Dettaglio Legge Regionale

Recepimento del Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia approvato con decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380. (10-8-2016)
Sicilia
Legge n.16 del 10-8-2016
n.29 del 19-8-2016
Politiche infrastrutturali
11-10-2016 / Impugnata
La legge della Regione Sicilia n. 16 del 2016, che recepisce il testo unico dell’edilizia approvato con d.p.r. n. 380/2001, presenta profili di illegittimità costituzionale in relazione all’articolo 3, comma 2, lettera f); all’articolo 11, comma 4 , all’articolo 14 e all’articolo 16 per i motivi di seguito specificati. Pertanto, se ne propone l’impugnativa ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione.

In via preliminare, si osserva nello Statuto della Regione Sicilia approvato con R.D.Lgs. 15 maggio 1946, n. 455, convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, attribuisce alla Regione competenza legislativa esclusiva in materia urbanistica. Detta competenza , ai sensi del medesimo articolo 14, comma 1, deve esercitarsi “nei limiti delle leggi costituzionali dello Stato” e deve inoltre rispettare le c.d. “norme di grande riforma economico-sociale” poste dallo Stato nell’esercizio delle proprie competenze legislative (cfr., per lo statuto siciliano, l’art. 14, comma 1, che discorre di «riforme agrarie e industriali»: sulla soggezione della potestà primaria della Regione siciliana alle norme di grande riforma economico-sociale cfr., ad es., le sentt. Corte Costituzionale nn. 21 del 1978, 385 del 1991, 153 del 1995).

Inoltre, si ricorda che la Corte Costituzionale, premesso il carattere “trasversale” della materia “tutela dell’ambiente”, che inevitabilmente comporta ambiti di sovrapposizione rispetto ad altri ambiti di competenza, in più occasioni ha affermato che «la disciplina unitaria e complessiva del bene ambiente inerisce a un interesse pubblico di valore costituzionale primario ed assoluto e deve garantire un elevato livello di tutela, come tale inderogabile da altre discipline di settore» e che pertanto la legislazione statale deve prevalere rispetto a quella dettata dalle Regioni o dalle Province autonome, salvo che queste ultime non intervengano in modo più rigoroso rispetto a quanto previsto dalla normativa statale (cfr. sent. n. 20/2012, n. 191/2011, n. 378/2007; n. 226/2003; n. 536/2002; n. 210/1987; n. 151/1986).

Infine, in relazione alla materia “protezione civile”, considerato che lo Statuto speciale della Regione Siciliana non prevede espressamente detta materia, né nell’elencazione contenuta nell’articolo 14, che riguarda le materie di competenza legislativa esclusiva, né nell’ambito dell’articolo 17 , concernente le materie per le quali è attribuita alla Regione competenza all’emanazione di leggi entro i limiti dei principi ed interessi generali cui si informa la legislazione dello Stato, deve ritenersi, in virtù della clausola di maggior favore contenuta nell’articolo 10 della L.Cost. 18 ottobre 2001, n. 3, che la Regione Siciliana sia titolare di potestà legislativa concorrente nella materia “protezione civile”, competenza deve esercitarsi quindi nel rispetto dei principi fondamentali della materia posti dallo Stato.

Nello specifico, si rilevano i seguenti profili di illegittimità costituzionale:

1) ARTICOLO 3, COMMA 2, LETT. F)

L’articolo 3, comma 2, prevede che «nel rispetto dei medesimi presupposti di cui al comma 1, previa comunicazione anche per via telematica dell'inizio dei lavori, nelle more dell'attivazione delle previsioni di cui all'articolo 17, da parte dell'interessato all'amministrazione comunale, i seguenti interventi possono essere eseguiti senza alcun titolo abilitativo:
[omissis]
f) gli impianti ad energia rinnovabile di cui agli articoli 5 e 6 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, da realizzare al di fuori della zona territoriale omogenea A di cui al decreto ministeriale n. 1444/1968, ivi compresi gli immobili sottoposti ai vincoli del decreto legislativo n. 42/2004. [omissis].
Ai fini che qui rilevano, il comma 1 del suddetto articolo 3 fa salve tutte le prescrizioni relative alle «norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, di quelle relative all'efficienza energetica, di tutela dal rischio idrogeologico nonché delle disposizioni contenute nel decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, della vigente normativa regionale sui parchi e sulle riserve naturali e della normativa relativa alle zone pSIC, SIC, ZSC e ZPS».
La normativa regionale consente, dunque, di realizzare senza alcun titolo abilitativo tutti gli impianti ad energia rinnovabile «di cui agli articoli 5 e 6 del d.lgs. 28/2011», fatto salvo le prescrizioni indicate nel citato comma 1 in cui, però, non vi è alcun riferimento espresso alla disciplina prevista dal d.lgs. 152/2006, concernente la Valutazione di Impatto Ambientale (VIA).
Preme, al riguardo, evidenziare che proprio l’articolo 5 del d.lgs. 28/2011 assoggetta, invece, la costruzione e l'esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili alla procedura per il rilascio dell’autorizzazione unica di cui all’articolo 12 del d.lgs. 387/2003 che fa salva, qualora prevista, l’espletamento della verifica di assoggettabilità a VIA.
Al comma 4 dell’articolo da ultimo citato è disposto, infatti, che detta autorizzazione «è rilasciata a seguito di un procedimento unico, al quale partecipano tutte le Amministrazioni interessate, svolto nel rispetto dei princìpi di semplificazione e con le modalità stabilite dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni e integrazioni. Il rilascio dell'autorizzazione costituisce titolo a costruire ed esercire l'impianto in conformità al progetto approvato e deve contenere, l'obbligo alla rimessa in pristino dello stato dei luoghi a carico del soggetto esercente a seguito della dismissione dell'impianto o, per gli impianti idroelettrici, l'obbligo alla esecuzione di misure di reinserimento e recupero ambientale. Fatto salvo il previo espletamento, qualora prevista, della verifica di assoggettabilità sul progetto preliminare, di cui all'articolo 20 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, il termine massimo per la conclusione del procedimento unico non può essere superiore a novanta giorni, al netto dei tempi previsti dall'articolo 26 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, per il provvedimento di valutazione di impatto ambientale».
Appare, dunque, evidente che l’articolo 3, comma 2, si pone in netto contrasto con quanto previsto dalla normativa nazionale sopra richiamata, assoggettando ad attività di edilizia libera genericamente tutti gli impianti da fonti rinnovabili ed escludendoli tout court, senza una valutazione caso per caso, dalla procedura di screening di cui all’articolo 20 del d.lgs. n.152/2006.
A nulla rileva il richiamo fatto all’articolo 6 del d.lgs. 28/2011 che disciplina la procedura abilitativa semplificata e la comunicazione per gli impianti alimentati da energia in quanto qualora siano «previste autorizzazioni ambientali o paesaggistiche di competenza di amministrazioni diverse dal Comune», la realizzazione e l'esercizio dell'impianto e delle opere connesse devono comunque essere assoggettate all'autorizzazione unica di cui all'articolo 5 o in caso di atti di assenso a conferenza dei servizi.
Conclusivamente, l’articolo 3, comma 2 della legge regionale de qua, contrastando con la normativa statale interposta in materia di tutela dell’ambiente di cui all’articolo 5 d.lgs. 28/2011, all’articolo 12 d.lgs. 387/2003 e all’articolo 20 del d.lgs. 152/2006, eccede dalle competenze statutarie riconosciute alla Regione siciliana dallo Statuto Speciale di autonomia (R.D.L. 15 maggio 1946, n. 455, convertito in legge costituzionale n. 2/1948).

2) ARTICOLO 11

L’articolo 11 della legge regionale in esame, al comma 4, dispone che «[…]Nelle restanti aree interne alle zone omogenee A, ovvero sugli immobili sottoposti ai vincoli del decreto legislativo n. 42/2004, ovvero su immobili ricadenti all'interno delle zone di controllo D di parchi e riserve naturali, ovvero in aree protette da norme nazionali o regionali quali pSIC, SIC, ZSC e ZPS, ivi compresa la fascia esterna di influenza per una larghezza di 200 metri, gli interventi cui è applicabile la segnalazione certificata di inizio attività non possono avere inizio prima che siano decorsi trenta giorni dalla data di presentazione della segnalazione.».
Detto comma consente, dunque, di avviare alcuni interventi, ricadenti nei siti Natura 2000 e nei parchi, decorsi semplicemente 30 giorni dalla presentazione della segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), senza una preventiva valutazione sulle possibili incidenze significative che detto intervento potrebbe avere sul sito stesso.
Fermo restando la contraddittorietà della formulazione del comma 4 in esame con quanto previsto dal comma 1 del medesimo articolo 11 che, invece, consente l’inizio dei lavori solo dopo la «comunicazione da parte dello sportello unico dell’avvenuta acquisizione dei medesimi atti di assenso» necessari all’intervento, si deve evidenziare che il suddetto termine di 30 giorni risulta in contrasto con quanto previsto dall’articolo 5, comma 6, del d.p.r. 357/1997 “Regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche” che stabilisce «Fino alla individuazione dei tempi per l'effettuazione della verifica di cui al comma 5, le autorità di cui ai commi 2 e 5 effettuano la verifica stessa entro sessanta giorni dal ricevimento dello studio di cui ai commi 2, 3 e 4 e possono chiedere una sola volta integrazioni dello stesso ovvero possono indicare prescrizioni alle quali il proponente deve attenersi. Nel caso in cui le predette autorità chiedano integrazioni dello studio, il termine per la valutazione di incidenza decorre nuovamente dalla data in cui le integrazioni pervengono alle autorità medesime.».
Detta disposizione, peraltro, è ribadita dall’articolo 20, comma 3 del d.p.r. 380/2001 al quale fa riferimento proprio il comma 1 dell’articolo 11 in esame.
Pertanto, l’avvio dei lavori, consentito dopo i 30 giorni, in mancanza della “comunicazione da parte dello sportello unico dell'avvenuta acquisizione dei medesimi atti di assenso”, e soprattutto nei casi nei quali l’intervento abbia necessità di acquisire preventivamente la Valutazione di Incidenza, si configura come modalità di superamento dei pareri mediante silenzio-assenso, in palese contrasto con quanto previsto dall’articolo 6 del d.p.r. 357/1997 in attuazione della Direttiva 92/43/CEE.
Alla luce di quanto sopra esposto, l’articolo 11, commi 4 della legge regionale de qua, ponendosi in contrasto con gli obblighi di origine comunitaria di cui alla Direttiva 92/43/CEE e con la normativa statale in materia di tutela dell’ambiente di cui all’articolo 5, comma 6, d.p.r. 357/1997, eccede dalle competenze statutarie riconosciute alla Regione siciliana dallo Statuto Speciale di autonomia (R.D.L. 15 maggio 1946, n. 455,convertito in legge costituzionale n. 2/1948).

3) ARTICOLO 14

L’articolo 14 recepisce nell’ordinamento regionale l’articolo 36 del testo unico dell’edilizia di cui al d.p.r. n. 380/2001, in materia di “accertamento di conformità”. Tale disposizione prevede, al comma 1, che “..il responsabile dell’abuso, o l’attuale proprietario dell’immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della presentazione della domanda”. Al comma 3 prevede che “In presenza della documentazione e dei pareri previsti, sulla richiesta di permesso in sanatoria il dirigente o il responsabile si pronuncia con adeguata motivazione, entro novanta giorni, decorsi i quali la richiesta si intende assentita”.
In proposito, si rappresenta che l’ articolo 36 del dPR n. 380/2001 richiede, ai fini del rilascio del titolo abilitativo in sanatoria, la doppia conformità alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente intesa come conformità dell’intervento sia al momento della realizzazione sia al momento della presentazione della domanda.
La norma regionale in esame sembra invece introdurre una surrettizia forma di condono, andando così ad invadere la competenza legislativa statale. Infatti è evidente la norma regionale rende, di fatto, applicabile l’istituto dell’accertamento di conformità, previsto dal citato articolo 36 del TUE, anche ad interventi che, invece, eseguiti fino alla data di entrata in vigore della medesima L.R., avrebbero dovuto essere realizzati in conformità alla disciplina urbanistica ed edilizia previgente. E ciò con la possibilità, secondo la predetta disciplina regionale, di ottenere il rilascio del titolo abilitativo in sanatoria, nel presupposto che gli interventi “risultano conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della presentazione della domanda”, ossia, nel caso di specie, attraverso una conformità alle nuove disposizioni della LR in commento conseguita ex post.
Giova ricordare che la rigorosa regola statale del rilascio del titolo in sanatoria di cui all’ art. 36 del TUE è volta a sanare violazioni solo “formali”. La “doppia conformità” è riconosciuta a livello giurisprudenziale come principio “finalizzato a garantire l’assoluto rispetto della «disciplina urbanistica ed edilizia» durante tutto l’arco temporale compreso tra la realizzazione dell’opera e la presentazione dell’istanza volta ad ottenere l’accertamento di conformità” (cfr. C. Cost. n. 101/2013; Cons. Stato, IV, n. 32/2013, ove si precisa, tra l’altro che la disciplina urbanistica non ha effetto retroattivo; Cons. Stato, V, n.3220/2013; TAR Umbria n. 590/2014), La “doppia conformità”, è prevista sia per gli interventi realizzati in assenza di permesso di costruire, o in difformità da esso, ovvero in assenza di DIA alternativa o in difformità da essa (art. 36 del dPR n. 380/2001), sia per quelli eseguiti in assenza della o in difformità dalla SCIA (art. 37, co. 4 del dPR n. 380/2001).
In particolare, nella citata sentenza n. 101/2013, la Consulta ha precisato che “Il rigore insito nel principio in questione trova conferma anche nell’interpretazione della giurisprudenza amministrativa, la quale afferma che, ai fini della concedibilità del permesso di costruire in sanatoria, di cui all’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, è necessario che le opere realizzate siano assentibili alla stregua non solo della disciplina urbanistica vigente al momento della domanda di sanatoria, ma anche di quella in vigore all’epoca di esecuzione degli abusi (pronunce del Consiglio di Stato, sezione IV, 21 dicembre 2012, n. 6657; sezione IV, 2 novembre 2009, n. 6784; sezione V, 29 maggio 2006, n. 3267; sezione IV, 26 aprile 2006, n. 2306). In tal senso, la stessa giurisprudenza afferma che la sanatoria in questione – in ciò distinguendosi da un vero e proprio condono – è stata deliberatamente circoscritta dal legislatore ai soli abusi «formali», ossia dovuti alla carenza del titolo abilitativo, rendendo così palese la ratio ispiratrice della previsione della sanatoria in esame, «anche di natura preventiva e deterrente», finalizzata a frenare l’abusivismo edilizio, in modo da escludere letture «sostanzialiste» della norma che consentano la possibilità di regolarizzare opere in contrasto con la disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della loro realizzazione, ma con essa conformi solo al momento della presentazione dell’ istanza per l’accertamento di conformità (citata pronuncia del Consiglio di Stato, sezione IV, 21 dicembre 2012, n. 6657).”
Anche alla stregua delle richiamate stringenti indicazioni giurisprudenziali, la disposizione regionale in commento risulta illegittimamente adottata, avendo l’effetto di legittimare ex post, mediante rilascio del titolo abilitativo in sanatoria ex art. 14 della LR in esame (che recepisce con modifiche l’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001), interventi cui la stessa LR n. 16/2016 non avrebbe potuto essere applicata.
A ciò si aggiunga che la portata del disposto del comma 1 dell’articolo 14 in commento è tale da consentire, in ipotesi, la legittimazione di possibili futuri interventi abusivi attraverso eventuali sopravvenute modifiche favorevoli della normativa urbanistica ed edilizia. Al riguardo, nella sentenza n. 1324/2014, Sez. V, il Consiglio di Stato ha avuto modo di precisare che “risulta del tutto ragionevole il divieto legale di rilasciare una concessione (o il permesso) in sanatoria, anche quando dopo la commissione dell’abuso vi sia una modifica favorevole dello strumento urbanistico.
Tale ragionevolezza risulta da due fondamentali esigenze, prese in considerazione dalla legge:
a) evitare che il potere di pianificazione possa essere strumentalizzato al fine di rendere lecito ex post (e non punibile) ciò che risulta illecito (e punibile);
b) disporre una regola senz’altro dissuasiva dell’intenzione di commettere un abuso, perché in tal modo chi costruisce sine titulo sa che deve comunque disporre la demolizione dell’abuso, pur se sopraggiunge una modifica favorevole dello strumento urbanistico.”.
In conclusione la disposizioni regionali in questione, introducendo fattispecie di condono in relazione ad interventi eventualmente abusivi realizzati prima dell’entrata in vigore della LR n. 16 del 2016 e una sorta di condono “a regime” per interventi in ipotesi abusivi effettuati dopo l’entrata in vigore della stessa, che dovessero risultare sanabili a seguito di ulteriori modifiche alla disciplina urbanistica ed edilizia, travalica la competenza legislativa esclusiva nella materia “urbanistica” attribuita alla Regione Siciliana dallo Statuto di autonomia (cfr. art. 14, comma 1, (lettera f) Testo coordinato dello Statuto speciale della Regione Siciliana approvato con R.D.Lgs. 15 maggio 1946, n. 455 (pubblicato nella G.U. del Regno d'Italia n. 133-3 del 10 giugno 1946), convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2 (pubblicata nella GURI n. 58 del 9 marzo 1948), modificato dalle leggi costituzionali 23 febbraio 1972, n. 1 (pubblicata nella GURI n. 63 del 7 marzo 1972), 12 aprile 1989, n. 3 (pubblicata nella GURI n. 87 del 14 aprile 1989) e 31 gennaio 2001, n. 2 (pubblicata nella GURI n. 26 dell'1 febbraio 2001)”), invadendo la competenza esclusiva statale, atteso che, secondo i consolidati orientamenti della Corte Costituzionale, nella disciplina del condono edilizio converge la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di sanzionabilità e quindi ordinamento penale di cui all’articolo117,comma 2, lettera l) della Costituzione.

Non da ultimo, quale profilo di ulteriore contrasto con la disciplina statale, si rileva che, mentre il comma 3, dell’articolo 36 del dPR n. 380 del 2001, stabilisce che “3. Sulla richiesta di permesso in sanatoria il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale si pronuncia con adeguata motivazione, entro sessanta giorni decorsi i quali la richiesta si intende rifiutata”, ai sensi del comma 3, del richiamato articolo 14 della LR 16 del 2016, “3. In presenza della documentazione e dei pareri previsti, sulla richiesta di permesso in sanatoria il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale si pronuncia con adeguata motivazione, entro novanta giorni decorsi i quali la richiesta si intende assentita.”.
La norma regionale richiamata, dunque, introduce un meccanismo di silenzio assenso che discendeda dal mero decorso del termine di sessanta giorni, laddove l’articolo 36 del citato testo unico stabilisce la contraria regola che, in caso di richiesta di permesso in sanatoria, laddove non intervenga provvedimento motivato entro sessanta giorni, la richiesta si intende rifiutata. Essa incide pertanto su una causa estintiva (art. 45 TU) delle contravvenzioni contemplate dall’articolo 44 collegata di regola all’ottenimento di un provvedimento espresso circa la conformità delle opere realizzate in mancanza del permesso a costruire. Al contrario, in questo caso il giudizio di conformità può essere pretermesso, e l’effetto estintivo è ricollegato al mero silenzio dell’amministrazione. La disposizione incide su una materia riservata con riguardo agli effetti sulla causa estintiva (Art. 117, comma 2, lett. l, Cost) e pertanto eccede dalle competenze statutarie riconosciute alla Regione siciliana dallo Statuto Speciale di autonomia (R.D.L. 15 maggio 1946, n. 455, convertito in legge costituzionale n. 2/1948). La Corte Costituzionale con sentenza n.19 del 2014 ha ribadito il principio, applicabile anche alle Regioni ad autonomia speciale, secondo il quale “nessuna fonte regionale può introdurre nuove cause di esenzione della responsabilità penale, civile o amministrativa, trattandosi di materia non disciplinata dagli statuti di autonomia speciale e riservata alla competenza esclusiva del legislatore statale di cui all'art. 117, secondo comma, lett. l), Costituzione".
La disposizione censurata contrasta altresì con l’articolo 3 della Costituzione, riguardo alle modalità di accertamento della natura esclusivamente formale dell’abuso realizzato, che solo consentirebbe il rilascio postumo del permesso.

4 ) ARTICOLO 16
L’articolo 16 reca “Recepimento con modifiche dell'articolo 94 "Autorizzazione per l'inizio dei lavori" del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380.”
Il comma 1, di tale articolo prevede che: “1. Fermo restando l'obbligo del titolo abilitativo all'intervento edilizio, nelle località sismiche, il richiedente può applicare le procedure previste dall'articolo 32 della legge regionale 19 maggio 2003, n. 7.”. L’articolo 32, della L.R. n. 7 del 2003, richiamato nel comma in questione dispone quanto segue: “1. Al fine di snellire le procedure previste dalla legge 2 febbraio 1974, n. 64, ai sensi dell'articolo 20 della legge 10 dicembre 1981, n. 741 non si rende necessaria l'autorizzazione all'inizio dei lavori prevista ai sensi dell'articolo 18 della suddetta legge 2 febbraio 1974, n. 64.”.
Con specifico riferimento al tema dell'autorizzazione sismica di cui all'art. 94 del TUE, che ne prevede l'obbligo prima dell'inizio dei lavori nelle località sismiche ad eccezione di quelle a bassa sismicità, il Giudice delle leggi, fin dalla sentenza n. 182 del 2006, ha ritenuto che il principio della previa autorizzazione scritta di cui all'indicata disposizione trae il proprio fondamento dall'intento unificatore del legislatore statale, il quale «è palesemente orientato ad esigere una vigilanza assidua sulle costruzioni riguardo al rischio sismico, attesa la rilevanza
del bene protetto, che trascende anche l'ambito della disciplina del territorio, per attingere a valori di tutela dell'incolumità pubblica che fanno capo alla materia della protezione civile, in cui
ugualmente compete allo Stato la determinazione dei principi fondamentali» e, successivamente, nel confermare l'intento unificatore della disciplina statale in tale ambito (sentenza n. 254 del 2010), ha anche ribadito la natura di principio fondamentale in relazione al menzionato art. 94 (sentenza n. 312 del 2010), sottolineando che gli interventi edilizi nelle zone sismiche e la relativa vigilanza fanno parte della materia della protezione civile, oggetto di competenza legislativa concorrente ai sensi dell'art. 117, terzo comma della Costituzione (sentenza n. 201 del 2012).
Successivamente, la Corte Costituzionale, nella citata sentenza n. 101 del 2013, ribadendo orientamenti consolidati con riferimento alla necessità della previa autorizzazione all’inizio lavori per l’esecuzione di interventi edilizi nelle zone sismiche, ha precisato che “Nella sentenza n. 182 del 2006, la Corte ha dichiarato illegittima, per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., una disposizione della legge della Regione Toscana n. 1 del 2005 in considerazione del mancato rispetto, sotto un diverso profilo, di una norma statale di principio prevista dall’art. 94 del d.P.R. n. 380 del 2001 sul controllo delle costruzioni a rischio sismico, nella parte in cui non stabiliva che non si possono iniziare lavori senza preventiva autorizzazione scritta del competente ufficio tecnico della Regione. La disposizione regionale prevedeva, infatti, il semplice preavviso alla struttura regionale competente, senza richiedere la predetta autorizzazione. Più in generale, in questa pronuncia la Corte ha affermato che «l’intento unificatore della legislazione statale è palesemente orientato ad esigere una vigilanza assidua sulle costruzioni riguardo al rischio sismico, attesa la rilevanza del bene protetto, che trascende anche l’ambito della disciplina del territorio, per attingere a valori di tutela dell’incolumità pubblica che fanno capo alla materia della protezione civile, in cui ugualmente compete allo Stato la determinazione dei principi fondamentali». Inoltre, con sentenza n. 201 del 2012, è stata dichiarata l’illegittimità di una disposizione della legge della Regione Molise 9 settembre 2011, n. 25…. Anche in questo caso la Corte ha ribadito che «la normativa regionale impugnata, occupandosi degli interventi edilizi in zone sismiche e della relativa vigilanza, rientra nella materia della protezione civile, oggetto di competenza legislativa concorrente ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost.». Tale inquadramento, recentemente ribadito nella sentenza n. 64 del 2013, era peraltro già stato affermato nelle sentenze n. 254 del 2010 e n. 248 del 2009, in riferimento alla illegittimità di deroghe regionali alla normativa statale per l’edilizia in zone sismiche, ed in relazione al titolo competenziale di tale normativa: la Corte ha ritenuto che essa rientri nell’ambito del governo del territorio, nonché nella materia della protezione civile, per i profili concernenti «la tutela dell’incolumità pubblica» (sentenza n. 254 del 2010).”. Tali rilevanti considerazioni sono state espresse anche nella successiva sentenza della Consulta n. 300 del 2013.

Ciò posto, si osserva che lo Statuto speciale della Regione Siciliana non prevede espressamente la materia della “protezione civile”, né all’interno dell’articolo 14 (materie di competenza legislativa esclusiva), né nell’ambito dell’articolo 17 (materie concernenti la regione per le quali è attribuita competenza all’emanazione di leggi entro i limiti dei principi ed interessi generali cui si informa la legislazione dello Stato). Pertanto, ai sensi dell’articolo 10 della L.Cost. 18 ottobre 2001, n. 3, deve ritenersi che la Regione Siciliana sia titolare di potestà legislativa concorrente nella materia “protezione civile”.

In conseguenza, alla luce delle precise indicazioni del Giudice delle Leggi, si ritiene che la disposizione regionale in argomento, risultando in contrasto con l’articolo 94 del d.P.R. n. 380 del 2001, che, al comma 1, stabilisce che “1. Fermo restando l'obbligo del titolo abilitativo all'intervento edilizio, nelle località sismiche, ad eccezione di quelle a bassa sismicità all'uopo indicate nei decreti di cui all'articolo 83, non si possono iniziare lavori senza preventiva autorizzazione scritta del competente ufficio tecnico della regione.”), sia stata emanata in contrasto con i principi fondamentali stabiliti dalla legislazione statale nella materia “protezione civile e, quindi, in violazione dell’articolo 117, terzo comma della Costituzione.

Lo stesso articolo 16, al comma 3, dispone che “3. Per lo snellimento delle procedure di denuncia dei progetti ad essi relativi, non sono assoggettati alla preventiva autorizzazione scritta del competente ufficio del Genio civile le opere minori ai fini della sicurezza per le costruzioni in zona sismica, gli interventi privi di rilevanza per la pubblica incolumità ai fini sismici e le varianti in corso d'opera, riguardanti parti strutturali che non rivestono carattere sostanziale, in quanto definiti e ricompresi in un apposito elenco approvato con deliberazione della Giunta regionale. Il progetto di tali interventi, da redigere secondo le norme del D.M. 14 gennaio 2008 e successive modifiche ed integrazioni, è depositato al competente ufficio del Genio civile prima del deposito presso il comune del certificato di agibilità.”.
In proposito, si evidenzia che nella già citata sentenza n. 300 del 2013, la Corte Costituzionale ha anche rilevato che “la categoria degli “interventi di limitata importanza statica”, a cui fa riferimento la disposizione regionale impugnata, non è conosciuta dalla normativa statale: non se ne fa menzione nel citato d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), che pure, all’art. 3, è attento a classificare i diversi interventi edilizi all’interno di una specifica tassonomia; né la categoria utilizzata dal legislatore regionale è reperibile nella normativa tecnica, contenuta nel decreto del Ministro delle infrastrutture 14 gennaio 2008 (Approvazione delle nuove norme tecniche per le costruzioni). Dunque, già sotto questo profilo la legislazione regionale si discosta illegittimamente dalla normativa statale rilevante, perché introduce una categoria di interventi edilizi ignota alla legislazione statale.
In ogni caso, il vizio di illegittimità costituzionale si palesa alla luce della risolutiva considerazione che la disposizione impugnata si pone in contrasto con il principio fondamentale che orienta tutta la legislazione statale, che esige una vigilanza assidua sulle costruzioni riguardo al rischio sismico. Infatti, con specifico riferimento al d.P.R. n. 380 del 2001, invocato quale parametro interposto nel presente giudizio, la Corte, nella sentenza n. 182 del 2006, ha affermato che l’«intento unificatore della legislazione statale è palesemente orientato ad esigere una vigilanza assidua sulle costruzioni riguardo al rischio sismico, attesa la rilevanza del bene protetto, che trascende anche l’ambito della disciplina del territorio, per attingere a valori di tutela dell’incolumità pubblica che fanno capo alla materia della protezione civile, in cui ugualmente compete allo Stato la determinazione dei principi fondamentali». Analogo principio è ribadito nella recente sentenza n. 101 del 2013.
Pertanto, benché apparentemente l’impugnato art. 171 introduca una deroga soltanto in relazione a due specifiche previsioni della normativa statale [gli artt. 65 (R) e 93 (R) del d.P.R. n. 380 del 2001], in realtà la sua portata è più radicale e finisce per incidere, compromettendolo, sul principio fondamentale della necessaria vigilanza sugli interventi edilizi in zone sismiche. In ragione di ciò è irrilevante che l’impugnato art. 171 disponga che gli interventi edilizi «di limitata importanza statica» siano esenti soltanto dagli adempimenti di cui agli artt. 65 e 93 del d.P.R. n. 380 del 2001. Il suo effetto sostanziale, infatti, va oltre la deroga ai suddetti artt. 65 e 93 e consiste, piuttosto, nel sottrarre tali interventi edilizi «di limitata importanza statica» ad ogni forma di vigilanza pubblica. Infatti, i citati artt. 65 e 93 prescrivono gli obblighi minimi di segnalazione allo sportello unico, cosicché il legislatore regionale, esentando alcuni tipi di interventi edilizi dall’assolvimento di tali obblighi minimi, in realtà li esenta da qualsivoglia obbligo. La disposizione regionale impugnata consente, dunque, che determinati interventi edilizi in zona sismica siano effettuati senza che la pubblica autorità ne sia portata a conoscenza, precludendo a quest’ultima, a fortiori, qualunque forma di vigilanza su di essi.
Vale la pena ricordare che recentemente l’art. 3, comma 6, del decreto-legge 6 giugno 2012, n. 74 (Interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici che hanno interessato il territorio delle province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia e Rovigo, il 20 e il 29 maggio 2012), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 1° agosto 2012, n. 122, ha consentito – in relazione alle ricostruzioni e riparazioni delle abitazioni private – una deroga esplicita ad una serie di disposizioni, fra le quali gli artt. 93 e 94 del d.P.R. n. 380 del 2001. Tale deroga però, come ha rimarcato questa Corte nella sentenza n. 64 del 2013, è attuata, «non senza significato, proprio con disposizione statale, a conferma della necessità di quell’intervento unificatore più volte richiamato dalla giurisprudenza di questa Corte».”

Alla luce di tali indicazioni, la disposizione regionale in commento che dispone:
- l’esclusione dalla preventiva autorizzazione scritta del competente ufficio del Genio civile per “le opere minori ai fini della sicurezza per le costruzioni in zona sismica, gli interventi privi di rilevanza per la pubblica incolumità ai fini sismici e le varianti in corso d'opera, riguardanti parti strutturali che non rivestono carattere sostanziale, in quanto definiti e ricompresi in un apposito elenco approvato con deliberazione della Giunta regionale”;
- che “Il progetto di tali interventi, da redigere secondo le norme del D.M. 14 gennaio 2008 e successive modifiche ed integrazioni, è depositato al competente ufficio del Genio civile prima del deposito presso il comune del certificato di agibilità”, e, quindi, anche fino all’ultimazione dei lavori e dopo quest’ultima, mentre: l’articolo 65 del TUE stabilisce, al comma 1, che, “1. Le opere di conglomerato cementizio armato, normale e precompresso ed a struttura metallica, prima del loro inizio, devono essere denunciate dal costruttore allo sportello unico, che provvede a trasmettere tale denuncia al competente ufficio tecnico regionale.” e, al comma 3, che alla denuncia preventiva deve essere allegato il progetto; l’articolo 93 del TUE dispone che “1. Nelle zone sismiche di cui all'articolo 83, chiunque intenda procedere a costruzioni, riparazioni e sopraelevazioni, è tenuto a darne preavviso scritto allo sportello unico, che provvede a trasmetterne copia al competente ufficio tecnico della regione, indicando il proprio domicilio, il nome e la residenza del progettista, del direttore dei lavori e dell'appaltatore. 2. Alla domanda deve essere allegato il progetto, ….”, si pone in contrasto con i principi fondamentali nella materia "protezione civile", di cui agli articoli 94, 93 e 65 del d.P.R. n. 380 del 2001 e, quindi, viola l’articolo 117, terzo comma della Costituzione.

Per i motivi esposti le disposizioni regionali sopra indicate devono essere impugnate dinanzi alla Corte Costituzionale ai sensi dell’art. 127 Cost.

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