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Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione 2019 e bilancio pluriennale 2019-2021 della Regione Puglia (Legge di stabilità regionale 2019). (28-12-2018)
Puglia
Legge n.67 del 28-12-2018
n.165 del 31-12-2018
Politiche economiche e finanziarie
/ Rinuncia parziale
Con delibera del Consiglio dei Ministri del 27 febbraio 2019, il Governo ha impugnato la legge regionale in parola; tra le numerose disposizioni impugnate, figura la norma contenuta all’articolo 102 recante "Ulteriori disposizioni in materia di rifiuti”.
La disposizione censurata imponeva, per le ipotesi di smaltimento di rifiuti non provenienti dal territorio della Regione Puglia, l'applicazione di un'aliquota contributiva ulteriore rispetto alla tariffa applicata dal gestore degli impianti di smaltimento presenti sul territorio regionale. L'onere finanziario cosi istituito rappresentava un prelievo non previsto dalla legislazione statale.
Poiché le Regioni possono istituire tributi solo in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, la disposizione regionale si poneva in contrasto con l'articolo 23 e con l'articolo 119, comma secondo della Costituzione, che subordina la possibilità per le regioni e gli enti locali di stabilire ed applicare tributi ed entrate proprie al rispetto dei principi (statali) di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario.
La disposizione violava, inoltre, i principi fondamentali di finanza pubblica, stabiliti in materia dalla legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'art. 119 della Costituzione), e dall'attuativo decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68, (Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario.) in virtù del quale, all’articolo 8, dal 2013, sono stati trasformati in tributi propri regionali un elenco di tributi, nel quale non compare il tributo di conferimento in discarica.
La disposizione contenuta all’articolo 102, violando i citati parametri statali interposti, si poneva, pertanto, in contrasto con l’articolo 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, che riserva alla competenza esclusiva dello Stato la materia del sistema tributario ed altresì gli articoli 3, 41 e 120 della Costituzione, in quanto introduceva un trattamento sfavorevole per le imprese esercenti l'attività di smaltimento dei rifiuti nella Regione Puglia rispetto a quelle operanti sul restante territorio nazionale, restringendo la libertà di iniziativa economica ed introducendo un ostacolo alla libera circolazione di cose tra le regioni.
Con la successiva legge regionale 12 dicembre 2019, n. 54, precisamente con l’articolo 1, comma 1, la Regione ha disposto l’abrogazione dell’articolo 102 della legge n. 67 del 2018, a decorrere dal 13 dicembre 2019.
Considerato che appaiono venute meno le ragioni che hanno determinato l’impugnativa della disposizione citata, su parere conforme del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e a seguito di comunicazione da parte della Regione della mancata applicazione, medio tempore, della disposizione censurata, sussistono i presupposti per rinunciare al ricorso.
Si propone, pertanto, la rinuncia parziale all'impugnazione della legge della regione Puglia n. 67 del 28 dicembre 2018, limitatamente all’articolo 102.
Permangono ancora validi gli ulteriori motivi di impugnativa, di cui alla delibera del Consiglio dei Ministri in data 27 febbraio 2019, riferiti alle restanti disposizioni censurate e non modificate dalla Regione.
27-2-2019 /
Impugnata
La legge della Regione Puglia n.67 pubblicata sul B.U.R n. 165 del 31/12/2018 recante “Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione 2019 e bilancio pluriennale 2019-2021 della Regione Puglia (Legge di stabilità regionale 2019)” presenta profili di illegittimità costituzionale e va pertanto impugnata ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione per i motivi che di seguito si illustrano.
La legge della Regione Puglia contempla talune disposizioni che appaiono costituzionalmente illegittime, in quanto contrastanti con la competenza esclusiva statale in materia di «tutela dell'ambiente e dell'ecosistema" (art. 117, comma 2, lett. s), Cost.), materia, quest'ultima "trasversale" e "prevalente", che si impone integralmente nei confronti delle Regioni che non possono contraddirla, spettando allo Stato, per costante giurisprudenza costituzionale, la competenza a fissare livelli di tutela uniforme sull'intero territorio nazionale.
Infatti, il carattere trasversale della materia della tutela dell'ambiente, se da un lato legittima le Regioni a provvedere attraverso la propria legislazione esclusiva o concorrente in relazione a temi che hanno riflessi sulla materia ambientale, dall'altro non costituisce limite alla competenza esclusiva dello Stato a stabilire regole omogenee nel territorio nazionale per procedimenti e competenze che attengono alla tutela dell'ambiente e alla salvaguardia del territorio (cfr. Corte Cost., sentenza n. 249 del 2009).
La legge regionale in commento all'articolo 102, sotto la rubrica "Ulteriori disposizioni in materia di rifiuti, stabilisce che: "I rifiuti urbani e quelli speciali provenienti da fuori regione destinati allo smaltimento nei siti discarica, ubicati nel territorio regionale pugliese, soggiacciono al riconoscimento in favore della Regione Puglia di oneri finanziari nella misura pari ad un incremento del 20 per cento della tariffa applicata dal soggetto gestore, a titolo di ristoro e compensazione ambientale. Il gettito andrà a finanziare un fondo per la realizzazione di interventi di piano volti al miglioramento ambientale del territorio interessato, alla tutela igienico-sanitaria dei residenti, allo sviluppo di sistemi di controllo e monitoraggio ambientale, nonché alla gestione integrata del ciclo dei rifiuti."
L'anzidetto articolo 102 impone l'applicazione di un'ulteriore aliquota contributiva alla tariffa applicata dal gestore degli impianti di smaltimento rifiuti presenti sul territorio regionale nel caso in cui lo smaltimento interessi i rifiuti non provenienti dal territorio pugliese.
Il pagamento dì tale tariffa aggiuntiva si configura come indennizzo a titolo di ristoro necessario a compensare il disagio legato alla presenza dell'impianto sul territorio pur non essendo sostenuto da specifica norma statale.
A tal riguardo si rappresenta che la legge 28 dicembre 1995, n. 549, come recentemente modificata dalla legge 27 dicembre 2017, n. 205, in materia di tributi per il conferimento rifiuti in discarica ed impianti di incenerimento senza recupero energetico, all'articolo 3, comma 27, stabilisce che proprio al fine di compensare il disagio provocato dalla presenza di un impianto di discarica o di incenerimento senza recupero energetico sul territorio, la regione può destinare parte del gettito derivante dal pagamento del suddetto tributo (per il deposito in discarica e in impianti di incenerimento senza recupero energetico dei rifiuti solidi, compresi i fanghi palabili), ai comuni anche qualora limitrofi all'impianto.
Tale norma stabilisce tuttavia che il comune riceve l'indennizzo dalla regione e non dal soggetto che smaltisce i rifiuti.
L'onere finanziario previsto dall'articolo 102 della legge in esame verrebbe dunque ad assumere una connotazione di natura tributaria poiché recante in sé tutti i caratteri propri del prelievo tributario costituiti dalla doverosità, dall'impossibilità di sottrarsi all'obbligo e dall'assenza di collegamento con una prestazione corrispettiva e corrispondente.
Poiché le Regioni possono istituire tributi solo in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, non essendo possibile reperire alcuna copertura nella legge statale, ne deriva che la disposizione regionale contrasta con l'articolo 23 e con l'articolo 119. comma 2 della Costituzione.
Al riguardo si richiama la sentenza 37/2004 della Corte costituzionale che, nell'operare una sintesi delle disposizioni dell'art. 119, come riformato dalla legge costituzionale 3/2001, ha evidenziato che - omissis - : "Il sistema finanziario e tributario degli enti locali è oggetto delle disposizioni dell'art. 119 della Costituzione, come novellato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. Esso considera, in linea di principio, sullo stesso piano Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni stabilendo che tutti tali enti 'hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa' (primo comma); hanno 'risorse autonome' e 'stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri', sia pure 'in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario', ed inoltre 'dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio' (secondo comma). Le risorse derivanti da tali fonti, e dal fondo perequativo istituito dalla legge dello Stato, consentono - vale a dire devono consentire - agli enti di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite'(quarto comma), salva la possibilità per lo Stato di destinare risorse aggiuntive ed effettuare interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni per gli scopi di sviluppo e di garanzia enunciati dalla stessa norma o 'per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio' delle funzioni degli enti autonomi (quinto comma)."
Ugualmente la sentenza 423/2004 sottolinea che, ai sensi del nuovo testo dell'articolo 119, le Regioni sono oggi state dotate di "autonomia finanziaria di entrata e di spesa" e godono di "risorse autonome" che sono rappresentate da tributi ed entrate proprie; dispongono, inoltre, di compartecipazioni al gettito di tributi erariali.
Per i territori che hanno minore capacità fiscale la legge dello Stato provvede poi a creare un fondo perequativo, specificando la carta fondamentale che lo stesso è "senza vincoli di destinazione". Nel loro insieme tali risorse devono consentire alle Regioni ed agli altri enti locali di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro spettanti. Lo Stato può poi destinare "risorse aggiuntive" ed effettuare "interventi speciali" in favore "di determinati" Comuni, Province, Citta metropolitane e Regioni, per garantire una maggiore uniformità di distribuzione delle risorse sul territorio nazionale.
Occorre sottolineare che, vigente il vecchio testo dell'art 119, si parlava di "tributi propri" delle Regioni, in un senso completamente difforme da quello che intende oggi la normativa costituzionale.
E' la stessa Corte a definire l'attuale significato di "tributi propri regionali" nella sent. 381/2004: sono tali, nel senso del nuovo art. 119. "tributi istituiti dalle Regioni con propria legge, nel rispetto dei principi di coordinamento con il sistema tributario statale" e non invece quelli istituiti con legge statale, ma il cui gettito venga attribuito alle Regioni.
In tale contesto, anche a seguito dell'entrata in vigore della legge 42/2009, si colloca l'attuazione dell'articolo 119 Cost., che la stessa Corte già nella sent 193/2007, aveva qualificata come "doverosa" in conformità al nuovo riparto di competenze e alle nuove regole.
Già nella sent. 370/2003, si diceva infatti che "appare evidente che la attuazione dell'art. 119 Cost. sia urgente al fine di concretizzare davvero quanto previsto nel nuovo Titolo V della Costituzione, poiché altrimenti si verrebbe a contraddire il diverso riparto di competenze configurato dalle nuove disposizioni; inoltre, la permanenza o addirittura la istituzione di forme di finanziamento delle Regioni e degli enti locali contraddittorie con l'art. 119 della Costituzione espone a rischi di cattiva funzionalità o addirittura di blocco di interi ambiti settoriali".
L'attuazione dell'art. 119 deve, quindi, stabilire i limiti che gli enti territoriali incontrano nello stabilire ed applicare entrate e tributi propri. Nella sent. 102/2008, la Corte affermava che "le Regioni a statuto ordinario sono assoggettate al duplice limite costituito dall'obbligo di esercitare il proprio potere di imposizione in coerenza con i principi fondamentali di coordinamento e dal divieto dì istituire o disciplinare tributi già istituiti da legge statale o di stabilirne altri aventi lo stesso presupposto, almeno fino all'emanazione della legislazione statale di coordinamento".
Il Giudice costituzionale è stato poi molto chiaro nello stabilire che fimo a quando la legge statale di coordinamento non sarà emanata "è vietato alle Regioni di istituire e disciplinare tributi propri aventi gli stessi presupposti dei tributi dello Stato o di legiferare sui tributi esistenti istituiti e regolati da leggi statali" (sent. 102/2008; cfr. anche la sent. 75/2006, secondo la quale, in mancanza dei principi dì coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, che devono essere fissati dal legislatore statale ai sensi dell'art. 119, secondo comma, Cost., alle Regioni è precluso ogni intervento legislativo sui tributi erariali; più recentemente vedasi le sentenze 102/2008 e 37/2004 richiamate dalla sent. 23/2010).
Viene inoltre precisato espressamente che "come questa Corte ha già avuto modo di affermare, poiché non è ammissibile, in materia tributaria, una piena esplicazione di potestà regionali autonome in carenza della fondamentale legislazione di coordinamento dettata dal Parlamento nazionale, si deve tuttora ritenere preclusa alle Regioni (se non nei limiti ad esse già espressamente riconosciuti dalla legge statale) la potestà di legiferare sui tributi esistenti, istituiti e regolati da leggi statali (cfr. ancora sentenze 296/2003 e 297/2003); e per converso si deve ritenere tuttora spettante al legislatore statale la potestà di dettare norme modificative, anche nel dettaglio, della disciplina dei tributi locali esistenti" (sent. 37/2004).
Solo per le ipotesi di tributi propri aventi presupposti diversi da quelli dei tributi statali, la Corte ha affermato "sussistere il potere delle Regioni di stabilirli, in forza del quarto comma dell'art. 117 Cost., anche in mancanza di un’apposita legge statale di coordinamento, a condizione, però, che essi, oltre ad essere in armonia con la Costituzione, rispettino ugualmente i principi dell'ordinamento tributario" (sent. 102/2008 e in tal senso, ancora, la sent. 37/2004).
La fondamentale conseguenza della inattuazione del dettato costituzionale è che spetta ancora al legislatore statale la potestà di dettare norme modificative, anche nel dettaglio, relativamente a tributi, già regolati dallo Stato, anche se destinati nel gettito alle Regioni.
Dunque, fino a quando non sarà completato il processo legislativo di coordinamento, è da ritenere vietato alle Regioni:
- istituire e disciplinare tributi propri aventi gli stessi presupposti dei tributi dello Stato;
- legiferare sui tributi esistenti istituiti e regolati da leggi statali;
- legiferare in materia tributaria deducendo i principi di coordinamento dalle norme attualmente in vigore, in attesa della legge statale di coordinamento.
Detti principi sono da considerarsi validi anche a seguito dell'entrata in vigore della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'art. 119 della Costituzione), e dell'attuativo decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68, (Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario.) in virtù del quale (articolo 8) dal 2013, sono stati trasformati in tributi propri regionali un elenco di tributi. Tale elenco è da ritenersi tassativo e non comprende il tributo di conferimento in discarica.
L'articolo 102 della legge regionale de qua, oltre a porsi in contrasto con i parametri costituzionali di cui agli articoli 117, secondo comma, lettera e), Cost., (che riserva alla competenza esclusiva dello Stato la materia del sistema tributario) e 119, comma 2, della Cost. (che subordina la possibilità per le regioni e gli enti locali di stabilire ed applicare tributi ed entrate proprie al rispetto dei principi (statali) di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario), viola altresì la legge n. 42 del 2009 e l'attuativo decreto legislativo n. 68 del 2011, recanti principi fondamentali di finanza pubblica e che qui assumono valore di parametri statali interposti.
Ulteriori profili di illegittimità costituzionale devono poi essere sollevati in riferimento ai parametri di cui agli artt. 3, 41 e 120 della Costituzione, atteso che la norma regionale censurata rispettivamente: introduce un trattamento sfavorevole per le imprese esercenti l'attività di smaltimento dei rifiuti nella Regione Puglia rispetto a quelle operanti sul restante territorio nazionale; restringe la libertà di iniziativa economica in assenza di concrete e giustificate ragioni attinenti alla tutela della sicurezza, della libertà e della dignità umana, valori che non possono ritenersi posti in pericolo dall'attività di smaltimento controllato e ambientalmente compatibile dei rifiuti; introduce un ostacolo alla libera circolazione di cose tra le regioni, senza che sussistano ragioni giustificatrici, neppure di ordine sanitario o ambientale (cfr. Corte Cost. sentenza n. 335 del 2001), violando il vincolo generale imposto alle Regioni dall'art. 120, primo comma, della Costituzione, che vieta ogni misura atta ad ostacolare la libera circolazione delle cose e delle persone fra le Regioni (Corte Cost. sentenze n. 62 del 2005 e n. 505 del 2002).
Per i motivi esposti, si ritiene di dover impugnare dinanzi alla Corte Costituzionale la l'articolo 102, per violazione degli articoli 3, 23, 41, 117, secondo comma lett. e), 117 secondo comma lett. s), 119, comma secondo e 120, primo comma, della Costituzione, in riferimento ai parametri statali interposti dianzi citati.
L'articolo 15 introduce un sistema sanzionatorio riferito agli interventi realizzati sugli "ulteriori contesti paesaggistici" di cui all'art. 143. comma 1. lett. e). del d.lgs. n. 42 del 2004; in tal modo viola la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di paesaggio, di cui agli artt. 9 e 117, secondo comma, lett. s) della Costituzione.
L'art. 72, rubricato "Disposizioni in materia di inquadramento", prevede la possibilità di inquadramento nei ruoli della dirigenza sanitaria per coloro che sono titolari d'incarico a tempo indeterminato non inferiore a trentotto ore settimanali e con almeno cinque anni di anzianità di servizio nella pubblica amministrazione; nel dettaglio, la disposizione regionale non risulta in linea con i principi di cui all'art. 15, comma 7, del d. lgs. n. 502 del 1992 in cui è stabilito che "Alla dirigenza sanitaria si accede mediante concorso pubblico per titoli ed esami, disciplinato ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 10 dicembre 1997, n. 4832". Peraltro, il medesimo decreto legislativo n. 502 del 1992, all'articolo 8, comma 8, ha disciplinato una specifica ipotesi di trasformazione dei rapporti convenzionali in rapporto di lavoro dipendente a domanda degli interessati, ma la deroga così prevista al principio generale del pubblico concorso è stata confinata entro limiti di tempo ben precisi.
Sul punto si segnala che la Corte Costituzionale (ex multis, sentenza n. 4/2004) ha ritenuto che l'accesso al pubblico impiego e le procedure concorsuali - "per i suoi contenuti marcatamente pubblicistici e la sua intima correlazione con l'attuazione dei principi sanciti dagli artt. 51 e 97 Cost. - è invero sottratta all'incidenza della privatizzazione del lavoro presso le pubbliche amministrazioni, che si riferisce alla disciplina del rapporto già instaurato"; ne deriva che la regolamentazione dell'accesso ai pubblici impieghi mediante concorso è riferibile all'ambito della competenza esclusiva statale, di cui all'art. 117, secondo comma, lettera g), Cost.
Inoltre, secondo la Corte Costituzionale (sentenza n. 363/2006), "il concorso pubblico - quale meccanismo imparziale di selezione tecnica e neutrale dei più capaci sulla base del criterio del merito - costituisce la forma generale e ordinaria di reclutamento per le pubbliche amministrazioni, esso è posto a presidio delle esigenze di imparzialità e di efficienza dell'azione amministrativa". Le eccezioni a tale regola consentite dall'art. 97 Cost., purché disposte con legge, debbono rispondere a "peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico" (sentenza n. 81/2006), altrimenti la deroga si risolverebbe in un privilegio a favore di categorie più o meno ampie di persone (sentenza n. 205/2006). Perché sia assicurata la generalità della regola del concorso pubblico disposta dall'art. 97 Cost., l'area delle eccezioni va, pertanto, delimitata in modo rigoroso.
Tanto premesso, nel caso in esame, invece, non sembrerebbero sussistere le condizioni per riconoscere come legittima la deroga che l'art. 72 della legge regionale, di fatto, introduce al principio del pubblico concorso; ne consegue una violazione da parte della disposizione segnalata del principio del concorso pubblico quale regola generale di accesso alle pubbliche amministrazioni ex art. 97 Cost., nonché dell'art. 117, secondo comma, lettera g), Cost.
Inoltre, altre previsioni contenute nella legge in esame incidono sugli obblighi assunti dalla Regione Puglia in sede di Piano di rientro per il disavanzo sanitario configurando misure di assistenza supplementari, non riconducibili ai livelli essenziali di prestazione fissati a livello nazionale.
In dettaglio, il riferimento va a quanto indicato dall'art. 61, secondo il quale, nell'ambito del Fondo sanitario regionale, è destinata una dotazione finanziaria di euro 400 mila per assicurare il rimborso delle spese delle associazioni di volontariato impegnate nei centri di orientamento oncologico della Rete oncologica regionale. Il predetto rimborso non è previsto a livello nazionale, segnatamente, dal DPCM del 12 gennaio 2017 recante "Definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, di cui all'articolo 1, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502"; dunque, l'intervento integra un livello ulteriore di assistenza che la Regione Puglia, essendo in Piano di rientro, non può garantire.
Analogamente, l'art. 66 prevede, quale misura diretta a potenziare la lotta al randagismo, l'erogazione di finanziamenti regionali, gravanti su risorse di natura sanitaria (missione 13), a favore dei comuni richiedenti per procedere alla realizzazione e/o ampliamento di canili di proprietà comunale. Trattasi anche in tal caso di intervento non riconducibile a quelli previsti dal citato DPCM del 12 gennaio 2017.
Identiche considerazioni valgono anche in relazione all'art. 93 della legge regionale in esame, che prevede la concessione di contributi straordinari, gravanti sempre nell'ambito della missione 13, per la realizzazione di campagne di sterilizzazione di cani patronali; si segnala, infatti, che il citato DPCM contempla tali campagne come riferite esclusivamente a cani e gatti randagi.
Infine, l'art. 86 prevede di destinare un milione di euro per il potenziamento dell'assistenza psicologica nelle ASL, impegnando a tal fine i Direttori Generali aziendali, senza che il Programma Operativo 2016-2018 della Regione Puglia preveda azioni al riguardo.
In merito alle segnalate disposizioni regionali si evidenza che, per le regioni impegnate in Piani di Rientro dal disavanzo sanitario, vige il divieto di effettuare spese non obbligatorie, ai sensi dell'articolo 1, comma 174, della legge 30 dicembre 2004, n. 311. Sul punto la Corte costituzionale (sent. n. 104 del 2013) ha evidenziato che "l'autonomia legislativa concorrente delle Regioni nel settore della tutela della salute ed in particolare nell'ambito della gestione del servizio sanitario può incontrare limiti alla luce degli obiettivi della finanza pubblica e del contenimento della spesa", specie "in un quadro di esplicita condivisione da parte delle Regioni della assoluta necessità di contenere i disavanzi del settore sanitario". Ne deriva che, laddove gli articoli segnalati della legge regionale in esame, dispongono l'assunzione a carico del bilancio regionale di oneri aggiuntivi per garantire un livello di assistenza supplementare, violano il principio di contenimento della spesa pubblica sanitaria, quale principio di coordinamento della finanza pubblica e, in definitiva, l'art. 117, terzo comma, Cost.
A latere delle suesposte considerazioni si segnala, infine, che, allo stato, non risultano presentati, da parte della Regione, i programmi operativi 2019-2021, funzionali alla prosecuzione e all'adeguamento dell'originale piano di rientro, nonché alla attribuzione, in termini di competenza e di cassa, delle risorse finanziarie già previste a legislazione vigente e condizionate alla piena attuazione del Piano (ai sensi dell'art. 1, comma 1, del D.L. n. 78/2010, conv. con mod. in legge n. 122/2010).
Alla luce di quanto precede, la legge regionale deve essere impugnata ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione.
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