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Prime misure per la razionalizzazione della spesa e il rilancio dell’economia campana – Legge collegata alla legge regionale di stabilità per l’anno 2016. (5-4-2016)
Campania
Legge n.6 del 5-4-2016
n.22 del 5-4-2016
Politiche economiche e finanziarie
31-5-2016 /
Impugnata
La legge Regione Campania n.6 pubblicata sul B.U.R n. 22 del 05/04/2016 recante: Prime misure per la razionalizzazione della spesa e il rilancio dell’economia campana – Legge collegata alla legge regionale di stabilità per l’anno 2016, presenta i seguenti profili di illegittimità costituzionale:
1. Articolo 8
L’articolo 8 della LR in oggetto, recante “Misure in materia di piano casa”, apporta modifiche alla L.R. 28 dicembre 2009, n. 19 “Misure urgenti per il rilancio economico, per la riqualificazione del patrimonio esistente, per la prevenzione del rischio sismico e per la semplificazione amministrativa”. Tale provvedimento legislativo regionale, nel corso degli anni successivi alla sua emanazione, è stato più volte modificato ad opera di diverse disposizioni, alcune delle quali vengono nel seguito richiamate.
Si evidenzia, in primo luogo, che con il predetto articolo 8, comma 1, rispettivamente, lettere b), e), f), g), si estende alla data di entrata in vigore della L.R. n. 1/2016 (ossia al giorno successivo alla pubblicazione nel BUR della stessa L.R. n. 1/2016 avvenuta il 18 gennaio 2016 – cfr. art. 16) l’applicabilità delle misure incentivanti di cui alla L.R. n. 19/2009, in particolare, riferite:
- alla disciplina degli interventi straordinari di ampliamento, in deroga agli strumenti urbanistici, di cui alla lettera g) del comma 2, dell’articolo 4 della L.R. n. 19/2009 (aggiunta dalla L.R. n. 1/2011);
- alla disciplina degli interventi edilizi in zona agricola (da potersi realizzare anche con possibili ampliamenti di volumetria in deroga agli strumenti urbanistici), di cui al comma 4 dell’articolo 6-bis della L.R. n. 19/2009 (aggiunto dalla L.R. n. 1/2011 e modificato dalla L.R. n. 16/2014);
- alla disciplina degli interventi di riqualificazione di aree urbane degradate, in deroga agli strumenti urbanistici e ai parametri edilizi, con riguardo a immobili dismessi, di cui al comma 5 dell’articolo 7 della L.R. n. 19/2009 (modificato dalle LL.RR. n. 1/2011, n. 5/2013, n. 16/2014);
- alla disciplina degli interventi di recupero edilizio, in deroga agli strumenti urbanistici vigenti, di edifici diruti e ruderi, di cui al comma 8-bis dell’articolo 7 della L.R. n. 19/2009 (aggiunto dalla L.R. n. 1/2011).
In secondo luogo, si fa presente che con la lettera h), numeri 1), 2), 3) e 4), del comma 1, dell’articolo 8 della L.R. in commento, viene modificata la disciplina di cui all’articolo 7-bis (Recupero dei complessi produttivi dismessi) della L.R. n. 19/2009 (aggiunto dalla L.R. n. 16/2014). Attraverso tale intervento è conferita ai comuni la facoltà di autorizzare, con rilascio dei relativi permessi a costruire, interventi finalizzati al recupero ed al riutilizzo di complessi industriali e produttivi dismessi da realizzarsi con ristrutturazioni effettuate mediante abbattimento e ricostruzione di volumetrie edilizie preesistenti, in applicazioni dell’articolo 5, comma 9, del D.L. n. 70/2011, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 106/2011, eliminando il previgente vincolo di destinazione ad attività produttive.
Tanto premesso, si segnala che la lettera l) del comma 1, dell’articolo 8 della L.R. n. 5/2016, nel sostituire il comma 4-bis dell’articolo 12 (Norma finale e transitoria) della L.R. n. 19/2009, così recita:
“l) il comma 4-bis dell'articolo 12 è sostituito dal seguente: "4-bis. Le disposizioni di cui all'articolo 36 del D.P.R. 380/2001 si applicano anche agli interventi previsti dalla presente legge e realizzati dopo la sua entrata in vigore, privi di titolo abilitativo o in difformità da esso, ma che risultano conformi alla stessa legge sia al momento della realizzazione degli stessi interventi, sia al momento della presentazione della domanda.".
Al riguardo, si ritiene che tale disposizione sia stata adottata in violazione dell’articolo 36 del dPR n. 380/2001 che richiede, ai fini del rilascio del titolo abilitativo in sanatoria, la doppia conformità alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente intesa come conformità dell’intervento sia al momento della realizzazione sia al momento della presentazione della domanda. Infatti è evidente che la portata derogatoria della LR n. 19 del 2009 e successive modifiche, diviene applicabile anche ad interventi che, invece, eseguiti medio-tempore, nei periodi intercorrenti tra le varie modifiche ad opera delle leggi regionali succedutesi nel tempo e, (ora) fino alla data di entrata in vigore della L.R. n. 1/2016, avrebbero dovuto essere realizzati in conformità alla disciplina urbanistica ed edilizia medio-tempore vigente. A ciò consegue, secondo la predetta disciplina regionale, il rilascio del titolo abilitativo in sanatoria, nel presupposto che gli interventi “risultano conformi alla stessa legge” (ossia la L.R. n. 19 del 2009 nel testo risultante dalle modifiche via via succedutesi nel tempo).
Giova ricordare che la previsione statale del rilascio del titolo in sanatoria di cui all’ art. 36 del TUE è volta a sanare violazioni solo “formali”. La “doppia conformità” è riconosciuta a livello giurisprudenziale come principio fondamentale vincolante per la legislazione regionale (cfr. C. Cost. n. 101/2013; Cons. Stato, IV, n. 32/2013, ove si precisa, tra l’altro che la disciplina urbanistica non ha effetto retroattivo; Cons. Stato, V, n.3220/2013; TAR Umbria n. 590/2014), La “doppia conformità”, è prevista sia per gli interventi realizzati in assenza di permesso di costruire, o in difformità da esso, ovvero in assenza di DIA alternativa o in difformità da essa (art. 36 del dPR n. 380/2001), sia per quelli eseguiti in assenza della o in difformità dalla SCIA (art. 37, co. 4 del dPR n. 380/2001).
Pertanto, la disposizione regionale in commento risulta avere l’effetto di legittimare ex post, mediante rilascio del titolo abilitativo in sanatoria ex art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, interventi cui la LR n. 19/2009, nella sua stesura originaria e nella versioni antecedenti alle modifiche via via introdotte, non avrebbe potuto essere applicata.
A mero titolo esemplificativo, si richiamano le già citate modifiche, introdotte all’articolo 7-bis (Recupero dei complessi produttivi dismessi) della L.R. n. 19/2009, ad opera della lettera h), numeri 1), 2), 3) e 4), del comma 1, dell’articolo 8 della L.R. in commento. La previgente disposizione, che, in ogni caso, si evidenzia, è stata aggiunta dalla L.R. n. 16/2014, consentiva il recupero dei complessi produttivi dismessi, purché si mantenesse la destinazione ad attività produttive. In base alla disposizione modificata, invece, tali interventi di recupero, senza che sia stato rispettato il previgente vincolo di destinazione ad attività produttive, divengono ora, per effetto di quanto previsto dalla disposizione recata dalla lettera l) del comma 1, dell’articolo 8 della L.R. in oggetto, “conformi” alla legge n. 19/2009, come modificata, e, quindi, sanabili mediante rilascio del titolo abilitativo in sanatoria ex art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001.
In proposito, è appena il caso di ricordare che:
- l’Intesa 1° aprile 2009 tra Stato, regioni ed enti locali, sull’atto concernente misure per il rilancio dell’economia attraverso l’attività edilizia, chiariva espressamente che gli interventi di ampliamento e di demolizione e ricostruzione con possibile ampliamento degli edifici non potevano essere riferiti ad edifici abusivi o siti nei centri storici o in aree ad inedificabilità assoluta;
- l’articolo 5 (Costruzioni private) del DL 70/2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 106/2011, recante, ai commi da 9 a 14, la disciplina di principio per la razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente e per la promozione e agevolazione della riqualificazione di aree urbane degradate con presenza di funzioni eterogenee e tessuti edilizi disorganici o incompiuti nonché di edifici a destinazione non residenziale dismessi o in via di dismissione ovvero da rilocalizzare, al comma 10, prevede che “10. Gli interventi di cui al comma 9 non possono riferirsi ad edifici abusivi o siti nei centri storici o in aree ad inedificabilità assoluta, con esclusione degli edifici per i quali sia stato rilasciato il titolo abilitativo edilizio in sanatoria.”
A ciò si aggiunga, quale ulteriore profilo di incostituzionalità della disposizione in commento, che a motivo delle rilevanti modifiche via via apportate alla L.R. n. 19 del 2016, le amministrazioni comunali potrebbero in realtà non trovarsi nelle condizioni di poter effettivamente verificare caso per caso e distinguere ciò che è stato realizzato (o proseguito, o completato) nei periodi intercorrenti tra le modifiche medesime. Ciò, in contrasto con i principi di ragionevolezza e buon andamento.
Sotto tali aspetti, le suddette norme sono state adottate in violazione dell’articolo 117, terzo comma, della Costituzione “governo del territorio”, nonché degli articoli 3 e 97 della Costituzione.
2. Articolo 17, commi 3, 4, 5 e 6;
L’articolo 17 dispone norme per lo sviluppo del turismo balneare. Con riferimento ai commi 3, 4, 5 e 6, si rileva che la procedura comparativa ad evidenza pubblica prevista per il rinnovo delle concessioni demaniali marittime è, sotto alcuni profili, in contrasto con la normativa nazionale, comunitaria e con le norme costituzionali, come di seguito evidenziato.
Al riguardo, si premette una sintetica ricostruzione del quadro normativo in materia di concessioni turistico-ricreative in cui si inserisce la disposizione regionale in esame.
Il legislatore nazionale è intervenuto, con l’art. 1, comma 18, del decreto-legge n. 194 del 2009 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative), convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25, le modalità di rinnovo delle concessioni relative a beni demaniali marittimi eliminando il diritto di insistenza di cui all’art 37 cod nav. Tale intervento normativo ha fatto seguito alla procedura d’infrazione comunitaria n. 2008/4908, aperta nei confronti dello Stato italiano per il mancato adeguamento all’art. 12, comma 2, della direttiva n. 2006/123/CE, in base al quale è vietata qualsiasi forma di automatismo che, alla scadenza del rapporto concessorio, possa favorire il precedente concessionario. La Commissione europea, con una lettera di costituzione in mora notificata il 2 febbraio 2009, aveva ritenuto che il dettato dell’art. 37 del codice della navigazione fosse in contrasto con l’art. 43 del Trattato CE (ora art. 49 del Trattato sul funzionamento dell’unione Europea, TFUE) poiché, prevedendo un diritto di preferenza a favore del concessionario uscente nell’ambito della procedura di attribuzione delle concessioni del demanio pubblico marittimo (cosiddetto diritto di insistenza), configurava una restrizione alla libertà di stabilimento e comportava, in particolare, discriminazioni in base al luogo di stabilimento dell’operatore economico, rendendo estremamente difficile, se non impossibile, l’accesso di qualsiasi altro concorrente alle concessioni in scadenza.
In sede di conversione del decreto-legge n. 194 del 2009 con legge n. 25 del 2010, si è aggiunto un rinvio indiretto (e non previsto nel testo originario del decreto legge) all’articolo 01, comma 2, del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400 (Disposizioni per la determinazione dei canoni relativi a concessioni demaniali marittime), convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494, che produceva l’effetto di consentire il rinnovo automatico delle concessioni, di sei anni in sei anni.
La Commissione europea, con una lettera datata 5 maggio 2010, di messa in mora complementare nell’ambito della medesima procedura di infrazione 2008/4908, ha ritenuto che tale rinvio, che stabiliva il rinnovo automatico, di sei anni in sei anni, delle concessioni in scadenza, privasse, nella sostanza, di ogni effetto l’adeguamento ai principi comunitari effettuato con il decreto-legge n. 194 del 2009 e fosse contrario, sia all’articolo 12 della direttiva 2006/123/CE, sia all’articolo 49 del TFUE, che vieta le restrizioni alla libertà di stabilimento.
In seguito a questi ulteriori rilievi, l’articolo 11, comma 1, lettera a), della legge 15 dicembre 2011, n. 217 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee – legge comunitaria 2010), ha abrogato il già citato comma 2 dell’articolo 01 del decreto-legge n. 400 del 1993. Lo stesso articolo 11 ha, inoltre, delegato il Governo ad adottare, entro quindici mesi dalla data di entrata in vigore della legge, un decreto legislativo avente ad oggetto la revisione e il riordino della legislazione relativa alle concessioni demaniali marittime.
In conseguenza di questi interventi legislativi, la procedura di infrazione è stata chiusa il 27 febbraio 2012.
Premesso quanto sopra, l’articolo 17 della legge regionale in parola dispone che:
comma 3: Nel caso di rinnovo della concessione, il Comune acquisisce dall'originario concessionario una perizia di stima asseverata da un professionista abilitato, da cui risulti l'ammontare del valore aziendale dell'impresa insistente sull'area oggetto della concessione; il Comune pubblica la perizia nei termini e secondo le modalità di cui al piano di utilizzazione delle aree del demanio marittimo (PUAD).
comma 4: Le domande di nuove concessioni devono essere corredate, a pena di esclusione dalla procedura comparativa, da atto unilaterale d'obbligo in ordine alla corresponsione, entro 30 giorni dalla comunicazione di aggiudicazione della concessione, di indennizzo determinato ai sensi del comma 5. Decorso tale termine senza la corresponsione dell'indennizzo, si procede all'aggiudicazione della concessione, condizionata al pagamento dell'indennizzo, nei confronti del soggetto utilmente collocato in graduatoria e fino all'esaurimento della stessa.
comma 5: Nell'ipotesi di concorso di domande, l'originario concessionario ha diritto ad un indennizzo pari al novanta per cento dell'ammontare del valore oggetto della perizia di cui al comma 3, da parte dell'eventuale nuovo aggiudicatario, nel rispetto di quanto previsto dalla normativa comunitaria e nazionale in materia.
comma 6. La medesima procedura comparativa ad evidenza pubblica di cui ai commi 2, 3, 4 e 5 del presente articolo si applica anche per il rilascio delle concessioni per lo sfruttamento delle acque minerali, naturali e termali e per le piccole utilizzazioni locali, in conformità alla normativa comunitaria, nazionale e regionale in materia.
Le richiamate disposizioni regionali risultano confliggenti con il secondo comma, lettere e), l) e s) dell’art. 117 Cost., in quanto si pongono in contrasto con la riserva allo Stato in materia di tutela della concorrenza, ordinamento civile e tutela dell’ambiente.
La legge regionale in esame, infatti, detta regole che attengono alle modalità di affidamento delle concessioni, prevedendo anche che, in caso di rinnovo della concessione, il concessionario subentrante sia obbligato a corrispondere un indennizzo all'uscente, determinato sulla base di una stima del valore aziendale effettuata dal vecchio concessionario.
In tal modo, la norma regionale interviene in un ambito che attiene a rapporti di natura privatistica di competenza esclusiva statale; la disciplina degli aspetti dominicali del demanio marittimo, infatti, è da ascrivere alla materia "ordinamento civile". E' evidente che sussiste in materia l'esigenza, sottesa al principio costituzionale di uguaglianza, di garantire uniformità di trattamento nell'intero territorio nazionale e che, quindi, gli ambiti sopra evidenziati non possono essere rimessi a discipline regionali.
La Consulta ha più volte affermato che la titolarità di funzioni legislative e amministrative della Regione in ordine all’utilizzazione di determinati beni non può incidere sulle facoltà che spettano allo Stato in quanto proprietario e che la disciplina degli aspetti dominicali del demanio statale rientra nella materia dell’ordinamento civile di competenza esclusiva dello Stato (sentenze n. 102 e n. 94 del 2008, n. 286 del 2004, n. 343 del 1995, n. 370 del 2008). Con specifico riferimento al demanio marittimo, la Corte ha precisato che «la competenza della Regione nella materia non può incidere sulle facoltà che spettano allo Stato in quanto proprietario. Queste infatti precedono logicamente la ripartizione delle competenze ed ineriscono alla capacità giuridica dell’ente secondo i principi dell’ordinamento civile» (sentenza n. 427 del 2004).
Quanto al profilo delle modalità di affidamento delle concessioni, viene in rilievo la competenza statale in materia di tutela della concorrenza, che, come affermato dalla Corte costituzionale (sentenza n. 401/2007).
Il quadro normativo vigente in materia di demanio marittimo vede la competenza della gestione delle concessioni, tra cui il rilascio, in capo alle Regioni e ai Comuni, ma le regole che disciplinano l'accesso dei potenziali concessionari ai beni demaniali sono riconducibili alla tutela della concorrenza, di esclusiva competenza dello Stato.
La disposizione risulta critica anche in relazione alla materia della tutela del paesaggio, contemplata dall'art. 9 Cost., e dell'ambiente, di cui all'art. 117, secondo comma, lett. s), Cost., in quanto suscettibile di consentire il permanere delle opere sul suolo demaniale.
La norma regionale in argomento non è conforme alla legislazione nazionale in materia di concessioni demaniali marittime, nella quale, invece, è vigente il principio della riduzione “in pristino” (già citato art. 49 c.n.).
Ciò posto, non occorre evidenziare che il comma 6 dell’art. 17 in rassegna estende la procedura comparativa di cui trattasi anche all’ambito delle concessioni per lo sfruttamento delle acque minerali, naturali e termali.
Si ritiene, pertanto, che l’articolo 17, commi 3, 4, 5 e 6 siano in contrasto (con l'articolo 9 della Costituzione sulla tutela del paesaggio), con l’articolo 117, primo comma per contrasto con i vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario, con l’articolo 117, secondo comma, lett. e), lett. l) e lett. s) della Costituzione che affida alla competenza esclusiva dello Stato le materie, rispettivamente, della tutela della concorrenza, dell’ordinamento civile e dell’ambiente.
3. Articolo 19, comma 10
Articolo 19, comma 10: la norma autorizza, nei limiti delle disponibilità di bilancio, il finanziamento aggiuntivo pari a euro 300.000,00 in favore della Città metropolitana di Napoli per l'intervento "Apertura svincoli SP 1 circonvallazione esterna di Napoli e SP 500" di cui al IV protocollo aggiuntivo stipulato in data 23 marzo 2007 tra Ministero dello sviluppo economico, Ministero delle infrastrutture, Regione Campania ed ANAS.
Al riguardo, si rileva che in corrispondenza del predetto onere aggiuntivo la norma non individua puntualmente la necessaria fonte di copertura. Peraltro, la predetta autorizzazione di finanziamento aggiuntivo risulta in contraddizione con la clausola di invarianza finanziaria prevista dall'articolo 29 della legge regionale in esame.
Pertanto, la Regione Campania non ha previsto la copertura finanziaria degli oneri discendenti dalla norma in esame, violando l'articolo 81, terzo comma, della Costituzione.
4. Articolo 21, lett. d)
Articolo 21, lett. d) rubricato “Contrasto al lavoro irregolare nel settore edile” stabilisce che, per attivare azioni di contrasto al lavoro nero nel comparto delle costruzioni e al fine di promuovere la sicurezza nei cantieri, per i lavori edili privati oggetto di permesso di costruire, segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), denuncia di inizio attività (DIA), comunicazione inizio lavori (CIL) o comunicazione inizio lavori asseverata (CILA), il direttore dei lavori provvede a trasmettere allo Sportello unico dell'edilizia (SUE), all'inizio e alla fine dei lavori, il DURC dell'azienda esecutrice, attestante la sua regolarità contributiva e le avvenute comunicazioni di inizio e di fine lavori effettuate agli enti previdenziali, assicurativi e infortunistici e alla Cassa edile competenti per territorio. In relazione all’obbligo ivi previsto per il direttore dei lavori di trasmettere allo Sportello Unico dell’Edilizia (SUE) il DURC dell’azienda esecutrice, attestante la sua regolarità contributiva, si evidenzia una disarmonia con quanto previsto dalla legislazione nazionale che all'art. 44 bis del DPR 28/12/2000, n.445, prevede che "le informazioni relative alla regolarità contributiva sono acquisite d'ufficio, ovvero controllate ai sensi dell'articolo 71, dalle pubbliche amministrazioni procedenti, nel rispetto della specifica normativa di settore.”
Risulta, pertanto, suscettibile di perplessità l'attribuzione al direttore dei lavori, da parte della norma in oggetto, dell’obbligo di acquisire e trasmettere il DURC al SUE, atteso che tale incombenza grava sulla pubblica amministrazione procedente ai sensi del richiamato art. 44 bis.
Inoltre, si rammenta che il DURC on line ha una validità di 120 giorni decorrente dalla sua emissione, che pertanto potrebbe potenzialmente coprire l’intero periodo intercorrente fra la data di inizio e la data di fine lavori, senza la necessità di dover ripetere la richiesta.
Per quanto sopra esposto, la disposizione regionale in questione contrasta con l’art. 117, terzo comma della Costituzione, in materia di tutela e sicurezza del lavoro.
5 Articolo 22, comma 4
Preliminarmente, si evidenzia che la regione Campania è sottoposta a piano di rientro dal disavanzo sanitario e a conseguente commissariamento. In particolare, con deliberazione del Consiglio dei Ministri dell’11 dicembre 2015, notificata in data 8 gennaio 2016, il dott. Joseph Polimeni è stato nominato Commissario ad acta per l’attuazione del vigente piano di rientro dai disavanzi del S.S.R. della Campania e il dott. Claudio D’Amario è stato nominato Sub Commissario ad acta.
La legge regionale in esame detta misure volte alla razionalizzazione della spesa e al rilancio dell’economia campana. In particolare, l’articolo 22, comma 4, modificando l’articolo 1 della precedente legge regionale 7 agosto 2014, n. 16, inserisce il comma 151 bis che prevede quanto segue “La regione Campania, ferme restando la prerogative spettanti all’organo commissariale per il piano di rientro della spesa sanitaria, assume le opportune azioni per l’incremento delle strutture accreditate con i sistemi PET/TC anche per superare gli attuali squilibri territoriali di offerta per l’utenza.”.
La disposizione regionale sopra citata, pur prevedendo ferme le prerogative dell’organo commissariale, autorizza la Regione ad adottare azioni atte ad incrementare le strutture accreditate con i sistemi PET/TC. Tale disposizione contrasta sia con i principi fondamentali della legislazione statale in materia di autorizzazione e accreditamento, sia, più specificamente, con il piano di rientro della regione Campania, sia, infine, con le prerogative del Commissario ad acta. Ne risultano violati, conseguentemente, l’articolo 117, comma 3, della Costituzione – per contrasto con i principi fondamentali in materia di tutela della salute e di coordinamento della finanza pubblica – e l’articolo 120 della Costituzione, per la predetta ingerenza nei confronti dei poteri del commissario ad acta.
In primo luogo, infatti, la norma regionale citata, nel disporre “l’incremento delle strutture accreditate con i sistemi PET/TC”, prescinde dalla concreta rilevazione del fabbisogno delle predette strutture. Ciò si pone in palese contrasto con l’articolo 8-quater del d.lgs. n. 502/1992, secondo cui l’accreditamento istituzionale può essere rilasciato nei confronti delle strutture, previamente autorizzate, subordinatamente alla loro rispondenza ai requisiti ulteriori di qualificazione, alla loro funzionalità rispetto agli indirizzi di programmazione regionale e alla verifica positiva dell'attività svolta e dei risultati raggiunti. La citata disposizione statale specifica, inoltre, che “al fine di individuare i criteri per la verifica della funzionalità rispetto alla programmazione nazionale e regionale, la regione definisce il fabbisogno di assistenza secondo le funzioni sanitarie individuate dal Piano sanitario regionale per garantire i livelli essenziali e uniformi di assistenza, nonché gli eventuali livelli integrativi locali e le esigenze connesse all'assistenza integrativa di cui all'articolo 9.”
Sul punto, è doveroso evidenziare che il Commissario ad acta della regione Campania, con decreto commissariale del 12 maggio 2016, n. 32, ha stabilito, in relazione alle apparecchiature PET/TC, che “il fabbisogno e la conseguenziale localizzazione sono soddisfatti per intero dalla dotazione di apparecchiature pubbliche e private già autorizzate” e che “allo stato, non è possibile procedere a nuove installazioni di apparecchiature PET/TC”. Infine, il medesimo decreto dà atto che “è in fase di completamento il processo di accreditamento regionale, in esito al quale verrà effettuato una valutazione conclusiva dello status di accreditato, presupposto per l’installazione delle apparecchiature”.
La richiamata disposizione di cui all’articolo 22, comma 4, della legge regionale in esame, quindi, interferisce con le valutazioni e i poteri del Commissario ad acta e, pertanto, vìola l’articolo 120 della Costituzione.
Inoltre, la disposizione regionale in esame interferisce, altresì, con il piano di rientro della regione Campania e, conseguentemente con l’articolo 2, commi 80 e 95, della legge 191/2009, secondo cui “gli interventi individuati dal piano sono vincolanti per la regione, che è obbligata a rimuovere i provvedimenti, anche legislativi, e a non adottarne di nuovi che siano di ostacolo alla piena attuazione del piano di rientro”. Come anticipato, dunque, risulta violato anche l’articolo 117, comma 3, della Costituzione, per contrasto con i principi fondamentali della legislazione statale in materia di tutela della salute e di coordinamento della finanza pubblica, rappresentati dai richiamati commi 80 e 95 dell’articolo 2 della legge n. 191/2009.
Sul punto, peraltro, si richiama la costante giurisprudenza costituzionale (si veda, tra le più recenti, la sentenza n. 28/2013), la quale evidenzia come “l’operato del commissario ad acta, incaricato dell’attuazione del Piano di rientro dal disavanzo sanitario previamente concordato tra lo Stato e la Regione interessata, sopraggiunga all’esito di una persistente inerzia degli organi regionali, essendosi questi ultimi sottratti ad un’attività che pure è imposta dalle esigenze della finanza pubblica. È, dunque, proprio tale dato – in uno con la constatazione che l’esercizio del potere sostitutivo è, nella specie, imposto dalla necessità di assicurare la tutela dell’unità economica della Repubblica, oltre che dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti un diritto fondamentale (art. 32 Cost.), qual è quello alla salute – a legittimare la conclusione secondo cui le funzioni amministrative del Commissario, ovviamente fino all’esaurimento dei suoi compiti di attuazione del Piano di rientro, devono essere poste al riparo da ogni interferenza degli organi regionali, senza che possa essere evocato il rischio di fare di esso l’unico soggetto cui spetti di provvedere per il superamento della situazione di emergenza sanitaria in ambito regionale” (sentenza n. 78 del 2011).
La Corte Costituzionale trae, dalle predette considerazioni, la conclusione secondo cui “la semplice interferenza da parte del legislatore regionale con le funzioni del Commissario ad acta, come definite nel mandato commissariale, determina di per sé la violazione dell’art. 120, secondo comma, Cost., laddove, come nella specie, il Commissario sia l’organo esclusivo incaricato dell’attuazione del Piano di rientro (ex plurimis, sentenza n. 2 del 2010).”.
La clausola di salvaguardia contenuta nella disposizione regionale in esame, che fa salve le “prerogative spettanti all’organo commissariale per il piano di rientro della spesa sanitaria”, non possono valere a sanare le censure di incostituzionalità sopra illustrate, in quanto palesemente contraddetta dalla norma precettiva immediatamente successiva alla predetta clausola.
A tal riguardo la citata sentenza n. 28/2013 ha espressamente sancito che deve ritenersi “priva di reale significato normativo una generica clausola di salvaguardia delle competenze commissariali […] che è contraddetta proprio dalle specifiche e precise disposizioni che la seguono”.
Per i motivi esposti, si propone l’impugnativa della legge in esame dinanzi alla Corte costituzionale, ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione.
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