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La legge della Regione Abruzzo, recante disposizioni in materia di competitività , sviluppo e territorio, presenta profili di illegittimità costituzionale con riferimento alle disposizioni contenute negli articoli 6,7 e 8 che, intervenendo nell’ambito della disciplina dell’avvio delle attività economiche, si pongono in contrasto con le disposizioni statali interposte sotto specificate, violando la competenza esclusiva statale in materia di livelli essenziali delle prestazioni e tutela della concorrenza, dell’ambiente e del paesaggio, di cui all’articolo 117, secondo comma lettere m), e) ed s) della Costituzione.
Le norme della legge regionale derogano i decreti legislativi 126, 127 e 222 del 2016 che, in attuazione degli articoli 2 e 5 della legge n. 124 del 2015, riscrivono la disciplina della conferenza di servizi e novellano l’istituto della segnalazione certificata di inizio attività (SCIA).
In particolare, contraddicono l’impianto normativo della nuova conferenza di servizi, ridisegnato alla luce dei principi di accelerazione e di certezza dei termini del procedimento, e contravvengono al principio della concentrazione dei regimi amministrativi, introdotto attraverso la “SCIA unica” e la “SCIA condizionata”, nonché alla unificazione e alla standardizzazione degli adempimenti amministrativi previsti per l’avvio e l’esercizio dell’attività d’impresa.
L’art. 29, comma 2-ter della legge 241 del 1990 prevede che la presentazione di istanze, segnalazioni e comunicazioni, così come la disciplina della conferenza di servizi attengono ai livelli essenziali delle prestazioni ai sensi dell’art. 117, comma 2, lett. m della Cost. e consente alle Regioni e agli Enti locali di derogare però in melius prevedendo cioè livelli ulteriori di tutela. Parimenti, l’art. 5 del d.lgs. n. 222 del 2016 consente alle Regioni e agli Enti locali di introdurre deroghe alla disciplina generale, solo prevedendo “livelli ulteriori di semplificazione”.
In particolare , in contrasto con le disposizioni citate, le norme regionali in esame :
- derogano alla disciplina generale del procedimento amministrativo, aggravandolo poiché introducono adempimenti ed oneri aggiuntivi non giustificati in contrasto con i principi di proporzionalità, efficacia, efficienza ed economicità dell’azione amministrativa;
- violano la disciplina a tutela dei livelli essenziali di cui all’art. 117, comma 2, lettera m) della Costituzione.
Per quanto attiene al primo profilo la legge della Regione Abruzzo viene a toccare alcuni punti nevralgici dei principi fondamentali del sistema elaborato dalla legge sul procedimento amministrativo, come di seguito verrà analiticamente esaminato, con evidenti ripercussioni sull’unitarietà di disciplina che il legislatore della riforma ha voluto garantire. Proprio su questa esigenza di assicurare l’unitarietà del sistema e il principio di certezza del diritto, valore preminente che deve essere protetto in maniera uniforme dall’ordinamento, si è espressa recentemente la Corte Costituzionale, sentenza n.49 del 2016, in materia di SCIA edilizia.
Per quanto attiene alla seconda questione, l’istituto della SCIA è ricondotto alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, che è riservata alla competenza legislativa statale, ex art. 117, comma 2, lett. m) Cost. dal momento che “l’attività amministrativa può assurgere alla qualifica di “prestazione” della quale lo Stato è competente a fissare un livello essenziale a fronte di uno specifico diritto di individui, imprese, operatori economici e, in genere, soggetti privati”.( Corte Cost. sentenza n. 164 del 2012) .La previsione si collega al fondamentale principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost. e, in tal senso “legittima una restrizione dell’autonomia legislativa delle Regioni giustificata dallo scopo di assicurare un livello uniforme di godimento dei diritti civili e sociali tutelati dalla stessa Costituzione”.
Ciò premesso , risultano censurabili in particolare le seguenti disposizioni :
1) L’art. 6, comma 1, laddove prevede la presentazione di una comunicazione unica regionale (CUR) al SUAP per l’avvio, lo svolgimento, la trasformazione e la cessazione di attività economiche, nonché per l’installazione, l’attivazione, l’esercizio e la sicurezza di impianti e l’agibilità degli edifici funzionali alle attività economiche, è in contrasto:
a) con l’art. 2, comma 1 del d.lgs. n. 126 del 2016, che prevede l’adozione di una modulistica unificata e standardizzata a livello nazionale al fine di definire per tipologia di procedimento i contenuti tipici e la relativa organizzazione dei dati e delle istanze, delle segnalazioni e delle comunicazioni, nonché la documentazione da allegare (in attuazione della disposizione citata, lo scorso 4 maggio, la Conferenza unificata ha adottato la modulistica unificata e standardizzata per tutto il territorio nazionale, che individua i regimi amministrativi in materia di attività commerciali e assimilabili e per l’edilizia);
b) con l’art. 19-bis, legge n. 241 del 1990, introdotto dall’art. 3 del d.lgs n. 126 del 2016, rubricato “concentrazione dei regimi amministrativi”, secondo cui, se per lo svolgimento di un'attività soggetta a SCIA siano necessarie altre SCIA, comunicazioni, attestazioni, asseverazioni e notifiche, l’interessato presenta una “SCIA unica”, mentre invece, presenta una “SCIA condizionata” laddove, oltre alla SCIA, sia richiesta l'acquisizione di atti di assenso comunque denominati o pareri di altri uffici e amministrazioni ovvero l'esecuzione di verifiche preventive. Tanto premesso, si rileva che la disposizione in esame viola il principio che la determinazione dei livelli essenziali intende perseguire e cioè l’eguaglianza delle condizioni per l’esercizio di un’attività d’impresa in tutto il territorio nazionale.
Il comma 2 del medesimo art. 6 , circoscrive la clausola di salvaguardia dei vincoli rispetto a quanto previsto all’art. 19, comma 1, legge n. 241 del 1990, poiché si specifica che sono fatti salvi “i casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali di cui all’articolo 19, comma 1, legge 241/1990” restano quindi fuori le altre esclusioni previste dall’art. 19, comma 1 ed inoltre prevede che entro 60 giorni dal ricevimento della CUR, le amministrazioni competenti effettuino i controlli e fissino un ulteriore termine massimo di 60 giorni per ottemperare alle relative prescrizioni. Anche qui si nota un aggravio rispetto alla SCIA, per la quale l’art. 19, comma 3 della legge n. 241 del 1990 stabilisce che l’interessato, decorsi 60 giorni per i controlli da parte delle amministrazioni competenti, ha un ulteriore termine massimo di 30 giorni per conformare la sua attività alla normativa vigente. Sebbene quest’ultima previsione sia a favore del privato, si traduce pur sempre in una estensione dei termini del procedimento contraria al parametro delle ulteriori semplificazioni che è la condicio per giustificare la deroga alla normativa generale.
Il comma 6 dello stesso 6, laddove prevede che la Giunta regionale, d’intesa con il sistema camerale, individui i procedimenti per i quali si applica la CUR ( comunicazione unica regionale) non considerando i casi in cui alla comunicazione sia necessario allegare le attestazioni e le asseverazioni per consentire alle amministrazioni competenti di effettuare i controlli, contrasta con il principio dei livelli essenziali, poiché non tiene conto che, al fine di semplificare e standardizzare i regimi amministrativi su tutto il territorio nazionale, il d.lgs. n. 222 del 2016 ha già effettuato l’individuazione dei procedimenti oggetto di autorizzazione, SCIA, silenzio assenso e comunicazione non solo attuando la delega ex art. 5 del medesimo decreto legislativo, ma anche rendendo efficace l’obbligo a cui l’Italia era tenuta ai sensi dell’art. 14 del d.lgs. n. 59 del 2010 (attuativo della direttiva servizi, 2006/123/UE), secondo cui “regimi autorizzatori possono essere istituiti o mantenuti solo se giustificati da motivi imperativi di interesse generale, nel rispetto dei principi di non discriminazione, di proporzionalità”.
Le citate disposizioni regionali, inoltre, quando prevedono coinvolgimenti del fascicolo informatico di impresa non tengono conto che i relativi profili applicativi sono già previsti nell’art.4, comma 6 del d.lgs. n. 219/2016, che affida ad un apposito decereto del MISE la definizione di termini e modalità operativi per l’inserimento di provvedimenti nel fascicolo di impresa.
Tanto evidenziato, non emergono i vantaggi della CUR e cioè le “maggiori semplificazioni” che attraverso di essa si otterrebbero tanto da giustificare la sostituzione della SCIA che, com’è noto, è livello essenziale, per cui le norme sopra descritte contenute nell’art. 6 sono in contrasto con l’art. 117, comma 2, lett. m) della Cost., poiché deroga i livelli essenziali aggravando il procedimento e con la lett. e), in quanto inficia la tutela della concorrenza, introducendo differenziazioni tra le Regioni parimenti non giustificate dal parametro dei “livelli maggiori di semplificazione”.
2 ) L’art. 7 riscrive la disciplina della conferenza di servizi, come modificata dal d.lgs. n. 127 del 2016, derogando in peius la normativa generale, poiché aggrava e rende incerti i termini dei procedimenti amministrativi a svantaggio dei cittadini e delle imprese, infatti non prevede termini perentori per l’adozione delle determinazioni da parte delle amministrazioni competenti, né una scansione degli stessi al fine consentire il rispetto del termine di conclusione del procedimento. Nello stesso tempo l’art. 7 non prende in alcuna considerazione la tutela degli interessi sensibili nel caso in cui siano coinvolte amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali o alla tutela della salute dei cittadini.
In particolare il comma 6 di detto articolo 7 :
- con la lett. a) disciplina l’ipotesi in cui non sia necessario convocare una conferenza di servizi,
non rendendo chiaro il termine entro cui l’interessato deve produrre la documentazione integrativa richiesta dall’amministrazione procedente : non si rinvia infatti all’art. 2, comma 7 della legge n. 241 del 1990, con ciò rendendo incerto il termine per l’adozione del provvedimento conclusivo del procedimento;
- con la lett. b), relativa all’ipotesi in cui sia necessario convocare una conferenza di servizi, poiché devono essere acquisiti pareri, autorizzazioni o altri atti di assenso, non pone un termine per l’integrazione documentale, né rinvia all’art. 2, comma 7, legge n. 241 del 1990, ciò che rende incerto non solo il termine per la convocazione della conferenza di servizi, ma anche il termine per l’applicazione del silenzio assenso (comma 6, lett. b e comma 9), che dipende dal termine per l’integrazione documentale (lettere a e b del comma 6);
- non prevede , come stabilito nell’art. 14-bis della legge n. 241 del 1990, che la modalità di svolgimento dei lavori della conferenza in modalità telematica sia “la regola”, che invece resta una scelta facoltativa dell’amministrazione procedente;
- non distingue i casi in cui nel procedimento siano coinvolte amministrazioni preposte alla tutela degli interessi sensibili, a discapito delle tutele che invece sono garantite dalla legge n. 241 del 1990 (art. 14-bis e art. 17-bis). Infatti, non considerando i termini per l’integrazione documentale, che come detto sono incerti, l’art. 7 prevede che il procedimento della conferenza di servizi si concluda sempre entro il termine massimo di 47 giorni dalla presentazione dell’istanza (e cioè: dalla presentazione decorrono 15 giorni per l’integrazione documentale, 7 giorni per la convocazione, 15 giorni per lo svolgimento della conferenza di servizi, 10 giorni per l’adozione del provvedimento conclusivo);
Il comma 7, dello stesso articolo 7, prevede quanto segue: «Qualora l’intervento sia soggetto a valutazione d’impatto ambientale (VIA) o a valutazione ambientale strategica (VAS), verifica di VIA, verifica di VAS, a quelle previste per le aziende a rischio d'incidente rilevante (ARIR) di cui al decreto legislativo 26 giugno 2015, n. 105 (Attuazione della direttiva 2012/18/UE relativa al controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose), a quelle previste per gli impianti assoggettati ad autorizzazione integrata ambientale (AIA) di cui al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale) ad autorizzazione unica per nuovo impianto di smaltimento e di recupero dei rifiuti di cui al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale) o ad autorizzazione unica per impianto alimentato ad energia rinnovabile di cui all'articolo 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità), oppure ad alcuno dei casi individuati dall’articolo 20, comma 4, della L. 241/1990, i termini di cui alla lettera b), del comma 6, decorrono dalla comunicazione dell’esito favorevole delle relative procedure».
A sua volta, il precedente comma 6, alla lett. b), prevede che il SUAP, al fine di addivenire al provvedimento conclusivo, «convoca entro sette giorni dal decorso del termine di cui al comma 5, ovvero dal ricevimento delle integrazioni, la conferenza di servizi da svolgersi in seduta unica anche in via telematica entro i successivi quindici giorni lavorativi, qualora sia necessario acquisire pareri, autorizzazioni o altri atti di assenso comunque denominati, di amministrazioni diverse da quella comunale».
Da tali disposizioni risulta implicitamente, ma del tutto chiaramente, che la disciplina regionale configura la procedura di VIA come una procedura autonoma rispetto a quella volta al rilascio del provvedimento autorizzatorio, anche se ovviamente ad essa funzionalmente collegata. Tale assetto risulta in contrasto con quanto oggi previsto – a seguito delle modifiche intervenute per effetto del d.lgs. n. 104 del 2017 – dall’art. 27-bis del d.lgs. n. 152 del 2006, che disciplina in modo dettagliato ed articolato il procedimento da seguire per addivenire al rilascio di un provvedimento unico regionale. In particolare rileva in questa sede il comma 7, che dispone quanto segue: «Fatto salvo il rispetto dei termini previsti dall'articolo 32 per il caso di consultazioni transfrontaliere, entro dieci giorni dalla scadenza del termine di conclusione della consultazione ovvero dalla data di ricevimento delle eventuali integrazioni documentali, l'autorità competente convoca una conferenza di servizi alla quale partecipano il proponente e tutte le Amministrazioni competenti o comunque potenzialmente interessate per il rilascio del provvedimento di VIA e dei titoli abilitativi necessari alla realizzazione e all'esercizio del progetto richiesti dal proponente. La conferenza di servizi è convocata in modalità sincrona e si svolge ai sensi dell'articolo 14-ter della legge 7 agosto 1990, n. 241. Il termine di conclusione della conferenza di servizi è di centoventi giorni decorrenti dalla data di convocazione dei lavori. La determinazione motivata di conclusione della conferenza di servizi costituisce il provvedimento autorizzatorio unico regionale e comprende il provvedimento di VIA e i titoli abilitativi rilasciati per la realizzazione e l'esercizio del progetto, recandone l'indicazione esplicita. Resta fermo che la decisione di concedere i titoli abilitativi di cui al periodo precedente è assunta sulla base del provvedimento di VIA, adottato in conformità all'articolo 25, commi 1, 3, 4, 5 e 6, del presente decreto».
Il contrasto è inoltre apprezzabile anche con riferimento all’art. 14, comma 4, della legge n. 241 del 1990, il quale dispone che «qualora un progetto sia sottoposto a valutazione di impatto ambientale di competenza regionale, tutte le autorizzazioni, intese, concessioni, licenze, pareri, concerti, nulla osta e assensi comunque denominati, necessari alla realizzazione e all'esercizio del medesimo progetto, vengono acquisiti nell'ambito di apposita conferenza di servizi, convocata in modalità sincrona ai sensi dell'articolo 14-ter, secondo quanto previsto dall'articolo 27-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152».
Tali previsioni – disciplinando il procedimento di VIA – sono ascrivibili alla competenza legislativa statale in materia di «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema», di cui all’art. 117, secondo comma, lett. s), Cost. Il contrasto con le medesime si traduce dunque in una causa di illegittimità costituzionale, per violazione di tale parametro costituzionale, della previsione de qua.
Il menzionati art. 27-bis e art. 14, inoltre, rappresentano norme di semplificazione amministrativa adottate dal legislatore statale nell’esercizio della propria competenza in materia di «livelli essenziali delle prestazioni» ex art. 117, secondo comma, lett. m), Cost., in grado di vincolare anche i legislatori regionali, conformemente a quanto il Giudice costituzionale ha ritenuto possibile – tra le altre – con la sent. n. 203 del 2012. Da qui, dunque, la violazione anche di tale parametro costituzionale.
Inoltre , la norma contenuta nell’ art. 7 comma 8 prevede : “… Il procedimento è espressamente concluso con provvedimento di:…….c) rigetto, che può' essere adottato nei soli casi di motivata impossibilita' ad adeguare il progetto presentato per la presenza di vizi o carenze tecniche insanabili…” Appare illegittima la previsione di cui alla lettera c) del comma 8, che limita il provvedimento di “diniego assoluto” alle sole ipotesi di vizi o carenze tecniche insanabili del progetto, escludendo, quindi, la possibilità di un diniego assoluto che riguardi la stessa localizzazione dell’intervento, precludendone l’autorizzazione - cosiddetta “opzione zero” .
E’ vero che la legge in esame, nel medesimo articolo 7, comma 7, ha cura di precisare, apprezzabilmente, che “Qualora l'intervento sia soggetto a valutazione d'impatto ambientale (VIA) ….oppure ad alcuno dei casi individuati dall'articolo 20, comma 4, della l. 241/1990, i termini di cui alla lettera b), del comma 6, decorrono dalla comunicazione dell'esito favorevole delle relative procedure”, tuttavia è vero, altresì, che tale espressa esclusione dall’ambito di applicazione delle disposizioni regionali di semplificazione non è contenuta nel comma 8 in esame.
Pertanto, ove la disposizione sopra riportata si applichi anche quando sono coinvolti i beni culturali e paesaggistici, essa si pone in contrasto la normativa statale a tutela dei beni culturali e del paesaggio. Infatti, se il diniego propositivo è ammissibile qualora si tratti di interventi manutentivi o di risanamento conservativo e di restauro, spesso in sé necessari per la stessa conservazione del bene protetto, senza consumo di suolo inedificato, non altrettanto può dirsi nei casi in cui, invece, il procedimento abbia ad oggetto l’attivazione di nuovi interventi comportanti consumo di nuovo suolo verde o la profonda alterazione irreversibile del bene culturale tutelato: rispetto a tali casi le autorità preposte alla tutela dei beni culturali e paesaggistici possono e devono, se del caso, opporre un diniego o un parere negativo non condizionato, a valle del quale occorrerà proporre diverse localizzazioni.
Ancora , il comma 9 dell’art. 7 prevede che :”…Decorsi dieci giorni lavorativi dal termine di cui alla lettera a) del comma 6, ovvero dalla seduta della conferenza di servizi di cui alla lettera b) del comma 6, senza che sia stato emanato il provvedimento conclusivo, il procedimento si intende concluso positivamente…” Il comma in esame prevede il silenzio assenso a valle della conferenza di servizi, istituto non applicabile nei procedimenti ad istanza di parte riguardanti la materia dei beni culturali e del paesaggio.
Infatti, il Consiglio di Stato ha precisato, con il parere n. 1640 del 13 luglio 2016, che l’istituto del silenzio assenso di cui all’art. 17-bis della legge n. 241 del 1990 opera in tutti i procedimenti che prevedano una fase co-decisoria necessaria di competenza di altra amministrazione (silenzio assenso “orizzontale”), non applicandosi, perciò, ove la richiesta non provenga dall’amministrazione procedente, ma dal privato destinatario dell’atto, direttamente o per il tramite dello Sportello unico. Infatti, in tali ipotesi, viene in rilevo il rapporto verticale privato-pubblica amministrazione e troverà applicazione, pertanto, l’art. 20 della legge n. 241 del 1990, che esclude l’applicabilità del silenzio-assenso agli interessi sensibili.
Le suddette disposizioni di cui ai citati comma 8 e 9 dell’art 7 della legge in esame, risultano quindi in contrasto con l’art. 117, comma secondo, della Costituzione - che riserva la competenza legislativa esclusiva in materia di tutela di beni culturali e paesaggio allo Stato con riferimento alle le norme interposte di cui al codice dei beni culturali e del paesaggio riguardanti le autorizzazioni relative agli interventi sul patrimonio culturale (articoli 21 e 146 del codice).
3) L’art. 8, comma 2, della legge regionale in esame prevede quanto segue: «In ogni caso, le irregolarità riscontrate in sede di verifica derivanti dall’inosservanza dei requisiti minimi pubblicati ai sensi dell'articolo 6, comma 7, non possono dare luogo a provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività senza che prima sia stato concesso un termine congruo per la regolarizzazione non inferiore a centottanta giorni, salvo non sussistano irregolarità tali da determinare gravi pericoli per la popolazione, l'ambiente o l'ordine pubblico. Le pubbliche amministrazioni, all'esito di procedimenti di verifica, non possono richiedere adempimenti ulteriori né irrogare sanzioni che non riguardino esclusivamente il rispetto dei requisiti minimi». Il menzionato art. 6, comma 7, a sua volta, prevede che «la comunicazione unica regionale di cui ai commi 1 e 5, il verbale degli esiti dei controlli espletati dalle autorità competenti, nonché il provvedimento di autorizzazione o inibizione, sono trasmessi a cura del SUAP o delle autorità competenti con modalità telematica al registro delle imprese per l'inserimento e la conservazione nel fascicolo informatico d'impresa».
Qui interessa, in particolare, il riferimento ai «controlli espletati dalle autorità competenti» che, in base al tenore testuale della disposizione, non possono non comprendere i controlli in materia di AIA. Ebbene, dal combinato disposto delle previsioni sopra richiamate deriva, anche ove a seguito dei controlli in materia di AIA emergessero irregolarità, l’impossibilità di provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività in assenza di termine congruo per la regolarizzazione non inferiore a centottanta giorni, «salvo non sussistano irregolarità tali da determinare gravi pericoli per la popolazione, l'ambiente o l'ordine pubblico».
Tale previsione viola quanto disposto dall’art. 117, secondo comma, lett. s), Cost., in relazione
all’art. 29-decies, comma 9, del d.lgs. n. 152 del 2010.
In particolare, il contrasto è apprezzabile con quanto previsto dall’art. 29-decies, comma 9, il quale così dispone: «In caso di inosservanza delle prescrizioni autorizzatorie o di esercizio in assenza di autorizzazione, ferma restando l'applicazione delle sanzioni e delle misure di sicurezza di cui all’articolo 29-quattuordecies, l’autorità competente procede secondo la gravità delle infrazioni: a) alla diffida, assegnando un termine entro il quale devono essere eliminate le inosservanze, nonché un termine entro cui, fermi restando gli obblighi del gestore in materia di autonoma adozione di misure di salvaguardia, devono essere applicate tutte le appropriate misure provvisorie o complementari che l’autorità competente ritenga necessarie per ripristinare o garantire provvisoriamente la conformità; b) alla diffida e contestuale sospensione dell’attività per un tempo determinato, ove si manifestino situazioni, o nel caso in cui le violazioni siano comunque reiterate più di due volte all’anno; c) alla revoca dell'autorizzazione e alla chiusura dell'installazione, in caso di mancato adeguamento alle prescrizioni imposte con la diffida e in caso di reiterate violazioni che determinino situazioni di pericolo o di danno per l'ambiente; d) alla chiusura dell'installazione, nel caso in cui l'infrazione abbia determinato esercizio in assenza di autorizzazione».
Per i motivi sopra specificati , la legge regionale deve essere impugnata, limitatamente alle disposizioni sopra indicate, ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione
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