenzie regionali per l'ambiente e la istituzione e manutenzione delle aree naturali protette.
Il comma 13 contraddice, quindi, gli obiettivi stabiliti con normativa statale. La Regione Siciliana non può disporre di tali risorse che sono finalizzate al raggiungimento degli obiettivi stabiliti dalla norma nazionale, e ciò in quanto, come accennato in precedenza, il tributo speciale per il conferimento in discarica dei rifiuti solidi non può configurarsi come "tributo proprio" della Regione, ma deve essere considerato come "tributo proprio derivato della regione", il cui gettito è attribuito alle regioni, le quali possono modificarne le aliquote e disporre esenzioni, detrazioni e deduzioni nei limiti e secondo i criteri fissati dalla legislazione statale e nel rispetto della normativa comunitaria. (Corte Costituzionale sentenza n. 288 del 2012)
Alla luce delle considerazioni svolte si rileva che anche tale intervento normativo della Regione Siciliana non è conforme alla normativa statale che regola la materia e, pertanto, viola l'art. 117 secondo comma, lettera e), e l'art. 119, secondo comma, della Costituzione.
Articolo 49
6) l'art. 49 della legge in esame reca misure in materia di impianti di distribuzione di carburanti.
Preliminarmente si evidenzia che il comma 5 dell'art. 49 introduce l'obbligo, per le aziende distributrici e per gli impianti di distribuzione di carburante ubicati nel territorio della Regione Siciliana, di installare un apposito dispositivo di misurazione della temperatura e della pressione del carburante in fase di erogazione. Tale installazione, secondo quanto indicato nella disposizione in argomento, sarebbe finalizzata all'esatta quantizzazione del prezzo del prodotto venduto presso i predetti impianti di distribuzione di carburanti e presso le aziende distributrici dei medesimi prodotti.
Dalla lettura dell'articolo in questione si rileva anche che la previsione del citato comma 5 non è applicabile agli impianti di distribuzione stradale di cui al comma 4 (ubicati sulla rete autostradale e sui raccordi autostradali), che restano oggetto delle disposizioni nazionali e regionali di settore.
Occorre anche precisare che nella medesima disposizione (comma 5) viene espressamente indicato che l'applicazione dei predetti dispositivi metrici sarebbe effettuata "per le finalità di cui al comma 14 dell'articolo 21, del decreto legislativo 26 ottobre 1995 n. 504", recante il testo unico delle accise - TUA. Tale articolo individua, nel quadro normativo nazionale, i prodotti energetici da sottoporre ad accisa e le modalità per applicare le aliquote previste dall'Allegato I al medesimo TUA ai quantitativi dei suddetti prodotti energetici all'atto della loro immissione in consumo dai depositi fiscali nazionali. In tal senso il predetto art. 21, comma 14, al fine di assolvere l'imposta in parola, stabilisce la misurazione della temperatura e della pressione dei medesimi prodotti nel momento (e solo in tale momento) in cui i prodotti soggetti al regime dell'accisa sono immessi definitivamente in consumo.
Si fa presente, infatti, che la finalità di introdurre la misurazione del prodotto a volume alla temperatura fiscale di riferimento (15° Celsius) ed alla pressione di riferimento (pressione normale), rileva dal punto di vista fiscale ai fini della corretta liquidazione dell'accisa gravante sui prodotti energetici al momento dell'estrazione dal deposito fiscale in cui gli stessi sono detenuti.
Pertanto, collegare l'obbligo di installazione del dispositivo di misurazione della temperatura e della pressione alle finalità del comma 14 dell'art. 21, comporta evidentemente che la legge regionale disciplini attività (tra le quali l'accertamento tributario in materia di accisa), che non rientrano nell'ambito della sua specifica competenza.
Soggetto obbligato al pagamento dell'accisa è il depositario autorizzato, pertanto, quando il prodotto perviene ai depositi ad accisa assolta ed agli impianti di distribuzione di carburante, ha già assunto la qualificazione di prodotto "assoggettato ad accisa" (ai sensi dell'art. 1, comma 2 lett. d), del testo unico delle accise).
In base a quanto descritto risulta chiaro che le fasi della filiera di commercializzazione successive all'immissione in consumo intervengono quando il rapporto di imposta è già esaurito.
Considerato che il comma 5 dell'art. 49 della legge regionale in argomento, correla il richiamo al comma 14 dell'art. 21 del testo unico accise alle forniture effettuate dalle aziende distributrici di carburante (verosimilmente il riferimento è ai depositi commerciali ad accisa assolta) e agli impianti di distribuzione di carburante, soggetti che non sono obbligati ai fini accise, in quanto detengono prodotto che già ha assolto l'accisa, è evidente che tale richiamo appare privo di fondamento giuridico.
In ogni caso potendosi ingenerare l'erroneo convincimento che trattasi di una previsione connessa alla liquidazione dell'accisa, la stessa risulterebbe in contrasto con le disposizioni costituzionali che attribuiscono allo Stato la competenza esclusiva in materia di sistema tributario e contabile.
Laddove la disposizione in commento intendesse destinare i suoi effetti solo alla catena distributiva dei prodotti energetici, effettivamente neutralizzerebbe il fenomeno delle variazioni di volume dei prodotti dovute al cambio di temperatura, ma risulterebbe comunque inefficace in quanto non copre tutta la filiera. Resterebbe, infatti, non contemplata l'introduzione nel deposito commerciale, nonché la previsione del medesimo obbligo a carico delle autocisterne che trasferiscono il prodotto.
Si evidenzia, inoltre, che il comma 5 dell'art. 49 in argomento, facendo riferimento, in maniera distinta dagli impianti di distribuzione di carburanti, a non meglio precisate aziende distributrici, qualora intese come depositi di prodotti energetici ad accisa assolta, sarebbero da considerarsi ricomprese tra i depositi commerciali di prodotti energetici, la cui disciplina è fissata da norme nazionali ed in particolare dall'art. 25 del d.lgs. n. 504 del 1995. Per tali impianti, infatti, il predetto art. 25 non prevede la misurazione della temperatura e della pressione dei prodotti esitati; in tal senso la norma regionale in parola, prevedendo tale obbligo, eccede la potestà legislativa regionale.
Infine, è da segnalare che la previsione contenuta nel citato comma 5 dell'art. 49, avrebbe ripercussioni anche ai fini dell'adempimento degli obblighi di contabilizzazione a cui sono tenuti i titolari degli impianti interessati. Infatti, le modalità di tenuta del registro di carico e scarico, previsto dall'art. 25 del d.lgs. n. 504 del 1995, esulano anch'esse dalla competenza della potestà legislativa regionale.
Entrando più specificamente nel merito del dettato normativo, si rileva che l'applicazione del predetto dispositivo di misurazione della temperatura e della pressione del carburante, limitata ai soli impianti di distribuzione stradale, creerebbe inevitabilmente un'alterazione delle regole sulla concorrenza, in quanto coesisterebbero due diversi sistemi di vendita, uno valevole per gli impianti ubicati sulle autostrade e un altro per quelli localizzati nella generalità del territorio siciliano.
Ciò in palese contrasto con i principi fondamentali in materia di concorrenza del mercato interno stabiliti dalle norme comunitarie.
Da ultimo, è appena il caso di aggiungere che l'influenza della temperatura risulta comunque rilevante nell'ambito dell'intera filiera distributiva, quindi anche nelle fasi successive a quella di immissione in consumo del prodotto (estrazione dal deposito fiscale).
In tutte le fasi di movimentazione, il prodotto subisce, infatti, variazioni del proprio volume in relazione alla temperatura cui è esposto. Tali variazioni possono essere anche notevoli in riferimento al periodo dell'anno in cui avviene il trasporto del prodotto ovvero finanche in relazione all'orario in cui il prodotto viene consegnato ai vari operatori della filiera.
Avviene quindi che, nel momento in cui il prodotto in questione viene ceduto a ciascun operatore della filiera, lo stesso potrebbe avere un volume sensibilmente diverso (maggiore o anche minore) da quello che aveva al momento dell'estrazione dal deposito fiscale mittente (inizio della filiera).
Per quanto sopra illustrato, si ritiene che l'introduzione di un dispositivo di misurazione della temperatura e della pressione, prevista solo limitatamente alla fase di erogazione del prodotto, risulterebbe inefficace ai fini dell'auspicata corretta quantizzazione del prodotto venduto e quindi, indirettamente, anche del corretto prezzo da applicare allo stesso.
Alla luce delle considerazioni che precedono, il comma 5 dell’articolo 49 eccede dalla competenza legislativa regionale e viola l’articolo 117, secondo comma, lett. e) della Costituzione, in materia di sistema tributario dello Stato.
7) Il comma 7, dell'art. 49 in parola, introduce il divieto per i depositi commerciali di oli minerali di immissione diretta del carburante nei serbatoi degli automezzi. Il secondo periodo stabilisce che tale divieto non trova applicazione nel caso di rifornimento delle macchine agricole strumentali all'agricoltura.
Si rileva, innanzitutto, che la disposizione fa impropriamente riferimento agli oli minerali, in quanto dal 1° giugno 2007 tale categoria è stata sostituita da quella più ampia di prodotti energetici, che comprende una vasta gamma di prodotti utilizzati per carburazione o per combustione.
Preliminarmente, si osserva che la previsione contenuta nel secondo periodo del comma 7, introducendo una deroga al divieto fissato dal primo periodo, contrasta con le disposizioni nazionali recanti la definizione di impianti di distribuzione carburanti e di conseguenza dei depositi commerciali, con le quali le disposizioni regionali si devono necessariamente raccordare.
In particolare, l'impianto di distribuzione è definito dall'art. 2 del D.P.R. 27.10.1971, n. 1269 quale "unitario complesso commerciale costituito da uno o più apparecchi di erogazione automatica di carburanti per uso di autotrazione con le relative attrezzature ed accessori".
Tale definizione non comprende gli impianti privi di qualsiasi sistema di quantizzazione dell'erogato, per cui un serbatoio non collegato ad una colonnina e relativo erogatore, in grado di quantificare in euro, al momento dell'erogazione, in tempo reale, il prodotto, non può essere considerato impianto di distribuzione e rientra nella disciplina che regola i depositi di oli minerali.
L'assenza nei depositi commerciali di apparecchi di erogazione automatica, che caratterizza invece gli impianti di distribuzione carburanti, priva quindi i medesimi depositi dei presupposti essenziali per il rifornimento diretto alle macchine agricole strumentali all'agricoltura.
Occorre altresì rilevare che l'art. 25 del testo unico delle accise, nel dettare specifiche disposizioni in materia di impianti ad accisa assolta (depositi e impianti di distribuzione di carburante), poggia necessariamente sulla disciplina amministrativa degli stessi impianti.
Conseguentemente non è contemplato il rifornimento diretto di carburanti ad accisa assolta da deposito commerciale ad utilizzatori finali.
Occorre, infine, evidenziare che il carburante destinato al rifornimento delle macchine agricole strumentali all'agricoltura beneficia di un'agevolazione, disciplinata dal decreto ministeriale n. 454 del 2001 che, oltre a disporre la denaturazione del prodotto, prevede che il rifornimento dello stesso agli utilizzatori avvenga da parte dei depositi commerciali previa emissione del documento di accompagnamento semplificato (DAS).
Da ciò deriva che il prodotto non può essere direttamente immesso da tali impianti nelle macchine agricole ma esclusivamente trasferito a depositi per usi agricoli.
Ne consegue che la disposizione contenuta nel secondo periodo del comma 7 dell'art. 49, venendo a incidere sulla predetta disciplina dell'agevolazione, ostacola lo svolgimento della relativa attività operativa e gestionale di competenza dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli.
Alla luce delle osservazioni svolte è evidente come l'art. 49 in esame contrasta con le disposizioni vigenti in materia di accise, che, come precisato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 52 del 28 marzo 2013, devono considerarsi come tributi erariali, la cui disciplina rientra nella competenza legislativa esclusiva dello Stato, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione che risulta, pertanto, violato.
Articolo 50
8) L'art. 50 della legge regionale in esame rubricato "Disposizioni in materia di tassa di circolazione" prevede, al comma 1, che "i veicoli ed i motoveicoli, esclusi quelli adibiti ad uso professionale e/o personale, iscritti ai registri degli enti certificatori previsti dal decreto ministeriale 17 dicembre 2009, appartenenti a proprietari residenti nel territorio siciliano, a decorrere dall'anno in cui si compie il trentesimo anno dalla loro costruzione, sono assoggettati, in caso di utilizzazione sulla pubblica strada, ad una tassa di circolazione forfettaria annua di euro 25,82 per i veicoli ed euro 10,33 per i motoveicoli"
Nel merito si rileva che la disposizione regionale presenta molte criticità, anche se ad un primo approccio sembrerebbe ricalcare le disposizioni dei commi 1 e 4 dell'art. 63 della legge 21 novembre 2000, n. 342, che prevedono il pagamento di una "tassa di circolazione forfettaria annua", in caso di utilizzazione sulla pubblica strada, a carico dei veicoli e motoveicoli ultratrentennali, esclusi quelli adibiti ad uso professionale, per i quali è prevista l'esenzione dal pagamento della tassa automobilistica. La tassa di circolazione è di euro 25,82 per i veicoli ed euro 10,33 per i motoveicoli.
Non è chiara, poi, la parte dell'inciso che esclude dalla disciplina in questione non solo i veicoli "adibiti ad uso professionale", come dispone la norma statale, ma anche quelli adibiti ad uso "e/o personale”, escludendo in tal modo tutti i veicoli e vanificando, quindi, l'esistenza stessa della disposizione in esame.
La norma regionale, però, non fa alcuna menzione dell'esenzione dalla tassa automobilistica disposta dalla norma statale per i veicoli ultraventennali e vincola il pagamento della tassa di circolazione forfettaria all'iscrizione nei "registri degli enti certificatori previsti dal decreto ministeriale 17 dicembre 2009". Detto decreto, che reca la "Disciplina e procedure per l'iscrizione dei veicoli di interesse storico e collezionistico nei registri, nonché per la loro riammissione in circolazione e la revisione periodica" definisce veicolo di interesse storico e collezionistico quello che risulta iscritto in uno dei registri di cui all'art. 60, comma 4, del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, recante “Nuovo Codice della Strada”.
E' di tutta evidenza, quindi, che la norma regionale limita la portata della disciplina della legge statale che, come innanzi illustrato, riconosce l'esenzione dal pagamento delle tasse automobilistiche ed il contestuale pagamento di una tassa di circolazione forfettaria annua in caso di utilizzazione sulla pubblica strada alla semplice condizione che il veicolo abbia raggiunto il trentesimo anno di anzianità.
A tal riguardo occorre rammentare che, come precisato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 455 del 2005 , "la tassa automobilistica non può oggi definirsi come "tributo proprio della Regione" ai sensi dell'art. 119, secondo comma, della Costituzione, dal momento che la tassa stessa è stata "attribuita" alle Regioni, ma non rientra nella competenza legislativa residuale delle stesse ai sensi dell'art. 117, quarto comma, Cost. Si deve quindi confermare il principio, costantemente affermato da questa Corte, per cui “allo stato della vigente legislazione, la disciplina delle tasse automobilistiche rientra nella competenza esclusiva dello Stato in materia di tributi erariali”, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione".
Ciò comporta che la Regione, in materia di tasse automobilistiche, così come chiarito dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 288 del 2012:
a) non può modificarne il presupposto ed i soggetti d'imposta (attivi e passivi);
b) può modificarne le aliquote nel limite massimo fissato dal comma 1 dell'art. 24 del D.Lgs. n. 504 del 1992 (tra il 90 ed il 110 per cento degli importi vigenti nell'anno precedente);
c) può disporre esenzioni, detrazioni e deduzioni nei limiti di legge e, quindi, non può
escludere esenzioni, detrazioni e deduzioni già previste dalla legge statale.
Tale ultima precisazione è determinante per affermare che la norma in esame appare suscettibile di impugnativa innanzi alta Corte Costituzionale per violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera e), e dell'art. 119, secondo comma, della Costituzione.
La norma, inoltre, non facendo alcun riferimento all'esenzione prevista per i veicoli ultratrentennali, crea nei contribuenti molte incertezze applicative in ordine ai veicoli che hanno tale anzianità, ma non sono iscritti nei suddetti registri, facendo sorgere il dubbio che per tali veicoli continui ad essere dovuta la tassa automobilistica, in contrasto, quindi, a quanto disposto dalla legge statale.
Né sembra determinante a risolvere la questione la disposizione prevista nel comma 5 dell'articolo in esame che rinvia alla legislazione vigente in materia per tutto quanto non previsto nell'art. 50.
9) Il comma 2 stabilisce, poi, che gli autoveicoli e i motoveicoli di particolare interesse storico e collezionistico, esclusi quelli adibiti ad uso professionale e/o personale, iscritti ai registri degli enti certificatori previsti dal decreto ministeriale 17 dicembre 2009, appartenenti a proprietari residenti nel territorio siciliano, a decorrere dall'anno in cui si compie il ventesimo anno dalla loro costruzione, sono assoggettati, in caso di utilizzazione sulla pubblica strada, ad una tassa di circolazione forfettaria annua di euro 75,00 per gli autoveicoli e di euro 35,00 per i motoveicoli.
Il successivo, comma 3, precisa che si considerano veicoli di particolare interesse storico e collezionistico:
a) i veicoli costruiti specificamente per le competizioni;
b) i veicoli costruiti a scopo di ricerca tecnica o estetica, anche in vista di partecipazione ad esposizioni o mostre;
c) i veicoli i quali, pur non appartenendo alle categorie di cui alle lettere a) e b), rivestano un particolare interesse storico o collezionistico in ragione del loro rilievo industriale, sportivo, estetico o di costume.
Nel merito, si fa presente che con le norme in esame la Regione ha, in sostanza, disciplinato completamente la tassazione dei veicoli che hanno compiuto venti anni dalla data di immatricolazione, prevedendo l'introduzione di una nuova tassa automobilistica di circolazione forfettaria in sostituzione della tassa automobilistica.
Occorre innanzitutto rammentare che l'art. 1, comma 666, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, ha apportato modifiche dall'art. 63 delta citata legge n. 342 del 2000, in quanto ha:
- abrogato i commi 2 e 3 eliminando, quindi, l'esenzione prevista per i veicoli di particolare interesse storico e collezionistico con anzianità di oltre venti anni;
- modificato il comma 4, eliminando la previsione relativa all'applicazione di una tassa di circolazione forfetaria annua in caso di loro utilizzazione sulla pubblica strada.
Pertanto attualmente, come illustrato nella risoluzione n. 4/DF del 1° aprile 2015 - nella quale sono stati offerti esaurienti chiarimenti sulle novità recate dalla legge di stabilità per l'anno 2015 - i suddetti veicoli di particolare interesse storico e collezionistico, non godendo più dell'esenzione in esame, sono assoggettati alla tassa automobilistica che deve essere assolta nella misura e con le modalità ordinarie.
La norma regionale in esame si pone, quindi, in aperto contrasto con la normativa statale, poiché istituisce per i suddetti veicoli una "nuova" tassa di circolazione forfettaria, in sostituzione della tassa automobilistica prevista dalla legge statale, risultando di conseguenza suscettibile di impugnativa dinanzi alla Corte Costituzionale per contrasto con l'art. 117, secondo comma, lettera e), e con l'art. 119, secondo comma della Costituzione.
Alla luce di quanto precisato dalla Corte Costituzionale nella citata sentenza n. 288 del 2012, la Regione Siciliana non può intervenire a modificare gli elementi caratterizzanti del tributo e sostituire addirittura il regime di tassazione previsto dalla norma statale.
Né a sostenere il contrario può valere la circostanza che con la legge regionale 11 agosto 2015, n. 16, recante: "Tassa automobilistica regionale. Modifica dell'articolo 47 della legge regionale 7 maggio 2015, n. 9”, la Regione ha trasformato unilateralmente la tassa automobilistica erariale nella tassa automobilistica regionale.
Infatti, la disciplina delle tasse automobilistiche, in base all'art. 2, comma 1, della legge appena menzionata, continua ad essere quella delineata dal D.P.R. n. 39 del 1953, recante il "Testo unico delle leggi sulle tasse automobilistiche" e dalle altre norme che regolano il tributo, come stabilito dal successivo art. 6, comma 2.
Alle stesse conclusioni si addiviene nell'ipotesi in cui la istituzione del nuovo tributo fosse intesa come un'estrinsecazione della potestà di provvedere al fabbisogno finanziario "a mezzo di tributi, deliberati dalla medesima” riconosciuta dall'art. 36 dello Statuto della Regione, approvato con regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455.
Al riguardo è indispensabile ricordare che la Corte Costituzionale nella sentenza n. 102 del 13 febbraio 2008, ha precisato che la facoltà delle regioni di legiferare deve essere esercitata "in armonia con i principi del sistema tributario dello Stato". L'armonia dei tributi regionali con tali principi del sistema tributario "va, perciò, intesa - sostiene la Corte - come rispetto, da parte del legislatore regionale, dello "spirito" del sistema tributario dello Stato ... e, perciò, come coerenza e omogeneità con tale sistema nel suo complesso e con i singoli istituti che lo compongono".
Da quanto sopra esposto si deve concludere che alle regioni è consentito istituire "nuovi tributi locali" solamente in armonia con i principi del sistema tributario statale, nelle materie che non sono già assoggettate ad imposizione da parte dello Stato, come accade invece nell'ipotesi in esame. Detto principio è stato ribadito dalla Corte Costituzionale che nella sentenza n. 32 del 23 febbraio 2012 nella parte in cui ha precisato che "è vietato alle Regioni di istituire e disciplinare tributi propri con gli stessi presupposti dei tributi dello Stato ovvero di legiferare sui tributi esistenti istituiti e regolati da leggi statali (sentenza n. 102 del 2008). Tale principio è stato confermato dall'art. 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione)."
In ultima analisi la disposizione regionale in commento appare suscettibile di impugnativa dinanzi alla Corte Costituzionale per contrasto con l'art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, che attribuisce allo Stato la competenza esclusiva in materia di sistema tributario, nonché con l'art. 119, secondo comma, della Costituzione, che subordina il potere delle Regioni e degli enti locali di stabilire ed applicare entrate e tributi propri al rispetto dei principi di coordinamento del sistema tributario.
10) Il comma 6, infine, prevede che "le disposizioni di cui all'art. 17, lettera d), del decreto del Presidente della Repubblica del 5 febbraio 1953, n. 39, si applicano agli autoveicoli di proprietà delle associazioni di volontariato di protezione civile iscritte ai sensi dell'articolo 7 della legge regionale 31 agosto 1998, n. 14, al registro regionale delle organizzazioni di volontariato della protezione civile, utilizzate ad uso esclusivo per le finalità di assistenza sociale, sanitaria, soccorso, protezione civile."
Al riguardo, si evidenzia che l'esenzione dal pagamento della tassa automobilistica contenuta nella lettera d), dell'art. 17, del D.P.R. n. 39 del 1953, non riguarda gli "autoveicoli" bensì: "gli autocarri e gli autoscafi esclusivamente destinati, per conto dei Comuni, o di associazioni umanitarie, al servizio di estinzione degli incendi”. Dette fattispecie, non rientrano neanche nella successiva lettera f) dell'art. 17, del D.P.R. n. 39 del 1953, per cui non può pensarsi ad un mero refuso.
Sembra, quindi, che il legislatore regionale abbia inteso estendere l'agevolazione a fattispecie che non sono previste dalla norma statale.
Anche in tale ipotesi la norma regionale, pur apprezzabile per le finalità sociali che intende perseguire, non appare in linea con le norme statali di riferimento. Infatti, come precisato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 296 del 26 settembre 2003, "va escluso che la Regione ... abbia il potere di disporre esenzioni dalla tassa ..., rientrando la relativa materia nella competenza esclusivo dello Stato ai sensi del citato art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione”. Tale assunto è stato ribadito dalla Corte nella citata sentenza n. 288 del 2012, nella quale ha precisato che nel caso di tributi propri derivati la regione "può disporre esenzioni, detrazioni e deduzioni nei limiti di legge".
E' perciò sin troppo evidente che la Regione Siciliana non può intervenire nella disciplina delle tasse automobilistiche modificando la soggettività passiva del tributo ed il suo presupposto, introducendo esenzioni che non sono previste dalle norme statali.
Alla luce delle considerazioni svolte, per le disposizioni di cui agli articoli:
12;
27, comma 9;
34, commi 1, 12 e 13;
49 e
50
si propone l’impugnativa dinanzi alla Corte Costituzionale per violazione dell'art. 81, 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione che attribuisce allo Stato la competenza esclusiva in materia di sistema tributario e contabile dello Stato, 117, secondo comma, lettera h) in materia di ordine pubblico e sicurezza e dell'art. 119, secondo comma, della Costituzione che subordina la possibilità per le regioni e gli enti locali di stabilire ed applicare tributi ed entrate proprie al rispetto dei principi statali di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, nonché in violazione dei principi di eguaglianza e di buon andamento di cui agli articoli 3 e 97 della Costituzione
Si osserva, in conclusione, che per tutte le disposizioni qui censurate, le materie ivi disciplinate, relative alla ZTL, al tributo speciale per il conferimento in discarica dei rifiuti solidi, alla statuizione di norme metriche per la vendita dei carburanti, ed alla tassa di circolazione non rientrano tra quelle espressamente attribuite dall'art. 14 dello Statuto della Regione Sicilia alla potestà di legislazione esclusiva della Regione medesima; pertanto, si ritiene che le norme regionali eccedano la competenza legislativa della stessa.
Per le motivazioni sopra espresse si richiede che gli articoli 12; 27, comma 9; 34, commi 1, 12 e 13; 49 e 50 della legge regionale in esame siano impugnati davanti alla Corte Costituzionale ai sensi dell’articolo 127 Cost.
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Un approfondimento sulle Commissioni paritetiche di ciascuna Regione a statuto speciale, con i Decreti di costituzione e l’elenco dei decreti legislativi concernenti le norme di attuazione