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Applicazione della convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali (13-12-2016)
Veneto
Legge n.28 del 13-12-2016
n.120 del 13-12-2016
Politiche socio sanitarie e culturali
10-2-2017 /
Impugnata
La Legge regionale del Veneto 13 dicembre 2016, n. 28, recante “Applicazione della convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali”, presenta profili d’illegittimità costituzionale.
L’art. 1 della legge regionale in oggetto stabilisce, al comma 1, che al “popolo veneto” spettano i diritti di cui alla “Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali” del Consiglio d’Europa, ratificata con legge 28 agosto 1997, n. 302.
Lo stesso art.1 inoltre, al comma 2, definisce il ‘popolo veneto’ come “minoranza nazionale veneta” e stabilisce che “fanno parte della minoranza nazionale veneta anche quelle comunità legate storicamente e culturalmente o linguisticamente al popolo veneto anche al di fuori del territorio regionale” e, al comma 3, che il “popolo veneto” comprende, altresì, le comunità etnico-linguistiche cimbre e ladine, già riconosciute ai sensi della legge regionale n. 73 del 1994, (Promozione delle minoranze etniche e linguistiche del Veneto).
L’art. 2, che individua l’ambito di applicazione della legge in oggetto, escludendo oneri a carico della regione, e l’art. 4, concernente il finanziamento della legge in oggetto, pongono poi a carico dello Stato le spese derivanti dall’applicazione della legge.
Tali norme regionali, nonché le altre norme contenute nella legge in esame ad esse inscindibilmente connesse, esulano dagli ambiti di competenza legislativa che l’articolo 117, terzo e quarto comma, della Costituzione assegna alle Regioni e sono incostituzionali per i seguenti motivi:
a) esse violano l’art. 6 della Costituzione, secondo il quale “La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche”, nonché gli artt. 80 e 117 secondo comma, lett. a), della Costituzione, che riservano alla legislazione statale l’attuazione dei trattati e delle convenzioni internazionali e i rapporti internazionali dello Stato.
Il legislatore regionale, infatti, ha esercitato il proprio potere normativo per individuare e qualificare una autonoma “minoranza nazionale” connotata da specifiche caratteristiche etnico-linguistiche e da particolari legami storici e culturali con il Veneto, anche al di fuori dei confini territoriali regionali, ma tale prerogativa, come di seguito precisato, è di pertinenza esclusiva del legislatore statale.
Premesso che la Convenzione europea ha come referente primario lo Stato, ai sensi dell’art. 80 e dell’art. 117, secondo comma, lett. a), della Costituzione, e che pertanto la legge regionale non può in alcun modo disporre in merito alla sua applicazione, la tutela delle minoranze costituisce un principio fondamentale dell’ordinamento costituzionale vigente ed è espressione, da un lato, del pluralismo riconosciuto dall’articolo 2 della Costituzione, dall’altro del principio di uguaglianza, espresso dal successivo articolo 3, che vieta discriminazioni in ragione, tra l’altro, della razza, della lingua, della religione.
In particolare nella Costituzione il termine «minoranze» è utilizzato in relazione alle «minoranze linguistiche», ed è nell’articolo 6 che si trova l’impegno della Repubblica ad assicurare loro una particolare tutela tramite apposite norme al fine di garantire l’effettiva partecipazione degli appartenenti a tali minoranze alla vita collettiva del Paese, attraverso l’esercizio di alcuni diritti quali l’uso della lingua minoritaria nelle relazioni istituzionali, il diritto all’istruzione anche in quella lingua, il sostegno alla cultura della minoranza.
Il riferimento alla “Repubblica” come soggetto al quale l’articolo 6 attribuisce testualmente la titolarità del potere normativo in questione ha portato la giurisprudenza costituzionale ad affermare che in tema di tutela delle minoranze linguistiche, il predetto articolo 6 “genera un modello di riparto delle competenze fra Stato e Regioni che non corrisponde alle ben note categorie previste per tutte le altre materie nel Titolo V”.
Infatti “il legislatore statale appare titolare di un proprio potere di individuazione delle lingue minoritarie protette, delle modalità di determinazione degli elementi identificativi di una minoranza linguistica da tutelare, nonché degli istituti che caratterizzano questa tutela, frutto di un indefettibile bilanciamento con gli altri legittimi interessi coinvolti ed almeno potenzialmente confliggenti” (Corte Cost. sent. n. 159/2009).
Tale potere è stato declinato nella legge n. 482/1999 (“Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche”) che si auto-qualifica come attuativa dell’articolo 6 della Costituzione e che individua in maniera tassativa il novero delle minoranze linguistiche storiche ammesse a tutela (art. 2).
Al legislatore regionale residua un limitato potere normativo in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche che, per come precisato dalla Corte Costituzionale deve svolgersi “sempre nel pieno rispetto di quanto determinato in materia dal legislatore statale” (Corte Cost. sentenze n. 312/1983, n. 159/2009) e certamente non può arrivare al punto di identificare e tutelare – ad ogni effetto – una propria “lingua” regionale o altre proprie “lingue” minoritarie.
Le norme regionali sopra menzionate che definiscono la popolazione veneta come “minoranza nazionale veneta” pertanto violano l’art. 6 Cost. (secondo il quale “La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche”) nell’attuazione e nell’interpretazione ad esso data rispettivamente dalla l. n. 482/99 e dalla giurisprudenza costituzionale.
In particolare tali norme regionali contrastano con l’art. 2 della legge 15 dicembre 1999, n. 482 (“Norme a tutela delle minoranze linguistiche e storiche”) che, “in attuazione dell’articolo 6 della Costituzione”, stabilisce il numero e il tipo delle minoranze linguistiche storiche da tutelare, prevedendo che : “ la Repubblica tutela la lingua e la cultura delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo” e non ricomprende quindi tra le minoranze linguistiche ritenute meritevoli di tutela la lingua e la cultura della popolazione veneta.
Dette norma regionali contrastano inoltre con la giurisprudenza costituzionale, che pone in capo al legislatore statale la titolarità del potere d’individuazione delle lingue minoritarie protette, delle modalità di determinazione degli elementi identificativi di una minoranza linguistica da tutelare, nonché degli istituti che caratterizzano questa tutela.
La Corte Costituzionale, infatti, pronunciatasi in ordine a tale materia ha affermato, con sentenza n. 170/2010, che la Regione non può configurare la propria comunità come minoranza, poiché la suddivisione politico-amministrativa della Repubblica non può automaticamente considerarsi corrispondente ad una ripartizione del popolo in sue frazioni. Secondo la Corte, infatti, non può essere riconosciuto alle regioni “il potere autonomo e indiscriminato di identificare e tutelare – ad ogni effetto – una propria “lingua” regionale o altre proprie “lingue” minoritarie, anche al di là di quanto riconosciuto e stabilito dal legislatore statale. Né, tanto meno, può consentire al legislatore regionale medesimo di configurare o rappresentare, sia pure implicitamente, la “propria” comunità in quanto tale – solo perché riferita, sotto il profilo personale, all’ambito territoriale della propria competenza – come “minoranza linguistica”, da tutelare ai sensi dell’art. 6 Cost: essendo del tutto evidente che, in linea generale, all’articolazione politico-amministrativa dei diversi enti territoriali all’interno di una medesima più vasta, e composita, compagine istituzionale non possa reputarsi automaticamente corrispondente – né, in senso specifico, analogamente rilevante – una ripartizione del “popolo”, inteso nel senso di comunità “generale”, in improbabili sue “frazioni”.
b) Le norme regionali in esame violano inoltre gli artt. 5 e 114 della Costituzione. E’ da rilevare infatti che il concetto di "minoranze nazionali" viene generalmente adottato per definire - attraverso dati di carattere storico e con riferimento a tradizioni, costumi, vicende politiche - quei gruppi demici presenti nel territorio di uno Stato non coincidenti con la prevalente comunità o con la maggioranza etnica-linguistica che lo compone. Tale concetto può essere identificato, secondo quanto stabilito dagli stati dell'Iniziativa centro-europea riunitasi a Roma nel 1994, in quello di un "gruppo che è più piccolo numericamente rispetto al resto della popolazione, i cui membri, fatti cittadini dello Stato, sono portatori di valori etnici, religiosi, o linguistici, differenti da quelli del resto della popolazione, e sono spinti a salvaguardare la loro cultura, le loro tradizioni, la loro religione e la loro lingua".
Conseguentemente il "popolo veneto" non può definirsi dotato di diritto di una identità nazionale distinta e autonoma rispetto a quella nazionale del popolo italiano, in quanto quest'ultimo è già di per se stesso esito e sintesi dell'insieme di identità regionali, a cui corrispondono enti rappresentativi e costitutivi, per espressa previsione costituzionale, della Repubblica; in altri termini, non può non considerarsi che lo Stato italiano ha da subito riconosciuto le diverse identità culturali e linguistiche presenti nel territorio attraverso il riconoscimento della necessità di istituire uno Stato regionale.
La legge in esame pertanto, qualificando la popolazione del Veneto come “minoranza nazionale”, costituisce espressione di una concezione dei rapporti tra Stato e Regione che è del tutto estranea al regionalismo previsto nel nostro sistema costituzionale, nel quale gli artt. 5 e 114 Cost. definiscono lo spazio lasciato dalla Repubblica alle regioni come ‘autonomia’.
L’ordinamento repubblicano è fondato infatti su principi che includono il pluralismo sociale e istituzionale e l’autonomia territoriale, ma detti principi debbono svilupparsi nella cornice dell’unica Repubblica che, secondo l’art. 5 della Costituzione, è una e indivisibile e riconosce e promuove le autonomie locali.
Pertanto poiché, secondo la costante giurisprudenza costituzionale, pluralismo e autonomia non consentono alle Regioni di qualificarsi in termini diversi da quelli stabiliti dalla Costituzione, qualsiasi sovvertimento istituzionale che sia incompatibile con il principio di unità della repubblica di cui all’art. 5 Cost, come quello di qualificare come “minoranza nazionale” la popolazione di una regione, si pone in contrasto con tale ultimo articolo, nonché con l’art. 114 della Costituzione.
In particolare l’art. 2 della legge regionale in esame, riguardante l’ambito di applicazione della legge in oggetto, travalica i limiti delle competenze regionali in quanto prevede che la Regione possa stabilire i criteri e le modalità di attuazione della Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali, rispetto a tutti gli ambiti dalla stessa considerati. La tutela di tali minoranze nazionali infatti, come sopra detto, non può che essere affidata, ai sensi dei menzionati artt. 80 e 117, secondo comma, lett. a), della Costituzione, al legislatore statale per l'attuazione della convenzione quadro e quindi per la definizione degli indicatori e dei criteri per il riconoscimento dello status di minoranza nazionale. Pertanto la legge regionale nel disporre in merito alla sua applicazione, e imponendo obblighi giuridici, amministrativi e finanziari in capo all'autorità statale, come stabilisce l’art. 4, eccede dalle competenze attribuite alle regioni dall’art. 117, terzo e quarto comma e viola i principi costituzionali menzionati ai punti a) e b).
c) Con specifico riferimento al menzionato art. 4 della legge in esame, secondo il quale “ Le spese relative all'attuazione della presente legge nel territorio regionale sono a carico e deliberate da ciascuna amministrazione centrale o periferica chiamata ad attuarla”, è da rilevare che esso è costituzionalmente illegittimo, oltre che per i motivi sopra illustrati, sotto il seguente duplice aspetto:
- tale articolo, ponendo a carico del bilancio dello Stato gli oneri, peraltro non quantificati, conseguenti all’attuazione della legge regionale in esame, viola il principio stabilito dall’art. 81, quarto comma, Cost., secondo il quale le spese sostenute dallo Stato sono stabilite esclusivamente con legge dello Stato. Esso invade altresì le competenze statali riguardanti l’organizzazione amministrativa e il sistema contabile dello Stato di cui all’art 117, secondo comma, lett.g) e lett. e), ledendo anche il principio di sussidiarietà di cui all’art. 118;
- la menzionata disposizione regionale, configurando oneri anche a carico del bilancio regionale, senza quantificarne l’entità e senza fornire l’indicazione della relativa copertura finanziaria, viola il principio di cui all'articolo 81, terzo comma, Cost., secondo il quale “ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte”.
Per i motivi esposti si ritiene che le disposizioni sopra menzionate, nonché l’intera legge regionale avente contenuto normativo del tutto omogeneo, debbano essere impugnate dinanzi alla Corte Costituzionale ai sensi dell’art. 127 Cost.
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