Dettaglio Legge Regionale

Modifiche alla legge regionale n. 5 del 2023 in materia di assistenza primaria. (20-8-2024)
Sardegna
Legge n.12 del 20-8-2024
n.44 del 22-8-2024
Politiche socio sanitarie e culturali
15-10-2024 / Impugnata
L’articolo 1, comma 1, della legge della Regione Sardegna n.12 del 2024 presenta profili di illegittimità costituzionale nella parte in cui prevede l'introduzione del comma 2-ter, secondo periodo, nell'articolo 1 della legge regionale 5 maggio 2023, n. 5 (Disposizioni urgenti in materia di assistenza primaria), in quanto eccede dalle competenze statutarie della Regione Sardegna di cui agli articoli 3,4 e 5 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna) e, ponendosi in contrasto con la normativa statale di riferimento nonché con l’art. 21, comma 1, lettera j), dell'Accordo Collettivo Nazionale (ACN) dei Medici di Medicina Generale del 4 aprile 2024, quali norme interposte, si pone in violazione della competenza statale esclusiva in materia di "ordinamento civile" di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera l) della Costituzione.
L’art. 1, comma 2 ter, primo periodo, della legge 5 del 2023, come introdotto dall’articolo 1, comma 1, della legge in argomento dispone che “Le ASL, allo scopo di garantire uniformi livelli essenziali di assistenza nel territorio e con la prioritaria finalità di individuare misure organizzative atte ad assicurare l'assistenza sanitaria di base ai cittadini di aree disagiate della Regione, sono autorizzate a fornire a tutti i medici impegnati nei progetti aziendali di assistenza primaria e continuità assistenziale i ricettari di cui all'articolo 50 del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni dalla legge 24 novembre 2003, n. 326 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, recante disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici).”
Il secondo periodo del medesimo comma, in particolare, dispone che la disposizione sopra richiamata “è altresì applicabile ai medici in quiescenza che abbiano aderito ai progetti aziendali di assistenza primaria e continuità assistenziale, anche con contratti libero professionali, laddove non sia garantita la completa copertura delle cure primarie, per assicurarne le medesime funzioni, per le sole attività e limitatamente ai pazienti degli ambiti territoriali riferibili ai predetti progetti, sino al 31 dicembre 2024”.
In sostanza, il primo periodo della disposizione sopra riportata prevede che le Aziende sanitarie locali possano fornire i ricettari di cui all'articolo 50 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, a tutti i medici impegnati nei progetti aziendali di assistenza primaria e continuità assistenziale.
Il secondo periodo, poi, prevede la possibilità di richiamare in servizio anche i medici in quiescenza che abbiano aderito ai progetti aziendali di assistenza primaria e continuità assistenziale, anche con contratti libero professionali.
Proprio il secondo periodo dell’art. 1, comma 2 ter si pone innanzitutto in contrasto con l’articolo 21, comma 1, lettera j), dell’ACN dei Medici di Medicina Generale del 4 aprile 2024, quale norma interposta, che prevede l’incompatibilità allo svolgimento delle attività di Medico di Medicina Generale per coloro che fruiscono del trattamento di quiescenza.
In particolare, il citato articolo 21 dispone che “Ai sensi del punto 6, comma 3, dell’articolo 48 della Legge 23 dicembre 1978, n. 833 e dell’articolo 4, comma 7, della Legge 30 dicembre 1991, n. 412, è incompatibile con lo svolgimento delle attività previste dal presente Accordo il medico che: […].
j) fruisca di trattamento di quiescenza come previsto dalla normativa vigente. Tale incompatibilità non opera nei confronti dei medici che beneficiano delle sole prestazioni delle “quote A e B” del fondo di previdenza generale dell’ENPAM o che fruiscano dell’Anticipo della Prestazione Previdenziale (APP), di cui all’Allegato 5 del presente Accordo”.
Difatti, i Medici di Medicina Generale (MMG) ormai in pensione non possono essere annoverati tra le categorie di medici in quiescenza che, ai sensi dell’articolo 2-bis, comma 5, del decreto-legge n. 18 del 2020, possono essere richiamati in servizio per far fronte alle esigenze del Servizio sanitario nazionale e ai quali la disposizione regionale in parola prevede che possa essere fornito il ricettario di cui al citato art. 50 del D.L. 269/2003.
Tale preclusione, come sopra accennato, trova espressa previsione nell’ articolo 21, comma 1, lettera j), dell’ACN dei Medici di medicina Generale del 4 aprile 2024, disposizione che non può non richiamarsi, in considerazione della materia di che trattasi, e la cui applicabilità al caso di specie non può che essere certa.
Detta incompatibilità non può essere oggetto di deroga, se non a fronte di espressa previsione normativa statale.
La disposizione regionale contestata, invece, consente al MMG già in quiescenza di aderire al progetto assistenziale attivato dalla ASL e di disporre del ricettario di cui all'art. 50 del D.L. 269/2003 e di riprendere, di fatto, funzioni analoghe - per natura e per strumenti impiegati - a quelle che aveva prima del pensionamento. Allo stesso modo risulta difficile escludere un rientro, di fatto, dell'ex medico di medicina generale nel circuito dell'assistenza sanitaria dal momento che non muta la natura del rapporto che lo stesso aveva, ante pensionamento, con il SSN, rimanendone immutata la natura libero professionale.
A tal proposito, è opportuno rammentare che la Corte di Cassazione ha costantemente affermato che il rapporto convenzionale dei medici di medicina generale costituisce un rapporto privatistico di lavoro autonomo di tipo professionale con la pubblica amministrazione (Corte di Cassazione, Sezioni Unite, ordinanza 21 ottobre 2005, n.20344; Sezione lavoro, sentenza 8 aprile 2008, n. 9142).
E’ proprio l’autonomia professionale che caratterizza il rapporto di lavoro del MMG in regime di convenzione che, come già in precedenza evidenziato, non consente di ritenere applicabile agli stessi la previsione di cui all'art. 2-bis, comma 5, del D.L n.18/2020 che permette di richiamare in servizio dalla quiescenza solo il personale dipendente del SSN, riferendosi testualmente ai “dirigenti medici, veterinari e sanitari (...)”.
In definitiva, se per coloro che erano dipendenti del SSN la possibilità di rientrare dalla quiescenza con incarichi di lavoro autonomo (anche di collaborazione coordinata e continuativa) è espressamente contemplata dalla normativa statale (art. 2-bis, comma 5, DL n. 18 del 2020), detta possibilità è, invece, preclusa per i medici di medicina generale dall'ACN del 2024.
Ed infatti, quando il legislatore ha inteso riferirsi alla generalità dei medici lo ha fatto con formule ampie ed omnicomprensive: a titolo esemplificativo, si segnala che se, da un lato, nell'ambito della disciplina derogatoria e speciale dettata dall’art. 2-bis, comma 5, del DL n. 18 del 2020 ha testualmente richiamato “dirigenti medici, veterinari e sanitari (...)”, diversamente nell’ambito della disciplina posta dall'art. 50 D.L. 269/2003 - che pure viene in rilievo nel caso in esame - ha genericamente riconosciuto che i ricettari ripossono essere consegnati dalla Regione “a tutti i medici del SSN' abilitati dalla Regione ad effettuare prescrizioni.
La disposizione regionale, invero, ha invaso la sfera di competenza legislativa esclusiva statale in materia di ordinamento civile, che riserva alla contrattazione collettiva la disciplina del rapporto di lavoro del MMG, materia riservata al legislatore statale e da quest’ultimo demandata alla contrattazione collettiva.
Il legislatore statale, infatti, ha demandato la disciplina del rapporto di lavoro del personale medico di medicina generale in regime di convenzione, alla negoziazione collettiva, con un procedimento che si rifà ai modelli previsti per la contrattazione collettiva dal decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche) per il personale della pubblica amministrazione il cui rapporto è stato privatizzato.
La disciplina del rapporto di lavoro in oggetto è stata configurata, già con la legge 23 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del servizio sanitario nazionale), in termini di necessaria uniformità sul tenitorio nazionale, assicurata attraverso la piena conformità delle convenzioni alle previsioni dettate dagli accordi collettivi.
Il comma 1 dell'art. 8 del d.lgs. n. 502 del 1992 ha poi ribadito e precisato che il rapporto tra il Servizio sanitario nazionale, i medici di medicina generale ed i pediatri di libera scelta è disciplinato da apposite convenzioni di durata triennale conformi agli accordi collettivi nazionali stipulati con le organizzazioni sindacali di categoria maggiormente rappresentative in campo nazionale.
Infine, l'art. 2-nonies del decreto-legge 29 marzo 2004, n. 81 (Interventi urgenti per fronteggiare situazioni di pericolo per la salute pubblica), convertito, con modificazioni, dalla legge 26 maggio 2004, n. 138, ha confermato la struttura di regolazione del contratto del personale sanitario a rapporto convenzionale, che viene garantito, su tutto il territorio nazionale, da convenzioni conformi agli accordi collettivi nazionali. Detti accordi sono conclusi secondo un procedimento di contrattazione collettiva definito in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.
Così perimetrato il contesto normativo di riferimento, quindi, non può mettersi in dubbio che la disciplina di riferimento nel caso di specie sia rappresentata dalle disposizioni dell'ACN: anche in tale prospettiva, dunque, non vi è ragione per escludere l’applicabilità dell’art. 21, comma 4, più volte citato.
A tal proposito, già con la sentenza n. 186 del 2016 la Corte Costituzionale ha affermato che la contrattazione collettiva nazionale del settore, che si esprime nell’accordo collettivo, fondata sulle previsioni delle norme statali precedentemente illustrate, «è certamente parte dell’ordinamento civile», in quanto «si inserisce nel peculiare sistema integrato delle fonti cui la legge statale pone un forte presidio per garantire la necessaria uniformità».
È proprio l’esigenza di una uniforme disciplina dei rapporti convenzionali dei medici con il SSN che richiede l’armonica integrazione della normativa statale con la contrattazione collettiva nazionale, evidenziando i limiti della stessa, anche alla luce del riparto di competenze tra Stato e Regioni sancito dall’art. 117 della Costituzione.
La disciplina del rapporto di lavoro dei medici di continuità assistenziale, riconducibile a tale materia, necessita di una uniforme regolamentazione su tutto il territorio nazionale, al fine di garantire la conformità del rapporto di lavoro alle prescrizioni della legislazione statale ed a quanto previsto dagli accordi collettivi di settore.
Infine, per quanto sopra esposto si ritiene che l’intervento in esame non possa essere qualificato quale misura organizzativa del SSR “attuata mediante il ricorso a contratti libero professionali, adottata nel rispetto delle norme statali applicabili” configurandosi, piuttosto, come un intervento in deroga alle disposizioni dell'ACN che si pone come imprescindibile fonte di disciplina nel caso in esame.
Tanto premesso, la violazione della norma interposta di cui al citato art. 21, concreta una violazione della competenza statale esclusiva di cui all’art. 117 cost, lett. l) in materia di ordinamento civile.
In conclusione, l’art. 1, comma 2-ter, secondo periodo, della legge regionale n. 5 del 2023, come introdotto dall’articolo 1, comma 1, della legge in esame, eccedendo dalle competenze statutarie della regione Sardegna (artt. 3,4 e 5 legge cost. n. 3 del 1948), e ponendosi in contrato con la normativa statale di riferimento e con il citato art. 21 dell’ACN, viola la competenza esclusiva statale in materia di ordinamento civile di cui all’art. 117, secondo comma, lett. l) Cost., per invasione del perimetro riservato alla contrattazione collettiva.
Per tali motivi la predetta disposizione deve essere impugnata dinanzi alla Corte Costituzionale ai sensi dell’art. 127 della Costituzione.

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