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Disposizioni di adeguamento ordinamentale 2021 in materia di governo del territorio, viabilità, lavori pubblici, appalti, trasporti e ambiente. (21-9-2021)
Veneto
Legge n.27 del 21-9-2021
n.128 del 24-9-2021
Politiche infrastrutturali
18-11-2021 /
Impugnata
La legge regionale, che detta “Disposizioni di adeguamento ordinamentale 2021 in materia di governo del territorio, viabilità, lavori pubblici, appalti, trasporti e ambiente, è censurabile relativamente alle disposizioni contenute negli articoli 1, 9, 19 e 22, che, per le ragioni di seguito illustrate, si pongono in contrasto con gli articoli 3, 9, 81 e 117 secondo comma lettere e) ed l) e m) della Costituzione.
In particolare:
1) L’articolo 1 dispone la modifica dell'articolo 4 della legge regionale 5 novembre 2004, n. 21, recante "Disposizioni in materia di condono edilizio", mediante sostituzione del comma 1-bis.
Detto articolo 4, rubricato “Determinazione dell'oblazione e degli oneri concessori”, ha, per effetto dell’odierna modifica, il seguente tenore:
“1. La misura dell'oblazione prevista dalla legge sul condono è incrementata del 5 per cento e, nelle ipotesi previste dall'articolo 3, comma 3, del 10 per cento. L'incremento dell'oblazione è versato alla Regione che la destina per politiche di repressione degli abusi edilizi e per la promozione di interventi di riqualificazione dei nuclei interessati e compromessi da fenomeni di abusivismo edilizio, ovvero per i rilievi aerofotogrammetrici previsti dall'articolo 23 della legge n. 47 del 1985.
1-bis. La Regione può, altresì, destinare l'incremento dell'oblazione di cui al comma 1:
a) ad interventi di valorizzazione e restauro paesaggistico su siti di interesse regionale che sono individuati dalla Giunta regionale, sentita la competente commissione consiliare;
b) agli interventi, promossi dai comuni singoli o associati, di riqualificazione urbana di cui all'articolo 6 della legge regionale 6 giugno 2017, n. 14 "Disposizioni per il contenimento del consumo di suolo e modifiche della legge 23 aprile 2004, n. 11 "Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio"", nonché per le spese di progettazione degli interventi previsti nei programmi di rigenerazione urbana sostenibile, approvati ai sensi dell'articolo 7, comma 4, della medesima legge regionale n. 14 del 2017. La Giunta regionale, sentita la competente commissione consiliare, determina criteri e modalità di assegnazione del contributo.
(omissis).”.
Tale previsione normativa non è in linea con quanto disposto dal D.L. 30/09/2003, n. 269, recante “Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici.”, in particolare con l’articolo 32 (Misure per la riqualificazione urbanistica, ambientale e paesaggistica, per l'incentivazione dell'attività di repressione dell'abusivismo edilizio, nonché per la definizione degli illeciti edilizi e delle occupazioni di aree demaniali), comma 33, secondo il quale : “Le regioni, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, emanano norme per la definizione del procedimento amministrativo relativo al rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria e possono prevederne, tra l'altro, un incremento dell'oblazione fino al massimo del 10 per cento della misura determinata nella tabella C allegata al presente decreto, ai fini dell'attivazione di politiche di repressione degli abusi edilizi e per la promozione di interventi di riqualificazione dei nuclei interessati da fenomeni di abusivismo edilizio, nonché per l'attuazione di quanto previsto dall'articolo 23 della legge 28 febbraio 1985, n. 47.”
La ratio di tale previsione è quella di garantire alle Regioni l’acquisizione di maggiori introiti, utili ad affrontare gli impegni finanziari delle amministrazioni comunali conseguenti all'applicazione del condono edilizio (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 196/2004, punto 26).
Il legislatore veneto, nel prevedere, con il nuovo comma 1-bis dell’articolo 4 che la Regione possa, altresì, destinare l'incremento dell'oblazione di cui al comma 1 ad interventi di valorizzazione e restauro paesaggistico, ovvero a programmi di rigenerazione urbana, si è discostato dal riferito vincolo di destinazione, preordinato all’adozione di misure riparative e/o preventive rispetto al fenomeno dell’abusivismo edilizio.
Considerato che l’oblazione è intimamente connessa ai richiamati profili estintivi e che il legislatore statale, nel consentire alle regioni di incrementarne gli importi, ne ha, al contempo, vincolato la destinazione (“…possono prevederne, tra l'altro, un incremento dell'oblazione…ai fini…”), la norma regionale in parola risulta aver oltrepassato lo spazio di competenza riservato alle regioni.
La Corte costituzionale con la sentenza n. 196/2004 in materia di condono edilizio ha chiarito che: “Il condono edilizio di tipo straordinario, quale finora configurato nella nostra legislazione, appare essenzialmente caratterizzato dalla volontà dello Stato di intervenire in via straordinaria sul piano della esenzione dalla sanzionabilità penale nei riguardi dei soggetti che, avendo posto in essere determinate tipologie di abusi edilizi, ne chiedano il condono tramite i Comuni direttamente interessati, assumendosi l'onere del versamento della relativa oblazione e dei costi connessi all'eventuale rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria, appositamente previsto da questa legislazione.
Non vi è dubbio sul fatto che solo il legislatore statale può incidere sulla sanzionabilità penale (per tutte, v. la sentenza n. 487 del 1989) e che esso, specie in occasione di sanatorie amministrative, dispone di assoluta discrezionalità in materia "di estinzione del reato o della pena, o di non procedibilità" (sentenze n. 327 del 2000, n. 149 del 1999 e n. 167 del 1989). Peraltro, la circostanza che il comune sia titolare di fondamentali poteri di gestione e di controllo del territorio rende necessaria la sua piena collaborazione con gli organi giurisdizionali, poiché, come questa Corte ha affermato, "il Giudice penale non ha competenza 'istituzionale' per compiere l'accertamento di conformità delle opere agli strumenti urbanistici" (sentenza n. 370 del 1988). Tale doverosa collaborazione per concretizzare la scelta del legislatore statale di porre in essere un condono penale si impone quindi su tutto il territorio nazionale, inerendo alla strumentazione indispensabile per dare effettività a tale scelta.
Al tempo stesso rileva la parallela sanatoria amministrativa, anche attraverso la previsione da parte del legislatore statale di uno straordinario titolo abilitativo edilizio, a causa dell'evidente interesse di coloro che abbiano edificato illegalmente ad un condono su entrambi i versanti, quello penale e quello amministrativo; ma sul piano della sanatoria amministrativa i vincoli che legittimamente possono imporsi all'autonomia legislativa delle Regioni, ordinarie e speciali, non possono che essere quelli ammissibili sulla base rispettivamente delle disposizioni contenute nel nuovo art. 117 Cost. e degli statuti speciali.
(…)
Questa legislazione conferma, in una particolare realtà territoriale, quella che è una più generale caratteristica della legislazione sul condono, nella quale normalmente quest'ultimo ha effetti sia sul piano penale che sul piano delle sanzioni amministrative, ma che non esclude la possibilità che le procedure finalizzate al conseguimento dell'esenzione dalla punibilità penale si applichino ad un maggior numero di opere edilizie abusive rispetto a quelle per le quali operano gli effetti estintivi degli illeciti amministrativi; ciò è reso d'altra parte evidente nelle disposizioni dello stesso Capo IV della legge n. 47 del 1985, e successive modificazioni e integrazioni, che nell'art. 38 disciplina separatamente, al secondo ed al quarto comma, i presupposti del condono penale (il versamento dell'intera oblazione) ed amministrativo (il conseguimento del titolo abilitativo in sanatoria) e nell'art. 39 prevede che, ove si sia effettuata l'oblazione, si produca comunque l'estinzione dei reati anche ove "le opere non possano conseguire la sanatoria".
D'altra parte, anche l'art. 32 impugnato prevede, al comma 36, i presupposti per il verificarsi dell'effetto estintivo penale, mentre i diversi presupposti per il conseguimento del titolo abilitativo in sanatoria sono regolati dal comma 37, così confermando che i due effetti possono essere indipendenti l'uno dall'altro, dal momento che l'effetto penale si produce a prescindere dall'intervenuta concessione della sanatoria amministrativa e anche se la sanatoria amministrativa non possa essere concessa.”.
Come ricordato, pertanto, anche nelle argomentazioni fondanti della citata sentenza della Corte costituzionale, il monopolio statale – ex artt. 25 e 117, comma 2, lett. L) della Costituzione – interessa sia la fase genetica delle fattispecie incriminatrici, che la fase della rinuncia all’esercizio della pretesa punitiva. E tale riserva di competenza assume dei connotati ancora più pregnanti nell’ipotesi di condono straordinario edilizio, attesa la piena discrezionalità statale in materia di estinzione del reato. Coerentemente, quindi, il legislatore statale, nel ritenere di poter accordare alle regioni la predetta facoltà di incremento dell’oblazione, ha potuto subordinarla allo svolgimento di specifiche attività aventi finalità repressive e/o riparative [1) attivazione di politiche di repressione degli abusi edilizi; 2) promozione di interventi di riqualificazione dei nuclei interessati da fenomeni di abusivismo edilizio; 3) attuazione di quanto previsto dall'articolo 23 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 in materia di controlli periodici mediante rilevamenti aerofotogrammetrici]; finalità che non si rinvengono nelle attività oggi contemplate dal neo-introdotto comma 1-bis.
La disposizione regionale in esame, quindi, eccede dalle competenze riconosciute alle regioni in materia di condono edilizio risultando invasiva delle competenza esclusiva statale in materia di ordinamento penale di cui all’articolo 117, secondo comma lettera l) della Costituzione.
2) L’articolo 9, rubricato “Misure di semplificazione nei procedimenti di pagamento”, prevede testualmente che “1. Per i contratti pubblici di servizi, forniture e noleggio attrezzature di importo inferiore alla soglia di rilevanza comunitaria, nei procedimenti di pagamento non viene operata la ritenuta dello 0,50 per cento a garanzia dei versamenti agli enti previdenziali ed assicurativi.”
Tale disposizione si pone in contrasto con l’articolo 30, comma 5-bis, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 , recante Codice dei contratti pubblici, secondo cui in ogni caso sull’importo delle prestazioni è operata la ritenuta dello 0,50 per cento che può essere svincolata solo in sede di liquidazione finale, dopo l'approvazione da parte della stazione appaltante del certificato di collaudo o di verifica di conformità, previo rilascio del documento unico di regolarità contributiva.
Tanto premesso, si evidenzia che, secondo il consolidato orientamento della Corte Costituzionale, le disposizioni «[…] regolanti le procedure di gara sono riconducibili alla materia della tutela della concorrenza, e […] le Regioni, anche ad autonomia speciale, non possono dettare una disciplina da esse difforme (tra le tante, sentenze n. 263 del 2016, n. 36 del 2013, n. 328 del 2011, n. 411 e n. 322 del 2008)» (cfr. sentenza n. 39 del 2020). Ciò vale «anche per le disposizioni relative ai contratti sotto soglia (sentenze n. 263 del 2016, n. 184 del 2011, n. 283 e n. 160 del 2009, n. 401 del 2007), […] senza che rilevi che la procedura sia aperta o negoziata (sentenza n. 322 del 2008)» (in tal senso, sentenza n. 39 del 2020).
Orbene, le disposizioni di cui all’articolo 30, rubricato “Principi per l'aggiudicazione e l'esecuzione di appalti e concessioni”, rappresentano principi fondamentali posti a tutela della libera concorrenza, di non discriminazione e par condicio, e valevoli per qualsivoglia procedura di scelta del contraente, per gli appalti e per le concessioni di beni e servizi, sopra e sotto soglia (TAR Veneto, I, 21.3.2018, n. 320; TAR Puglia, Lecce, I, 5.7.2018, n. 1104; TAR Molise, 28.1.2019, n. 38; si veda anche Cons. Stato, III, 3.12.2015, n. 5494).
Alla luce di quanto esposto, si ritiene che la disciplina della legge regionale in esame, ponendosi in contrasto con la norma interposta, rappresentata dall’articolo 30 del Codice dei contratti, violi il parametro costituzionale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione.
A si aggiunga che, come detto, il citato articolo 30, comma 5-bis, del codice dei contratti pubblici dispone che “le ritenute possono essere svincolate soltanto in sede di liquidazione finale, dopo l'approvazione da parte della stazione appaltante del certificato di collaudo o di verifica di conformità, previo rilascio del documento unico di regolarità contributiva”.
Ne discende che, in caso di irregolarità del DURC, la stazione appaltante non può svincolare le ritenute in questione.
La previsione regionale, quindi, volta ad escludere l’applicabilità della ritenuta dello 0,50 per cento, appare suscettibile di determinare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, in termini di minori entrate contributive, non quantificate e prive di copertura finanziaria, laddove la stazione appaltante non potrà trattenere le ritenute che avrebbe potuto mantenere in caso di irregolarità contributiva del soggetto aggiudicatario, determinando così la violazione dell’articolo 81 della Costituzione.
3) L’articolo 19 della legge in esame sostituisce il comma 2 dell’articolo 2 della legge regionale n. 41 del 1998.
Il predetto articolo 2 stabilisce, al comma 1, che dopo l’approvazione degli appositi piani di estrazione, “(…) l’estrazione e l’asporto di sabbie e ghiaie è autorizzata, sotto il profilo della compatibilità con il buon regime delle acque e in armonia coi piani stessi, dal direttore dell’ufficio regionale del Genio civile competente per territorio fino a 30.000 metri cubi e, oltre tale quantità, dal direttore della struttura regionale competente in materia di difesa del suolo”.
Il comma 2, prima della modifica apportata dalla legge regionale n. 27 del 2021, disponeva che: “In assenza di piani estrattivi il limite è abbassato a 20.000 metri cubi”.
A seguito della novella, il medesimo comma 2 è stato sostituito dalla seguente previsione: “In assenza di piani estrattivi il limite è abbassato a 20.000 metri cubi per singolo intervento. Possono essere presentati dal medesimo soggetto progetti di estrazione e asporto di sabbia e ghiaia, finalizzati alla sicurezza e alla buona regimazione delle acque, per quantitativi complessivi fino ad un massimo pari ad 80.000 metri cubi, da realizzare attraverso singoli interventi di entità non superiore a 20.000 metri cubi”.
La norma introdotta consente l’estrazione di rilevanti quantità di materiali litoidi – in precedenza non permessa – in assenza degli appositi piani e, tra l’altro, in una Regione, quale il Veneto, allo stato ancora priva di pianificazione paesaggistica.
Viene a essere così stravolta la previsione originaria, vanificando la finalità stessa della legge regionale n. 41 del 1998, che è volta a permettere l’estrazione soltanto sulla base di appositi piani, e, in assenza dei piani stessi, unicamente per limitati quantitativi.
La nuova disposizione consente, invece, di estrarre, in assenza di piano, quantitativi complessivi di materiale litoide fino al 80.000 metri cubi, e ciò senza neppure il coinvolgimento della struttura regionale competente in materia di difesa del suolo.
Deve tenersi presente che i territori costieri, le zone contermini ai laghi e i corsi d’acqua sono soggetti a vincolo paesaggistico ex lege, ai sensi dell’articolo 142, comma 1, lett. A), b) e c), del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.
Ne deriva che, con le previsioni in esame, la Regione innova, mediante una disciplina irragionevole, al regime precedentemente dettato dalla stessa Regione a tutela dei beni paesaggistici vincolati ex lege, determinando un abbassamento della tutela.
Da ciò la violazione degli articoli 3 e 9 della Costituzione, rispetto ai quali costituiscono parametro interposto le previsioni del Codice ora richiamate (cfr. Corte cost., n. 141 del 2021, § 7.1.2. in diritto, ove si accoglie una analoga questione, relativa alla modificazione in peius della disciplina regionale posta a presidio di alcune tipologie di boschi, vincolati ai sensi dell’articolo 142, comma 1, lett. G), del Codice, evidenziando che “La norma impugnata non si è limitata a modificare una precedente legge regionale che aveva introdotto un vincolo in assenza di precisi e corrispondenti limiti derivanti dalla disciplina statale, ma, abbassando la quota altimetrica al di sotto della quale operano le norme di tutela delle faggete depresse, ha surrettiziamente aggirato il vincolo posto dalla norma interposta costituita dall’art. 142, comma 1, lettera g), del d.lgs. N. 42 del 2004”).
4) L’articolo 20 è dettato al fine specifico di disciplinare il “Titolo giuridico per la esecuzione di interventi finalizzati alla sicurezza idraulica dei corsi di acqua di competenza regionale”.
Il comma 1 stabilisce che “Le strutture della Giunta regionale, territorialmente competenti alla effettuazione degli interventi funzionali alla prevenzione e riduzione del rischio idraulico sui corsi d'acqua di competenza regionale, hanno titolo ad eseguire, direttamente o mediante i soggetti affidatari, ai sensi e per gli effetti di cui agli articoli 93, 96 e 97 del regio decreto 25 luglio 1904, n. 523 "Testo unico delle disposizioni di legge intorno alle opere idrauliche delle diverse categorie", gli interventi di ripristino di condizioni di sicurezza e officiosità idraulica che prevedono la rimozione di schianti, piante morte, piante a rischio caduta o la cui presenza riduca la sezione dell'alveo necessaria a garantire il libero deflusso delle acque”.
Al comma 2 si prevede poi che “Gli interventi di cui al comma 1 sono realizzati in conformità alla vigente normativa statale e regionale in materia di valutazione di incidenza ambientale su parere reso ai sensi dell'articolo 16 della legge regionale 7 novembre 2003, n. 27 "Disposizioni generali in materia di lavori pubblici di interesse regionale e per le costruzioni in zone classificate sismiche" nonché ai sensi dell'articolo 68 della legge regionale 30 dicembre 2016, n. 30 "Collegato alla legge di stabilità regionale 2017", previa acquisizione del parere della struttura regionale competente in materia forestale sul territorio, ove l'area di intervento sia configurabile come boscata ai sensi del Reg. reg. 7 febbraio 2020, n 2 "Prescrizioni di massima e di polizia forestale adottate ai sensi dell'articolo 5 della legge regionale 13 settembre 1978, n. 52 "Legge forestale regionale"" ed in conformità alle specifiche tecniche ed ambientali definite dal Prontuario Operativo per interventi di gestione forestale approvato dalla Giunta regionale con deliberazione n. 7 del 5 gennaio 2018 "Adozione del Prontuario Operativo per gli interventi di gestione forestale - Delib.G.R. n. 1456/2014 e Delib.G.R. n. 1400/2017", pubblicata sul BUR n. 9 del 23 gennaio 2018.”.
Il senso di questa seconda previsione, anche alla luce della rubrica dell’articolo 20, non può che essere quello di circoscrivere espressamente i titoli necessari per effettuare gli “interventi di ripristino di condizioni di sicurezza e officiosità idraulica che prevedono la rimozione di schianti, piante morte, piante a rischio caduta o la cui presenza riduca la sezione dell'alveo necessaria a garantire il libero deflusso delle acque” esclusivamente a quelli enumerati nel medesimo comma 2.
Deve, tuttavia, rilevarsi che gli interventi in questione vengono eseguiti sulle zone contermini ai laghi o sulle sponde dei corsi d’acqua, ossia in ambiti soggetti a vincolo paesaggistico ai sensi dell’articolo 142, comma 1, lett. B) e c), del Codice dei beni culturali e del paesaggio. Inoltre, la medesima previsione regionale fa riferimento all’ipotesi in cui le piante da rimuovere facciano parte di un’area boscata, come tale soggetta a vincolo paesaggistico ai sensi della lett. G) del medesimo comma 1 dell’articolo 142 del predetto Codice.
Tutti tali interventi sono, pertanto, soggetti – in linea di principio – al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, a meno che non siano riconducibili, in concreto, alle fattispecie previste dall’articolo 149 del predetto Codice, come specificate nell’allegato A al d.P.R. n. 31 del 2017, nonché dall’articolo 36 del decreto legge 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 luglio 2021, n. 108.
Conseguentemente, nel prevedere in modo generalizzato la sottrazione di tutti gli “interventi di ripristino di condizioni di sicurezza e officiosità idraulica che prevedono la rimozione di schianti, piante morte, piante a rischio caduta o la cui presenza riduca la sezione dell'alveo necessaria a garantire il libero deflusso delle acque”, a prescindere dalla possibilità di ricondurre tali interventi nel novero di quelli non assoggettati ad autorizzazione paesaggistica ai sensi della normativa nazionale, l’articolo 20, comma 2, della legge regionale viola: la potestà esclusiva dello Stato in materia di tutela del paesaggio, stabilita dall’articolo 117, secondo comma lett. S), della Costituzione; i livelli essenziali delle prestazioni che devono essere stabiliti in modo uniforme sull’intero territorio nazionale, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lett. M), della Costituzione; la potestà regolamentare dello Stato nelle materie di legislazione esclusiva, di cui all’articolo 117, sesto comma, della Costituzione. Rispetto a tali previsioni costituiscono norme interposte gli articoli 146 e 149 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, nonché il d.P.R. n. 31 del 2017, nonché l’articolo 36 del decreto legge 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 luglio 2021, n. 108.
Per i motivi descritti, la legge regionale, limitatamente alle disposizioni sopra evidenziate, deve essere impugnata ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione.
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