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Disposizioni per il riordino e la semplificazione della normativa afferente il settore terziario, per l’incentivazione dello stesso e per lo sviluppo economico. (8-4-2016)
Friuli Venezia Giulia
Legge n.4 del 8-4-2016
n.18 del 12-4-2016
Politiche infrastrutturali
31-5-2016 /
Impugnata
La legge regionale del Friuli Venezia Giulia n. 4/2016 “Disposizioni per il riordino e la semplificazione della normativa afferente il settore terziario, per l’incentivazione dello stesso e per lo sviluppo economico”, prevede numerose norme di modifica della legislazione regionale in materia di esercizi ed imprese commerciali, turismo, strutture ricettive promozione di attività produttive ed economiche , pesca sportiva e sviluppo rurale.
Si premette che l’art. 4 dello Statuto speciale della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia (legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 e successive modifiche e integrazioni) attribuisce alla Regione la potestà legislativa esclusiva in materia di agricoltura e foreste, ittica, caccia e pesca, industria e commercio, fiere e mercati, turismo e industria alberghiera. Detta competenza legislativa deve esplicarsi «in armonia con la Costituzione, con i principi generali dell’ordinamento giuridico della Repubblica, con le norme fondamentali delle riforme economico-sociali e con gli obblighi internazionali dello Stato, nel rispetto degli interessi nazionali e quelli delle altre Regioni». Nel successivo articolo 6 dello Statuto è previsto, altresì, che «la Regione ha facoltà di adeguare alle sue particolari esigenze le disposizioni delle leggi della Repubblica, emanando norme di integrazione e di attuazione nelle seguenti materie: […] 3) antichità e belle arti, tutela del paesaggio, della flora e della fauna, oltre che nelle altre materie per le quali le leggi dello Stato attribuiscano alla Regione questa facoltà».
La menzionata competenza primaria deve esplicarsi con i limiti dallo stesso Statuto enunciati, dovendo rispettare i precetti previsti dalla normativa europea e costituzionale e le c.d. “norme di grande riforma economico sociale” poste dallo Stato nell’esercizio delle proprie competenze legislative. Tra quest’ultime, per quel che qui è di più prossimo interesse, rilevano quelle poste dalla legislazione statale in tema di «tutela della concorrenza» e «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema».
Tutto ciò premesso, la normativa regionale de qua, deve rispettare in primis le norme del diritto dell’Unione Europea la cui violazione comporta la lesione degli articoli 11 e 117, primo comma, Cost.
1. Risultano, pertanto, censurabili, perché eccedono dalle competenze statutarie, le seguenti disposizioni in materia di commercio che, prevedendo limitazioni, condizioni e divieti che ostacolano l’iniziativa economica, risultano in contrasto con i principi in materia di liberalizzazione e semplificazione posti dallo Stato in attuazione di principi europei, violando così l’articolo 117, primo comma della Costituzione, che impone il rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario, contrastando altresì con il medesimo articolo 117, secondo comma lettera e) della Costituzione, sotto il profilo della tutela della concorrenza.
In particolare :
1.1 Articolo 1 e articolo 3
L'art. 1 modifica l'art. 29 della L.R. n. 29/2005 e regola l'attività di commercio al dettaglio in sede fissa imponendo l’ obbligo di chiusura nelle seguenti giornate: 1 gennaio, Pasqua, Lunedi dell'Angelo, 25 aprile, 1 maggio, 2 giugno, 15 agosto, 1 novembre, 25 e 26 dicembre.
L'articolo introdotto è in evidente contrasto con l'art. 3, comma 1, della legge 4 agosto 2006 n. 248, che ha disposto la contrarietà all’ordinamento di limiti e prescrizioni all'esercizio di attività commerciali, tra cui rispetto degli orari di apertura e di chiusura, l’obbligo della chiusura domenicale e festiva, nonché quello della mezza giornata di chiusura infrasettimanale (lett. d-bis).
L'art. 3, comma 1, cit., attua un principio di liberalizzazione, rimuovendo vincoli e limiti alle modalità di esercizio delle attività economiche. L'eliminazione dei limiti agli orari e ai giorni di apertura al pubblico degli esercizi commerciali favorisce, a beneficio dei consumatori, la creazione di un mercato più dinamico e più aperto all'ingresso di nuovi operatori e amplia la possibilità di scelta del consumatore. Si tratta, dunque, di misure coerenti con l'obiettivo di promuovere la concorrenza, risultando proporzionate allo scopo di “ garantire l'assetto concorrenziale nel mercato di riferimento relativo alla distribuzione commerciale” (Corte Costituzionale, n. 299/2012; in termini Corte Costituzionale sentenze n. 27/2013 e n. 65 72013).
La norma regionale in esame contrasta con i principi e gli obiettivi del Legislatore nazionale ed impone un regime lesivo della concorrenza, invadendo in tal modo un ambito di competenza attribuito in via esclusiva allo Stato (art. 117, comma 2, lett. e), Cost.; cfr. Corte Costituzionale sentenze n. 430/ 2007 e n. 150/2011). L'obbligo di rispettare i principi statali di liberalizzazione si impone, del resto, anche per la necessità di evitare che gli effetti positivi alla concorrenza siano vanificati da una parcellizzazione dell'ordinamento in discipline regionali e locali differenziate (Corte Costituzionale, sent n. 8/2013 ). Logico corollario è che solamente il Legislatore nazionale può determinare i limiti all'esigenza di tendenziale massima liberalizzazione delle attivita economiche. In tale ambito le Regioni non hanno pertanto alcun potere normativo, nemmeno in modo meramente riproduttivo della discipline statale (Corte Costituzionale, sentenze nn. 245/2013 e 104/2014). I titoli competenziali delle Regioni, anche a Statuto speciale,
in materia di commercio e di governo del territorio “ non sono idonei ad impedire l'esercizio della detta competenza statale che assume quindi carattere prevalente” (Corte Costituzionale, sentenze n. 38/2013 e n. 299/2012).
L’articolo 1 della legge regionale si pone dunque in contrasto con l'art. 117, comma 2, lett. e), Cost.
Analoghe considerazioni valgono per la disposizione contenuta nell’articolo 3. Detta norma regionale prevede che con delibera della Giunta regionale possano essere individuate le località a prevalente economia turistica, nelle quali gli esercenti determinano liberamente le giornate di chiusura (vale a dire, che in tali casi, gli esercenti non sono tenuti a rispettare neanche le giornate previste all’articolo 1). Fermo restando quanto sopra esposto, si rileva che tale previsione, che nella norma nazionale aveva accompagnato la fase di transizione sino alla completa liberalizzazione degli orari, evidentemente non trova alcun riscontro nella norma nazionale, non avendo più alcun motivo di essere in tale contesto.
La citate norme statali “attuano un principio di liberalizzazione", rimuovendo vincoli e limiti alle modalità di esercizio delle attività economiche, mentre la norma regionale introduce una disciplina parcellizzata e territorialmente differenziata dei giorni di chiusura degli esercizi commerciali, in palese contrasto con la totale e completa liberalizzazione delle aperture sancita dall'art. 31, comma 1, L. n. 214/2011.
L'art. 3, comma 1, della L. n. 248/2006 sottolinea infatti la necessità di “garantire la libertà di concorrenza secondo condizioni di pari opportunità e il corretto ed uniforme funzionamento del mercato, nonché [di] assicurare ai consumatori finali un livello minimo e uniforme di condizioni di accessibilità ai beni e servizi sul territorio nazionale”.
Con le citate norme statali , iI Legislatore nazionale ha uniformato la disciplina in tutto il territorio dello Stato, al fine di costituire condizioni di pari opportunità tra le aziende e, anche nell'interesse del consumatore, condizioni omogenee nelle prestazioni del servizi.
La Corte Costituzionale ha affermato, in più occasioni e con assoluta costanza, la necessià di una disciplina uniforme sul territorio della disciplina degli orari e delle chiusure degli esercizi commerciali, per evitare che l'Ordinamento sia frammentato in una molteplicita di ordinamenti regionali ed anche locali differenti fra loro, il che costituisce un ostacolo alla realizzazione di un mercato unico che è ad un tempo valore costituzionale e principio comunitario (Corte Costituzionale, sentenza n. 8/2013).
La previsione di un regime differenziato si pone, quindi, in contrasto con l'art. 117, comma 2, lett. e), Cost. e con i principi di liberalizzazione, uniformità del mercato, par condicio degli operatori nei singoli ordinamenti regionali e uniformità della disciplina, ribaditi dalla Corte Costituzionale fin dalla sentenza n. 430/2007.
La norma contenuta nell’art. 3 legge regionale è pertanto illegittima nella misura in cui prevede solo per i comuni a prevalente economia turistica -e non anche per tutto il restante territorio regionale- la liberalizzazione dei giorni di chiusura festiva degli esercizi commerciali.
1.2 Articoli 9 e 15
Gli artt. 9 e 15 introducono due nuove tipologie commerciali, vale a dire, rispettivamente, i centri commerciali naturali e le sotto-categorie delle medie strutture minori e maggiori.
Tali tipologie commerciali non rientrano in quelle previste dalla normativa nazionale (D.Lgs. 114/98), pertanto la loro introduzione crea una discrepanza all’interno del territorio nazionale, ripetutamente sanzionata dalla Corte Costituzionale, suscettibile, evidentemente, di provocare differenziazioni ingiustificate relativamente ai relativi titoli di accesso all’attività la cui definizione spetta alla competenza statale e conseguente turbativa del mercato.
La previsione di categorie diverse e ulteriori rispetto a quelle previste dal dato
normativo nazionale contrasta infatti con il principio di semplificazione dettato dal legislatore nazionale e determina una discriminazione interspaziale tra operatori di Regioni diverse. Un sistema giuridico differenziato a livello regionale costituisce una alterazione del confronto concorrenziale tra i diversi operatori economici, mentre regole uniformi su tutto il territorio nazionale sono necessarie e indispensabili per creare un ordinato, coerente ed equo confronto concorrenziale cui hanno diritto gli operatori economici e gli stessi consumatori.
Giurisprudenza costante ha, infatti, precisato che: “una regolazione delle attivita economiche ingiustificatamente intrusiva - cioè non necessaria e sproporzionata rispetto alla tutela dei beni costituzionalmente protetti- genera inutili ostacoli alle dinamiche economiche, a detrimento degli interessi degli operatori economici , dei consumatori e degli stessi lavoratori e, dunque in definitiva reca danno alla stessa utilità sociale” (Corte Costituzionale, sentenza n. 299/2012).
La Corte Costituzionale ha infatti dichiarato l'illegittimita costituzionale delle disposizioni regionali che reintroducono limiti e vincoli nella disciplina delle attivita economiche nella parte in cui introducono la definizione di “polo commerciale” non prevista nella classificazione degli esercizi di vendita operata dal D.L.vo n. 114/1998 (qualifica attribuita in ragione della sola vicinanza o adiacenza e a prescindere dalla volonta degli esercenti di unirsi in un polo commerciale) (Corte Costituzionale, 15 maggio 2014 n. 125).
A Ciò si aggiunga che la previsione di tipologie ulteriori e diverse da quelle previste a livello nazionale determina una duplice discriminazione: sia interspaziale, fra operatori di Regioni diverse soggetti a discipline differenti, sia intertemporale, fra operatori gia presenti nel mercato e nuovi. In tal modo la legislazione regionale segnalata interferisce illegittimamente con la competenza esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza, che in riferimento all'esercizio delle attività commerciali trova espressione nell'art. 31, comma 2, L. n. 214/2011 (Corte Costituzionale, 11 giugno 2014 n. 165).
1.3 Articolo 19
L’art. 19 modifica l’art. 7 della l.r. n. 29/2005 prevedendo che l'esercizio dell'attività commerciale in sede fissa o sulle aree pubbliche di prodotti alimentari, nonché della somministrazione di alimenti e bevande, ancorché svolto nei confronti di una cerchia limitata di persone in locali non aperti al pubblico, è subordinato al possesso di uno dei requisiti di cui all'articolo 71, commi 6 e 6-bis, del decreto legislativo 59/2010, ovvero i c.d. requisiti professionali.
Al riguardo si osserva che detto articolo 71 è stato modificato ad opera dell’articolo 8 del D.Lgs. 6 agosto 2010, n. 147 recante disposizioni integrative e correttive del D. Lgs. 59/2010 adottato in attuazione della Direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno.
In particolare, il detto articolo 8, comma 1, lett. e) ha riformulato l’alinea del comma 6 dell’articolo 71 nei termini seguenti: “6. L'esercizio, in qualsiasi forma e limitatamente all’alimentazione umana, di un'attività di commercio al dettaglio relativa al settore merceologico alimentare o di un'attività di somministrazione di alimenti e bevande é consentito a chi é in possesso di uno dei seguenti requisiti professionali:” (..)” .
Le modifiche pertanto hanno comportato l’eliminazione dalla precedente formulazione dell’inciso “anche se effettuate nei confronti di una cerchia determinata di persone”, e l’inserimento dell’inciso “e limitatamente all’alimentazione umana” nonché delle parole “al dettaglio”.
La nuova formulazione dell’alinea, come chiarito nella successiva circolare esplicativa n. 3656/C del 12 settembre 2012, ha comportato le conseguenze applicative che di seguito si evidenziano.
Per effetto della soppressione della locuzione “anche se effettuate nei confronti di una cerchia determinata di persone”, non è più obbligatorio il possesso di uno dei requisiti professionali elencati alle lett. a), b) e c) del comma 6 dell’art. 71 nel caso di attività di vendita di prodotti alimentari e di somministrazione di alimenti e bevande, effettuate non al pubblico, ma nei confronti di una cerchia determinata di soggetti. Trattasi, con riferimento all’attività di vendita, di tutti i casi in cui la vendita è effettuata con modalità o in spazi nei quali l’accesso non è consentito liberamente. Ciò significa che si applica o nei casi in cui l’accesso è consentito solo previo possesso di un titolo di ingresso o nei casi in cui è riservato a determinati soggetti. Il requisito, in particolare, non può essere richiesto per l’avvio delle attività disciplinate dall’art. 16 del D. Lgs. n. 31 marzo 1998, n. 114, come modificato dall’art. 66 del D. Lgs. n. 59 (Spacci interni). Con riferimento alla somministrazione di alimenti e bevande il requisito professionale non può essere richiesto nel caso delle attività elencate alle lettere b), e), f), g) ed h) del comma 6 dell'art. 3 della legge 25 agosto 1991, n. 287, come sostituito dal comma 7 dell’art. 64 del D. Lgs. n. 59, purché siano rispettate le limitazioni di accesso ai locali o agli ambiti spaziali su esplicitati. Va comunque evidenziato che l’eliminazione dell’obbligo pubblicistico del possesso del requisito professionale per il soggetto titolare delle attività per le quali vige tale semplificazione non esime tale soggetto dalla necessità di rispettare tutte le disposizioni vigenti in materia igienico sanitaria, sia in relazione ai luoghi e agli ambiti spaziali utilizzati, che alle risorse umane impiegate, né impedisce ai soggetti cui eventualmente spetta regolare l’accesso delle persone nei relativi spazi e concedere l’uso degli stessi al predetto soggetto titolare, di individuare nell’ambito dei relativi rapporti di diritto privato le modalità più idonee per garantire la massima tutela e qualità dei servizi ai propri associati, ospiti o utenti (cfr. punto 2.1.1 della citata circolare n. 3656/C del 12 settembre 2012).
La disposizione introdotta con l’art. 19 in discorso, richiedendo nel caso di attività esercitata anche “nei confronti di una cerchia limitata di persone in locali non aperti al pubblico” il possesso di requisiti non parimenti previsti a livello di legislazione nazionale, si pone illegittimamente in contrasto con l’art. 71 del d.lgs. n. 59/2010 così come modificato per effetto del D.Lgs. 6 agosto 2010, n. 147. Trattandosi, infatti, di disposizioni adottate dal legislatore statale in materia di tutela della concorrenza poiché miranti ad introdurre nell’ordinamento requisiti uniformi sul territorio per l’esercizio di attività economiche, ne consegue anche in questo caso la violazione dell’art. 117, lettera e) della Costituzione.
2. E’ inoltre censurabile, perché in violazione sia dell’articolo 117, primo comma della Costituzione, che impone il rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario , che della competenza esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente, di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera s) della Costituzione , l’articolo 72, comma 1.
Detta norma inserisce l’articolo 6-quater nella legge regionale 19 del 1971 concernente “Norme per la protezione del patrimonio ittico e per l’esercizio della pesca nelle acque interne del Friuli-Venezia Giulia”.
Tale modifica prevede la regolamentazione per effettuare e autorizzare immissioni di fauna ittica a scopo di pesca sportiva. Più precisamente, si prevede l’immissione di esemplari ittici autoctoni in qualsiasi corso d’acqua, mentre quella di esemplari alloctoni è ammessa nei corpi idrici artificiali la cui eventuale connessione con corsi d’acqua naturali non consenta l’emigrazione dei pesci immessi. Si regolamenta, in particolare, l’immissione di due specie alloctone: la trota iridea - Onchorhynchus mykiss , e la trota fario - Salmo trutta.
Nello specifico ambito della introduzione, reintroduzione e ripopolamento di specie animali è da richiamare, innanzitutto, la direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione di habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, che ai sensi dell’articolo 22, paragrafo 1, della citata direttiva: - alla lettera a) demanda agli Stati membri la valutazione in ordine alla opportunità di reintrodurre specie autoctone, qualora questa misura possa contribuire alla loro conservazione, sempre che da una indagine conoscitiva condotta sulla scorta delle esperienze acquisite in altri Stati membri o altrove, risulti che tale reintroduzione contribuisce in modo efficace a ristabilire tali specie in uno stato di conservazione soddisfacente e purché tale reintroduzione sia preceduta da un'adeguata consultazione delle parti interessate; - alla lettera b) impegna gli Stati membri a regolamentare ed eventualmente vietare le introduzioni di specie alloctone che possano arrecare pregiudizio alla conservazione degli habitat o delle specie autoctone.
Lo Stato italiano ha esercitato la sua competenza con il d.P.R. n. 357 del 1997 (come modificato dal d.P.R. n. 120 del 2003), consentendo (articolo 12, comma 2) la reintroduzione delle specie autoctone, sulla base di linee guida da emanarsi dal Ministero dell'Ambiente, previa acquisizione, tra gli altri, del parere dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica (ora ISPRA) e (articolo 12, comma 3) vietando espressamente (ed in via generale) la reintroduzione, l'introduzione ed il ripopolamento in natura di specie e popolazioni non autoctone.
Il regolamento (CE) 708/2007 dell’11 giugno 2007 “relativo all’impiego in acquacoltura di specie esotiche e di specie localmente assenti”, che si applica a tutti gli organismi esotici e localmente assenti allevati (ad eccezione di alcune specie elencate in Allegato IV tra le quali figura la trota iridea ma non la trota fario) e alla pratica dell’acquacoltura a prescindere dal mezzo acquatico utilizzato, afferma all’articolo 4 che «gli Stati membri provvedono affinché siano adottate tutte le misure atte ad evitare effetti negativi sulla biodiversità, in particolare per quanto riguarda le specie, gli habitat e le funzioni dell’ecosistema, che potrebbero insorgere a seguito dell’introduzione o della traslocazione di organismi acquatici e di specie non bersaglio in acquacoltura e della diffusione di tali specie nell’ambiente naturale». All’articolo 6, paragrafo 1, si afferma, inoltre, che un operatore di acquacoltura che intenda effettuare l’introduzione di una specie esotica o la traslocazione di una specie localmente assente non contemplata nell’Allegato IV, deve chiedere un’autorizzazione all’autorità competente dello Stato membro destinatario.
Al riguardo, si deve evidenziare che la stessa Corte costituzionale ha chiarito, nella sentenza n. 30 del 2009 (che ha accolto il ricorso per conflitto di attribuzione proposto dal Presidente del Consiglio avverso delibera della Regione Veneto, autorizzativa di piani di immissione, in acque di sua competenza, di specie non autoctone, tra cui proprio la trota iridea), che «le disposizioni relative alla introduzione, reintroduzione e ripopolamento di specie animali, in quanto «regole di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema e non solo di disciplina d'uso della risorsa ambientale-faunistica» rientrano nella competenza esclusiva statale di cui, appunto, all'articolo 117, secondo comma, lettera s), Cost.» (recentemente Corte cost. sentenza 288/2012).
La Corte costituzionale, nella sentenza n. 151/2011, con riferimento ad una legge della provincia autonoma di Bolzano, che introduceva deroghe ai divieti che tutelano le specie, animali e vegetali, ha affermato che, «non è consentito alle Regioni ed alle Province autonome di legiferare, puramente e semplicemente, in campi riservati dalla Costituzione alla competenza esclusiva dello Stato, ma soltanto di elevare i livelli di tutela degli interessi costituzionalmente protetti, purché nell’esercizio di proprie competenze legislative, quando queste ultime siano connesse a quelle di cui all’art. 117, secondo comma, Cost. (ex plurimis, sentenza n. 378 del 2007). […] Nel disciplinare in generale la tutela di specie animali, indipendentemente dall’esercizio della caccia e dalla disciplina dei parchi naturali, invade la sfera di competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., che trova applicazione anche nei confronti delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome, in quanto tale materia non è compresa tra le previsioni statutarie riguardanti le competenze legislative, primarie o concorrenti, regionali o provinciali. […]. Risalta in tal modo con chiarezza che la disciplina in questione esula, per sua stessa affermazione, dalla materia della caccia e della pesca, attribuita dallo statuto speciale alle Province autonome, e ricade quindi nell’ambito generale della «tutela dell’ambiente», di competenza esclusiva statale. Pertanto, la competenza generale del Ministero dell’ambiente a concedere le deroghe di cui sopra – stabilita dall’art. 11 del d.P.R. 8 settembre 1997, n. 357 (Regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche) – si estende a tutto il territorio nazionale, senza che per la Provincia di Bolzano possa essere invocato un titolo di competenza speciale. Questa Corte ha peraltro precisato che la disciplina delle deroghe ai divieti imposti per la salvaguardia delle specie protette rientra tra gli standard uniformi e intangibili di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, di esclusiva competenza statale (sentenza n. 387 del 2008). L’uniformità degli standard implica logicamente l’uniformità della loro applicazione, allo scopo di impedire che prassi amministrative diverse possano pregiudicare l’obiettivo della conservazione della fauna in modo equilibrato in tutto il territorio della Repubblica.».
Alla luce delle precedenti considerazioni, l’articolo 72, comma 1, della legge regionale 4/2016 viola l’articolo 117, comma 1, cost. per contrasto con l’articolo 22 della direttiva 92/43/CEE nonché con gli articoli 4 e 6, paragrafo 1, del regolamento 708/2007 e l’articolo 117, comma 2, lett. s) per contrasto con l’articolo 12, comma 3, del d.p.r. 357/1997.
Per i motivi esposti, le norme regionali sopra evidenziate devono essere impugnate ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione.
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