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Con delibera del Consiglio dei Ministri del 28 luglio 2017 è stata impugnata la legge della regione Lombardia n. 15 del 26 maggio 2017 concernente: "Legge di semplificazione 2017".
L’articolo 3, comma 1, lett. d) della legge regionale, infatti, nel modificare l’articolo 40 della legge n. 26 del 1993, consentiva l’allenamento e l’addestramento dei cani da caccia nei 30 giorni antecedenti l’apertura della caccia. Tale previsione si poneva in contrasto con l’art. 10, commi 7, 8 e 10, della legge n. 157 del 1992, i quali prescrivono che il piano faunistico-venatorio debba programmare le attività attinenti alla caccia ed indicare le zone e i periodi per l’addestramento, l’allenamento e le gare di cani. Ne conseguiva la violazione dell’art. 117, secondo comma, lett. s), Cost., che affida allo Stato la competenza esclusiva in materia di «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema».
La Regione ha successivamente emanato la legge regionale n. 22 del 10 agosto 2017, che all’articolo 11 abroga la disposizione impugnata dal Governo.
Atteso il conforme parere del Ministero dell’Ambiente, quanto sopra esposto ha determinato quindi il venir meno delle motivazioni oggetto del ricorso avanti la Corte Costituzionale.
Pertanto, alla luce di quanto sopra esposto, ricorrono i presupposti per rinunciare al ricorso.
28-7-2017 /
Impugnata
La legge regionale Lombardia n. 15 del 26 maggio 2017 presenta i profili di illegittimità costituzionale di seguito evidenziati e va impugnata dinanzi alla Corte Costituzionale ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione.
L’articolo 3, comma 1, lettera d) della legge in esame, nel modificare l’articolo 40 della legge n. 26 del 1993, pur affidando alla Regione ed alla Provincia di Sondrio per il proprio territorio il compito di disciplinare l’allenamento e l’addestramento dei cani da caccia, consente esplicitamente che tali attività possano svolgersi nei 30 giorni antecedenti l’apertura della caccia. Tale previsione contrasta con l’art. 10, commi 7, 8 e 10, della legge n. 157 del 1992 e – per conseguenza – con l’art. 117, secondo comma, lett. s), Cost., che affida allo Stato la competenza esclusiva in materia di «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema».
Al riguardo deve infatti essere ricordato come la Corte Costituzionale, nelle sentenze n. 578/1990, n. 350/1991, n. 339/2003, sul presupposto che l'addestramento dei cani, in quanto attività strumentale all’esercizio dell’attività venatoria, sia riconducibile alla materia «caccia», ritiene tale addestramento soggetto ai divieti previsti dalla normativa quadro statale, costituita dalla legge 11 febbraio 1992 n. 157. Particolarmente esplicita è al riguardo la sentenza n. 350 del 1991, secondo cui «nessun dubbio può sussistere in ordine al fatto che l’“addestramento dei cani”, in quanto attività strumentale all’esercizio venatorio, debba ricondursi alla materia della caccia».
L’attività di addestramento dei cani da caccia è pertanto assimilabile a quella venatoria e, dunque, deve rispettare gli standard minimi e uniformi di tutela della fauna in tutto il territorio nazionale e le relative garanzie procedimentali. Tale attività, infatti, provoca un evidente e grave fattore di disturbo durante il periodo riproduttivo degli uccelli e dei mammiferi selvatici.
In particolare, la legge n. 157 del 1992 (Norme per la protezione della fauna omeoterma e per il prelievo venatorio) all’articolo 10, relativo all’obbligo, per le province, di predisporre i piani faunistico-venatori (comma 7), finalizzati a garantire la conservazione delle specie mediante la riqualificazione delle risorse ambientali e la regolamentazione del prelievo venatorio, prevede, anche al fine di compenetrare le esigenze della cinofilia venatoria (comma 8, lettera e), che i citati piani indichino «le zone e i periodi per l’addestramento, l’allenamento e le gare di cani anche su fauna selvatica naturale». Ai sensi del successivo comma 10 del medesimo art. 10, inoltre, prevede che «le regioni (attuino) la pianificazione faunistico-venatoria mediante il coordinamento dei piani provinciali di cui al comma 7 secondo criteri dei quali l'Istituto nazionale per la fauna selvatica garantisce la omogeneità e la congruenza a norma del comma 11».
L’ISPRA, ai sensi dell’articolo 7 della legge n. 157/1992, è l’organismo che ha il compito di censire il patrimonio ambientale costituito dalla fauna selvatica, di studiarne lo stato, l’evoluzione ed i rapporti con le altre componenti ambientali, nonché di controllare e valutare gli interventi faunistici operati dalle regioni e dalle province autonome, formulando i pareri tecnico-scientifici richiesti dallo Stato, dalle regioni e dalle province autonome.
A tal proposito, si segnala che l’ISPRA, nei pareri rilasciati alle Regioni, indica il mese di settembre come periodo iniziale dell’addestramento dei cani da caccia, in quanto svolgere detto addestramento prima (o comunque durante tutto l’anno) «determina un evidente e indesiderabile fattore di disturbo, in grado di determinare in maniera diretta o indiretta una mortalità aggiuntiva per le popolazioni faunistiche interessate. Questa attività andrebbe consentita solo nel periodo che precede l’apertura della caccia in forma vagante, in ogni caso mai prima dei primi di settembre ed escludendo quindi i mesi che vanno da febbraio a agosto» (parere ISPRA 22 agosto 2012).
Alla luce di quanto osservato, risulta evidente la illegittimità costituzionale dell’articolo 3, comma 1, lettera d) della legge in esame. Questa disposizione, infatti, contrasta con la legge n. 157 del 1992, sotto i profili che si illustrano.
In primo luogo, la legge in esame impedisce che la funzione di individuazione del periodo dedicato all’addestramento venga svolta attraverso il piano faunistico-venatorio, come invece prescrive la legge statale. Si consideri che – in tema di determinazione del calendario venatorio – da tempo la Corte costituzionale ritiene che è esistente nella disciplina statale una vera e propria “riserva di amministrazione”, in grado di opporsi alla legislazione regionale come standard di tutela dell’ambiente ex art. 117, secondo comma, lett. s), Cost. (cfr., ad es., sentt. nn. 193 del 2013, 90 del 2012, 20 del 2012, 116 e 105 del 2012). Particolarmente efficace da questo punto di vista è la sent. n. 105 del 2012, secondo cui «l’articolo 18, comma 4, della legge n. 157 del 1992, nella parte in cui esige che il calendario venatorio sia approvato con regolamento “esprime una scelta compiuta dal legislatore statale che attiene alle modalità di protezione della fauna e si ricollega per tale ragione alla competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema”».
Ebbene, secondo la sent. n. 193 del 2013 «è in questo quadro che va collocata la disciplina dell’attività di allenamento e addestramento dei cani da caccia, in quanto rientrante (…) nel concetto di attività venatoria». Anche tale attività, dunque, «si deve ritenere soggetta alla pianificazione con le medesime modalità procedimentali e con le connesse garanzie sostanziali». In particolare, anche se «l’assimilazione dell’attività in questione non può essere spinta fino alla totale identificazione (…) ciò non esclude che tale disciplina debba essere dettata con le stesse modalità fin qui delineate», poiché solo in tal modo «l’acquisizione dei pareri tecnici (…) diviene un passaggio naturale e formale di quella pianificazione che il legislatore ha voluto, come garanzia di un giusto equilibrio tra i molteplici interessi in gioco». In base a tale argomento il Giudice costituzionale ha dunque dichiarato la illegittimità costituzionale di una norma che, «disciplinando l’allenamento e addestramento dei cani da caccia con legge regionale, e quindi al di fuori della pianificazione faunistico-venatoria prevista dall’art. 10 della legge n. 157 del 1992, e senza le relative garanzie procedimentali imposte dalla stessa legge (art. 18)», determinava «una violazione degli standard minimi e uniformi di tutela della fauna fissati dal legislatore statale nell’esercizio della sua competenza esclusiva in materia, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.». Nello stesso senso, del resto, si è espressa la sent. n. 139 del 2017.
Ebbene, alle stesse conclusioni e per le medesime ragioni si giunge anche nel caso della legge regionale in parola.
Per i motivi esposti, si propone l’impugnativa dinanzi alla Corte Costituzionale dell’articolo 3, comma 1, lettera d) della legge della Regione Lombardia n. 15 del 2017, per violazione dell’art. 117, comma secondo, lett. s), Cost., in riferimento all’artt. 10, commi 7, 8 e 10, della legge n. 157 del 1992.
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