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Disposizioni collegate alla legge di stabilità della Regione Liguria per l’anno finanziario 2024 (Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione 2024-2026).
(28-12-2023)
Liguria
Legge n.20 del 28-12-2023
n.17 del 30-12-2023
Politiche economiche e finanziarie
26-2-2024 /
Impugnata
La legge regionale n. 20 del 28 dicembre 2023, recante “Disposizioni collegate alla legge di stabilità della Regione Liguria per l’anno finanziario 2024 (Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione 2024-2026)”, presenta i seguenti profili di illegittimità costituzionale.
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L'articolo 47, comma 1, risulta illegittimo laddove prevede che fino al 2025 i dirigenti sanitari dipendenti dal SSR, che abbiano optato per l'esercizio dell'attività libero professionale intramuraria (ALPI), possono operare anche nelle strutture sanitarie private accreditate, anche parzialmente, con il SSR.
La norma regionale non è in linea con l'art. 1, comma 4, della legge n. 120/2007 che stabilisce che l’ALPI viene esercitata in strutture ambulatoriali interne o esterne all'azienda sanitaria, pubbliche o private non accreditate, con le quali l'azienda stipula apposita convenzione.
Il legislatore regionale, invece, di fatto amplia l'ambito di operatività dell'ALPI consentendone Io svolgimento anche in strutture sanitarie private accreditate, sia pure parzialmente con il SSN, in tal modo tradendo la logica restrittiva ispiratrice della disciplina statale.
A livello statale, l’ALPI è oggetto di una rigorosa disciplina puntuale, per assicurare che l’ALPI venga erogata nel rispetto dell'equilibrio tra attività istituzionali e libero-professionali.
La medesima esigenza ispira la disciplina concernente la "intramoenia allargata" (ALPI svolta in spazi sostitutivi fuori dall'azienda); tutte le disposizioni che l'hanno consentita, infatti, hanno sottolineato l'eccezionalità e la transitorietà dell'utilizzo di spazi sostitutivi fuori dell'azienda e, in alternativa, degli studi professionali.
Dal canto suo l’art. 1 comma 2 della legge n. 120/2007 ha ribadito l'autorizzazione all'utilizzo, in via straordinaria e previa autorizzazione aziendale, del proprio studio professionale per l'esercizio dell'ALPI, fissando termini temporali (più volte prorogati) per la cessazione del regime straordinario.
Né indicazioni di segno diverso sono desumibili dal decreto legge n. 158/2012 che ha precisato aspetti già precedentemente normati e, nel disporre che la ricognizione straordinaria degli spazi da dedicare all’ALPI deve essere completata entro il 31 dicembre 2012, ha chiarito che gli spazi ambulatoriali potranno essere acquisiti anche tramite l'acquisto o la locazione presso strutture sanitarie autorizzate, ma pur sempre non accreditate, nonché tramite la stipula di convenzioni con altri soggetti pubblici.
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È illegittimo, altresì, il successivo comma 2 dell'art. 47 laddove prevede che, in via transitoria e per ridurre le liste di attesa, le aziende sanitarie, gli enti e gli istituti del SSR sono autorizzati fino al 2025 ad acquisire dai propri dipendenti della dirigenza sanitaria a rapporto di lavoro esclusivo, in forma individuale o in equipe, prestazioni sanitarie in regime di libera professione intramuraria ai sensi della n. 120/2007 "anche con le modalità di cui al comma 1".
La disposizione segnalata non è in linea con la disciplina statale sopra richiamata in materia di ALPI e, in particolare, con l'articolo 15-quinquies, comma 2, del decreto legislativo n. 502/1992 e con le disposizioni della legge n. 120/2007, che non prevedono la possibilità per le aziende del SSN di acquistare prestazioni rese in regime di ALPI dai propri dirigenti sanitari.
Ed infatti, la libera professione intramuraria - come disciplinata a livello statale - è caratterizzata dalla scelta diretta da parte dell'utente del singolo professionista cui viene richiesta la prestazione, con oneri a carico dell'assistito stesso.
Quanto poi alla possibilità di acquistare le prestazioni stesse presso strutture private accreditate, secondo il disposto del comma 1 dell'art. 47, si ribadiscono anche per il comma 2 le considerazioni già espresse in precedenza.
Risulta illegittimo, infine, anche il comma 3 dell’art. 47, funzionalmente collegato al precedente comma 2.
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Per costante giurisprudenza, le norme attinenti allo svolgimento dell’attività professionale intramuraria, “sebbene si prestino ad incidere contestualmente su una pluralità di materie (e segnatamente, tra le altre, su quella della organizzazione di enti ‘non statali e non nazionali’)”, vanno “comunque ascritte, con prevalenza, a quella della ‘tutela della salute”, rilevando, in tale prospettiva, “la stretta inerenza che tutte le norme de quibus presentano con l’organizzazione del servizio sanitario regionale e, in definitiva, con le condizioni per la fruizione delle prestazioni rese all’utenza, essendo queste ultime condizionate, sotto molteplici aspetti, dalla capacità, dalla professionalità e dall’impegno di tutti i sanitari addetti ai servizi, e segnatamente di coloro che rivestono una posizione apicale” (sentenze n. 181/2006 e n. 50/2007; sentenze nn. 54/2015; 301/2013; 371/2008).
Che la generalità degli aspetti che riguardano l’ALPI siano da ricondursi alla tutela della salute lo si evince anche dal fatto che ad avviso della stessa Corte Costituzionale (ex plurimis sentenza n. 437/2005) le disposizioni statali che, lasciando ampia discrezionalità a Regioni e Province autonome circa le iniziative reputate più idonee, devono assicurare gli interventi di ristrutturazione edilizia presso le strutture sanitarie pubbliche, occorrenti per predisporre i locali da destinare allo svolgimento dell’ALPI, partecipano dello stesso carattere di normativa di principio da riconoscere alla normativa che prevede la «facoltà di scelta tra i due regimi di lavoro dei dirigenti sanitari (esclusivo e non esclusivo)».
Si tratta, infatti, di disposizioni che, essendo dirette ad assicurare che l’opzione compiuta dal sanitario in favore del rapporto di lavoro esclusivo non resti priva di conseguenze – in termini di concrete possibilità di svolgimento dell’ALPI – sono anche esse «espressione di un principio fondamentale, volto a garantire una tendenziale uniformità tra le diverse legislazioni ed i sistemi sanitari delle Regioni e delle Province autonome in ordine ad un profilo qualificante del rapporto tra sanità ed utenti» (sentenze nn. 371/2008; 50/2007).
Nella medesima prospettiva, nella sentenza n. 54/2015, sulla base del principio secondo cui le disposizioni che disciplinano l’attività intramuraria “rappresentano un elemento tra i più caratterizzanti nella disciplina del rapporto fra personale sanitario ed utenti del Servizio sanitario, nonché della stessa organizzazione sanitaria” (sentenze nn. 371/2008; 50/2007), è stato affermato che anche la disciplina del profilo soggettivo dell’attività intramoenia riveste la natura di principio fondamentale della materia, in quanto è volta a definire uno degli aspetti più qualificanti dell’organizzazione sanitaria, ovverosia quello della individuazione dei soggetti legittimati a svolgere la libera professione all’interno della struttura sanitaria, il quale richiede una disciplina uniforme sull’intero territorio nazionale.
Alla luce dei principi giurisprudenziali sopra sinteticamente richiamati, con l’art. 47, il legislatore regionale ha esorbitato dall’ambito riservato alla legislazione regionale, violando l’art. 117, terzo comma, Cost, in materia di tutela della salute.
Inoltre, la disciplina regionale, laddove estende la possibilità di esercitare l’attività libero professionale alle strutture accreditate, configura una violazione delle norme contrattuali, che sono ascrivibili alla materia di competenza esclusiva statale dell’ordinamento civile ex art. 117, secondo comma Cost. lett. l).
In tal senso, si evidenzia che nel recente CCNL del 23 gennaio 2024 della Dirigenza medica, l’art. 89 comma 1, lettera c), stabilisce che “l’esercizio dell’attività libero professionale avviene al di fuori dell’impegno di servizio e si può svolgere nelle seguenti forme: (..omissis..)...
c) partecipazione ai proventi di attività professionale richiesta a pagamento da singoli utenti e svolta individualmente o in equipe, in strutture di altra azienda del SSN o di altra struttura sanitaria non accreditata, previa convenzione con le stesse”.
Al riguardo, per quanto attiene alla disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici, la giurisprudenza della Corte costituzionale ha affermato che tale tematica “rientra nella materia «ordinamento civile», attribuita in via esclusiva al legislatore statale dall’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.” (sentenze n. 146, n. 138 e n. 10/2019). Ciò comporta che le Regioni non possono alterare le regole che disciplinano tali rapporti privati (ex multis, sentenza n. 282/2004; sentenza Corte Cost. 190/2022).
In particolare, la Corte Costituzionale, con sentenza n. 153/2021, ha sottolineato che le disposizioni regionali che incidono su rapporti di lavoro già sorti, determinandone in maniera minuta, e con effetti immediati, aspetti essenziali e qualificanti, in modo difforme dalla disciplina contrattuale possono realizzare una indebita sostituzione della fonte di disciplina del rapporto di lavoro individuata dalla legge statale nella contrattazione collettiva (ai sensi art. 2, comma 3, del decreto legislativo n. 165/2001).
Infine, la disciplina regionale de qua frustra le esigenze di uniformità sottese alla disciplina statale dell’ALPI, dando luogo ad una irragionevole disparità di trattamento rispetto al personale sanitario medico che opera in altre regioni, ed in ciò violando il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost.
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Per questi motivi, la legge regionale, limitatamente alle disposizioni sopra indicate, deve essere impugnata di fronte alla Corte costituzionale ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione.
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