Dettaglio Legge Regionale

Modifiche alla legge regionale 10 agosto 2016, n. 16 in materia di compatibilità delle costruzioni realizzate in aree sottoposte a vincolo. (29-7-2021)
Sicilia
Legge n.19 del 29-7-2021
n.34 del 6-8-2021
Politiche infrastrutturali
23-9-2021 / Impugnata
La legge regionale, che detta modifiche alla legge regionale 10 agosto 2016, n. 16 in materia di compatibilità delle costruzioni realizzate in aree sottoposte a vincolo, eccede dalle competenze statutarie della Regione Siciliana in quanto introduce sostanzialmente, con una norma asseritamente di interpretazione autentica, una estensione dei limiti applicativi del c.d. terzo condono, di cui al decreto-legge n. 269 del 2003, consentendo il rilascio del titolo in sanatoria anche in presenza di vincoli relativi, in contrasto con quanto stabilito dall'art. 32, comma 27, del citato decreto n. 269 del 2003, le cui previsioni non risultano derogabili da parte delle Regioni, anche ad autonomia speciale, secondo quanto da tempo chiarito dalla costante giurisprudenza della Corte costituzionale.
Più in dettaglio, si osserva quanto segue.
L'art. 1, comma 1, della legge regionale n. 19 del 2021, denominato "Compatibilità delle costruzioni realizzate in aree sottoposte a vincolo", introduce, nella legge regionale 10 agosto 2016, n. 16, recante "Recepimento del Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia approvato con decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380", il nuovo art. 25-bis, rubricato "Norme di interpretazione autentica".
La disposizione introdotta fornisce, apparentemente, l'interpretazione autentica dell'art. 24 della legge regionale 5 novembre 2004, n. 15, recante "Misure finanziarie urgenti. Assestamento del bilancio della Regione e del bilancio dell'Azienda delle foreste demaniali della Regione siciliana per l'anno finanziario 2004. Nuova decorrenza di termini per la richiesta di referendum".
Il predetto art. 24, rubricato "Condono edilizio. Oneri concessori", disciplina l'applicazione nella Regione del c.d. terzo condono, di cui all'art. 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326.
Più in dettaglio, con l'art. 24 della legge regionale n. 15 del 2004 la Regione ha disposto nei termini seguenti:
"1. Dalla data di entrata in vigore della presente legge è consentita la presentazione dell'istanza per il rilascio della concessione edilizia in sanatoria ai sensi dell'art. 32 del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito con legge 24 novembre 2003, n. 326 e successive modificazioni e integrazioni. Sono fatte salve le istanze di sanatoria già presentate e le anticipazioni versate ai sensi della predetta legge alle quali si applicano le disposizioni di cui al presente articolo.
2. Gli oneri di concessione dovuti per il rilascio della concessione edilizia in sanatoria di cui al comma 1 sono quelli vigenti in ciascun comune alla data di entrata in vigore della presente legge.
3. La misura dell'anticipazione degli oneri concessori di cui alla tabella D allegata al decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito con legge 24 novembre 2003, n. 326 e successive modifiche ed interazioni, è ridotta del 50 per cento. Il versamento del l'anticipazione deve comunque essere effettuato nella misura minima di 250,00 euro qualora l'importo dell'anticipazione degli oneri concessori sia inferiore a tale cifra.
4. Fermo restando il versamento della prima rata dovuta al momento della presentazione dell'istanza di sanatoria edilizia nella misura di cui al comma 3, la restante parte degli oneri concessori potrà essere corrisposta entro il 30 dicembre 2008 mediante rateizzazione semestrale comprensiva degli interessi legali calcolati dalla data di presentazione dell'istanza.
5. In alternativa a detta anticipazione e successivo saldo degli oneri concessori dovuti, è altresì consentito il pagamento dei medesimi oneri in base a quelli vigenti nel comune di ubicazione dell'immobile oggetto di sanatoria edilizia in un'unica soluzione. L'attestazione del versamento deve essere allegata all'istanza.".
Con riferimento a tale disposizione, il nuovo art. 25-bis della legge regionale n. 16 del 2016, introdotto dall'art. 1, comma 1, della legge regionale n. 19 del 2021, prevede che:
"1. L 'art. 24 della legge regionale 5 novembre 2004, n. 15, si interpreta nel senso che sono recepiti i termini e le forme di presentazione delle istanze presentate ai sensi dell'art. 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, e pertanto resta ferma l'ammissibilità delle istanze presentate per la regolarizzazione delle opere realizzate nelle aree soggette a vincoli che non comportino inedificabilità assoluta nel rispetto di tutte le altre condizioni prescritte dalla legge vigente.
2. Per la definizione delle pratiche di sanatoria di cui al presente articolo, gli enti competenti rilasciano il nulla osta entro i termini previsti dalla normativa vigente".
Il comma 2 del medesimo art.1 della legge regionale in esame, prevede poi che "I nulla osta di cui al comma 2 dell'art. 25-bis della legge regionale n. 16/2016 come introdotto dal comma 1 sono resi entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge ovvero, nel caso di istanza di riesame, dalla data di presentazione della medesima istanza".
E’in primo luogo opportuno evidenziare che il tenore letterale dell’art. 24 della legge regionale n. 15 del 2004 porta a ritenere che tale disposizione rechi un recepimento integrale dell’articolo 32 del d.l. n. 269 del 2003, con la conseguente inammissibilità delle domande di condono relative ad abusi commessi in zona soggetta a vincolo di inedificabilità relativa.
In tal senso, si è espressa la costante giurisprudenza della Corte di Cassazione che, anche recentemente, dopo aver effettuato un’esaustiva ricostruzione della peculiare tecnica legislativa adottata in Sicilia ai fini dell’adeguamento dell’ordinamento regionale alla disciplina di cui al citato decreto – legge n. 269 del 2003 (Cassazione penale, sez. III, 24/06/2021, ud. 24/06/2021, dep. 05/08/2021, n. 30693. In senso conforme, ex multis, Cass. Sez. III n. 7400 del 16 febbraio 2017 Sez. 3, n. 45977 del 27/10/2011, D'Ippolito, Rv 251341; Sez. 3, n. 45527 del 08/04/2016), ha affermato, quanto segue: “il nodo centrale che deve essere qui affrontato, pertanto, riguarda il significato da attribuire alla disposizione con cui è stata esercitata la potestà legislativa esclusiva in materia dalla Regione Sicilia; in particolare, occorre comprendere cosa significhi il disposto secondo cui è consentita la presentazione dell'istanza di concessione edilizia in sanatoria "ai sensi del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 32, convertito con la L. 24 novembre 2003, n. 326 e successive modifiche ed integrazioni". Ancora, occorre chiedersi se esso consente la proposizione dell'istanza di concessione in sanatoria nelle forme e nei limiti del richiamato art. 32 della legge nazionale, ovvero abbia un significato più ristretto, come ritenuto dal Consiglio della Giustizia Amministrativa, secondo cui il recepimento sarebbe limitato unicamente alle forme per la presentazione dello stesso, con la conseguenza che in Sicilia il divieto di cui alla lett. d) dell'art. 32 della legge statale, che pone limiti alla sanatoria per i casi di esistenza di vincoli di inedificabilità, dovrebbe considerarsi riferito unicamente ai vincoli di inedificabilità assoluti e non a quelli relativi, per i quali ben può essere rilasciata la concessione edilizia in sanatoria, ove si realizzino tutte la altre condizioni previste dagli artt. 32 e 33 lege cit. (…).
Ritiene il Collegio, in condivisione con il provvedimento impugnato e in continuità con la giurisprudenza di questa sezione (Sez. 3, n. 45977 del 27/10/2011, D'Ippolito, Rv 251341; Sez. 3, n. 45527 del 08/04/2016, Commendatore, non mass.) che la disposizione di cui alla L.R. n. 15 del 2004, art. 24, abbia, nell'esercizio della potestà legislativa esclusiva, stabilito che la concessione edilizia in sanatoria può essere richiesta e rilasciata nelle forme e nei limiti di cui al richiamato art. 32 della legge nazionale, essendo tale l'interpretazione letterale del disposto normativo.
Il legislatore regionale, a differenza di quanto accaduto con la L.R. n. 37 del 1975, ha recepito nell'ambito territoriale della Regione Sicilia, la L. n. 326 del 2003, art. 32 direttamente e integralmente e cioè sia con riguardo alle forme che ai limiti ivi previsti, tra cui, anche, la previsione di cui al comma 27, lett. d), per la quale la concessione edilizia in sanatoria non può essere rilasciata per interventi di nuova costruzione in aree sottoposte ai vincoli ivi citati.”
Alla luce delle suesposte considerazioni, pertanto, l’art. 32, comma 27, lett. d della legge. n. 326 del 2003, a mente della quale la sanatoria non può essere concessa né sulle aree soggette a vincolo di inedificabilità assoluta, né su quelle soggette a vincoli di inedificabilità relativa, trova applicazione anche nel territorio siciliano in forza dell’art. 24 della legge regionale siciliana n. 15 del 2004. Un’opposta opzione interpretativa si fonda sul rilievo che in Sicilia, continuerebbe ad applicarsi l’art. 23 della legge regionale 10 agosto 1987, n. 37, il quale, in deroga agli articoli 32 e 33 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, prevede la sanabilità delle opere realizzate in zona vincolata subordinatamente al rilascio del nulla osta dell'autorità competente per il vincolo. Il che equivale ad affermare che in Sicilia il divieto di cui alla cit. lett. d) deve considerarsi riferito unicamente ai vincoli “assoluti”, e non anche a quelli c.d. “relativi”; per i quali ultimi può, invece, ottenersi la concessione in sanatoria, ove si realizzino tutte le altre condizioni stabilite dalla legge.
Tale interpretazione non può ritenersi condivisibile considerato il consolidato orientamento della Suprema Corte secondo cui la citata legge regionale n. 37 del 1985 “non prevale sulla normativa statale che disciplina il condono edilizio di cui al D.L. 30 settembre 2003, n. 269, conv. con modd., in L. 24 novembre 2003, n. 326. Ciò sul rilievo che la normativa regionale non può costituire eccezione alle previsioni di una normativa statale introdotta successivamente” (Cass. pen., Sez. 3, n. 45977 del 27/10/2011, D'Ippolito, Rv. 251341).
La disposizione regionale contenuta nell’articolo 1 della legge regionale pone quindi gravi problemi di costituzionalità, sotto diversi profili:
(i) si interviene in un ambito - quello del condono edilizio - che è riservato in via assoluta allo Stato e sul quale, pertanto, la Regione è sfornita di potestà legislativa, estendendo l'ambito degli abusi suscettibili di sanatoria;
(ii) si definisce norma di interpretazione autentica una disposizione che invece ha carattere innovativo e che interviene sul procedimento di definizione di domande di condono presentate da circa diciassette anni, prevedendo persino la riapertura dei procedimenti già conclusi, anche in presenza di un giudicato sfavorevole, determinando esiti gravemente irragionevoli e lesivi del principio di stabilità dei rapporti giuridici;
(iii) si incide di conseguenza sulla punibilità di fatti penalmente illeciti, così invadendo anche la sfera di competenza statale inerente l'ordinamento penale.

In particolare si evidenzia quanto segue:
1. Va rilevato anzitutto che la legge in esame estende indebitamente, per la sola Regione Siciliana, i limiti applicativi del c.d. terzo condono.
Il condono edilizio di cui all'art 32 del decreto-legge n. 269 del 2003 poneva infatti limiti precisi, non superabili da parte delle Regioni, incluse quelle ad autonomia speciale, e tantomeno con norma retroattiva approvata a distanza di diciassette anni.
In particolare, per quanto qui rileva, era espressamente esclusa, al comma 27 del predetto art. 32, la possibilità di condonare gli abusi su immobili vincolati, qualora il vincolo preesistesse all'abuso, e ciò indipendentemente dalla natura - assoluta o relativa - del vincolo stesso.
La giurisprudenza, anche della Corte costituzionale, ha infatti unanimemente rimarcato come il decreto-legge n. 269 del 2003 abbia chiaramente circoscritto l'ambito degli abusi condonabili rispetto a quanto previsto dagli artt. 32 e 33 della legge n. 47 del 1985. Si è, infatti, affermato costantemente che: "E' chiaro che, nel riaprire i termini del condono per ragioni dichiaratamente "di cassa", il legislatore ha inteso circoscriverne con maggior rigore i presupposti di applicabilità ( Corte cost., 28 giugno 2004, n. 196, 17 del considerato in diritto; Cons. Stato, sei.. IV, 7 dicembre 2016, n. 5157 e n. 5158) escludendone in ogni caso - e pur fermo il quadro generale costituito dagli arti. 32 e 33 della legge n. 47/1985, tuttavia derogati in parte qua - le opere realizzate: I) su immobili soggetti a preesistenti vincoli ambientali, paesag'istici o simili; Il) in assenza o in difformità dal titolo edilizio; III) non conformi alla disciplina urbanistica locale" (così Cons. Stato, Sez. IV, 14 febbraio 2017, n. 628).
La legge regionale in questione estende irragionevolmente invece le fattispecie che possono essere oggetto di condono, limitandone l'esclusione alle opere in contrasto con vincoli che comportano l'inedificabilità assoluta, ma includendovi alcune delle opere abusive elencate al comma 27 dell'art. 32 citato, ovvero quelle realizzate in presenza di vincoli c.d. relativi.
Come detto, costituisce approdo consolidato l'affermazione secondo la quale "La legge n. 326/2003, infatti, pur collocandosi sull'impianto generale della legge n. 47, norma (col cennato art 27) in maniera più restrittiva le fattispecie di cui si tratta, poiché con riguardo ai vincoli ivi indicati (tra cui quelli a protezione dei beni paesistici) preclude la sanatoria sulla base della anteriorità del vincolo senza la previsione procedimentale di alcun parere dell'autorità ad esso preposta, con ciò collocando l'abuso nella categoria delle opere non suscettibili di sanatoria (ex art. 33 L n.47/85)" (così Cons. Stato, Sez. IV, 28 novembre 2013, n. 5701).
Pur se resa con riferimento a una Regione a statuto ordinario, pare opportuno in proposito richiamare anche quanto affermato nella sentenza della Corte costituzionale n. 290 del 2009, relativa all'art. 11 della legge n. 11 del 2008 delle Marche, denominata "Interpretazione autentica dell'articolo 2 della legge regionale 29 ottobre 2004, n. 23 "Norme sulla sanatoria degli abusi edilizi delle Marche". La previsione della legge regionale delle Marche recava anch'essa l'asserita interpretazione autentica di una precedente legge regionale relativa al c.d. terzo condono e, al riguardo, stabiliva che la predetta normativa dovesse essere interpretata nel senso che i vincoli impedissero la sanatoria delle opere abusive soltanto se comportanti inedificabilità assoluta e imposti prima della esecuzione delle opere.
Nella pronuncia richiamata, la Corte ha avuto modo di statuire che: "La norma oggetto di ricorso, tramite una asserita "interpretazione autentica" dell'art. 2, comma 1, lettera a), della legge regionale n. 23 del 2004, stabilisce che i vincoli previsti dall'art. 32, comma 27, lettera d), del decreto-legge n. 269 del 2003 hanno effetto impediente, solo se "comportino inedificabilità assoluta"; l'ulteriore riferimento alla necessità che essi siano imposti prima dell'esecuzione delle opere è conforme a quanto affermato dallo stesso art. 32, comma 27, lettera d): in tal modo il legislatore regionale intende rendere condonabili gli interventi in area vincolata ai sensi della citata norma statale quando il vincolo abbia carattere meramente relativo. Questa Corte ha già riconosciuto che "solo alla legge statale compete l'individuazione della portata massima del condono edilizio straordinario" (sentenza n. 70 del 2005; sentenza n. 196 del 2004), sicché la legge regionale che abbia per effetto di ampliare i limiti applicativi della sanatoria eccede la competenza concorrente della Regione in tema di governo del territorio. Nello specifico, disposizioni regionali analoghe a quella oggetto del presente giudizio sono già state reputate costituzionalmente illegittime (sentenza n. 54 del 2009), ovvero si sono sottratte alla declaratoria di illegittimità costituzionale solo in quanto ritenute in via interpretativa compatibili con i vincoli di inedificabilità relativa salvaguardati dall'art. 32, comma 27, lettera d), del decreto-legge n. 269 del 2003 (sentenza n. 49 del 2006). Infatti, è pacifico che la normativa statale più volte richiamata imponga l'osservanza di vincoli di carattere relativo, cui il legislatore regionale non può apportare alcuna deroga (ordinanza n. 150 del 2009): al contrario la disposizione censurata ha l'effetto inequivocabile di vanificare siffatti limiti ed incorre per tale ragione nel denunciato vizio di legittimità costituzionale".
Anche con riferimento alla legge della Liguria n. 5 del 2004, che consentiva la possibilità di condonare alcuni abusi su aree sottoposte a vincolo di inedificabilità relativa imposto prima della realizzazione delle opere, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 225 del 2012, ha evidenziato che: "L'interpretazione della Regione collide in modo patente con la ratio ed il significato letterale dei commi 26 e 27 dell'art. 32 del d.L n. 269 del 2003: il primo comma individua tassativamente le fattispecie sanabili sulla base della nuova legge sul condono, mentre il secondo enuclea quelle non sanabili. Il richiamo alla precedente distinzione tra inedificabilità relativa ed assoluta contenuta negli arti. 32 e 33 della legge n. 47 del 1985 viene effettuato al solo fine di coordinare la vecchia disciplina della sanatoria con quella sopravvenuta, mentre non risulta dirimente nella definizione dell'ambito oggettivo del condono del 2003 che viene in discussione in questa sede. La sua estensione al nuovo condono non è infatti compatibile col dettato del comma 26 e delle ivi richiamate tipologie di cui ai numeri 4, 5 e 6 dell'Allegato I al d.l n. 269 del 2003 (fattispecie sanabili), ove non è contemplata alcuna ipotesi congruente con la fattispecie astrattamente enucleata dal legislatore regionale (infatti il comma 26 e le richiamate tipologie di cui ai numeri 4, 5 e 6 si riferiscono non all'intera categoria dell'inedificabilità relativa, ma soltanto ad alcune fattispecie minori tassativamente elencate) né con quello del comma 27, che vieta espressamente (lettera d) la sanatoria di abusi realizzati su aree di tale natura, vincolate antecedentemente all'esecuzione delle opere, in assenza o in difformità dal titolo abilitativo edilizio o dalle norme e prescrizioni in materia urbanistica. Questa Corte ha avuto modo di precisare che il condono di cui al dl n. 269 del 2003 è caratterizzato da un ambito oggettivo più circoscritto rispetto a quello del 1985, per effetto dei limiti ulteriori contemplati dal precitato comma 27, i quali «si aggiungono a quanto previsto negli artt. 32 e 33 della legge n. 47 del 1985» (sentenza n. 196 del 2004) e non sono racchiusi nell'area dell'inedificabilità assoluta (ordinanza n. 150 del 2009)".
2. Con la norma (innovativa) in esame divengono pertanto assentibili interventi pacificamente non sanabili in base alla disciplina statale, e peraltro su beni vincolati di interesse culturale e paesaggistico.
Al riguardo, occorre tenere presente che l'art. 14 dello Statuto attribuisce alla Regione Siciliana potestà legislativa esclusiva, tra l'altro, in materia urbanistica e nelle materie della tutela del paesaggio e della conservazione delle antichità e delle opere artistiche. Tale potestà va tuttavia esercitata nei limiti delle leggi costituzionali dello Stato e nel rispetto delle c.d. norme di grande riforma economico-sociale.
È pacifico che tra queste ultime siano da annoverare sia le norme in tema di condono edilizio, che quelle in materia di tutela del patrimonio culturale e del paesaggio (cfr. tra le molte sentenza CGARS 14 giugno 2021, n. 532). In particolare, i limiti al condono edilizio posti dall'art. 32, comma 27, lett. d), del decreto-legge n. 269 del 2003 rientrano a pieno titolo nell'ambito delle norme di grande riforma economico-sociali, in quanto sono dettati a salvaguardia, tra l'altro, delle esigenze di tutela dei beni culturali e del paesaggio (art. 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione) e della necessaria uniformità delle prestazioni essenziali che devono essere assicurate sull'intero territorio nazionale (art. 117, secondo comma, lett. m), della Costituzione).
Ne discende che la disciplina censurata si pone in contrasto con i limiti alla potestà legislativa regionale sanciti dall'art. 14 dello Statuto speciale e invade la sfera di competenza statale.
Come ricordato dalla Corte Costituzionale in una pronuncia resa su una norma analoga a quella in esame approvata dalla Regione Sardegna, "Il legislatore statale conserva il potere di vincolare la potestà legislativa primaria della Regione speciale attraverso l'emanazione di leggi qualificabili come «riforme economico-sociali». Ciò anche sulla base del titolo di competenza legislativa nella materia «tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali)), di cui all'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, comprensiva tanto della tutela del paesaggio quanto della tutela dei beni ambientali o culturali; «con la conseguenza che le norme fondamentali contenute negli atti legislativi statali emanati in tale materia potranno continuare ad imporsi al necessario rispetto del legislatore della Regione Sardegna che eserciti la propria competenza statutaria nella materia «edilizia ed urbanistica» (v. sentenza n. 536 del 2002)» (sentenza n. 51 del 2006)". (così la sentenza n. 308 del 2013).
E ancora: "Per quanto riguarda segnatamente le regioni ad autonomia speciale dotate, in base al loro statuto, di competenze a loro volta esclusive nella materia, questa Corte ha affermato in molteplici occasioni che il legislatore statale «conserva il potere, "nella materia 'tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali di cui all'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, comprensiva tanto della tutela del paesaggio quanto della tutela dei beni ambientali o culturali (per tutte, sentenza n. 51 del 2006) [ ... ] di vincolare la potestà legislativa primaria delle Regioni a statuto speciale, così che le norme qualificabili come 'riforme economico-sociali' si impongono al legislatore di queste ultime" (sentenza n. 238 del 2013)» (sentenza n. 172 del 2018, in relazione alla competenza primaria della Regione Siciliana in materia di tutela del paesaggio; nello stesso senso, più di recente, sentenze n. 130 del 2020, in relazione alla medesima competenza della Regione Siciliana, e n. 118 del 2019, sull'analoga competenza primaria della Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallée d'A oste)" (così la sentenza n. 160 del 2021).
3. Sotto il profilo della tutela dell’ambiente va altresì segnalato che l'art. 65 decreto legislativo n. 152 del 2006, c.d Codice dell’Ambiente, al comma 1, stabilisce che "Il Piano di bacino distrettuale, di seguito Piano di bacino, ha valore di piano territoriale di settore ed è lo strumento conoscitivo, normativo e tecnico-operativo mediante il quale sono pianificate e programmate le azioni e le norme d'uso finalizzate alla conservazione, alla difesa e alla valorizzazione del suolo ed alla corretta utilizzazione della acque, sulla base delle caratteristiche fisiche ed ambientali del territorio interessato." e al successivo comma 4 che "Le disposizioni del Piano di bacino approvato hanno carattere immediatamente vincolante per le amministrazioni ed enti pubblici, nonché per i soggetti privati, ove trattasi di prescrizioni dichiarate di tale efficacia dallo stesso Piano di bacino. In particolare, i piani e programmi di sviluppo socio-economico e di assetto ed uso del territorio devono essere coordinati, o comunque non in contrasto, con il Piano di bacino approvato. ".
Inoltre, l'art. 67, del medesimo decreto legislativo n. 152 del 2006, concernente "I piani stralcio per la tutela dal rischio idrogeologico e le misure di prevenzione per le aree a rischio”, al comma 1, prevede che "Nelle more dell'approvazione dei piani di bacino, le Autorità di bacino adottano, ai sensi dell'articolo 65, comma 8, piani stralcio di distretto per l'assetto idrogeologico (PAI), che contengano in particolare l'individuazione delle aree a rischio idrogeologico, la perimetrazione delle aree da sottoporre a misure di salvaguardia e la determinazione delle misure medesime."
Sempre l'anzidetto articolo 67, al relativo comma 6, prevede, altresì, che "Nei piani stralcio di cui al comma 1 sono individuati le infrastrutture e i manufatti che determinano il rischio idrogeologico. Sulla base di tali individuazioni, le regioni stabiliscono le misure di incentivazione a cui i soggetti proprietari possono accedere al fine di adeguare le infrastrutture e di rilocalizzare fuori dall'area a rischio le attività produttive e le abitazioni private. A tale fine le regioni, acquisito il parere degli enti locali interessati, predispongono, con criteri di priorità connessi al livello di rischio, un piano per l'adeguamento delle infrastrutture, determinandone altresì un congruo termine, e per la concessione di incentivi finanziari per la rilocalizzazione delle attività produttive e delle abitazioni private realizzate in conformità alla normativa urbanistica edilizia o condonate. Gli incentivi sono attivati nei limiti della quota dei fondi introitati ai sensi dell'articolo 86, comma 2, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, e riguardano anche gli oneri per la demolizione dei manufatti; il terreno di risulta viene acquisito al patrimonio indisponibile dei comuni. All'abbattimento dei manufatti si provvede con le modalità previste dalla normativa vigente. Ove i soggetti interessati non si avvalgano della facoltà di usufruire delle predette incentivazioni, essi decadono da eventuali benefici connessi ai danni derivanti agli insediamenti di loro proprietà in conseguenza del verificarsi di calamità naturali. ".
Dal quadro di sintesi dianzi delineato rileva, in maniera palese, il contrasto delle disposizioni regionali in esame con la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi degli articoli 9 e 117, comma 2, lettera s), della Costituzione, in quanto determina una «lesione diretta» dei beni culturali e paesaggistici tutelati, con la conseguente grave diminuzione del livello di tutela garantito nell'intero territorio nazionale.
Il bene ambientale, infatti, ha una morfologia complessa, capace di ricomprendere non solo la tutela di interessi fisico-naturalistici, ma anche i beni culturali e del paesaggio idonei a contraddistinguere in modo originale, peculiare e irripetibile un certo ambito geografico e territoriale (sentenza n. 66/18 Corte Cost., punto 2.2. del Considerato in diritto).
La disciplina statale volta a proteggere l'ambiente e il paesaggio viene quindi a funzionare come un limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in altre materie di loro competenza, salva la facoltà di queste ultime di adottare norme di tutela ambientale più elevata nell'esercizio di competenze, previste dalla Costituzione, che concorrano con quella dell'ambiente (sentenza n. 199 del 2014 Corte Cost.; nello stesso senso, sentenze n. 246 e n. 145 del 2013, n. 67 del 2010, n. 104 del 2008, n. 378 del 2007 Corte Cost.).
Essa richiede una strategia istituzionale ad ampio raggio, che si esplica in un’attività pianificatoria estesa sull'intero territorio nazionale. In tal senso, l'attribuzione allo Stato della competenza esclusiva di tale «materia-obiettivo» non implica una preclusione assoluta all'intervento regionale, purché' questo sia volto all'implementazione del valore ambientale e all'innalzamento dei suoi livelli di tutela. (ibidem, punto 2.3. del Considerato in diritto; sentenza n. 172/18 Corte Cost., punto 6.2. del Considerato in diritto; sentenza n. 178/18 Corte Cost., punto 2.1. del Considerato in diritto).
Quanto precede, tenuto, altresì, conto del consolidato orientamento espresso dalla giurisprudenza amministrativa in materia di sanatoria di opere abusive (cfr. Cons. Stato Sez. IV, sent.17-07-2013, n. 3883), statuente che: "l'art. 32, comma 27, lett. d), L. n. 269 del 2003 costituisce previsione normativa che esclude dalla sanatoria le opere abusive realizzate su aree caratterizzate da determinate tipologie di vincoli (in particolare, quelli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e della falde acquifere, dei beni ambientali e paesaggistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali) ", subordinando, peraltro, l'esclusione a due condizioni costituite: a) dal fatto che il vincolo sia stato istituto prima dell'esecuzione delle opere abusive; b) dal fatto che le opere realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo risultino non conformi alle nonne urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici (Cons. di Stato, sez.IV, sent. n. 3174/2010).
La norma regionale risulta dunque in contrasto con il parametro costituzionale di cui al secondo comma, lettera s), dell'art. 117 Cost., in quanto essa interviene in una materia, quella della «tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali», attribuita in via esclusiva alla competenza legislativa dello Stato
4. Risulta inoltre evidente come la disposizione censurata non fornisca una interpretazione di una precedente previsione legislativa, ma introduca surrettiziamente una prescrizione nuova e retroattiva, che estende l'ambito di applicabilità del condono edilizio, dopo diciassette anni dalla entrata in vigore della disciplina che lo regolava.
Oltre a quanto sopra illustrato, tale scelta normativa contrasta:
(i) con i parametri costituzionali che regolano la formazione delle leggi (artt. 14 e 27 dello Statuto di autonomia; artt. 117, 123 e 127 Cost., relativi all'attività legislativa regionale);
(ii) con l'art. 3 della Costituzione, sotto il profilo della ragionevolezza (cfr. Corte Costituzionale sentenze n. 39 del 2006 e n. 308 del 2013);
(iii) con la CEDU, sotto il profilo del rispetto della certezza ed effettività delle relazioni giuridiche (art. 6 e 13), ponendosi in contrasto, per questa via, anche con l'art. 117, primo comma, della Costituzione, nonché con l'art. 14 dello Statuto di autonomia, stante la violazione degli obblighi internazionali assunti dallo Stato.
La giurisprudenza costituzionale ha ritenuto infatti estensibili alla legislazione regionale i principi e i limiti elaborati in tema di interpretazione autentica della legge. Inoltre - anche se non costituzionalizzato al di fuori della previsione contenuta nell'art. 25 Cost. - il principio di irretroattività della legge, è da ritenersi rivesta valore di principio generale ai sensi dell'art.11, primo comma, delle disposizioni preliminari del codice civile, cui il legislatore deve in via preferenziale attenersi.
Più in dettaglio, la giurisprudenza della Corte costituzionale ha ritenuto costituzionalmente legittimo lo strumento delle leggi interpretative solo a patto che esso non venga utilizzato per attribuire a norme innovative una surrettizia efficacia retroattiva, in quanto in tal modo la legge interpretativa verrebbe meno alla sua funzione peculiare, che è quella di chiarire il senso di norme preesistenti, ovvero di imporre una delle possibili varianti di senso compatibili col tenore letterale. Il carattere interpretativo di una norma non può quindi desumersi dalla sua auto qualificazione, ma deve risultare dalla struttura della fattispecie normativa, sicché andrebbe riconosciuto carattere interpretativo soltanto a una legge che, fermo il tenore testuale della norma interpretata, ne chiarisca il significato normativo ovvero privilegi una tra le diverse interpretazioni possibili.
Qualora, poi, possa effettivamente riconoscersi a una legge valenza interpretativa, questa soggiace comunque a una serie di limiti, tra i quali, oltre alla ragionevolezza della scelta operata, vi è anche il divieto di ingiustificata disparità di trattamento, la coerenza e certezza del diritto, il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario, nonché la tutela dell'affidamento legittimamente sorto nei soggetti destinatari della previsione, quale principio connaturato allo Stato di diritto.
Nel caso in esame, la previsione normativa non è qualificabile come norma di interpretazione autentica, in quanto non dirime un dubbio sulla portata della disposizione asseritamente interpretata, ma introduce retroattivamente una norma innovativa, che estende la portata del condono a casi che pacificamente non vi rientrano in base alla disciplina statale.
La conseguenza ditale estensione è l'irragionevole modifica dell'esito delle pratiche di condono, a distanza di circa diciassette anni dalla relativa presentazione, riaprendo persino procedimenti già definiti con provvedimento inoppugnabile e su cui eventualmente potrebbe essersi formato un giudicato negativo, secondo quanto previsto dal comma 2 dell'art. 1 della legge regionale in esame.
Si tratta di una conseguenza che determina una grave instabilità dei rapporti giuridici e che appare del tutto arbitraria, con conseguente violazione dei parametri sopra richiamati.
In un caso analogo al presente, e riferito alla Regione Sardegna, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 308 del 2013, ha stigmatizzato l'introduzione di una norma asseritamente di interpretazione autentica dell'articolo 17, comma 3, lettera g), delle norme di attuazione del Piano paesaggistico regionale ("Nel caso in esame, con la norma impugnata, che si auto qualifica di interpretazione autentica, il legislatore regionale è intervenuto, a distanza di sei anni dall'entrata in vigore del Piano paesaggistico regionale (PPR), adottato con deliberazione n. 36/7 del 5 settembre 2006, per imporre alla Giunta regionale di assumere una deliberazione di interpretazione autentica con la quale stabilire, con effetto ricondotto all'entrata in vigore del predetto PPR, che l'art. 17, comma 3, lettera g), delle norme tecniche di attuazione del PPR, adottate congiuntamente al PPR, deve essere inteso nel senso che la fascia di profondità di 300 metri dalla linea di battigia non si applica alle zone umide, ma solo ai laghi naturali ed agli invasi artificiali, con conseguente esclusione della predetta fascia dal regime di autorizzazione paesaggistica imposto dall'art. 18").
Nella sentenza ora richiamata, la Corte ha riscontrato la violazione dell'art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 6 e 13 della CEIDU, evidenziando che "l’ipotesi della norma regionale impugnata non è riconducibile a quella delle norme retroattive volte a rimediare ad «una imperfezione tecnica della legge interpretata, ristabilendo un'interpretazione più aderente all'originaria volontà del legislatore» (sentenza n. 78 del 2012): nella specie, la volontà del legislatore deve ravvisarsi, alla luce di quanto statuito nella legge regionale n. 8 del 2004 e nelle relative norme del cosiddetto Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al d. lgs. n. 42 del 2004, nella volontà di assicurare un'adeguata tutela e valorizzazione del paesaggio, in primo luogo attraverso lo strumento del Piano paesistico regionale (art. 1 della legge regionale n. 8 del 2004; art. 135 del Codice dei beni culturali e del paesaggio). L'effetto prodotto dalla norma regionale impugnata, all'opposto, risulta essere quello di una riduzione dell'ambito di protezione riferita ad una categoria di beni paesaggistici, le zone umide, senza che ciò sia imposto dal necessario soddisfacimento di preminenti interessi costituzionali. E ciò, peraltro, in violazione di quei limiti che la giurisprudenza costituzionale ha ravvisato alla portata retroattiva delle leggi, con particolare riferimento al rispetto delle funzioni riservate al potere giudiziario".
5. L'estensione con efficacia retroattiva dell'area degli illeciti condonabili ha una evidente ricaduta infine sul piano dell'ordinamento penale, parimenti riservato alla potestà legislativa statale, con conseguente violazione dell'ad. 117, secondo comma, lett. 1), Cost. e dell'articolo 14 dello Statuto speciale
La disposizione regionale consente di dare legittimamente corso a una domanda di sanatoria edilizia (amministrativa), per gli effetti di cui all’art. 23 della legge regionale 37 del 1985 e dell’art. 32 legge n. 326 del 2003, quando per lo stesso abuso si configurano ipotesi di illecito penale sanzionate, ai sensi dell’art. 181 del Codice dei beni culturali.
In relazione a tale profilo, si evidenzia che la Corte di Cassazione, con la citata sentenza n. 7400 del 16/2/2017, ha dato atto di come il “… rilascio del nulla osta paesaggistico ottenuto dai ricorrenti non aveva alcun rilievo sanante. Al riguardo è sufficiente ricordare che in tema di protezione delle bellezze naturali, il rilascio postumo dell'autorizzazione paesaggistica da parte dell'autorità preposta alla tutela del vincolo non estingue il reato previsto dal D.lgs. n. 42 del 2004, art. 181. L'autorizzazione paesaggistica in sanatoria estingue il reato di cui all'art. 181 cit. solo se espressamente rilasciata dall'esito della speciale procedura di cui al D.lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1-quater (Sez. 3, n. 12951 del 07/03/2008, Scalia, Rv. 239355; Sez. 3, n. 16574 del 06/03/2007, Drago, Rv. 236495; Sez. 3, n. 37318 del 03/07/2007, Causotto, Rv 237562. Ndr, e solo alle condizioni ivi previste di abusi minori) e non ammette equipollenti, non potendo così accordare alcun effetto sanante al nulla osta dell'autorità preposta alla tutela del vincolo.”.
Come affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 196 del 2004, quanto alle Regioni ad autonomia speciale, opera il limite della "materia penale" (comprensivo delle connesse fasi procedimentali) e quanto è immediatamente riferibile ai principi di questo intervento eccezionale di "grande riforma", quali il titolo abilitativo edilizio in sanatoria e la determinazione massima dei fenomeni condonabili (nello stesso senso le sentenze n. 70 e n. 71 del 2005; cfr. anche le sentenze n. 54 del 2009 e 290 del 2009).
Oltre a violare i principi in tema di corretto esercizio della funzione legislativa declinata come espressione della interpretazione autentica delle disposizioni in vigore, la norma in esame finisce per invadere la sfera riservata al legislatore statale in materia penale, con un inammissibile e ingiustificato trattamento di favore per illeciti eventualmente commessi nel territorio siciliano, a danno del paesaggio e del patrimonio culturale.
Per le ragioni esposte la disposizione regionale contenuta nell’articolo 1 della legge regionale in esame deve quindi essere impugnata ai sensi dell’articolo 127 della costituzione.

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