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Interventi in materia di continuità assistenziale. (28-2-2018)
Basilicata
Legge n.3 del 28-2-2018
n.11 del 1-3-2018
Politiche socio sanitarie e culturali
/ Rinuncia impugnativa
Nella riunione del 26 aprile 2018 il Consiglio dei Ministri ha deliberato l'impugnativa della legge della Regione Basilicata n. 3 del 28 febbraio 2018 recante "Interventi in materia di continuità assistenziale” per violazione degli artt. 117, secondo comma, lett. l), e 3 della Costituzione.
E’ stata sollevata questione di legittimità costituzionale in quanto l’ art. 1, comma 2, prevedendo che i medici di continuità assistenziale siano retribuiti con un compenso orario forfettario da definire in sede di Accordo integrativo regionale , contrastava con la normativa statale di riferimento la quale prevede che i compensi dei medici di continuità assistenziale sono regolati dall’Accordo Collettivo Nazionale di settore.
Successivamente la Regione Basilicata, con l’art. 15, comma 1, della legge regionale 13 marzo 2019, n. 4, recante “Ulteriori disposizioni urgenti in cari settori d'intervento della Regione Basilicata”, ha abrogato la legge n. 3 del 2018 sopra citata .
Il Consiglio dei Ministri, nella seduta dell’8 maggio 2019, ha deliberato la non impugnativa del menzionato art.15, comma 1, della legge regionale n. 4/2019.
Pertanto, considerato che appaiono venute meno le ragioni che hanno determinato l’impugnativa della legge in oggetto, su parere conforme del Ministero della salute e a seguito di comunicazione da parte della Regione della mancata applicazione delle disposizioni censurate, sussistono i presupposti per rinunciare al ricorso.
Si propone pertanto la rinuncia all'impugnazione legge della regione Basilicata n. 3 del 28 /02/2018.
26-4-2018 /
Impugnata
La legge della Regione Basilicata n. 3 del 2018, recante "Interventi in materia di continuità assistenziale", presenta profili d’illegittimità costituzionale con riferimento all’art.1, comma 2, per invasione della competenza riservata allo Stato dall’art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione in materia di "ordinamento civile", nonché per violazione del principio di eguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione.
In particolare l'art. 1, riguardante la “continuità assistenziale”, prevede, al comma 1, che per assicurare la piena erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza, in un'ottica di integrazione dell'offerta di prestazioni sanitarie, il medico di continuità assistenziale possa svolgere anche attività ambulatoriali differibili in coerenza con l'art. 67, commi 3 e 17, del vigente Accordo Collettivo Nazionale. Il medesimo articolo 1, al comma 2, specifica inoltre che relativamente all'orario di servizio attivo per lo svolgimento di tali attività ambulatoriali “è riconosciuto al medico di continuità assistenziale un compenso orario forfettario da definire in sede di accordo integrativo regionale".
Il descritto comma 2 dell’art. 1 contrasta con i principi che ispirano l'Accordo Collettivo Nazionale di settore vigente (ACN del 2009), contenuti, tra l’altro, proprio nelle norme di tale Accordo (art. 67, commi 3 e 17) richiamate dalla norma regionale in esame, che regolano le attribuzioni e i compensi degli incarichi ai medici di continuità assistenziale, preposti ad assicurare prestazioni assistenziali territoriali non differibili.
Nello specifico, l'articolo 67, comma 1, del menzionato Accordo Collettivo Nazionale di settore del 29 luglio 2009, di modifica dell'Accordo Collettivo Nazionale di settore del 2005, stabilisce che il medico di continuità assistenziale assicura ai cittadini residenti nell'ambito territoriale afferente alla sede di servizio esclusivamente “le prestazioni sanitarie non differibili”. Il comma 17 del medesimo articolo aggiunge poi che "II medico di continuità assistenziale partecipa alle attività previste dagli Accordi regionali e aziendali” e che “Per queste attività vengono previste quote variabili aggiuntive di compenso, analogamente agli altri medici di medicina generale che ad esse partecipano. Tali attività sono primariamente orientate, in coerenza con l'impianto generale del presente Accordo, a promuovere la piena integrazione tra i diversi professionisti della Medicina generale, anche mediante la regolamentazione di eventuali attività ambulatoriali".
Da tali disposizioni statali emerge che ai medici di continuità assistenziale, deputati ad apportare le cure urgenti e ad intervenire in situazioni di emergenza, sono attribuite, in via ordinaria, le prestazioni sanitarie “non differibili”. Tuttavia, in base al menzionato comma 17, al fine di assicurare la piena erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza e in un’ottica di integrazione dell’offerta di prestazioni sanitarie, i medici di continuità assistenziale possono svolgere anche alcune attività ambulatoriali differibili, purché tali attività siano in coerenza con l’Accordo Collettivo Nazionale, e stabilite dagli Accordi collettivi integrativi regionali.
Peraltro, tali specifiche attività richiamate nel menzionato comma 17, e stabilite, come detto, dagli Accordi collettivi regionali e aziendali, possono essere remunerate, sempre in base al comma 17, solo mediante “quote variabili aggiuntive di compenso” e non mediante quote forfettarie, come prevede il comma 2 dell’art. 1 della legge regionale in esame.
Alla luce di quanto rappresentato, la previsione regionale in esame, disciplinando la retribuzione dei medici in questione in modo difforme da quanto previsto dalla menzionata norma (comma 17 dell’art. 67) dell’Accordo Collettivo Nazionale vigente, eccede dalle competenze regionali, e contrasta con l'art. 8, comma 1, prima parte, del decreto legislativo n. 502 del 1992, secondo il quale il rapporto tra il servizio sanitario regionale e i medici e i pediatri è disciplinato da apposite convenzioni di durata triennale, conformi agli accordi collettivi nazionali.
Ed invero, quando - come nel caso all'esame - un contratto collettivo nazionale determina, negli ambiti di disciplina ad esso riservati da una legge dello Stato, le materie e i limiti entro i quali deve svolgersi la contrattazione collettiva integrativa, non è consentito ad una legge regionale derogare a quanto in tal senso disposto dal contratto collettivo nazionale.
La norma in esame pertanto invade la competenza riservata allo Stato dall’art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione in materia di "ordinamento civile", alla quale è riconducibile la contrattazione collettiva, e viola altresì il principio costituzionale di eguaglianza di cui all’art. 3, Cost., incidendo sull’esigenza di garantire l'uniformità nel territorio nazionale delle regole fondamentali di diritto che disciplinano i rapporti in questione.
Per i motivi esposti la norma regionale sopra indicata deve essere impugnata dinanzi alla Corte Costituzionale ai sensi dell’art. 127 della Costituzione.
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