Dettaglio Legge Regionale

Assestamento al bilancio 2021-2023 con modifichedi leggi regionali (6-8-2021)
Lombardia
Legge n.15 del 6-8-2021
n.32 del 10-8-2021
Politiche economiche e finanziarie
7-10-2021 / Impugnata
La legge regionale Lombardia n. 15 del 06/08/2021 recante “Assestamento al bilancio 2021 – 2023 con modifiche di leggi regionali” presenta alcuni profili di non conformità alla Carta costituzionale con riferimento alle seguenti disposizioni e va pertanto impugnata ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione per le motivazioni che di seguito si espongono.


L'articolo 15, sotto la rubrica "Controllo, monitoraggio e tracciabilità dei gessi di defecazione da fanghi utilizzati in agricoltura”, stabilisce che:
1. Al fine di salvaguardare la qualità delle produzioni agricole o anche dei suoli e prevenire l'insorgere di fenomeni o processi di degrado e di inquinamento ambientale, nonché a tutela della salute, i fanghi impiegabili per la produzione dei gessi di defecazione da fanghi, dei gessi di defecazione o dei carbonati di calcio da defecazione per il relativo utilizzo sui suoli della regione sono quelli idonei all'utilizzo agronomico e conformi agli standard ai sensi della normativa statale e della specifica disciplina regionale attuativa di riferimento.
2. In applicazione del principio di precauzione nell'azione in materia ambientale e nelle more della revisione del decreto legislativo 27 gennaio 1992. n. 99 (Attuazione della direttiva n. 86/2 78/CEE concernente la protezione dell'ambiente, in particolare del suolo, nell'utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura), all'utilizzo del 'gesso di defecazione da fanghi', secondo quanto previsto dalla scheda prodotto n. 23 dell'Allegato 3, punto 2. 1, del decreto legislativo 29 aprile 2010, n. 75 (Riordino e revisione della disciplina in materia di fertilizzanti, a norma dell'articolo 13 della legge 7 luglio 2009, n. 88), si applicano le regole di tracciabilità, di cui agli articoli 9, comma 3, 13 e 15 del d. lgs. 99/1992, previste per l'utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura.
3. Le disposizioni di cui al comma 2 si applicano anche al 'carbonato di calcio da defecazione' e al ‘gesso di defecazione', ottenuti da fanghi di depurazione.
4. Con una o più deliberazioni, la Giunta regionale può stabilire, per le finalità di cui al comma 1, eventuali ulteriori aspetti della disciplina sull'utilizzo dei fanghi in agricoltura da applicare ai gessi di defecazione da fanghi, ai gessi di defecazione e ai carbonati di calcio da defecazione, prodotti utilizzando fanghi di depurazione.
5. Le previsioni di cui ai commi da 1 a 4 si applicano agli utilizzi in agricoltura effettuati a partire dal 1° febbraio 2022.
6. Fermo restando quanto previsto al comma 5, entro centottanta giorni dall'entrata in vigore della presente legge, le autorità competenti riesaminano le autorizzazioni già rilasciate per la produzione dei fertilizzanti di cui al comma 1, ai fini dell'adeguamento alle disposizioni di cui al presente articolo.

Al riguardo, occorre premettere che la normativa nazionale riguardante la materia dei fertilizzanti risulta contenuta nel decreto legislativo 29 aprile 2010, n. 75, recante "Riordino e revisione della disciplina in materia di fertilizzanti, a norma dell'articolo 13 della legge 7 luglio 2009, n.88", che all'articolo 1, comma 1, lettera aa), prevede la definizione di "correttivi" ovvero "materiali da aggiungere al suolo in situ principalmente per modificare e migliorare proprietà chimiche anomale del suolo dipendenti da reazione, salinità, tenore in sodio, i cui tipi e caratteristiche sono riportati nell'allegato 3 del d.lgs. 75/2010".
L'Allegato 3, al punto 2, del citato d.lgs. 75/2010 elenca, poi, per tutti i tipi di correttivi, le modalità di preparazione, l'elenco dei componenti essenziali ed altri requisiti e caratteristiche, ivi specificando nella relativa scheda 2 - recante le prescrizioni per la preparazione del correttivo denominato "gesso di defecazione con fanghi" - che per la sua produzione è consentito l'utilizzo dei fanghi di depurazione delle acque reflue, i quali devono rispettare i requisiti di cui al decreto legislativo 99/92. Nelle schede 21 e 22 riferite, invece, ai correttivi "gesso di defecazione" e "carbonato di calcio di defecazione" non si rinviene, nel medesimo allegato 3, del d.lgs. 75/2010, riferimento alcuno all'utilizzo dei fanghi di depurazione delle acque reflue per la loro preparazione.
Tutto ciò premesso il comma 1, dell'articolo 15, nella sua attuale formulazione, prevede la possibilità che, anche per la preparazione dei correttivi "gesso da defecazione" e "carbonato di calcio da defecazione ", sia possibile l'impiego dei fanghi di depurazione delle acque reflue. In tali termini, detta disposizione regionale pur richiamando, dunque, la conformità alla normativa statale di cui al d.lgs. 75/2010, si pone in contrasto con essa.
Il successivo comma 2 intende, altresì, applicare all'utilizzo del correttivo "gesso di defecazione da fanghi" le regole di tracciabilità di cui agli articoli 9, comma 3, 13 e 15, del d.lgs. 99/92, previste per l'utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura.
A tal proposito è utile richiamare quanto stabilito dall'articolo 184, comma 3, lettera g), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.152, che, nell'ambito della ivi prefissata definizione di rifiuti speciali, ricomprende anche i fanghi prodotti dalla potabilizzazione e da altri trattamenti delle acque e dalla depurazione delle acque reflue, nonché i rifiuti da abbattimento di fumi, dalle fosse settiche e dalle reti fognarie.
Ebbene, la legge regionale in esame, attraverso la previsione stabilita al comma 2, dell'articolo 15, intende applicare la normativa speciale di cui al d.lgs. 99/92, specificatamente prevista per alcuni tipi di rifiuti (fanghi di depurazione delle acque reflue), ai prodotti fertilizzanti, così ponendosi in contrasto sia con le disposizioni contenute nel d.lgs. 75/2010 che riconoscono ai fertilizzanti conformi alla disposizioni in esso contenute il titolo di prodotto, e sia con le disposizioni di cui al comma 5, dell'articolo 184-ter, del d.lgs. 152/06, che prevedono l'applicabilità della disciplina in materia di rifiuti, nell'ambito di un'operazione di recupero, esclusivamente sino alla cessazione della qualifica di rifiuto ovvero, nel caso specifico del "gesso di defecazione da fanghi ", sino alla preparazione del correttivo secondo le specifiche riportate nella scheda 23, dell'allegato 3, punto 2, del d.lgs. 75/2010, e non durante il successivo utilizzo.
Infine, i commi 3 e 4 sottintendono ulteriormente alla possibilità di preparazione dei correttivi "gesso di defecazione" e "carbonato di calcio di defecazione" attraverso l'utilizzo di fanghi di depurazione delle acque reflue in sostituzione dei "materiali biologici" come indicato nelle schede n. 21 e 22, dell'Allegato 3, punto 2, del citato d.lgs. 75/2010, all'uopo dovendosi richiamare le considerazioni già espresse al riguardo in relazione al precedente comma 1.
Alla luce di quanto fin qui rappresentato e del quadro normativo eurounitario e statale, le anzidette disposizioni sono da ritenersi in contrasto con il parametro costituzionale di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera s) Cost., in quanto intervengono in una materia, quella della «tutela dell'ambiente e dell'ecosistema», attribuita in via esclusiva alla competenza legislativa dello Stato (ex multis, Corte Cost., sentenze n. 54 del 2012, n. 244 e n. 33 del 2011, n. 331 e n. 278 del 2010, n. 61 e n. 10 del 2009), nella quale rientra la disciplina della gestione dei rifiuti (Corte Cost., sentenza n. 249 del 2009, infra citata), anche quando interferisca con altri interessi e competenze, di modo che deve intendersi riservato allo Stato il potere di fissare livelli di tutela uniforme sull'intero territorio nazionale, ferma restando la competenza delle Regioni alla cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali (tra le molte, Corte Cost. sentenze n. 67 del 2014, n.285 del 2013, n. 54 del 2012, n. 244 del 2011, n.225 en. 164 del 2009 e n. 437 del 2008).
Tale disciplina, «in quanto appunto rientrante principalmente nella tutela dell'ambiente, e dunque in una materia che, per la molteplicità dei settori di intervento, assume una struttura complessa, riveste un carattere di pervasività rispetto anche alle attribuzioni regionali» (Corte Cost. sentenza n. 249 del 2009), con la conseguenza che, avendo riguardo alle diverse fasi e attività di gestione del ciclo dei rifiuti e agli ambiti materiali ad esse connessi, la disciplina statale «costituisce, anche in attuazione degli obblighi comunitari, un livello di tutela uniforme e si impone sull'intero territorio nazionale, come un limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in altre materie di loro competenza, per evitare che esse deroghino al livello di tutela ambientale stabilito dallo Stato, ovvero lo peggiorino» (Corte Cost. sentenze n. 58 del 2015, n. 314 del 2009, n. 62 del 2008 e n. 378 del 2007).


L’articolo 17, comma 1 riconosce alle Aziende di Servizi alla Persona (ASP) per maggiori costi legati alla gestione dell'emergenza sanitaria "fino al 100 per cento del budget assegnato nell'ambito dei contratti sottoscritti per l'esercizio 2020. Il predetto riconoscimento tiene conto sia dell'attività ordinariamente erogata nel corso dell'anno 2020 di cui deve essere rendicontata l'effettiva produzione, sia, fino a concorrenza del predetto limite massimo del 100 per cento del budget sottoscritto, di un contributo una tantum legato all'emergenza in corso ed erogato a ristoro dei soli costi fissi a rilevanza sanitaria sostenuti dalle ASPA. A tal fine si applicano le modalità previste per l'attuazione delle norme di cui agli articoli 4, commi 5-bis e 5-ter, e 109 del decreto-legge 19 maggio 2020, n 34".
In merito, è necessario mettere in evidenza alcune premesse relativamente alla natura giuridica e la conseguente disciplina di tali istituti:
1. le Aziende di Servizi alla Persona (ASP) operanti in Lombardia derivano dalla trasformazione delle Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficenza (IPAB) e non sono parte del perimetro sanitario e del consolidato sanità;
2. le ASP hanno un peculiare regime giuridico caratterizzato dal mantenimento di un’intensa disciplina pubblicistica, seppur vi siano orientamenti non univoci se debbano considerarsi enti pubblici economici o non economici e sono dotate di autonomia statutaria, regolamentare, patrimoniale, contabile, tecnica e gestionale e operano con criteri imprenditoriali con obbligo di pareggio di bilancio (legge regionale 1/2003);
3. il contratto collettivo quadro per la definizione dei comparti di contrattazione e delle relative aree dirigenziali per il triennio 2016-2018, all’art. 4, include le ASP (ex IPAB) che svolgono prevalentemente funzioni assistenziali nel comparto delle funzioni locali;
4. ANAC ha osservato che le stesse ASP sarebbero da ricomprendere fra gli enti pubblici regionali a cui si applicano le disposizioni del d.lgs. 33/2013 (Comunicato del Presidente del 10 aprile 2015);
5. la sentenza n. 161/2012 della Corte costituzionale ha rilevato che “mutuano caratteri misti e peculiari sia dalle disciolte IPAB che dal contesto programmatorio ed operativo in cui vengono inserite” e che “le accomuna alle IPAB la natura di ente pubblico”;


Tanto premesso, si comprende il modo in cui la ratio della disposizione possa risiedere nella necessità di garantire, nel contesto pandemico, la continuità dei servizi sociosanitari territoriali erogati dal momento che la rete di offerta gestita dalle ASP in Lombardia è molto estesa e costituisce una componente molto importante della rete di offerta sociosanitaria.
Tuttavia, l’articolo 4 commi 5-bis e 5-ter del decreto legge n. 34/2020, richiamato nella disposizione in esame, stabilisce per le regioni e province autonome di Trento e Bolzano la possibilità di riconoscere alle strutture destinatarie di un budget “fino a un massimo del 90 per cento del budget assegnato nell'ambito degli accordi e dei contratti di cui all' articolo 8-quinquies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, stipulati per l'anno 2020, ferma restando la garanzia dell'equilibrio economico del Servizio sanitario regionale” al presentarsi di precise condizioni indicate dalla medesima legge nazionale. La ratio della norma nazionale, infatti, risiede nel fornire comunque un ristoro economico per quelle strutture che durante la pandemia, a causa della sospensione delle attività assistenziali differibili, hanno visto una riduzione delle attività per il periodo di sospensione e non hanno quindi potuto raggiungere il 100% del budget assegnato e sottoscritto. Tant’è vero che la norma nazionale prevede altresì che “resta fermo il riconoscimento, nell’ambito del budget assegnato per l'anno 2020, in caso di produzione del volume di attività superiore al 90 per cento e fino a concorrenza del budget previsto negli accordi e contratti stipulati per l'anno 2020, come rendicontato dalla medesima struttura interessata”. Il riconoscimento del 100% del budget previsto dall’articolo 17 della legge in esame, secondo le modalità della normativa nazionale richiamata, come si evince, è contrario alla ratio della norma nazionale e induce una spesa non giustificata dalle attività assistenziali a carico del SSR lombardo.
Pertanto, la norma in esame si pone in contrasto con il dettato normativo previsto dal DL n. 34/2020, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 77/2020, in violazione dell'articolo 117, secondo comma, lettera m) della Costituzione, in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni nei termini in cui vengono distratte le risorse assegnate ai livelli essenziali di assistenza (LEA) e dell’articolo 117, terzo comma, in materia di coordinamento della finanza pubblica.



L’articolo 24, nell’introdurre una serie di modifiche in materia di “c.d. ecotassa” all’articolo 53 della legge regionale n. 10 del 2003, prevede:
- alla lett. a) la sostituzione, al comma 3 dell’articolo 53, della misura del tributo relativo ai “rifiuti inerti dalle operazioni di costruzione e demolizione individuati dalla Giunta regionale”, nonché della misura del tributo relativo ai “rifiuti inerti diversi da quelli di cui alla lettera a);
- alla lett. b) la sostituzione delle lett. a), b) e c) del comma 4 dell’articolo 53, prevedendo a regime gli importi del tributo relativo: ai rifiuti conferiti in discariche per rifiuti non pericolosi, ai rifiuti contenenti amianto ed ai rifiuti costituiti da ceneri e scorie derivanti da operazioni di incenerimento e coincenerimento dei rifiuti.
- alla lett. c) la soppressione della lett. d) del comma 4 dell’articolo 53, in quanto ricompresa nella precedente lett. a);
- alla lett. d) la sostituzione del comma 5 dell’articolo 53, che, nella sua nuova formulazione, dispone che per tutti i rifiuti conferiti in discariche per rifiuti pericolosi si applica indistintamente l'importo di 20 euro per tonnellata;
- alle lett. e) e f) la sostituzione del comma 5-bis dell’articolo 53 in materia di rifiuti pericolosi stabili e non reattivi, conferiti nelle discariche per rifiuti non pericolosi e modifica il comma 7 dell’articolo 53, adeguando le disposizioni di tali commi alle modifiche apportate ai commi precedenti;
- alla lettera g) la modifica del comma 8 stabilendo che la maggiorazione del 50 per cento, prevista per i rifiuti speciali derivanti da “impianti di recupero e smaltimento nei quali vengono trattati anche rifiuti urbani che provengano da comuni ubicati fuori dal territorio regionale”, si applica, oltre che sull’aliquota stabilita dal comma 4, lettera a) (già prevista in precedenza, pari a 19,00 euro per i rifiuti conferiti in discariche per rifiuti non pericolosi e 7,00 euro per i rifiuti contenenti amianto), anche sull’aliquota prevista dal comma 5 (pari a 20,00 euro per tonnellata sui rifiuti conferiti in discariche per rifiuti pericolosi).
Tanto premesso in ordine alle modifiche apportate dalla l.r. n. 15/2021, articolo 24, comma 1, lettera g), all’articolo 53 della l.r. n. 10 del 2003, corre l’obbligo di richiamare l’attenzione sulla novellata disposizione contenuta al comma 8 del predetto articolo 53 della l.r. n. 10 del 2003, ai sensi del quale: “Fatti salvi i casi eccezionali e di urgenza, qualora i rifiuti speciali, derivanti da impianti di recupero e smaltimento nei quali vengono trattati anche rifiuti urbani, provengano da comuni ubicati fuori dal territorio regionale, le aliquote di cui ai commi 4, lettera a), e 5 sono maggiorate del 50 per cento. Qualora la maggiorazione determini il superamento del limite massimo dell'aliquota d'imposta unitaria fissato dall'articolo 3, comma 29, della l. 549/1995, il tributo è automaticamente adeguato al predetto limite”.
Ebbene, l’anzidetta disposizione, introdotta con la l.r. n. 10 del 2003, non appare coerente con i principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 82 del 30 aprile 2021.
Con tale decisione, infatti, la Consulta, pronunciandosi sulle disposizioni di aumento del tributo speciale per il conferimento in discarica di rifiuti provenienti da fuori regione, introdotte dalla Regione Valle d’Aosta, ha chiarito che il riconoscimento dell’autonomia finanziaria delle regioni in materia ambientale e la conseguente differenziazione impositiva tra regioni (vedi l’articolo 8 del d.lgs. N. 68/2011 che ha inserito l’imposta sulle emissioni sonore degli aeromobili civili tra i tributi ceduti alle Regioni ed ha parzialmente ceduto la tassa automobilistica, oppure la legge n. 42 del 2009, che ha previsto tributi propri regionali tra i quali rientrano quelli funzionali alla tutela dell’ambiente) “non può mai degenerare in un’ulteriore differenziazione stabilita solo in ragione del mero transito di un determinato bene attraverso il confine regionale”, in quanto “si tratterebbe, infatti, proprio di quell’uso patologico dell’autonomia impositiva che il Costituente ha inteso scongiurare con l’articolo 120 della Carta fondamentale” che vieta l’introduzione di “dazi all’importazione”, cioè di ostacoli fiscali alla libera circolazione delle merci tra le Regioni.
In altri termini, secondo la Corte “l’esercizio dell’autonomia finanziaria regionale consistente nel differenziare l’entità del tributo speciale per il deposito in discarica di quella speciale “merce” (o “prodotto”) a rilevanza ambientale costituita dai rifiuti non è sufficiente di per sé a garantire la legittimità costituzionale di una differenziazione del prelievo a seconda della provenienza regionale o extraregionale del rifiuto da smaltire. Ciò, neppure se l’entità del tributo speciale sia stata fissata (come nella specie) nel rispetto dei limiti della manovra quantitativa consentita alla Regione dalla normativa statale di cui all’articolo 3, comma 29, della legge n. 549 del 1995”.
Come ricordato dalla stessa Corte, la giurisprudenza costituzionale si è occupata più volte del problema relativo alla legittimità del divieto di smaltimento in ambito regionale di rifiuti di provenienza extraregionale, stabilendo che il principio di autosufficienza di cui all’articolo 182, comma 5 (ora comma 3, a decorrere dal 25 dicembre 2010, in forza dell'art. 8, comma 1, lettera b, del decreto legislativo 3 dicembre 2010, n. 205, recante «Disposizioni di attuazione della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008 relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive»), che, identificando nel territorio regionale l’ambito ottimale, vieta lo smaltimento dei rifiuti di produzione extraregionale, è applicabile solo ai rifiuti urbani non pericolosi (sentenze n. 10 del 2009 e n. 335 del 2001), per i quali, non essendo preventivabile in modo attendibile la dimensione quantitativa e qualitativa del materiale da smaltire, diviene impossibile individuare «un ambito territoriale ottimale, che valga a garantire l'obiettivo specifico dell’autosufficienza nello smaltimento» (sentenza n. 335 del 2001); il suddetto principio non può valere né per i rifiuti speciali pericolosi (sentenze n. 12 del 2007, n. 161 del 2005, n. 505 del 2002, n. 281 del 2000), né per quelli speciali non pericolosi (sentenze n. 10 del 2009 e n. 335 del 2001), fatti salvi eventuali accordi regionali o internazionali.
Da ultimo, poi, la medesima Consulta, nella sentenza n. 82 del 2021, ha chiarito che utilizzare la leva fiscale dell’ecotassa per discriminare i conferimenti in discarica di rifiuti speciali non pericolosi provenienti da fuori Regione – analogamente a quanto ha fatto la Lombardia - non è in ogni caso riconducibile, come si è visto, a una legittima attuazione dei principi di autosufficienza e prossimità, precisando che “Tale norma appare piuttosto dissimulare il tentativo di sottrarsi alle implicazioni, anche in termini di solidarietà, connesse alla necessità di garantire una rete adeguata e integrata per lo smaltimento dei rifiuti speciali non pericolosi. Essa, infatti, determina, nel differenziale imposto a questi ultimi, l’effetto sostanziale di introdurre, in contrasto con l’espressa previsione dell’articolo 120, primo comma, Cost., un “dazio all’importazione”, cioè un ostacolo fiscale alla libera circolazione delle merci tra le Regioni” Pertanto, la Corte Costituzionale ha ritenuto che le disposizioni regionali che stabiliscono ostacoli assoluti o relativi allo smaltimento di rifiuti di provenienza extraregionale diversi da quelli urbani non pericolosi, siano in contrasto con l’articolo 120 Cost., «sotto il profilo dell’introduzione di ostacoli alla libera circolazione di cose tra le regioni, oltre che con i principi fondamentali delle norme di riforma economico-sociale introdotti dal decreto legislativo n. 22 del 1997, e riprodotti dal d.lgs. N. 152 del 2006» (sentenza n. 10 del 2009)”.
In termini conclusivi, la norma impugnata, determinando un ostacolo fiscale al costituzionalmente garantito principio di libera circolazione delle merci e ponendosi, altresì, in contrasto con i criteri fondamentali recati dalle norme di riforma economico-sociale introdotti dal decreto legislativo n. 22 del 1997, e riprodotti dal d.lgs. N. 152 del 2006 (sentenza n. 10 del 2009), non è da ritenersi riconducibile a un esercizio legittimo delle competenze regionali, non potendo queste alterare in peius gli standard ambientali statali (In tali termini, Corte Cost. sentenze n. 7 del 2019, n. 139 e n. 74 del 2017).In conclusione, la previsione di aumento del 50 per cento del tributo per i rifiuti provenienti da comuni ubicati fuori regione, contenuta nella novellata legge n. 10 del 2003 della Regione Lombardia, produce, analogamente a quanto previsto dalla Regione Valle d’Aosta, l’effetto sostanziale di un “dazio all’importazione”, in contrasto con il principio di libera circolazione delle merci tra le Regioni, sancito all’articolo 120, primo comma della Costituzione.

Per i motivi illustrati, si ritiene di dover impugnare dinanzi alla Corte Costituzionale la legge regionale Lombardia n. 15/2021 per illegittimità costituzionale delle disposizioni sopra indicate, ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione.

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