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Modifiche alla legge regionale 4 febbraio 2015, n. 4 (Istituzione dell’Ente di governo dell’ambito della Sardegna e modifiche ed integrazioni alla legge regionale n. 19 del 2006) e alla legge regionale 25 luglio 2008, n. 10 (Riordino delle funzioni in materia di aree industriali). (11-12-2017)
Sardegna
Legge n.25 del 11-12-2017
n.59 del 14-12-2017
Politiche infrastrutturali
8-2-2018 /
Impugnata
La legge della Regione Sardegna n. 25 del 2017 , che detta modifiche alla legge regionale 4 febbraio 2015, n. 4 (Istituzione dell’Ente di governo dell’ambito della Sardegna e modifiche ed integrazioni alla legge regionale n. 19 del 2006) e alla legge regionale 25 luglio 2008, n. 10 (Riordino delle funzioni in materia di aree industriali), presenta profili di illegittimità costituzionale in riferimento a diverse disposizioni di seguito specificate che eccedono dalle competenze statutarie della Regione Sardegna , risultando invasive della competenza esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza noncè di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema di cui all’art. 117, comma secondo, lettere e) ed . s) della Costituzione.
Si premette che la legge regionale in oggetto contiene importanti norme di riforma dell’organizzazione del servizio idrico integrato nella Regione. E’ dunque necessario premettere alcune considerazioni sul riparto delle competenze legislative sul tema ai sensi dello statuto speciale di autonomie e dell’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001.
Lo Statuto speciale della Regione Sardegna assegna a quest’ultima competenza esclusiva nelle materie delle «acque minerali e termali», dell’«esercizio dei diritti demaniali della Regione sulle acque pubbliche» e dei «lavori pubblici di esclusivo interesse della Regione» (art. 3). In relazione alla materia dell’«assunzione di pubblici servizi» e a quella dell’«igiene e sanità pubblica», lo Statuto prevede invece la competenza concorrente tra Stato e Regioni (art. 4).
Il tema della competenza legislativa delle Regioni speciali con riferimento al SII è stato oggetto, negli ultimi anni, di più di una pronuncia da parte del Giudice costituzionale. In particolare, la sent. n. 93 del 2017 ha ricordato come alla Provincia autonoma di Trento debba essere riconosciuta una competenza esclusiva sul tema, in base alle clausole statutarie che affidano a questo regime competenziale le materie «acquedotti e lavori pubblici di interesse provinciale» (art. 8, numero 17), «assunzione diretta di servizi pubblici e loro gestione mediante aziende speciali» (art. 8, numero 19) e «opere idrauliche» (art. 8, numero 24). Anche la Regione Valle d’Aosta, secondo la giurisprudenza costituzionale è dotata di una competenza siffatta con riferimento al SII, in ragione delle previsioni statutarie concernenti le «acque minerali e termali» (art. 2, primo comma, lettera i), e le «acque pubbliche destinate ad irrigazione ed uso domestico» (art. 2, primo comma, lettera m). La citata sent. n. 93 del 2017 ha invece messo in luce come la Regione siciliana non possa ritenersi dotata di competenza esclusiva sul SII, poiché le materie statutarie che a questo fine potrebbero venire in rilievo si limitano alle acque pubbliche che «non siano oggetto di opere pubbliche di interesse nazionale» (art. 14, lettera i). Risultano viceversa assorbenti le materie «igiene e sanità» (art. 3, primo comma, lettera l) e «assunzione di pubblici servizi» (art. 3, primo comma, lettera o), affidate dallo Statuto siciliano alla competenza concorrente. Da qui, in base alla clausola di maggior favore di cui all’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, la conclusione dell’esistenza di una competenza residuale ex art. 117, quarto comma, Cost. (in materia di “servizi pubblici locali”) e – conseguentemente – dell’applicazione dei relativi limiti, inerenti la «tutela della concorrenza» e la «tutela dell’ambiente».
Da tali premesse è agevole concludere che anche la Regione Sardegna non dispone di una competenza esclusiva in tema di SII, ma solo di una competenza legislativa residuale, in base al combinato disposto dell’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001 e dell’art. 117, quarto comma, Cost. Risultano infatti del tutto prevalenti, nell’inquadramento del SII, le materie dell’«assunzione di pubblici servizi» e dell’«igiene e sanità pubblica», affidate alla competenza concorrente, rispetto a quelle, estremamente limitate e circoscritte, delle «acque minerali e termali» e dell’«esercizio dei diritti demaniali della Regione sulle acque pubbliche», nonché a quella, al contrario estremamente generica, dei «lavori pubblici di esclusivo interesse della Regione».
In conclusione, anche la Regione Sardegna come la Regione siciliana si deve ritenere dotata di competenza legislativa residuale con riferimento al SII ex art. 117, quarto comma, in modo non dissimile dalle Regioni ordinarie. La funzione legislativa regionale, dunque, deve esplicarsi nel rispetto dei limiti che tale competenza incontra in base all’art. 117, comma secondo, Cost.: da qui i profili di illegittimità costituzionale che di seguito si illustra.
1) L’articolo 1 della legge regionale in esame aggiunge all’art. 2, comma 3, della legge regionale n. 4 del 2015 il comma 3-bis dal seguente tenore: «In considerazione del permanere del principio di affidamento della gestione del servizio idrico a società interamente pubbliche si assicura che l’acqua resti un servizio pubblico locale di interesse economico generale, in grado di garantire ai nuclei familiari morosi in condizioni di disagio economico, il diritto inalienabile ad un quantitativo minimo vitale procapite».
Al riguardo si rileva innanzi tutto come sia privo di ogni fondamento giuridico il presupposto da cui parte il legislatore regionale, il quale ritiene che l’affidamento della gestione del servizio idrico a società interamente pubbliche sia l’unica modalità in grado di garantire che «l’acqua resti un servizio pubblico locale di interesse economico generale». Tutto all’opposto, infatti, è lo stesso diritto europeo (Comunicazione Commissione dell’11.09.1996; Comunicazione Commissione del 19.01.2001; Libro Verde su “I servizi di interesse generale del 21.05.2003; Libro Bianco su “I servizi di interesse generale” del 12.05.2004) che ha coniato la nozione di SIEG e che sottopone gli stessi alla disciplina dettata per la tutela della concorrenza. Pertanto, è sufficiente che gli affidamenti nel settore in esame siano rispettosi della disciplina in tema di tutela della concorrenza, mentre non è sancito che un SIEG per essere tale debba essere gestito con la forma dell’in house, come erroneamente stabilito dal legislatore regionale.
In continuità con tale approccio si è posto il legislatore statale, il quale con l’art. 149-bis del d.lgs. n. 152 del 2006 ha stabilito che le forme di affidamento ammesse per la gestione del servizio idrico integrato devono essere quelle «previste dall’ordinamento europeo», ovvero l’affidamento mediante gara ad evidenza pubblica, la società mista con gara a monte per la scelta del socio privato o l’affidamento in house, senza che venga espressa dalla legge vigente alcuna preferenza o criterio di prevalenza di una forma di affidamento rispetto alle altre, e senza che la forma di gestione in house costituisca garanzia imprescindibile affinché il servizio idrico integrato sia un servizio di interesse economico generale. La giurisprudenza costituzionale ha da tempo evidenziato, e di recente ribadito, che la disciplina statale sulle forme di gestione e affidamento del servizio idrico integrato è riconducibile alla competenza esclusiva in materia di «tutela della concorrenza» di cui all’art. 117, secondo comma, lett. e), Cost., che – come è noto – si impone alle Regioni anche ove le medesime esercitino la propria competenza residuale in base al quarto comma del medesimo articolo (sent. n. 264 del 2009; sent. n. 117 del 2015; sent. n. 93 del 2017). Da qui, dunque, la evidente violazione dell’art. 117, comma secondo, lett. e), Cost.
Da questo primo punto di vista la disposizione legislativa regionale è incostituzionale perché restringe il campo delle opzioni di scelta tra le modalità di affidamento del servizio che è stato predisposto dalla legge statale. Tale profilo di illegittimità costituzionale, peraltro, può essere apprezzato appieno ove si consideri che, in base al citato art. 149-bis del d.lgs. n. 152 del 2006, la forma di gestione del servizio deve essere deliberata dall’Ente di governo dell’ambito, e comunque «nel rispetto del piano d’ambito di cui all’art. 149» del medesimo d.lgs. n. 152.
La norma della Regione Sardegna che qui si contesta, dunque, cristallizzando in legge la scelta della forma della gestione del servizio, incide sulle competenze che la legge statale affida all’Ente di governo dell’ambito ottimale. Numerose decisioni del Giudice costituzionale hanno peraltro affermato, con un orientamento ormai consolidato, che le norme con cui la legge dello Stato ha affidato all’Autorità d’ambito territoriale importanti funzioni sull’organizzazione del servizio idrico sono riconducibili alla competenza esclusiva del primo, ex art. 117, secondo comma, lett. s), Cost., in tema di «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema», poiché tale scelta allocativa «serve a razionalizzare l’uso delle risorse idriche e le interazioni e gli equilibri fra le diverse componenti della “biosfera” intesa “come “sistema” [...] nel suo aspetto dinamico” (sentenze n. 168 del 2008, n. 378 e n. 144 del 2007)» (sent. n. 246 del 2009, par. 12.2. del Considerato in diritto; cfr. anche la sent. n. 325 del 2010).
Inoltre che il principio di “primarietà” dell’ambiente richiamato, tra le altre, dalla sent. n. 196 del 2004, esige che l’interesse ambientale riceva «una compiuta ed esplicita rappresentazione (…) nei processi decisionali all'interno dei quali si esprime la discrezionalità delle scelte politiche o amministrative» (sent. n. 196 del 2004, par. 23 del Considerato in diritto). Il che, evidentemente, può essere garantito, nel caso che qui ci occupa, soltanto ove tale scelta sia affidata ad una autorità amministrativa, gravata dall’obbligo di motivarla, e non cristallizzata in una disposizione legislativa. E’ in tale ottica, del resto, che la Corte costituzionale ha di recente affermato che, per ragioni analoghe, la legge regionale non può avocare a se stessa la scelta, che il legislatore statale ha configurato come amministrativa, e dunque necessitante una adeguata motivazione (anche) in punto di considerazione degli interessi ambientali, della delimitazione degli ambiti territoriali ottimali per l’organizzazione del SII (sent. n. 173 del 2017).
Infine, che la avocazione nella sede legislativa della individuazione della forma della gestione inverte l’ordine logico del rapporto tra tale scelta e la pianificazione d’ambito di cui all’art. 149 del d.lgs. n. 152 del 2006, poiché, come si è visto, in base al successivo art. 149-bis è la scelta della gestione che deve rispettare il piano d’ambito e non viceversa. Da qui una ulteriore disformità rispetto a norme legislative adottate dallo Stato in virtù della propria competenza ex art. 117, comma secondo, lett. s), Cost., e la conseguente lesione di tale parametro costituzionale.
Da quanto sopra esposto ne discende l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge regionale indicata in oggetto, per violazione dell’art. 117, comma secondo, lett. e) ed s), in riferimento agli artt. 149 e 149-bis del d.lgs. n. 152 del 2006.
2) L’articolo 8 della legge regionale in esame aggiunge all’art. 15 della L.R. n. 4/2015 :
- il comma 1-bis, ai sensi del quale «nell’Ambito territoriale ottimale di cui al comma 1 rimangono in ogni caso ferme, nel rispetto dei requisiti di cui all’art. 147, comma 2 bis, lettere a) e b) del Decreto Legislativo n. 152/2006, le gestioni esistenti svolte in forma autonoma tramite affidamento o in via diretta o attraverso convenzioni stipulate dai comuni con altri enti locali o gestori»;
-il comma 1-ter che prevede che «ai fini dell’art. 147, comma 2 bis, lettera a) del D.Lgs. n. 152/2006, si considerano positivamente verificati e assentiti, nel periodo della sua vigenza, i requisiti di cui all’art. 148, comma 5 del medesimo decreto, quando la gestione sia iniziata prima dell’entrata in vigore del decreto legislativo n. 152/2006 e sia in corso al momento dell’entrata in vigore della presente legge».
-il comma 1-quater, ai sensi del quale «il requisito di cui all'articolo 147, comma 2-bis, lettera b) punto secondo del decreto legislativo n. 152 del 2006, si intende soddisfatto anche per le sorgenti ricadenti in siti individuati in zona urbanistica H di salvaguardia ai sensi del decreto dell'Assessore degli enti locali, finanze ed urbanistica 20 dicembre 1983, n. 2266/U».
Si ricorda che, con l’art. 147, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006 il legislatore statale ha optato per il principio dell’unicità della gestione dell’intero SII nell’ambito ottimale e che, secondo la giurisprudenza costituzionale, gli aspetti fondamentali dell’organizzazione del SII (quale è senza dubbio la organizzazione in ambiti ottimali e il principio di unità c.d. verticale e orizzontale della gestione) sono ascrivibili alla competenza legislativa esclusiva statale concernente la «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema» di cui all’art. 117, comma secondo, lett. s), Cost.
L’art. 147, comma 2-bis, del d.lgs. n. 152 del 2006, introdotto dalla legge n. 221 del 2015, c.d. “Collegato ambientale”, ha previsto alcune limitate e circoscritte eccezioni, che ovviamente devono essere intese quali ipotesi specifiche e tassative, non suscettibili di interpretazione estensiva né tanto meno di essere integrate dalla legislazione regionale, in quanto derogatorie della disciplina generale sopra richiamata. In particolare, il citato art. 147, comma 2-bis, prevede che l’eccezione al principio di unicità della gestione operi esclusivamente con riferimento a tali ipotesi: «a) le gestioni del servizio idrico in forma autonoma nei comuni montani con popolazione inferiore a 1.000 abitanti già istituite ai sensi del comma 5 dell'articolo 148; b) le gestioni del servizio idrico in forma autonoma esistenti, nei comuni che presentano contestualmente le seguenti caratteristiche: approvvigionamento idrico da fonti qualitativamente pregiate; sorgenti ricadenti in parchi naturali o aree naturali protette ovvero in siti individuati come beni paesaggistici ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42; utilizzo efficiente della risorsa e tutela del corpo idrico».
Ebbene, la disposizione di cui all’art. 8 della legge regionale in esame, sopra richiamata, nonostante possa apparire, prima facie, volta a chiarire il contenuto delle fattispecie previste all’art. 147, comma 2-bis del d.lgs. n. 152/2006, opera in realtà ampliando la deroga ivi prevista a fattispecie ulteriori e diverse da quelle individuate dal legislatore nazionale.
In particolare, valgano le seguenti considerazioni.
I. Con riferimento al “nuovo” comma 1-bis della legge regionale n. 4 del 2015, deve essere evidenziato che se l’inciso, presente nel medesimo, secondo cui le gestioni ivi indicate sono fatte salve «nel rispetto dei requisiti di cui all’art. 147, comma 2 bis, lettere a) e b) del Decreto Legislativo n. 152/2006», andasse interpretato nel senso che di tali gestioni, comunque, deve essere verificata in concreto la rispondenza ai requisiti indicati dalla citata disposizione legislativa statale, la disposizione sarebbe costituzionalmente legittima ma priva di qualunque contenuto normativo, in quanto le gestioni de quo sarebbero comunque ricomprese in quanto già ad oggi prevede l’art. 147, comma 2, lett. a) e b), sopra richiamato. Ben più plausibile, tuttavia, è ovviamente l’ipotesi secondo la quale il legislatore regionale, con la disposizione che qui si contesta, abbia voluto inserire un nuovo contenuto normativo nell’ordinamento: e tale contenuto normativo non può che essere quello di stabilire, in via generale ed astratta, l’eccezione rispetto al principio di unicità, di tutte «le gestioni esistenti svolte in forma autonoma tramite affidamento o in via diretta o attraverso convenzioni stipulate dai comuni con altri enti locali o gestori», a prescindere dalla concreta ricorrenza dei presupposti richiesti dalla norma statale, che si considerano invece esistenti ex lege. Ove interpretata in tal modo, la norma contrasta palesemente con l’art. 147, comma 2-bis, del d.lgs. n. 152 del 2006, violando in tal modo l’art. 117, comma secondo, lett. s), Cost.
II. Sempre in relazione a quanto prevede il sopra richiamato comma 1-bis della legge regionale n. 4 del 2015, va inoltre messo in evidenza che le gestioni de quibus, per ricadere nell’ambito di applicazione della norma, e dunque per rimanere escluse dalla gestione unica, devono risultare “esistenti” alla data di entrata in vigore della legge indicata in oggetto, mentre invece la norma legislativa statale fa salve le gestioni esistenti alla data della “sua” entrata in vigore. Poiché, come si ricordava più sopra, l’art. 147, comma 2 bis, del d.lgs. n. 152 del 2006 è stato introdotto dalla legge n. 221 del 2015, è la data di entrata in vigore di quest’ultima – ossia il 2 febbraio 2016 – a segnare irrinunciabilmente il limite temporale per l’applicazione della sopra richiamata eccezione. Anche da tale punto di vista, dunque, la norma regionale allarga sensibilmente le maglie della deroga statale.
III. Palese risulta anche la estensione della deroga operata, rispetto alla previsione legislativa statale, dal nuovo comma 1-ter. Si consideri, al riguardo, che l’art. 148, comma 5, del d.lgs. n. 152 del 2006 prevedeva, prima della sua abrogazione, che «ferma restando la partecipazione obbligatoria all’Autorità d’ambito di tutti gli enti locali ai sensi del comma 1, l'adesione alla gestione unica del servizio idrico integrato é facoltativa per i comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti inclusi nel territorio delle comunità montane, a condizione che gestiscano l'intero servizio idrico integrato, e previo consenso della Autorità d’ambito competente». Ebbene, ritenere che tale condizione sussista senz’altro «quando la gestione sia iniziata prima dell’entrata in vigore del decreto legislativo n. 152/2006 e sia in corso al momento dell’entrata in vigore» della legge regionale comporta sovrapporre un diverso ambito applicativo da quello della legge statale che può avere punti di sovrapposizione ma certamente comprende anche fattispecie non incluse nella deroga prevista da quest’ultima. Si consideri, ad esempio, che ben potrebbero esserci gestioni ancora in corso ed iniziate prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 152 del 2006, in relazione alle quali, però, non sia mai intervenuto il consenso dell’Autorità d’ambito: ebbene, tali fattispecie rientrerebbero senz’altro nella deroga regionale ma non in quella prevista dalla legge statale.
IV. Infine, anche il nuovo comma 1-quater sovrappone una diversa fattispecie a quella prevista dalla legge statale, determinando un contrasto con la previsione di quest’ultima analogo a quello che contraddistingue le fattispecie prima richiamate.
In base all’ultimo periodo dell’art. 147, comma 2-bis, del d.lgs. n. 152 del 2006, è «l’ente di governo d’ambito territorialmente competente» a dover provvedere «all’accertamento dei predetti requisiti»: in sintesi, anche su tal punto la legge statale impone una riserva di amministrazione per il riconoscimento in concreto dei requisiti, a garanzia dell’esistenza di una adeguata motivazione al riguardo, individuando nell’ente di governo d’ambito l’amministrazione competente. Analogamente a quanto vale per le disposizioni su cui ci si è soffermati più sopra, nel par. 2, si tratta di previsioni poste dalla legge statale a «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema» in base all’art. 117, secondo comma, lett. s), Cost.
Da quanto sopra rappresentato, ne discende quindi l’illegittimità costituzionale dell’art. 8 della legge regionale indicata in oggetto, per violazione dell’art. 117, comma secondo, lett. e) ed s), in riferimento all’art. 147, comma 2-bis, del d.lgs. n. 152 del 2006.
3) Aspetti di illegittimità sotto il profilo della tutela della concorrenza presentano inoltre le norme dettate dalla legge regionale al fine di legittimare la scelta di affidamento del servizio da parte dell’EGAS ( Ente di Governo dell’Ambito della Sardegna) alla società in house ABBANOA spa.
Come previsto dal diritto europeo (sent. Teckal) e dall’art. 5 del d.lgs. n. 50/2016 e dall’art. 16 del d. lgs n. 175/2016, l’affidamento in house providing, in deroga alla regola dell’affidamento tramite procedure competitive, è legittimato in presenza di tre requisiti soggettivi ed oggettivi: a) titolarità pubblica del capitale sociale del soggetto affidatario;b)svolgimento dell’ attività prevalentemete in favore del Ente affidante; c) c.d. controllo analogo dell’ente affidante sulla società affidataria del servizio.
Ciò premesso le seguenti norme regionali, in combinato disposto, appaiono porsi in contrasto con detti principi violando così le richiamate disposizioni statali :
- l’art. 4, comma 1, inserisce un articolo 7 bis nella legge n. 4/2015, prevedendo dettagliate modalità di esercizio del controllo analogo, istituendo una apposita Commissione , composta da 5 soggetti di cui 4 in rappresentanza degli enti concedenti ed uno della Regione Sardegna.
- l’articolo 6, comma 1, modifica l’articolo 12 della legge regionale n. 4/2015 , dettando una nuova disciplina sulle funzioni della Regione che rafforzano i poteri di controllo di questa nei confronti dell’EGAS, in particolare prevedendo la possibilità di sciogliere il Comitato Istituzionale d’Ambito, condizionando così le modalità di esercizio del controllo analogo. Infatti, le nuove funzioni regionali attribuiscono alla Regione penetranti poteri in relazione all'indirizzo e al controllo delle attività svolte da EGAS, al punto da poter determinare lo scioglimento del Comitato Istituzionale d’Ambito (CIA) in caso di mancato rispetto delle direttive ed esso impartite. Il CIA, d'altro canto, possiede competenze di regolamentazione del controllo analogo e, dunque, sarà l'organo deputato ad adottare non soltanto la disciplina che sarà attuata dalla Commissione per il Controllo Analogo ma anche le concrete modalità di funzionamento/governance eli quest'ultima; modalità che, non ancora definite, potrebbero ben prevedere per alcune decisioni l'unanimità dei votanti/componenti, conferendo così un potere di veto alla Regione, che nomina uno dei cinque componenti della Commissione. II potere di influenzare l'operato dei CIA consente quindi in ultima analisi alla Regione Sardegna, pur con una rappresentanza formalmente limitata ad un componente su cinque, il potere di condizionare le modalità di esercizio del controllo analogo da parte della neocostituita Commissione
- l’articolo 8 , comma 1, modifica l’articolo 15 della l.r. n. 4/2015, riducendo, dal 49 al 20 per cento, il limite massimo delle quote di partecipazione azionaria nel capitale sociale di ABBANOA Spa che la Regione può continuare a detenere. Tale previsione, nel consentire la detenzione da parte della Regione Sardegna di quote del capitale sociale di Abbanoa, interferisce con l’affidamento diretto da parte di EGAS in modalità in house del servizio idrico. Infatti , in mancanza di una cessione totalitaria a favore dell’EGAS, non è assicurato che le amministrazioni comunali risultino titolari dei richiesti significativi poteri in grado di influenzare in modo determinante gli obiettivi strategici della Abbanoa SPA.
La società Abbanoa Spa risulta quindi costituita in modo non rispettoso dei richiamati principi legittimanti la costituzione di società in house e pertanto l’affidamento del servizio idrico risulta effettuato in violazione dei principi generali secondo cui gli affidamenti debbono compiersi mediante procedure competitive. Risulta dunque violata la competenza esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza, di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera e) della Costituzione.”
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