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Disposizioni in materia di urbanistica e pianificazione territoriale. Modificazioni di leggi regionali. (29-3-2018)
Valle Aosta
Legge n.5 del 29-3-2018
n.21 del 2-5-2018
Politiche infrastrutturali
27-6-2018 /
Impugnata
La legge regionale, che reca disposizioni in materia di urbanistica e pianificazione territoriale e detta modificazioni di precedenti leggi regionali eccede dalle competenze riconosciute alla Regione Valle d’Aosta dallo Statuto speciale di autonomia (l.cost. n. 4/ 1948) in quanto alcune norme risultano violare la competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente e del paesaggio dui cui all’articolo 117, secondo comma lettera s) della Costituzione.
1) La legge regionale reca alcune modificazioni alla previgente l.r. 6 aprile 1998, n. 11 (Normativa urbanistica e di pianificazione territoriale della Valle d’Aosta), volte, tra l’altro, a delimitare l’ambito di applicazione della disciplina della valutazione ambientale strategica (di seguito: VAS) in relazione agli strumenti della pianificazione territoriale e urbanistica.
In particolare, vengono in considerazione:
- l’art. 3, che introduce nella l.r. n. 11 del 1998 un art. 12-bis, il quale prevede, al comma 4, che “I piani urbanistici di dettaglio interessanti aree già sottoposte a VAS in occasione della predisposizione di strumenti urbanistici sovraordinati, qualora non comportino ulteriori varianti al PRG vigente, non sono sottoposti né a VAS né alla verifica di assoggettabilità. Negli altri casi, la VAS e la verifica di assoggettabilità dei piani urbanistici di dettaglio sono comunque limitate agli aspetti che non siano già stati oggetto di valutazione nelle procedure effettuate sulle varianti al PRG sovraordinate”;
- l’art. 9, comma 1, che sostituisce l’art. 16 della l.r. 11 del 1998, il quale statuisce – nella nuova formulazione e segnatamente al comma 1 – che “Le varianti non sostanziali al PRG non sono sottoposte a verifica di assoggettabilità a VAS”.
A ciò si aggiunga che l’art. 5 sostituisce l’art. 14 della l.r. n. 11 del 1998. Tale nuova disposizione contiene, tra l’altro, una definizione delle “modifiche non costituenti variante” e delle “varianti non sostanziali” ai piani regolatori generali.
Al riguardo, occorre precisare che la VAS – istituto di derivazione europea - rappresenta un procedimento amministrativo finalizzato ad integrare considerazioni di natura ambientale nell’ambito della elaborazione e adozione di strumenti di pianificazione e programmazione che possono avere effetti significativi sull’ambiente, con lo scopo di assicurare un «elevato livello di protezione dell'ambiente e di contribuire all'integrazione di considerazioni ambientali all'atto dell'elaborazione e dell'adozione di piani e programmi al fine di promuovere lo sviluppo sostenibile », secondo quanto testualmente disposto dall’art. 1 della direttiva 2001/42/CE. Alla predetta direttiva il legislatore statale ha dato attuazione mediante gli artt. 6 e ss. del d.lgs 3 aprile 2006, n.152.
Va, inoltre, considerato che, secondo costante orientamento della giurisprudenza costituzionale applicabile anche nei confronti delle Regioni a statuto speciali, la disciplina della VAS attiene alla materia “tutela dell’ambiente” (sentt. nn. 225/2009 e 398 del 2006), nella quale la competenza dello Stato non è limitata alla fissazione di standard minimi di tutela ambientale, ma deve, al contrario, assicurare una tutela «adeguata e non riducibile» (sent. n. 61 del 2009).
Tanto premesso, l’art. 6, comma 2, lett. a) del d.lgs. n. 152 del 2006 impone la valutazione per tutti i piani e i programmi che sono elaborati, tra l’altro, per i settori della pianificazione territoriale o della destinazione dei suoli.
In base al successivo comma 3, “per i piani e i programmi di cui al comma 2 che determinano l'uso di piccole aree a livello locale e per le modifiche minori dei piani e dei programmi di cui al comma 2, la valutazione ambientale è necessaria qualora l'autorità competente valuti che producano impatti significativi sull'ambiente, secondo le disposizioni di cui all'articolo 12 e tenuto conto del diverso livello di sensibilità ambientale dell'area oggetto di intervento”.
Se ne deduce che nelle fattispecie indicate (piani e programmi che determinano l’uso di piccole aree a livello locale e modifiche minori dei piani e dei programmi, tra le quali certamente rientrano le varianti non sostanziali e le modifiche non costituenti variante) debba, comunque, essere svolta verifica di assoggettabilità a VAS.
A questa stregua, le richiamate disposizioni della legge regionale in esame, nel determinare casi di esclusione dalla verifica di assoggettabilità a VAS e a VAS non previsti dalla legislazione statale, pur nell’esercizio della competenza legislativa primaria in materia di urbanistica (art. 2, comma 1, lett. g) dello statuto della Valle d’Aosta), riducono i livelli di tutela ambientale stabiliti dal legislatore statale, con ciò violando la competenza esclusiva a quest’ultimo riconosciuta dall’art. 117, comma 2, lett. s), Cost.
Ciò vale, anzitutto, per l’art. 3, nella parte in cui introduce nella l.r. n. 11 del 1998 l’art. 12-bis, comma 4, tenuto conto che talune ipotesi di “modifiche non costituenti variante” come definite dal legislatore regionale sono suscettibili di produrre effetti ambientali non considerati nei processi di valutazione aventi a oggetto gli strumenti di pianificazione sovraordinati.
Ci si riferisce, per l’esattezza, agli “adeguamenti di limitata entità, imposti da esigenze tecniche, della localizzazione delle infrastrutture, degli spazi e delle opere destinate a servizi pubblici o di interesse generale”; nonché alla “destinazione a specifiche opere pubbliche o servizi pubblici di aree che il PRG vigente destina ad altra categoria di opere o di servizi pubblici” (art. 14, comma 7, lett. b) e h), della l.r. Valle d’Aosta n. 11 del 1998, come introdotto dall’art. 3, comma 1 della l.r. n. 5 del 2018).
Alle medesime conclusioni si giunge altresì, ed a maggior ragione, per l’art. 9, comma 1 della legge regionale in esame nella parte in cui introduce l’art. 16, comma 1 nella l.r. n. 11 del 1998, atteso che le varianti non sostanziali – come si ribadisce – rientrano senza dubbio tra le modifiche minori che il legislatore statale destina a valutazione di assoggettabilità a VAS.
2) La norma contenuta nell’articolo 17 sostituisce l'art. 52 della legge regionale n.11/1998: Il novellato articolo 52 , al comma 2, elenca interventi edilizi consentiti in mancanza di strumenti attuativi dei PRG, che non coincidono con quelli individuati dall’ 9 del d.P.R. 6 giugno 2001, n.380. Detta norma statale stabilisce puntualmente quali interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria oltre che di restauro e di risanamento conservativo e di ristrutturazione edilizia sono consentiti nei comuni sprovvisti di strumenti urbanistici nonché nelle aree nelle quali non siano stati approvati gli strumenti urbanistici attuativi previsti dagli strumenti urbanistici generali come presupposto per l'edificazione. In particolare la norma regionale in esame consente, alle lettere a) h) i) e j) del comma 2 del novellato articolo 52 della legge regionale n. 11/1998, alcuni interventi di cui non si rinviene corrispondenza nella norma statale citata.
La previsione regionale appare eccedere dalle competenze regionali, considerato che l’articolo 2 dello Statuto Speciale di Autonomia , pur attribuendo alla Regione, con la lettera g), competenza legislativa di tipo primario in materia di urbanistica, richiede comunque che questa debba svolgersi in armonia con la Costituzione e i principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica e col rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali, nonché delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica.
In relazione al citato articolo 9 del DPR 380/2001, infatti, la Corte Costituzionale, dopo aver evidenziato nella sentenza n. 84 del 2017 e quindi nella sentenza n. 68 del 2018 che le previsioni contenute in detta norma statale esprimono principi fondamentali nella materia “governo del territorio”, non potendo essere qualificate come norme di dettaglio, ha avuto modo di precisare che: “…la previsione di limiti invalicabili all’edificazione nelle “zone bianche”, per la finalità ad essa sottesa, ha le caratteristiche intrinseche del principio fondamentale della legislazione statale in materia di governo del territorio, coinvolgendo anche valori di rilievo costituzionale quali il paesaggio, l’ambiente e i beni culturali.
In quest’ottica, la fissazione di standard rigorosi, ma cedevoli di fronte a qualsiasi regolamentazione regionale della materia – sulla falsariga di quanto previsto dalla norma anteriore – rappresenterebbe una soluzione contraddittoria. Come rilevato dal Consiglio di Stato…detta soluzione lascerebbe, infatti, aperta la possibilità che «eventuali legislatori regionali, prodighi di facoltà edificatorie, finiscano con il frustrare la ratio della disciplina in commento, compromettendo in modo tendenzialmente irreversibile interessi di rango costituzionale»: ragione per la quale «l’art. 9 individua un principio fondamentale della legislazione statale tale da condizionare necessariamente quella regionale a regolare solo in senso più restrittivo l’edificazione» (Consiglio di Stato, sezione quarta, 12 marzo 2010, n. 1461).” (sentenza n. 84 del 2017, punto 6.3 del Considerato in diritto)
A ciò si aggiunga che, ancora nella sentenza n. 84 del 2017, richiamata nella sentenza n. 68 del 2018, il Giudice delle leggi ha espressamente chiarito che: “ la funzione della norma di cui al comma 1 dell’articolo 9 del d.P.R. n. 380 del 2001 è quella “…di impedire, tramite l’applicazione di standard legali, una incontrollata espansione edilizia in caso di “vuoti urbanistici”, suscettibile di compromettere l’ordinato (futuro) governo del territorio e di determinare la totale consumazione del suolo nazionale, a garanzia di valori di chiaro rilievo costituzionale. Funzione rispetto alla quale la specifica previsione di livelli minimi di tutela si presenta coessenziale, in quanto necessaria per esprimere la regola (al riguardo, sentenza n. 430 del 2007).” (sentenza n. 84 del 2017,punto 7 del Considerato in diritto e sentenza n. 68 del 2018, punto 9.1 del Considerato in diritto);
la medesima funzione “…deve essere ascritta anche al comma 2 del citato art. 9 del d.P.R. n. 380 del 2001, là dove individua e delimita la tipologia di interventi edilizi realizzabili in assenza di piani attuativi, che siano qualificati dagli strumenti urbanistici generali come presupposto necessario per l’edificazione. Anche in tal caso la norma in esame mira a salvaguardare la funzione di pianificazione urbanistica intesa nel suo complesso, evitando che, nelle more del procedimento di approvazione del piano attuativo, siano realizzati interventi incoerenti con gli strumenti urbanistici generali e comunque tali da compromettere l’ordinato uso del territorio.” (sentenza n. 68 del 2018, punto 9.1 del Considerato in diritto).
Pertanto, alla luce dei dicta della Corte Costituzionale sembra potersi affermare che sia il comma 1 che il comma 2 dell’articolo 9 del d.P.R. n. 380 del 2001,coinvolgendo anche valori di rilievo costituzionale quali il paesaggio, l’ambiente e i beni culturali, siano posti a presidio di valori di chiaro rilievo costituzionale essendo volti ad impedire interventi suscettibili di compromettere l’ordinato uso del territorio e determinare la consumazione del suolo nazionale: le disposizioni statali, quindi, per tali profili, attesa la rilevanza del bene protetto, non possono che rendersi applicabili anche nei confronti delle Autonomie speciali.
Diversamente opinando, si giungerebbe all’illogica e irragionevole conclusione che mentre nei confronti della legislazione delle Regioni a Statuto ordinario i commi 1 e 2 dell’articolo 9 del DPR 380/2001 costituiscono un principio fondamentale nella materia “governo del territorio”, configurando standard minimi, derogabili solo nella direzione dell’innalzamento della tutela, rispetto alla legislazione delle Autonomie speciali, le stesse norme possano essere derogate nella direzione opposta o addirittura pretermesse. Con ciò venendosi a creare evidenti ingiustificate differenziazioni collegate ad ambiti territoriali.
Alla stregua delle considerazioni che precedono, non sembra possano essere invocate, a sostegno della bontà dell’intervento del legislatore, la circostanza che la norma regionale in parola opera un richiamo a pareri delle strutture regionali competenti in materia di tutela dei beni culturali e del paesaggio, nel caso in cui l’immobile sia tutelato ai sensi del d.lgs. n. 42/2004, dell’articolo 40 delle norme di attuazione del PTP e della L.R. n. 56/1983 e la circostanza che ai sensi del comma 3 del novellato articolo52 della l.r n. 11/1998 sia riconosciuta una (mera) facoltà ai Comuni di individuare le zone o le sottozone in cui, per particolari motivi di ordine paesaggistico, non è ammessa (soltanto) la realizzazione delle strutture pertinenziali di cui al medesimo comma 2, lettera i), dovendosi, peraltro, rilevare che nello stesso comma 3, primo periodo, si stabilisce che le disposizioni di cui al comma 2, lettera i) prevalgono sulle norme dei PRG e le sostituiscono.
La disposizione regionale in esame, quindi, si pone in contrasto con la competenza esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente, del paesaggio e dei beni culturali di cui all’articolo 117, secondo comma lettera s) della Costituzione, e quindi con l’articolo 2 dello Statuto Speciale di Autonomia per la Regione Valle d’Aosta, l. cost. n. 4/1948.
Per i motivi esposti, limitatamente alle norme sopra indicate, la legge regionale deve essere impugnata ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione
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