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Norme per la valorizzazione della sentieristica e della viabilità minore (20-1-2017)
Campania
Legge n.2 del 20-1-2017
n.7 del 20-1-2017
Politiche infrastrutturali
10-3-2017 /
Impugnata
La legge della Regione Campania n. 2/2017, recante «Norme per la valorizzazione della sentieristica e della viabilità minore, presenta profili di illegittimità costituzionale con riferimento a varie disposizioni, e deve pertanto essere impugnata ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione.
Occorre premettere che la legge in esame prevede l’istituzione, l’individuazione e la definizione delle modalità di gestione di una rete escursionistica nel territorio regionale (REC-Rete Escursionistica Campana) «costituita da sentieri di interesse europeo, inserita nella rete europea della European Ramblers Association ed interregionale, ovvero la rete primaria dei sentieri, e sentieri di interesse regionale, ed i sentieri anche rurali così come individuati dalla Consulta Regionale» (art. 4, comma 3). Tale rete interessa tutto il territorio regionale, compreso quello ricadente nei parchi nazionali e nelle altre aree protette, nazionale e regionali. La legge n. 2 del 2017, inoltre, disciplina le funzioni normative ed amministrative inerenti la REC.
La normativa contenuta nella legge in esame è gravemente lesiva delle funzioni che la legge attribuisce agli Enti Parco e ai soggetti gestori delle altre aree protette esistenti nel territorio regionale, inoltre, contrasta con importanti norme della legislazione statale ascrivibili alla competenza esclusiva in tema di “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema”.
A questo proposito pare utile ricordare come in Campania siano presenti, ad oggi, due diversi parchi nazionali (il “Parco Nazionale del Vesuvio” e il “Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni”), sono inoltre presenti alcune Riserve Naturali Statali, nonché alcuni Parchi regionali.
La giurisprudenza costituzionale ha chiarito che la «materia delle aree protette» statali e regionali, di cui la legge n. 394 del 1991 rappresenta la disciplina fondamentale, è ascrivibile all’«esercizio della competenza esclusiva in materia di tutela dell’ambiente, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.» (tra le altre, cfr. le sentt. n. 20 e n. 315 del 2010; n. 44 del 2011). La Regione, dunque, può esercitare le proprie funzioni legislative anche quando incidano su tale sfera, ma «senza potervi derogare», potendo viceversa «determinare, sempre nell’àmbito delle proprie competenze, livelli maggiori di tutela» (sentenze n. 193 del 2010 e n. 61 del 2009; sent. n. 44 del 2011). Più nello specifico, la giurisprudenza costituzionale ha chiarito che «il territorio dei parchi, siano essi nazionali o regionali, ben (possa) essere oggetto di regolamentazione da parte della Regione, in materie riconducibili ai commi terzo e quarto dell’art. 117 Cost., purché in linea con il nucleo minimo di salvaguardia del patrimonio naturale, da ritenere vincolante per le Regioni» (sentt. nn. 232 del 2008 e 44 del 2011). Il Giudice costituzionale, inoltre, ha avuto modo di precisare che «la disciplina statale delle aree protette, che inerisce alle finalità essenziali della tutela della natura attraverso la sottoposizione di porzioni di territorio soggette a speciale protezione», risponde a tali finalità per mezzo di due differenti tipi di strumenti: la regolamentazione sostanziale delle attività che possono essere svolte in quelle aree, come le «limitazioni all’esercizio della caccia» (sentenza n. 315 del 2010, n. 44 del 2011), e la «predisposizione di strumenti programmatici e gestionali per la valutazione di rispondenza delle attività svolte nei parchi, alle esigenze di protezione della flora e della fauna» (sentenza n. 387 del 2008, n. 44 del 2011). Ebbene, la legge regionale Campania n. 2/2017 presenta profili di contrasto con strumenti dell’uno e dell’altro tipo tra quelli predisposti dalla legislazione statale, e dunque deve ritenersi costituzionalmente illegittime nelle parti e per i motivi di seguito illustrati.
1). Illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 2, nella parte in cui non prevede che la funzione di pianificazione degli interventi di recupero e valorizzazione del patrimonio escursionistico regionale debba essere esercitata – nei casi in cui interessi aree rientranti in Parchi nazionali – in conformità al Piano del Parco ed al Regolamento del Parco, nonché alle misure di salvaguardia eventualmente dettate dal provvedimento istitutivo, per violazione degli artt. 117, secondo comma, lett. s), e sesto comma, nonché dell’art. 118, primo e secondo comma, in riferimento agli artt. 8, 11 e 12 della legge n. 394/1991.
Ai sensi dell’art. 4 della legge censurata «la pianificazione è lo strumento di indirizzo e di programmazione per individuare gli interventi di recupero e valorizzazione del patrimonio escursionistico regionale, come stabilito agli articoli 2, 3 e 4 del Protocollo d'Intesa sottoscritto tra il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (MiBACT) e Club Alpino Italiano (CAI) in data 30 ottobre 2015» (comma 1). In base al comma 2 del medesimo art. 4, inoltre, «la pianificazione degli interventi di recupero e valorizzazione del patrimonio escursionistico regionale si sviluppa con il contributo delle autonomie locali, nel rispetto dei principi di autonomia, sussidiarietà, differenziazione, adeguatezza e leale collaborazione, di cui all'articolo 3 dello Statuto della Regione Campania».
Al riguardo occorre ricordare come l’art. 11 della legge n. 394 del 1991 affidi al regolamento del Parco il compito di disciplinare «l’esercizio delle attività consentite entro il territorio del Parco» (comma 1), precisando inoltre come il medesimo debba regolare «la tipologia e le modalità di costruzione di opere e manufatti», «il soggiorno e la circolazione del pubblico con qualsiasi mezzo di trasporto», «lo svolgimento di attività sportive, ricreative ed educative», «i limiti alle emissioni sonore, luminose o di altro genere», nonché «l’accessibilità nel territorio del parco attraverso percorsi e strutture idonee per disabili, portatori di handicap e anziani». Il successivo art. 12, inoltre, prevede che «la tutela dei valori naturali ed ambientali» del Parco avvenga attraverso lo strumento del Piano per il Parco, nel quale dovrà essere pianificata – tra l’altro – l’«organizzazione generale del territorio e sua articolazione in aree o parti caratterizzate da forme differenziate di uso, godimento e tutela» e i «sistemi di attrezzature e servizi per la gestione e la funzione sociale del parco, musei, centri di visite, uffici informativi, aree di campeggio, attività agroturistiche» (comma 1). A questo fine il Piano è chiamato a suddividere il territorio in base al diverso grado di protezione, giungendo fino alla identificazione di «riserve integrali nelle quali l'ambiente naturale è conservato nella sua integrità» (comma 2).
Ebbene, nella parte in cui le disposizioni regionali sopra richiamate non prevedono che le attività della Regione sopra illustrate destinate ad interessare il territorio dei Parchi nazionali debbano svolgersi in conformità al Regolamento ed al Piano di ciascun Parco, si pongono in contrasto con le norme della legge n. 394 del 1991 sopra richiamate. Così facendo, peraltro, contrastano innanzi tutto con l’art. 117, secondo comma, lett. s), Cost., poiché, come si è visto più sopra, incidono sul nucleo di salvaguardia predisposto dalla legge statale, in esercizio della propria competenza esclusiva in materia di “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema”, con riferimento ad una particolare categoria di aree protette. Analoghe conclusioni, ancora, devono raggiungersi per la mancata previsione della conformità alle «misure di salvaguardia» eventualmente dettate, ai sensi dell’art. 8, comma 5, della medesima legge, fino alla entrata in vigore della specifica disciplina dell’area protetta. La mancata previsione della conformità al regolamento del Parco, d’altra parte, implica anche la violazione dell’art. 117, sesto comma, Cost., poiché comporta la lesione della potestà regolamentare in una materia di competenza legislativa esclusiva statale, nella specie destinata ad essere esercitata, in base al citato art. 11 della legge n. 394 del 1991, dagli Enti Parco. Infine, la possibilità che l’attività gestionale e organizzatoria regionale si esplichi in difformità dal Piano del Parco comporta a sua volta la lesione dell’art. 118, primo e secondo comma, Cost., dal momento che in tal modo si pregiudica una funzione amministrativa di tipo programmatorio affidata dalla legge statale in una materia di propria competenza, ad un ente pubblico nazionale quale l’Ente Parco.
2). Illegittimità costituzionale dell’art. 7 nella parte in cui è volto a disciplinare anche porzioni della rete escursionistica campana incluse nel territorio dei Parchi nazionali, per violazione degli artt. 117, secondo comma, lett. s), e sesto comma, nonché dell’art. 118, primo e secondo comma, in riferimento agli artt. 1, comma 3, 9, 11 e 12 della legge n. 394/1991.
L’art. 7 della legge regionale disciplina la viabilità minore di uso privato, prevedendo che «se nella rete escursionistica è inclusa anche la viabilità minore, esterna ai centri abitati, di esclusivo uso privato ovvero non soggetta a servitù di passaggio di uso pubblico, l'accesso e il transito sono consentiti ai soli escursionisti motorizzati con mezzi di modeste dimensioni per esclusive esigenze di trasporto di portatori di handicap o di approvvigionamento o conduzione agricola e a condizione che gli stessi non si trattengono a bivacco, non abbandonano rifiuti, non molestano il bestiame e non danneggiano colture ed attrezzature» (comma 1). Al riguardo si dispone inoltre che «il transito è consentito solo nell’ambito della traccia viaria e non può essere ostacolato se ricorrono le condizioni di cui al comma 1» (comma 2), e che «la chiusura al transito, anche escursionistico, è disposta dalla Giunta regionale, su conforme proposta dell'Assessore al ramo, per motivate, particolari e inderogabili esigenze, sentita la Consulta di cui all'articolo 8». (comma 3).
Tale previsione è incostituzionale, nella parte in cui pretendi di disciplinare anche porzioni della rete escursionistica campana incluse nel territorio dei Parchi nazionali, per le seguenti ragioni.
Innanzi tutto occorre richiamare nuovamente l’art. 11 della legge n. 394 del 1991, ai sensi del quale il regolamento del Parco ha il compito di disciplinare «l’esercizio delle attività consentite entro il territorio del Parco», ed in particolare « la circolazione del pubblico con qualsiasi mezzo di trasporto» e «l’accessibilità nel territorio del parco attraverso percorsi e strutture idonee per disabili, portatori di handicap e anziani». Ancora, merita di essere ricordato anche in questa circostanza l’art. 12 e la funzione pianificatoria ivi disciplinata. Ebbene, la norma regionale sopra citata è dunque incostituzionale, nella parte in cui riguarda anche quella parte della rete escursionistica presente all’interno dei territori dei Parchi nazionali, in quanto pretende di disciplinare l’esercizio di attività all’interno di Parchi nazionali: compito che invece, come si è visto, la legge n. 394 del 1991 affida specificamente al Regolamento del Parco, chiamando inoltre a concorrere a questo obiettivo anche il fondamentale strumento del Piano de Parco. Si noti peraltro che la disciplina posta dalla normativa qui contestata è anche di tipo esplicitamente permissivo: ciò determina la diretta violazione dei beni ambientali a presidio dei quali è posta l’istituzione degli Enti Parco in tutti quei casi in cui i comportamenti esplicitamente consentiti dalla norma de qua sono incompatibili con lo specifico tipo di protezione della natura predisposto dagli strumenti regolamentari e pianificatori del Parco per le singola aree di volta in volta interessate.
La mancata previsione della conformità al regolamento del Parco, d’altra parte, implica anche la violazione dell’art. 117, sesto comma, Cost., poiché comporta la lesione della potestà regolamentare in una materia di competenza legislativa esclusiva statale, nella specie destinata ad essere esercitata dagli Enti Parco in base al citato art. 11 della legge n. 394 del 1991. Ancora, la possibilità che l’attività gestionale e organizzatoria regionale si esplichi in difformità dal Piano del Parco comporta a sua volta la lesione dell’art. 118, primo e secondo comma, Cost., dal momento che in tal modo si pregiudica una funzione amministrativa di tipo programmatorio affidata dalla legge statale in una materia di propria competenza, ad un ente pubblico nazionale quale l’Ente Parco. Infine, la citata disposizione secondo la quale «la chiusura al transito, anche escursionistico, è disposta dalla Giunta regionale, su conforme proposta dell'Assessore al ramo, per motivate, particolari e inderogabili esigenze, sentita la Consulta di cui all'articolo 8». (comma 3), nella parte in cui riguarda aree rientranti nel territorio di Parchi nazionali, è incostituzionale, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lett. s) – in riferimento agli artt. 1, comma 4, e 9 della legge n. 394 del 1991 – e 118, primo e secondo comma, Cost., in quanto affida all’amministrazione regionale una funzione gestoria dell’area protetta che risulta chiaramente affidata, con norme poste a presidio di standard di tutela ambientale, all’Ente Parco.
3). Illegittimità costituzionale dell’art. 8, comma 2, lett. n), nella parte in cui prevede che la designazione da parte di Federparchi della componente della Consulta regionale per il patrimonio escursionistico in rappresentanza degli enti Parco, per violazione degli artt. 117, secondo comma, lett. s), e sesto comma, nonché dell’art. 118, primo e secondo comma, in riferimento agli artt. 1, comma 3, e 9, della legge n. 394/1991.
L’art. 8, al comma 1, dispone l’istituzione, «quale sede di concertazione e organismo consultivo e propositivo della Giunta regionale» della Consulta regionale per il patrimonio escursionistico. Il successivo comma 2 prevede inoltre che della Consulta faccia parte un membro, in rappresentanza dei Parchi nazionali, designato da Federparchi.
Ora, la Consulta regionale è chiamata, dalle disposizioni della legge in oggetto, a collaborare all’esercizio di funzioni latu sensu gestorie della rete dei sentieri rientranti nella REC, che – con riferimento alla frazione di quest’ultima presente nel territorio dei Parchi nazionali – è assegnata agli enti gestori dei medesimi, come risulta chiaramente dagli artt. 1, comma 3, e 9 della legge n. 394 del 1991. Pare dunque corretto che la legge regionale predisponga forme di collaborazione organica con gli Enti Parco nell’esercizio delle funzioni legate alla REC. Si deve tuttavia rilevare che la designazione del rappresentante di quest’ ultimi da parte di Federparchi non rappresenta per nulla una soluzione in grado di tener adeguatamente conto delle funzioni in questione. Esse, infatti, spettano ovviamente ai singoli soggetti gestori delle aree protette in questione, di talché i medesimi non possono venir surrogati da Federparchi nella individuazione del loro rappresentante.
4). Illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 1, e comma 2, lett. a), nella parte in cui: a) non prevedono che la gestione tecnica dei siti ricompresi nella REC ed inclusi nei territori delle aree protette sia di competenza esclusiva dei relativi enti gestori (art. 9, comma 1); b) prevedono che gli enti di gestione delle aree protette debbano individuare le modalità di fruizione della Rete regionale «in accordo con i Comuni territorialmente interessati», per violazione degli artt. 117, secondo comma, lett. s), e sesto comma, nonché dell’art. 118, primo e secondo comma, in riferimento agli artt. 1, comma 3, 9, 11 e 12 della legge n. 394/1991.
In base all’art. 9, comma 1, della legge indicata in oggetto «la gestione tecnica dei siti ricompresi nella REC è di competenza della Regione Campania, degli Enti locali territorialmente competenti e degli enti di gestione delle aree protette». Il successivo comma 2 prevede inoltre che «i soggetti di cui al comma 1 (…) individuano, in accordo con i Comuni territorialmente interessati (…) le diverse modalità di fruizione della Rete regionale che rispondono all’esigenza di valorizzare e riequilibrare i bacini escursionistici locali».
Come si è già avuto modo di evidenziare, tuttavia, la legge n. 394 del 1991 è chiara nell’affidare l’attività di gestione dei Parchi nazionali all’Ente Parco. In tal senso depone, inequivocabilmente, l’art. 1, comma 3, di tale atto normativo, che esplicitamente individua nella disciplina dal medesimo dettata lo «speciale regime (…) di gestione» cui i territori delle aree protette sono sottoposti. Tale speciale regime di gestione, in particolare per i Parchi nazionali, è imperniato – dal punto di vista del soggetto titolato allo svolgimento dell’attività di gestione – sull’Ente Parco, individuato e disciplinato dall’art. 9, e – dal punto di vista funzionale – sul Piano del Parco, di cui al già citato art. 12.
Alla luce delle menzionate disposizioni legislative statali, le sopra richiamate norme regionali vanno ritenute incostituzionali.
L’art. 9, comma 1, infatti, attribuisce cumulativamente agli enti di gestione delle aree protette e agli enti locali territorialmente competenti la gestione tecnica dei siti, quando è evidente che – in base alle sopra richiamate norme della legge n. 394 del 1991 – nell’ambito dei territori ricompresi all’interno delle aree protette tale funzione non può che spettare esclusivamente ai relativi enti di gestione.
Il successivo comma 2, nel prevedere la necessarietà dell’accordo con i comuni territorialmente interessati ai fini della individuazione delle «diverse modalità di fruizione della Rete regionale», pregiudica analogamente le funzioni attribuite ai soggetti gestori delle aree protette, poiché impedisce che questi ultimi si autodeterminino nelle scelte inerenti tali funzioni, dovendo necessariamente concordarle con i comuni. La disposizione regionale in parola, inoltre, contrasta con l’art. 11 della legge n. 394 del 1991, che attribuisce al regolamento del Parco il compito di disciplinare «l’esercizio delle attività consentite entro il territorio del Parco», e quindi anche le “modalità di fruizione” della Rete regionale dei sentieri. Da qui il contrasto con l’art. 117, secondo comma, lett. s), e sesto comma, Cost.
5) Illegittimità costituzionale dell’art. 10, commi 1, 4 e 5 per violazione degli artt. 117, secondo comma, lett. s), sesto comma e 118, primo e secondo comma, Cost., anche in riferimento agli artt. 1, comma 3, 9, 11 e 12 della legge n. 394 del 1991.
L’art. 10 disciplina nel dettaglio la pianificazione annuale degli interventi sulla rete regionale.
In particolare, il comma 1 prevede che «il Piano triennale degli interventi sulla Rete regionale definisce gli interventi da realizzare sulla rete regionale ed individua le opere oggetto di finanziamento con i relativi importi di contributo sulla base delle priorità indicate nei piani degli interventi sulla rete provinciale» Tale norma , nella parte in cui non prevede che il Piano triennale, per la parte in cui si rivolge alle porzioni di territorio regionale ricomprese nel perimetro dei Parchi nazionali, debba necessariamente rispettare il regolamento ed il Piano del Parco, è da considerare costituzionalmente illegittima.
Come si è già evidenziato più sopra, infatti, l’art. 11 della legge n. 394 del 1991 affida al regolamento del Parco il compito di disciplinare «l’esercizio delle attività consentite entro il territorio del Parco» (comma 1), mentre il successivo art. 12 prevede che «la tutela dei valori naturali ed ambientali» del Parco avvenga attraverso lo strumento del Piano per il Parco. Nella parte in cui le disposizioni regionali sopra richiamate non prevedono che le attività della Regione sopra illustrate destinate ad interessare il territorio dei Parchi nazionali debbano svolgersi in conformità al Regolamento ed al Piano di ciascun Parco, si pongono in contrasto con le citate norme della legge n. 394 del 1991, violando dunque, per conseguenza, l’art. 117, secondo comma, lett. s), Cost., poiché esse incidono sul nucleo di salvaguardia predisposto dalla legge statale, in esercizio della propria competenza esclusiva in materia di “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema”, con riferimento ai Parchi nazionali. La mancata previsione della conformità al regolamento del Parco, d’altra parte, implica anche la violazione dell’art. 117, sesto comma, Cost., poiché comporta la lesione della potestà regolamentare in una materia di competenza legislativa esclusiva statale, nella specie destinata ad essere esercitata dagli Enti Parco in base al citato art. 11 della legge n. 394 del 1991. Infine, la possibilità che l’attività gestionale e organizzatoria regionale si esplichi in difformità dal Piano del Parco comporta a sua volta la lesione dell’art. 118, primo e secondo comma, Cost., dal momento che in tal modo si pregiudica una funzione amministrativa di tipo programmatorio affidata dalla legge statale in una materia di propria competenza, ad un ente pubblico nazionale quale l’Ente Parco.
Il comma 4 prevede inoltre che il Piano triennale degli interventi sia approvato dalla Giunta regionale, sentita la commissione consiliare competente, e che le sue integrazioni e modifiche siano effettuate con una ulteriore delibera di Giunta. Anche in questo caso la norma della Regione Campania affida all’amministrazione regionale una importante funzione programmatoria e gestoria che, nella parte in cui interessa porzioni del territorio regionale ricadenti all’interno del perimetro di Parchi nazionali è di spettanza degli Enti Parco.
Risulta infatti evidente che la disposizione regionale ammette anche forme di intervento su cui l’Ente Parco non abbia prestato il proprio consenso. E ciò risulta precisamente lesivo dello standard di tutela ambientale predisposto dalla legge n. 394 del 1991, che a posto tale ente a presidio dei «valori naturalistici, scientifici, estetici, culturali educativi e ricreativi» presenti nel Parco nazionale (art. 2, comma 1, della legge n. 394 del 1991).
Parimenti incostituzionali vanno ritenute le disposizioni di cui ai commi 3 e 5 dell’art. 10. Il comma 3 prevede che «il Piano annuale degli interventi sulla rete regionale individu(i) (…) gli interventi di competenza della Regione nei settori che coincidono in tutto o in parte con proprietà regionali nonché sui percorsi escursionistici di valenza regionale e locale individuati nel Piano», mentre il successivo comma 5 affida al detto Piano, «per ciascun percorso compreso nella REC», il compito di individuare «il soggetto obbligato alla manutenzione, il contenuto dell'obbligo e la periodicità minima del controllo, secondo i criteri stabiliti dal regolamento attuativo di cui all'articolo 16». Anche in questo caso le disposizioni citate affidano all’amministrazione regionale importanti funzioni gestorie che – con riferimento alla parte di REC presente nel territorio dei Parchi nazionali – spettano, in base alla legge n. 394 del 1991, ai singoli Enti Parco, rappresentando un aspetto del nucleo di tutela ambientale predisposto dalla legge statale per le aree protette del tipo di cui trattasi.
6) Illegittimità costituzionale dell’art. 13, per violazione degli artt. 117, secondo comma, lett. s), sesto comma e 118, primo e secondo comma, Cost., anche in riferimento agli artt. 1, comma 3, 9, 11 e 12 della legge n. 394 del 1991.
L’art. 13 disciplina la segnaletica della rete regionale, sia tramite la individuazione di disposizioni sostanziali di diretta applicazione (comma 1), sia tramite l’affidamento alla Consulta regionale e ai comuni di specifiche funzioni (come la adozione di linee guida e lo svolgimento di interventi per l’installazione delle strutture).
La disposizione viola l’art. 117, secondo comma, lett. s), e sesto comma, e 118, primo e secondo comma, Cost., nella parte in cui si applica anche alla frazione della rete regionale presente nel territorio dei Parchi nazionali. L’art. 11 della legge n. 394 del 1991 attribuisce al regolamento del Parco il compito di disciplinare «l’esercizio delle attività consentite entro il territorio del Parco». L’art. 12, d’altronde, prevede il Piano per il Parco disciplini i «sistemi di accessibilità (…) pedonale». La disciplina della sentieristica e della relativa segnaletica rientra dunque senz’altro tra i compiti che la legge statale attribuisce al Regolamento e al Piano del Parco. Da qui il contrasto con gli artt. 11 e 12 della legge n. 394 del 1991, e – quindi – con l’art. 117, secondo comma, lett. s), e sesto comma, Cost.
L’attribuzione di funzioni sostanzialmente gestorie ai comuni, quali la posa, l’installazione, l’adeguamento e la manutenzione della segnaletica, a sua volta, contrasta con le funzioni che al riguardo sono chiamati a svolgere gli enti Parco in base agli artt. 1, comma 3, e 9 della legge n. 394 del 1991. Da qui la violazione dell’art. 117, secondo comma, lett. s), Cost.
7). Illegittimità costituzionale dell’art. 16, comma 2, lett. a), b), c), d), f) e g), per violazione degli artt. 117, secondo comma, lett. s), sesto comma, Cost., anche in riferimento agli artt. 11 e 12 della legge n. 394 del 1991.
L’art. 16 disciplina il regolamento attuativo della medesima. In particolare, il comma 2 affida a tale atto normativo il compito di disciplinare: «a) le caratteristiche tecniche a cui deve essere uniformata la segnaletica della REC con la previsione di un termine perentorio per l'adeguamento della segnaletica esistente; b) le caratteristiche delle tabelle segnaletiche da apporre in presenza di particolari attrazioni naturalistiche, storico-culturali, architettoniche e religiose allo scopo di segnalare la specificità dell'itinerario e descrivere habitat, paesaggi e singole emergenze; c) i criteri e le prescrizioni per la progettazione e la realizzazione degli itinerari escursionistici rientranti nella REC; d) le caratteristiche di sicurezza necessarie per consentire le diverse tipologie di fruizione; (…) f) (..) i criteri generali di manutenzione dei percorsi della REC; g) per ciascun percorso l'individuazione del soggetto obbligato alla manutenzione, il contenuto dell'obbligo e la periodicità minima delle attività di controllo sullo stato di manutenzione». Nella parte in cui tale disposizione facultizza il regolamento a disciplinare i sopra richiamati oggetti anche con riferimento al territorio degli Enti Parco, deve ritenersi incostituzionale per violazione degli artt. 117, secondo comma, lett. s), sesto comma, in riferimento agli artt. 11 e 12 della legge n. 394/1991, che attribuiscono la disciplina di tali settori al regolamento e al Piano del Parco.
8) Illegittimità costituzionale delle disposizioni sopra richiamate con riguardo alla loro applicazione anche in riferimento a porzioni del territorio regionale incluse nel perimetro di riserve naturali statali e di aree protette regionali.
Le disposizioni sopra richiamate devono ritenersi incostituzionali anche con riguardo alla parte in cui la loro applicazione è destinata a coinvolgere porzioni del territorio incluse nel perimetro di riserve naturali statali e aree protette regionali.
Quanto alle prime, risulta innanzi tutto chiaramente dall’art. 1 della legge 394 del 1991 come anch’esse debbano risultare sottoposte ad uno «speciale regime» che coinvolge sia la loro «tutela» che la loro «gestione». Il successivo art. 17, inoltre, precisa come sia compito del loro decreto istitutivo determinare «i confini della riserva ed il relativo organismo di gestione» nonché «indicazioni e criteri specifici cui devono conformarsi il piano di gestione della riserva ed il relativo regolamento attuativo, emanato secondo i principi contenuti nell’articolo 11 della presente legge». Anche se disciplinate in modo certamente meno dettagliato, anche per le riserve naturali statali la legge n. 394 del 1991 pone, a tutela della loro missione ambientale, vincoli organizzativi e funzionali analoghi a quelli che caratterizzano i Parchi nazionali, prevedendo in particolare: a) l’affidamento della loro gestione ad uno specifico organismo, individuato ad hoc dal decreto istitutivo; b) lo svolgimento di una attività di pianificazione dell’attività di gestione; c) l’esistenza di un momento regolatorio delle attività consentite nell’area protetta.
Quanto alle aree protette regionali, occorre innanzi tutto ricordare come sia del tutto consolidato l’orientamento della giurisprudenza costituzionale secondo il quale la disciplina delle aree protette, rientrando nella competenza esclusiva dello Stato in materia di «tutela dell’ambiente» prevista dall’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., detta norme fondamentali del settore cui la legislazione regionale deve uniformarsi anche con riferimento alle aree protette regionali (cfr., ad es., sentt. nn. 212 del 2014; 171 del 2012; 325 del 2011; 41 del 2011). In particolare, per quel che qui è di più prossimo interesse, le norme statali cui la legislazione regionale deve uniformarsi prevedono l’esistenza di un soggetto gestore dell’Area protetta regionale, che non può essere spogliato delle competenze sugli interventi nella medesima (artt. 1, comma 4 e 23 della legge n. 394 del 1991), nonché l’esistenza di un regolamento dell’area protetta (art. 22, comma 1, lett. d): in tema si vedano tra le altre, le sentt. nn. 171 del 2012, 41 del 2011 e 325 del 2011) e di un Piano del parco regionale (art. 23), cui sono affidati compiti analoghi agli omologhi strumenti di regolamentazione e pianificazione degli enti parco dello Stato.
Sia alle riserve naturali statali che alle aree protette regionali, infine, si applica l’art. 29 della legge n. 394 del 1991, che – ad ulteriore conferma di quanto rilevato più sopra – affida all’«organismo di gestione dell’area naturale protetta» importanti poteri di controllo circa la conformità delle attività realizzate nell’area rispetto al regolamento, al Piano e al nulla osta.
In sintesi, sussistono dunque ragioni di incostituzionalità delle disposizioni regionali sopra richiamate, per ragioni analoghe a quelle più sopra illustrate, anche con riferimento a quelle porzioni del territorio regionale rientranti nel perimetro di riserve naturali statali e di aree protette regionali.
9) Illegittimità dell’articolo 14, comma 3, e dell’articolo 15, comma 8, per violazione del principio di legalità di cui all’articolo 25, comma 2, della Costituzione, e del principi fondamentali di tassatività e determinatezza in materia di sanzioni amministrative enunciati all’articolo 1, l. n. 689/1981.
L’articolo 14, comma 1, prevede che «È fatto divieto a chiunque alterare o modificare lo stato di fatto dei percorsi escursionistici inseriti nella rete regionale e, in particolare, di mutare la destinazione d'uso degli spazi, impedire il libero accesso ai percorsi ed ai siti, sovrapporre altre infrastrutture o esercitare qualsiasi altra azione tesa in ogni caso a violare il divieto di cui al presente comma». Il comma 2 stabilisce “Se le esigenze di modifica di destinazione d'uso intervengono a seguito di interventi progettati dai Comuni, ogni variazione deve essere preventivamente comunicata alla Consulta Regionale, ed autorizzata dalla Giunta Regionale ai fini dell'aggiornamento della REC”, mentre il successivo comma 3 prevede che “La violazione del comma 2 comporta l'applicazione delle sanzioni e delle misure previste dal D.Lgs. n. 285/1992, nelle misure dallo stesso determinate”. Tale ultima disposizione, limitandosi a richiamare indistintamente le sanzioni e le misure di cui al d.lgs. 285/1992, presenta una formulazione estremamente generica, con riferimento sia alla natura sia all’entità delle sanzioni da applicare alle violazioni in esse previste. Al riguardo, si rileva che nel nostro ordinamento i principi costituzionali in materia sanzionatoria, ed in particolare del principio di legalità previsto dall’articolo 25 Cost., trovono applicazione in relazione a tutte le misure di natura sanzionatoria. Ed infatti, secondo l’ormai consolidato orientamento della Corte Costituzionale (sent. n. 196/2010), formatosi anche recependo gli indirizzi della giurisprudenza europea, tali canoni debbono essere estesi a tutte le misure di carattere punitivo, comprese quelle amministrative, alle quali si applica quindi la medesima disciplina per la pena in senso stretto. Relativamente alla norma censurata, si osserva che i principi di tassatività e determinatezza, che costituiscono naturale corollario del predetto principio di cui all’articolo 25, comma 2, Cost., impongono che la formulazione della fattispecie di natura punitiva sia sufficientemente chiara e dettagliata, in modo che risulti agevole per chiunque distinguere la sfera del lecito da quella dell’illecito e conoscere quale sia la risposta sanzionatoria agli illeciti commessi. Detti canoni costituzionali sono per altro espressamente richiamati dall’art. 1 della l. n. 689/1981, in tema di principi generali in materia di sanzioni amministrative, che testualmente dispone: “le leggi che prevedono sanzioni amministrative si applicano soltanto nei casi e per i tempi in essa considerati”. I medesimi profili di incostituzionalità si riscontrano con riferimento all’articolo 15, comma 8, che risulta formulato in modo non chiaro nel riferimento a disposizioni sanzionatorie contenute nel commi precedenti (“Oltre alle sanzioni previste dai commi 2 e 3”).
10) Illegittimità costituzionale dell’articolo 15, comma 3, che punisce con la sanzione amministrativa pecuniaria “Chiunque danneggia la segnaletica o le opere realizzate per la percorribilità e la sosta lungo i percorsi escursionistici della Rete regionale”. La disposizione descrive la condotta del reato di danneggiamento, in particolare ex art. 635 c. 2, n. 1, cp, costituente materia riservata alla legislazione esclusiva dello Stato ex art. 117, comma 2, lett. l) della Costituzione (ordinamento civile e penale).
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