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Collegato alla Legge di stabilità regionale 2018. (29-6-2018)
Basilicata
Legge n.11 del 29-6-2018
n.26 del 29-6-2018
Politiche economiche e finanziarie
/ Rinuncia parziale
Rinuncia parziale degli articoli 42,43 e 44 all’impugnativa della legge della regione Basilicata n.11 pubblicata sul B.U.R n. 26 del 29/06/2018 recante “Collegato alla Legge di stabilità regionale 2018”
Con deliberazione del Consiglio dei Ministri del giorno 8 agosto 2018 è stata impugnata, per numerose illegittimità costituzionali, la legge in oggetto ai sensi dell'articolo 127 della Costituzione. In particolare le disposizioni di cui agli articoli 42, 43 e 44 sono state impugnate - su richiesta dei Ministeri dell’ambiente e dei beni culturali ed ambientali - per violazione dell’articolo 117, comma primo, lettera s) della Costituzione sotto il profilo della tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.
Con successiva legge regionale n. 28, pubblicata sul BUR n. 43 del 16/10/2018 , recante “Modifiche ed integrazioni alla l.r. 27 marzo 1979, n. 12 e ss.mm.ii. (Disciplina della coltivazione di cave e torbiere e di inerti degli alvei dei corsi d’acqua) e alla l.r. 29 giugno 2018, n. 11 (Collegato alla Legge di Stabilità Regionale 2018)”, la regione ha modificato gli articoli 42, 43 e 44 a suo tempo impugnati.
I Ministero dei beni culturali ed ambientali e dell’ambiente si sono espressi in senso favorevole alla rinuncia parziale rispettivamente con nota n.21775 del 04/09/2021 e n. 16039 del 08/09/2020.
La regione Basilicata con mail del 07/09/2020, Prot. DAR 14631 del 07/09/2020 ha comunicato che le disposizioni abrogate non hanno avuto alcuna applicazione nel periodo della loro vigenza.
Per le esposte motivazioni si può procedere alla rinuncia parziale dell’impugnativa limitatamente agli articoli 42,43 e 44 della legge regionale Basilicata n. 11/2018.
8-8-2018 /
Impugnata
La legge regionale Basilicata 29 giugno 2018, n 11 pubblicata sul B.U.R. 29 giugno 2018, n. 26, numero speciale., recante "Collegato alla legge di stabilità regionale 2018 " presenta profili di illegittimità costituzionale con riferimento agli articoli 30, 36, 38, comma 1, 42, 43, 44, 45, 47, e 74, comma 2, per i motivi di seguito illustrati.
Articolo 30 ((Modifica al comma 1 dell’art. 15 (Norma finanziaria) della legge regionale 8 gennaio 2016, n. 1)). Disponendo la modifica dell'articolo 15 della legge regionale n. 1/2016, l’art. 30, comporta nuovi oneri per l'esercizio finanziario 2018 privi della relativa copertura finanziaria, in contrasto con l'articolo 81, terzo comma, della Costituzione.
Articolo 36 (Rimborso spese ai componenti delle Commissioni giudicatrici). Disponendo l’aggiunta del comma 3-bis all'articolo 28 della legge regionale n. 1/2004, l’art. 36, comporta nuovi oneri privi della relativa copertura finanziaria, in contrasto con l'articolo 81, terzo comma, della Costituzione.
Articolo 38 (Disposizioni urgenti in materia di concessioni per lo sfruttamento di acque minerali e termali). L’art. 38, comma 1, dispone testualmente che “il termine di cui al comma 2 dell’art. 14, della L.R. 38 del 30.12.2017 è differito al 31.12.2018”. Al riguardo si osserva preliminarmente che il riferimento operato all’art. 14 della legge regionale n. 38 del 2017 è evidentemente errato ed infatti oggetto di aggiornamento legislativo che opera il rinvio alla legge regionale n. 39 del 2017, che all’art. 14 ha introdotto delle “Disposizioni urgenti in materia di concessioni per lo sfruttamento di acque minerali e termali”.
Più nello specifico, il predetto articolo 14 della legge regionale n. 39 del 2017 prevede espressamente che “Entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, la Giunta regionale adotta un disegno di legge volto ad adeguare le procedure previste dalla disciplina regionale vigente in materia di ricerca e coltivazione delle acque minerali, termali e di sorgente ai principi di tutela della concorrenza, di libertà di stabilimento, di trasparenza e di non discriminazione”.
Nelle more dell’attuazione delle previsioni di cui al comma 1 dell’art. 38, le concessioni in scadenza possono essere prorogate fino ai nuovi affidamenti secondo procedure ad evidenza pubblica e comunque fino al 30 giugno 2018”.
Pertanto, l’art. 38 della legge regionale determina un differimento della scadenza degli affidamenti in corso che potranno essere prorogati di ulteriori 6 mesi rispetto a quanto previsto dall’impianto normativo oggetto di novella.
L’intervento è funzionale ad offrire copertura legislativa alle concessioni in essere a causa del mancato completamento e/o avvio delle procedure ad evidenza pubblica per l’affidamento delle concessioni che l’amministrazione regionale avrebbe dovuto concludere entro il termine ultimo del 30 giugno 2018.
Tuttavia, il differimento del predetto termine (dal 30 giugno al 31 dicembre 2018) produce l’effetto di procrastinare ulteriormente gli adempimenti necessari all’adeguamento della disciplina in materia di acque termali e minerali ai principi sanciti dall’ordinamento euro-unitario e nazionale, con lesione dell’art. 117, comma 1, Cost. nella parte in cui impone al legislatore regionale il rispetto dei vincoli sovranazionali, nonché della potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza. (art. 117, secondo comma, lett. e), Cost.). Inoltre, il citato art. 38, comma 1, della legge regionale Basilicata n. 11 del 2018 realizza senza dubbio anche una violazione della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema; appare infatti evidente che eventuali proroghe delle concessioni in essere finiscono per cristallizzare gli oneri imposti al concessionario per un tempo maggiore a quello originariamente previsto, pregiudicando quel doveroso aggiornamento degli strumenti di tutela ambientale posti a presidio della risorsa che il carattere temporaneo della concessione necessariamente implica.
Analoghi problemi, peraltro, sono stati già affrontati dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 117/2015 in materia di proroga delle concessioni per lo sfruttamento termominerale. Nella pronuncia in questione, infatti, il giudice delle leggi rileva come la proroga automatica di dette concessioni confligga con la direttiva 2006/123/CE (direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai servizi nel mercato interno, art. 12) e con il decreto legislativo n. 59 del 2010, che ne costituisce attuazione nell’ordinamento interno, nella parte in cui impone procedure ad evidenza pubblica ai fini del rilascio delle concessioni di cui si discute (art. 16).
Articoli 42, 43, 44 e 47.
In premessa, si deve evidenziare come, sebbene a seguito della sottoscrizione in data 14/09/2011 del Protocollo d'Intesa, ai sensi dell'art. 143 comma 3 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, tra il MIBAC, la Regione Basilicata ed il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, per lo svolgimento delle attività di elaborazione congiunta del Piano Paesaggistico Regionale, della istituzione, con Determina regionale n. 7502 del 19.09.2012, del Comitato Tecnico Paritetico previsto ai sensi dell'art. 5 del medesimo Protocollo d'Intesa, e le attività di pianificazione paesaggistica siano tuttora in corso, nessuna informazione preventiva è stata fornita al MIBAC circa le iniziative assunte con l'inserimento di alcuni articoli nei settori di competenza all'interno del "Collegato" in esame, omettendo, in tal modo, sia qualsiasi forma di partecipazione, informazione e comunicazione, che di concertazione istituzionale come previsto dall'art. 144 del Codice dei beni culturali e paesaggistici. Nello specifico si rileva che dall’esame degli articoli del "Collegato" in oggetto sono stati individuati, per alcuni di essi che intervengono con modifiche e/o integrazioni a disposizioni di legge afferenti alle materie di competenza del MIBAC, i seguenti aspetti di illegittimità costituzionale come di seguito specificato.
In particolare si segnalano i seguenti articoli della legge che si appalesano illegittimi.
L'art. 42, recante "Modifiche alla Legge regionale 27 marzo 1979, n. 12 "Disciplina della coltivazione di cave e torbiere e di inerti degli alvei dei corsi d'acqua";
L'art. 43, recante "Ripristino officiosità alvei fluviali regionali";
L’ art. 44, recante "Interventi di manutenzione urgenti per il ripristino dell'officiosità dei corsi d'acqua".
Nelle norme citate non si evince alcun riferimento alla necessità che il "progetto di recupero ambientale e coltivazione" di cui all'art. 42, "l'estrazione dei materiali litoidi nei corsi d'acqua" di cui all'art. 43, ed il progetto di manutenzione dell'asta fluviale di cui all'art. 44, debbano essere validati e autorizzati, oltre che dalla Regione Basilicata, nel rispetto della legislazione statale in materia. Si evidenzia, infatti, che, gli alvei dei corsi d'acqua possono essere sottoposti alle disposizioni di tutela di cui all'art. 142, lett. c) del D.Lgs. n. 42/2004, e secondo le eventuali procedure di semplificazione di cui al DPR. N. 31/2017, che, si ricorda, ha un significativo limite di applicabilità costituito dalla sua validità esclusiva per interventi di lieve entità paesaggistica e di lievissima entità paesaggistica per quelli riconducibili alle fattispecie descritte nell'allegato A, come peraltro ribadito più volte nella Circolare n. 42 del 21 luglio 2017 emessa dalla Direzione Generale Archeologia Arti e Paesaggio del MIBAC.
L’art. 43 (Ripristino ufficiosità alvei fluviali regionali) inoltre, prevede espressamente quanto segue: “L’estrazione dei materiali litoidi nei corsi d'acqua e nel demanio fluviale è autorizzata dalla Regione per i corsi d’acqua ricadenti nel territorio regionale, in conformità alla vigente legislazione in materia ed in coerenza con il piano stralcio di assetto idrogeologico della Basilicata e con il piano di bacino. In assenza dei piani predetti lo estrazioni di inerti fluviali sono autorizzate sulla base di valutazioni preventive e studi di impatto”.
La norma in questione realizza un’evidente deminutio degli standard uniformi di tutela ambientale dettati dal legislatore statale nell’esercizio della propria competenza esclusiva ai sensi dell’art. 117, comma 2, lett. s) della Costituzione sotto due distinti profili.
In primo luogo, essa non contempla, ai fini delle verifiche di conformità cui l’autorizzazione regionale deve essere sottoposta, il Piano di Gestione delle Acque adottato dall’Autorità di distretto ai sensi dell’art. 11, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, che potrebbe contenere delle prescrizioni aggiuntive. Al riguardo si consideri che nell’ambito del predetto piano di gestione le autorità di bacino sono chiamate a predisporre il programma di gestione dei sedimenti a livello di bacino idrografico, in ottemperanza agli obiettivi individuati dalle direttive 2000/60/CE e 2007/60/CE. Ciò in virtù di quanto previsto dall’art. 117, comma 2-quater del decreto legislativo n. 152/2006.
In secondo luogo, il secondo periodo del comma 1 dell’art. 43, nel prevedere genericamente che, in assenza dei piani, le estrazioni di inerti fluviali possano essere autorizzate sulla base di semplici “valutazioni preventive e studi d’impatto”, si pone in conflitto con l’art. 5, comma 2 della legge n. 37 del 1994. Tale ultima disposizione, infatti, consente, sì, l’adozione dell’autorizzazione regionale anche in assenza dei piani di bacino oggi distrettuali, ma subordinatamente a più stringenti condizioni sotto il profilo dei presupposti necessari (“…sulla base di valutazioni preventive e studi di impatto, redatti sotto la responsabilità dell’amministrazione competente al rilascio del provvedimento autorizzativo, che subordinino il rilascio delle autorizzazioni e delle concessioni al rispetto preminente del buon regime delle acque, alla tutela dell'equilibrio geostatico e geomorfologico dei terreni interessati, alla tutela degli aspetti naturalistici e ambientali coinvolti dagli interventi progettati”).
Sempre in ordine alla violazione degli standard uniformi di tutela ambientale previsti dal legislatore statale si rileva che, ai sensi dell’art. 43, comma 2, della legge regionale in esame “Le estrazioni in alveo fluviale da realizzare nell'ambito di interventi di manutenzione idraulica specificamente finalizzati al ripristino del buon regime idraulico, alla riduzione dei fenomeni di sovralluvionamento dell'alveo o necessari a seguito di calamità naturali ovvero per prevenire situazioni di pericolo, non costituiscono attività estrattive”. L’effetto della disposizione de qua è quello di sottrarre la disciplina delle attività in essa contemplate al regime giuridico delle attività estrattive, sganciandole pertanto dalle misure di tutela ambientale previste, a partire dalla valutazione della conformità delle autorizzazioni agli atti di programmazione rilevanti.
L’art. 47, reca "Modifiche all’art. 5 della Legge regionale 24 luglio 2017, n. 19 "Collegato alla Legge di Stabilità Regionale 2017".
In relazione a tale norma si rileva che l'art. 5 della L.R. 24 luglio 2017, n. 19, nella nuova formulazione, stabilisce che il "completamento funzionale" delle opere edilizie - realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo - vengono autorizzate dai Comuni, attraverso i propri responsabili degli uffici tecnici, anche nel caso di immobili ed aree tutelate paesaggisticamente, senza alcun riferimento a quanto stabilito in materia dalla normativa statale.
Si deve constatare che, invece, nella versione precedente dell'art. 5 sostituito, tra le condizioni/presupposti per il rilascio dell'autorizzazione del completamento funzionale ai fini dell'agibilità/abitabilità, alla lettera c) del comma 1 dell'art. 5 si prevedeva che:
"c) le opere abusive, nel caso di immobili o aree tutelate paesaggisticamente, non costituiscono elemento detrattore alla corretta fruizione del paesaggio e sia stato già espresso parere favorevole alla loro esecuzione o conservazione da parte delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo."
In merito, si evidenzia che la nuova disposizione presenta gli stessi profili di illegittimità costituzionale dell’articolo 5 della l.r. n. 19 del 2017, in relazione al quale, in data 23 settembre 2017, il Consiglio dei Ministri ha deliberato l’impugnativa. Si intendono, pertanto, qui integralmente richiamate le censure di incostituzionalità sollevate con riferimento a tale disposizione, trasfuse nel ricorso n. 77 del 29 settembre 2017, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 46 del 15 novembre 2017, per il quale l’udienza pubblica innanzi alla Corte Costituzionale è stata fissata al 4 dicembre 2018.
Con l’occasione, giova sottolineare che nella sentenza n. 140 del 2018, la Corte Costituzionale, richiamate, tra l’altro, la precedente sentenza n. 233 del 2015 (punto 3.4 del Considerato in diritto) e alcune pronunce del Consiglio di Stato in tema di demolizione di immobili abusivi (punto 3.5.1.1 del Considerato in diritto) ha affermato che l’articolo 31 del d.P.R. n. 380 del 2001 costituisce parametro interposto qualificabile come principio fondamentale della materia “governo del territorio”. In particolare, la Consulta ha avuto modo di precisare che:
“L’aver previsto che, a fronte delle violazioni più gravi della normativa urbanistico-edilizia – quali sono la realizzazione di opere in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali rispetto a esso – si debba fare luogo, da parte dello stesso responsabile dell’abuso o, in difetto, del Comune che abbia perciò acquisito il bene, alla demolizione dell’opera abusiva, esprime una scelta fondamentale del legislatore statale. Quest’ultimo, in considerazione della gravità del pregiudizio recato all’interesse pubblico dai menzionati abusi, ha inteso imporne la rimozione – e, con essa, il rispristino dell’ordinato assetto del territorio – in modo uniforme in tutte le Regioni.
Le deroghe al principio della demolizione degli immobili abusivi acquisiti al patrimonio del Comune – previste dall’art. 31, comma 5, d.P.R. n. 380 del 2001 – sono fondate su un rapporto di stretta connessione con la regola base. In ragione di questo collegamento esse contribuiscono a definire la portata del principio fondamentale.
Pertanto, se pure si volesse ignorare l’autoqualificazione, in questo caso corretta, data dall’art. 1, comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001, vi sono solide ragioni per affermare che la demolizione degli immobili abusivi acquisiti al patrimonio del Comune, con le sole deroghe previste dal comma 5 dell’art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001, costituisce un principio fondamentale della legislazione statale che vincola la legislazione regionale di dettaglio in materia di «misure alternative alle demolizioni».” (punto 3.5.1.2 del Considerato in diritto).
In conclusione, si deve constatare come la Regione Basilicata, con riferimento agli articoli 42, 43, 44 e 47, piuttosto che colmare le lacune legislative attivando percorsi rispettosi degli impegni istituzionali assunti con il MIBAC in materia di pianificazione paesaggistica c/o di tutela del paesaggio e dell’ambiente, abbia proceduto, ancora una volta, in maniera unilaterale all’approvazione di disposizioni regionali che introducono elementi di contrasto e/o incoerenza con la legislazione statale in vigenza, oltre che con gli impegni assunti con la sottoscrizione del Protocollo di Intesa per la elaborazione del Piano Paesaggistico Regionale.
Introdurre ancora una volta unilateralmente modifiche alla legislazione regionale in materia di paesaggio ripropone le note problematiche ascrivibili sia, in generale, all'assenza di un apporto collaborativo da parte della Regione Basilicata nel rispetto dei rapporti interistituzionali, sia sulla carenza di competenza legislativa regionale che inducono a ravvisare, negli articoli . 42, 43, 44 e 47, profili di illegittimità costituzionale per la violazione dell’articolo 117, comma primo lettera s) sotto il profilo della tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali.
Articoli 45 e 74, comma 2
Articoli 45 (Mobilità sanitaria interregionale norma interpretativa abrogazione articolo 33 della L.R. 24 luglio 2017, n. 19) e 74, comma 2 (Tetti di spesa sanitari per prestazioni specialistiche ambulatoriali). Con riferimento all'esclusione dai tetti di spesa delle prestazioni di specialistica ambulatoriale, ex articolo 25 Legge 833/1978, si fa presente che le norme si pongono in contrasto con la legislazione nazionale, in quanto ai sensi dell'articolo 1, comma 574, della legge n. 208/2015, le regioni possono programmare, in deroga ai tetti di spesa, solo l'acquisto di prestazioni di assistenza ospedaliera di alta specialità, nonché di prestazioni erogate da parte degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS) a favore di cittadini residenti in regioni diverse da quelle di appartenenza ricomprese negli accordi per la compensazione della mobilità interregionale. Ed in ogni caso, al fine di garantire l'invarianza dell'effetto finanziario connesso alla suddetta deroga, le regioni devono adottare misure alternative, volte, in particolare, a ridurre le prestazioni inappropriate di bassa complessità erogate in regime ambulatoriale, di pronto soccorso, in ricovero ordinario e in riabilitazione e lungodegenza, acquistate dagli erogatori privati accreditati, in misura tale da assicurare il rispetto degli obiettivi di riduzione di cui al dl 9512012. Il predetto obiettivo finanziario può essere anche assicurato attraverso misure alternative a valere su altre aree della spesa sanitaria. Le norme in esame, quindi, introducono una deroga non prevista dalla normativa nazionale, suscettibile di determinare oneri non quantificati né coperti.
In tali termini, gli articoli 45 e 74 sono in contrasto con i principi fondamentali di cui all'articolo 117, comma 3, della Costituzione, poiché violano il principio di contenimento della spesa pubblica sanitaria quale principio di coordinamento della finanza pubblica, nonché con l'articolo 81, terzo comma, della Costituzione.
Per quanto sopra esposto, si ritiene, pertanto, di promuovere la questione di legittimità costituzionale della legge regionale in esame dinanzi alla Corte Costituzionale.
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