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Disposizioni per favorire l’economia. Disposizioni varie. (29-9-2016)
Sicilia
Legge n.20 del 29-9-2016
n.43 del 7-10-2016
Politiche economiche e finanziarie
5-12-2016 /
Impugnata
La legge Regione Sicilia n. 20 del 29 settembre 2016 recante “Disposizioni per favorire l’economia. Disposizioni varie” presenta i seguenti motivi di illegittimità costituzionale.
In via preliminare si osserva che lo Statuto della Regione siciliana riconosce, all’art. 14, comma 1, una potestà legislativa primaria in materia di «acque pubbliche, in quanto non siano oggetto di opere pubbliche di interesse nazionale» (lett. i).
Tale considerazione, tuttavia, non vale evidentemente ad affermare che la menzionata competenza primaria possa esplicarsi, così come per tutte le materie indicate nel citato articolo 14, senza alcun limite; viceversa la regione deve rispettare, oltre che, in generale, i precetti costituzionali, anche le c.d. “norme di grande riforma economico-sociale” poste dallo Stato nell’esercizio delle proprie competenze legislative. Tra queste ultime, per quel che qui è di più prossimo interesse, rilevano quelle poste dalla legislazione statale in tema di «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema».
Più precisamente, sono ascritti alla “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema”:
a) «i criteri dell’uso delle acque, in relazione alla finalità di evitare sprechi, favorire il rinnovo delle risorse, garantire i diritti delle generazioni future e tutelare, tra l’altro, “la vivibilità dell’ambiente”» (sent. n. 246 del 2009);
b) le norme volte a garantire il «risparmio della risorsa idrica» (sent. n. 246 del 2009).
La normativa regionale de qua, evidentemente, deve rispettare anche le norme del diritto dell’Unione europea concernenti, in particolare, l’utilizzazione della risorsa idrica, la cui violazione comporterebbe la lesione degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost.
Al riguardo, rileva soprattutto la direttiva 2000/60/CE che stabilisce che «L'acqua non è un prodotto commerciale al pari degli altri, bensì un patrimonio che va protetto, difeso e trattato come tale.» (considerando n. 1). «Come stabilito dall'articolo 174 del trattato, la politica ambientale della Comunità deve contribuire a perseguire gli obiettivi della salvaguardia, tutela e miglioramento della qualità dell'ambiente, dell'utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali, che dev'essere fondata sui principi della precauzione e dell'azione preventiva, sul principio della correzione, anzitutto alla fonte, dei danni causati all'ambiente, nonché sul principio «chi inquina paga». (considerando n. 11). Inoltre, «è opportuno stabilire definizioni comuni di stato delle acque, sotto il profilo qualitativo e anche, laddove ciò si riveli importante per la protezione dell'ambiente, sotto il profilo quantitativo. Si dovrebbero fissare obiettivi ambientali per raggiungere un buono stato delle acque superficiali e sotterranee in tutta la Comunità e impedire il deterioramento dello stato delle acque a livello comunitario» (considerando n. 25). Infine, «È necessario garantire la piena attuazione e applicazione della legislazione vigente in materia ambientale ai fini della protezione delle acque. È indispensabile garantire la corretta applicazione delle disposizioni di attuazione della presente direttiva in tutta la Comunità, prevedendo sanzioni adeguate nelle legislazioni degli Stati membri. Tali sanzioni dovrebbero essere efficaci, proporzionate e dissuasive».(considerando n. 53).
Lo scopo della direttiva è quello di agevolare «un utilizzo idrico sostenibile fondato sulla protezione a lungo termine delle risorse idriche disponibili». (articolo 1, paragrafo 1, lett. b).
Tutto ciò premesso, l’articolo 19 della legge regionale in oggetto dispone che «il termine finale previsto dalle disposizioni di cui al primo periodo dell'articolo 10 del decreto legislativo 12 luglio 1993, n. 275 recepito con modifiche dalla legge regionale 15 marzo 1994, n. 5 è differito al 31 dicembre 2017.».
L’articolo 10, comma 1, primo periodo, del d.lgs. n. 275/1993 dispone che «tutti i pozzi esistenti, a qualunque uso adibiti, ancorché non utilizzati, sono denunciati dai proprietari, possessori o utilizzatori alla regione o provincia autonoma nonché alla provincia competente per territorio, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo».
Detto termine è stato differito al 30 giugno 1995 dall'art. 14, comma 1, d.l. n. 507/1994, dall’art. 28, comma 1, della legge n. 136/1999 e poi, successivamente dalla legge 17 agosto 1999, n. 290 che ha previsto che il termine per la denuncia dei pozzi «è riaperto e fissato in dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge […]» (art. 2, comma 1).
Da ultimo, il d.lgs. n. 152/2006, all’articolo 96, comma 7, ha stabilito, altresì, che «I termini entro i quali far valere, a pena di decadenza, ai sensi degli articoli 3 e 4 del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, il diritto al riconoscimento o alla concessione di acque che hanno assunto natura pubblica a norma dell'articolo 1, comma 1 della legge 5 gennaio 1994, n. 36, nonché per la presentazione delle denunce dei pozzi a norma dell'articolo 10 del decreto legislativo 12 luglio 1993, n. 275, sono prorogati al 31 dicembre 2007.».
La disposizione della legge statale innanzi richiamata costituisce, dunque, una norma di grande riforma economico sociale ed espressione di uno standard di tutela ambientale che deve essere applicato in modo uniforme su tutto il territorio nazionale, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera s), Cost., che affida alla competenza esclusiva dello Stato la legislazione volta alla tutela dell'ambiente.
Al riguardo, la Corte costituzionale ha sottolineato che «il legislatore statale, tramite l’emanazione di tali norme, conserva il potere – anche relativamente al titolo competenziale legislativo «nella materia “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, […] di vincolare la potestà legislativa primaria delle Regioni a statuto speciale» (Corte Cost. n. 238/2013), pertanto, le norme qualificabili come «riforme economico-sociali» si impongono anche alla Regione siciliana ai sensi di quanto prevede l’articolo 14 dello statuto speciale, che limita l’esercizio del potere legislativo primario della Regione, nella materia delle “acque pubbliche”, al rispetto delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali dello Stato.
Pertanto, non è consentito alla Regione siciliana adottare una disciplina difforme da quella contenuta dalle normativa nazionale di riferimento che prevede quale termine ultimo per la denuncia dei pozzi, a pena di decadenza, il 31 dicembre 2007. In altri termini, anche dal punto di vista della gerarchia delle fonti, non è consentito al legislatore regionale prorogare con una legge regionale, un termine indicato, a pena di decadenza, in un decreto legislativo. Peraltro, la previsione di questa ulteriore proroga evidenzia che la Regione siciliana ha accumulato un ritardo di ben 16 anni nell’applicazione della normativa nazionale sopra citata. Il differimento disposto dalla regione, dunque, finisce per configurarsi, in realtà, in una sorta di “condono” generalizzato sulle attività di estrazione dell’acqua, che nel frattempo sono state effettuate in maniera incontrollata, in un arco temporale davvero esteso, potendo determinare potenzialmente danni al buon regime delle acque.
L’articolo 19 della legge regionale de qua, dunque, va a contrastare proprio con gli obiettivi ambientali disposti dalla direttiva 2000/60/CE che mira ad «istituire un quadro per la protezione delle acque superficiali interne, delle acque di transizione, delle acque costiere e sotterranee» volto a garantire un uso razionale e accorto di detta risorsa, nonché a porre in essere azioni dirette ad evitare il deterioramento dello stato delle acque.
Proprio in tal senso l’ulteriore proroga disposta non appare coerente con gli obiettivi di tutela delle acque determinando altresì un’ulteriore prosecuzione del prelievo incontrollato della risorsa.
Dall’applicazione dell’articolo in esame, infine, ne potrebbe discendere un potenziale effetto pregiudizievole per la finanza pubblica in quanto l’articolo 10 del d.lgs. n. 275/1993, ultimo periodo, ricollega all’omessa denuncia: «la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire duecentomila a lire unmilioneduecentomila; il pozzo può essere sottoposto a sequestro ed è comunque soggetto a chiusura a spese del trasgressore allorché divenga definitivo il provvedimento che applica la sanzione. Valgono le disposizioni della legge 24 novembre 1981, n. 689», sanzioni che, con la proroga del termine, sarebbero di fatto non irrogabili.
Alla luce di quanto sopra esposto, l’articolo 19 della legge della Regione siciliana si pone in contrasto con gli articoli 11 e 117, comma 1, cost. per violazione della direttiva 2000/60 considerando 1, 11, 25, 53 nonché articolo 1, paragrafo 1, lett. b) e l’articolo 117, comma 2, lett. s), Cost. per violazione della normativa interposta di cui all’articolo 10, comma 1, d.lgs. n. 275/1993, all’articolo 14, comma 1, decreto legge n. 507/1994, articolo 28, comma 1, della legge n. 136/1999, art. 2, comma 1, della legge 17 agosto 1999, n. 290 e articolo 96, comma 7, del d.lgs. n. 152/2006.
Per i motivi esposti, si ritiene di proporre l’impugnativa dinanzi alla Corte Costituzionale della legge della Regione siciliana n. 20 del 2016, limitatamente alla disposizione sopra indicata.
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