Dettaglio Legge Regionale

Variazione di denominazione dei comuni termali. (8-2-2018)
Sicilia
Legge n.1 del 8-2-2018
n.8 del 16-2-2018
Politiche ordinamentali e statuti
17-4-2018 / Impugnata
Con la legge regionale n. 1/2018, la regione siciliana intende apportare modifiche all’articolo 8 della legge regionale 23 dicembre 2000, n. 30 (Norme sull’ordinamento degli enti locali), che disciplina, tra l'altro, la possibilità per i comuni di variare la propria denominazione stabilendo all'uopo una procedura che prevede obbligatoriamente la consultazione referendaria della popolazione dell’intero comune.

La legge regionale in esame, all’articolo 1, ha la finalità di semplificare la procedura sopra descritta per i comuni nei quali insistono insediamenti ovvero bacini termali, riconoscendo agli stessi la possibilità di aggiungere la dizione “terme” alla propria denominazione con la deliberazione del consiglio comunale, adottata a maggioranza dei due terzi dei consiglieri e sostituendo la consultazione referendaria della popolazione dell’intero comune, con una successiva, eventuale presentazione, alla sede dell’ente, di una petizione sottoscritta da almeno un quinto degli elettori iscritti nelle liste elettorali del comune, nella quale i cittadini possono esprimere il proprio dissenso.

La regione Siciliana, tuttavia, pur disponendo di potestà legislativa esclusiva in materia di "regime degli enti locali e delle circoscrizioni relative", ai sensi dell’articolo 14, lettera o) dello Statuto (approvato con R.D.Lgs. 15 maggio 1946, n. 455 e convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2), incontra taluni limiti indicati dallo stesso statuto speciale, in particolar modo il limite del “rispetto delle leggi costituzionali dello Stato ".
Pertanto, la legge regionale presenta profili di illegittimità costituzionale, eccedendo dai limiti della competenza legislativa in materia, anche in violazione dell'articolo 133, secondo comma, della Costituzione, per le motivazioni di seguito specificate:
- la disposizione di cui all’articolo 1, che modifica il comma 2dell’articolo 8 della legge regionale n. 30/2000 e inserisce il comma 2-bis al medesimo articolo, prevede l'introduzione di una specifica disciplina (comma 2 bis) per consentire “ai comuni sui cui territori insistono insediamenti e/o bacini termali … l'aggiunta della parola "terme" alla propria denominazione - previa deliberazione del consiglio comunale adottata a maggioranza dei due terzi dei consiglieri. Entro sessanta giorni dalla pubblicazione della delibera nell'albo pretorio, i cittadini del comune interessato possono esprimere il proprio dissenso alla modifica di denominazione mediante la presentazione, alla sede dell'ente, di una petizione sottoscritta dagli elettori iscritti nelle liste elettorali del comune. La mancata sottoscrizione della petizione equivale all'adesione alla modifica di denominazione. La delibera del consiglio comunale acquista efficacia alla scadenza del termine di cui al presente comma, a condizione che non sia stata presentata una petizione sottoscritta da almeno un quinto degli elettori iscritti nelle liste elettorali del comune" - senza che risulti effettuata la consultazione delle popolazioni interessate, si pone in contrasto con il principio sancito dall’articolo 133, secondo comma, della Costituzione come confermato da una costante giurisprudenza costituzionale, secondo cui ai fini della modifica della denominazione dei comuni devono essere preventivamente sentite le popolazioni interessate, con le modalità previste dalla legislazione regionale in materia di referendum.
Si osserva che in base ad un consolidato orientamento della giurisprudenza costituzionale, l'articolo 133, secondo comma, della Costituzione, nell'attribuire alla Regione il potere di "istituire nel proprio territorio nuovi Comuni e modificare le loro circoscrizioni e denominazioni", prescrive di sentire "le popolazioni interessate ". Ciò comporta, per le Regioni a statuto ordinario, l'obbligo di procedere a tal fine mediante referendum (cfr. sentenze nn. 204/1981, 107/1983 e 279/1994).
La Corte Costituzionale ha anche recentemente affermato (sentenza n. 21/2018), in riferimento ad una legge della Regione Sardegna n. 4/2017, che, pur essendo l'articolo 133, secondo comma, della Costituzione certamente destinato alle Regioni a statuto ordinario, "tuttavia vincola, nella parte in cui riconosce il principio di autodeterminazione delle popolazioni locali, anche le Regioni a statuto speciale, le quali restano peraltro libere di dare attuazione a tale principio nelle forme procedimentali ritenute più opportune" (cfr. anche sentenza n. 453/1989).
Il Giudice delle leggi ha inoltre precisato che la consultazione deve svolgersi a prescindere dal numero dei soggetti interessati e dalla scarsa entità dell'intervento e che non garantisce il rispetto del principio di autodeterminazione delle popolazioni interessate, la circostanza che la richiesta di variazione sia originata da un'istanza dei cittadini, anche nella forma della petizione. La Corte, infatti, ha affermato che "la sottoscrizione di dette istanze costituisce un modo di espressione dell'opinione che non offre garanzie circa la libertà di ciascuno in relazione a possibili condizionamenti esterni" e, soprattutto, che "altro è il momento dell'iniziativa altro è quello della consultazione vera e propria" (sentenza n. 453/1989).
“D'altronde, in tutti i procedimenti che presuppongono una consultazione popolare, e quindi anche quando questa, come nella specie, non sia vincolante, altro è il momento dell'iniziativa altro è quello della consultazione vera e propria, come risulta in modo inequivocabile, ad esempio, sia nella disciplina costituzionale (art. 75 della Costituzione) che in quella ordinaria (legge 25 maggio 1970, n. 352) in materia di referendum abrogativi, nonchè nelle leggi regionali che hanno disciplinato i referendum consultivi che tengono ben distinti i due momenti, talchè, anche se l'iniziativa dovesse risultare in concreto promossa dalla maggioranza dei cittadini aventi diritto alla consultazione referendaria, questa dovrebbe ugualmente celebrarsi con quelle forme di segretezza idonee ad assicurare la completa libertà degli aventi diritto nel momento in cui ciascuno di essi deve manifestare la propria opinione” (sentenza n. 453/1989).
Non è, infine, rilevante che i Consigli comunali interessati e il Consiglio regionale si siano espressi all'unanimità, poiché l'interesse garantito dall'obbligo di consultazione è riferito direttamente alle popolazioni e non agli enti territoriali (sentenza n.94/ 2000).
Di conseguenza è illegittima la norma regionale che prevede il mutamento della denominazione del Comune senza aver sentito le popolazioni interessate mediante apposito referendum consultivo ovvero forme equivalenti tali da assicurare preventivamente e con pari forza la completa libertà di manifestazione dell'opinione delle stesse con opportune forme di segretezza.
Infatti, sempre secondo il Giudice delle Leggi, anche la semplice integrazione della denominazione ne costituisce una modifica, come tale soggetta alla previa consultazione della popolazione interessata ai sensi dell'articolo 133, secondo comma, della Costituzione (sentenze nn. 237/2004 e n. 36/2011).

Per i motivi esposti, si ritiene pertanto, di promuovere la questione di legittimità costituzionale della legge regionale dinanzi alla Corte Costituzionale.

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