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Misure di semplificazione e linee guida di supporto ai Comuni in materia di governo del territorio (22-6-2017)
Campania
Legge n.19 del 22-6-2017
n.50 del 22-6-2017
Politiche infrastrutturali
7-8-2017 /
Impugnata
La Legge della regione Campania n. 19 del 22/06/2017, recante “Misure di semplificazione e linee guida di supporto ai Comuni in materia di governo del territorio”, presenta profili di incostituzionalità con riferimento all’articolo 2, comma 2, e all’articolo 4 che, per i motivi di seguito specificati, contrastano con i principi fondamentali in materia di governo del territorio contenuti nel d.p.r. n. 380/2001, e conseguentemente violano l’art. 117, comma 3, della Costituzione, nonché, trattandosi di norme preordinate alla tutela dell’ambiente, l’articolo 117, comma 2, lettera s) della Costituzione.
In particolare, l’articolo 2, comma 2, prevede che i Comuni, sulla base di linee guida della Giunta Regionale concernenti l’adozione di misure alternative alla demolizione di immobili abusivi, adottano atti regolamentari e di indirizzo, nei quali da un lato definiscono “i parametri e i criteri generali di valutazione del prevalente interesse pubblico rispetto alla demolizione” e “i criteri per la valutazione del non contrasto dell’opera con rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di rispetto dell’assetto idrogeologico” (lett. a e b); dall’altro lato, stabiliscono i criteri e le modalità di alienazione e locazione degli immobili acquisiti al patrimonio comunale in quanto non demoliti per mancata ottemperanza all’ordine demolitorio (lett. c). Le successive lettere da c) ad h) sembrano prefigurare una sorta di prelazione nell’assegnazione o nella alienazione degli immobili acquisiti agli stessi occupanti, a prescindere dal fatto che gli stessi siano anche gli autori dell’illecito edilizio sanzionato con la demolizione. L’accorpamento di argomenti assolutamente eterogenei tra i contenuti degli atti di indirizzo comunali previsti alle citate lettere a), b) e c), induce a ritenere che la mancata ottemperanza all’ordine di demolizione e la conseguente acquisizione al patrimonio comunale determinino sostanzialmente il venire meno della pretesa demolitoria a prescindere dalle necessarie valutazioni di cui al comma 5 dell’art. 31, d.p.r. n. 380/2001 (esistenza di prevalenti interessi pubblici, e sempre che l’opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici, ambientali, o di rispetto dell’assetto idrogeologico), mentre è noto che l’acquisizione al patrimonio del comune dell’immobile abusivo non demolito e della sua area di sedime si atteggia come una sanzione impropria preordinata principalmente alla demolizione dello stesso come è reso evidente dalla formulazione di commi dal 3 al 6 dell’articolo 31 del d.p.r. n. 380/2001. La disciplina introdotta dalla disposizione impugnata, quindi, è costituzionalmente illegittima sotto due diversi profili:
1) La mancata ottemperanza all’ordine di demolizione e la conseguente acquisizione al patrimonio comunale determinano sostanzialmente il venire meno della pretesa demolitoria a prescindere dalle valutazioni richieste dalla normativa statale (art. 31, comma 5, d.p.r. n. 380/2001) in ordine esistenza di prevalenti interessi pubblici alla conservazione dell’opera abusiva e all’accertamento che la stessa non contrasti con rilevanti interessi urbanistici, ambientali, o di rispetto dell’assetto idrogeologico. Ciò contrasta con i principi fondamentali statali contenuti nel testo unico dell’edilizia, che configura l’acquisizione al patrimonio del comune dell’immobile abusivo non demolito e della sua area di sedime come una sanzione impropria preordinata principalmente alla demolizione dello stesso (articolo 31, commi 3-6, d.p.r. n. 380/2001).
2) Le previsioni che consentono l’alienazione o la locazione agli autori degli abusi hanno l’effetto di sminuire la portata deterrente e repressiva delle norme statali poste a tutela dell’ambiente e del governo del territorio e quindi violano la competenza esclusiva statale ed a quella concorrente ex art. 117, comma 2, lett. s) e comma 3, Cost.
3) Nella sostanze la norma impugnata è suscettibile di realizzare un effetto analogo a quello di un «condono edilizio straordinario», in quanto consente che immobili abusivi siano “regolarizzati” e assegnati agli autori degli abusi stessi. Ciò contrasta con la consolidata giurisprudenza costituzionale, che ha chiarito che spettano alla legislazione statale, oltre ai profili penalistici (integralmente sottratti al legislatore regionale: sentenze n. 49 del 2006, n. 70 del 2005 e n. 196 del 2004), anche le scelte di principio sul versante della sanatoria amministrativa, in particolare quelle relative all’an, al quando e al quantum: la decisione sul se disporre, nell’intero territorio nazionale, un condono straordinario, e quindi la previsione di un titolo abilitativo edilizio straordinario; quella relativa all’ambito temporale di efficacia della sanatoria; infine l’individuazione delle volumetrie massime condonabili (nello stesso senso, sentenze n. 225 del 2012 e n. 70 del 2005). Esula, dalla potestà legislativa concorrente delle Regioni, in particolare, il potere di «disporre autonomamente una sanatoria straordinaria per il solo territorio regionale» (C.Cost. n. 233/2015). La previsione censurata stride il principio, condiviso da un consistente orientamento giurisprudenziale, secondo cui l’interesse del privato al mantenimento dell’opera abusiva è necessariamente recessivo rispetto all’interesse pubblico all’osservanza della normativa urbanistico-edilizia e al corretto governo del territorio. Ciò perché la repressione degli abusi edilizi è espressione di attività strettamente vincolata, non soggetta a termini di decadenza o di prescrizione.
L’articolo 4, che modifica l’art. 44 della l.r. n. 16/2004, consente, nei comuni sprovvisti di strumento urbanistico comunale, gli ampliamenti degli edifici adibiti ad attività manifatturiere, industriali e artigianali, che determinano un rapporto di copertura complessivo sino a un massimo del 60 per cento. La norma contrasta con l’articolo 9 del d.p.r. n. 380/2001, che limita gli interventi edilizi realizzabili in assenza di pianificazione generale e attuativa e che costituisce un principio fondamentale in materia di governo del territorio. È evidente la violazione del principio per il quale le disposizioni delle leggi regionali in materia di ampliamenti ed in generale di costruzioni edilizie devono osservare ed essere interpretate alla luce dei principi fondamentali stabiliti dalla normativa statale. Conseguentemente, anche tale articolo appare suscettibile delle medesime censure formulate in relazione al citato articolo 2 della legge regionale in parola, eccedendo dalla sfera della competenza regionale concorrente in materia di “governo del territorio” e violando i principi fondamentali della legislazione statale.
In proposito, si osserva che con la recente sentenza n. 84 del 2017 la Corte Costituzionale ha affermato che i limiti di edificabilità nelle cosiddette “zone bianche” previsti dall’art. 9 del d.P.R. n. 380 del 2001 sono funzionali a “evitare che l’assenza di pianificazione legittimi uno sviluppo edilizio incontrollato, atto a compromettere irreversibilmente l’assetto urbanistico e a “consumare” integralmente il territorio”. Secondo la Corte, “la previsione di limiti invalicabili all’edificazione nelle “zone bianche”, per la finalità ad essa sottesa, ha le caratteristiche intrinseche del principio fondamentale della legislazione statale in materia di governo del territorio, coinvolgendo anche valori di rilievo costituzionale quali il paesaggio, l’ambiente e i beni culturali”. In questo ambito, gli standard sono limiti minimi, derogabili dalle Regioni solo nella direzione dell’innalzamento della tutela. La Corte ha infatti sottolineato la necessità di “evitare che «eventuali legislatori regionali, prodighi di facoltà edificatorie, finiscano con il frustrare la ratio della disciplina in commento, compromettendo in modo tendenzialmente irreversibile interessi di rango costituzionale»: ragione per la quale «l’art. 9 individua un principio fondamentale della legislazione statale tale da condizionare necessariamente quella regionale a regolare solo in senso più restrittivo l’edificazione» (Consiglio di Stato, sezione quarta, 12 marzo 2010, n. 1461)”. Tanto premesso, è evidente che gli ampliamenti consentiti dalla legge regionale in esame si pongono in contrasto con le finalità della normativa statale appena citata, e che pertanto la disposizione censurata viola l’articolo 117, comma 3 e comma 2, lettera s) della Costituzione.
Per le ragioni sopra illustrate, le disposizioni censurate sono viziate da incostituzionalità e devono essere impugnate ai sensi dell'art. 127 della Costituzione.
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