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La legge regionale in esame è illegittima per i seguenti motivi:
1) l’articolo 5, rubricato “Autoveicoli adibiti a scuola guida”, ricomprende nella classificazione prevista nell’allegato 1, tariffa C, del D.P.R. n. 39 del 1953 (Testo Unico delle leggi sulle tasse automobilistiche) «(…) gli autoveicoli adibiti a scuola guida, a condizione che sulla licenza di circolazione siano state apposte le annotazioni previste nello stesso decreto».
Il legislatore regionale, con la su citata disposizione normativa, estende a tutti gli “autoveicoli” adibiti a scuola guida il regime agevolativo previsto dall’allegato 1, tariffa C, del D.P.R. n. 39 del 1953, consistente nella riduzione del 40% del tributo dovuto. Questo tipo di agevolazione è previsto dalla normativa statale su richiamata esclusivamente a favore delle “autovetture” e non già degli “autoveicoli” (categoria, quest’ultima, più ampia perché comprensiva anche degli autocarri).
Inoltre, sulla base di quanto più volte affermato dalla Corte Costituzionale nelle sue pronunce, <<(…) allo stato della vigente legislazione, la disciplina delle tasse automobilistiche rientra nella competenza esclusiva dello Stato in materia di tributi erariali, ai sensi dell’art. 117, co. 2, lett. e), della Costituzione, per cui ogni tipo di previsione legislativa regionale che non sia consentita dalla legge statale deve essere considerata illegittima>>(da ultimo, v. sent. n. 455 del 2005).
Sulla base di tale principio, la disposizione contenuta nell’art. 5, discostandosi da quanto statuito dall'allegato 1, tariffa C, del D.P.R. n. 39 del 1953, risulta illegittima per violazione dell’art. 117, co. 2, lett. e), della Costituzione, in materia di sistema tributario e contabile dello Stato.
2) l’articolo 6, comma 1, nell’integrare la legge regionale n. 31/96, concernente la disciplina del tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi, dispone che nel caso in cui venga esercitata l’azione penale, il termine quinquennale per l’accertamento delle violazioni decorre dal passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio penale.
Il differimento del termine di decorrenza (e conseguentemente del termine di decadenza) dell’azione di accertamento tributario, disposta dal legislatore regionale, sino al passaggio in giudicato dell’eventuale sentenza penale, appare del tutto irragionevole.
Il principio generale di separazione fra procedimento amministrativo tributario di accertamento e procedimento penale è desumibile dall’art. 20 del d.lgs. n. 74 del 2000 che dice, per l'appunto, che «Il procedimento amministrativo di accertamento ed il processo tributario non possono essere sospesi per la pendenza del procedimento penale avente ad oggetto i medesimi fatti o fatti dal cui accertamento comunque dipende la relativa definizione»; ancorché questa disposizione sia formalmente riferita soltanto alle imposte sui redditi e sul valore aggiunto, secondo un criterio di ragionevolezza, non può, infatti, valere per i tributi minori un legame di pregiudizialità che il legislatore statale ha inteso espressamente escludere per le imposte basilari del sistema tributario; un principio generale di separazione fra accertamenti tributari e accertamenti giudiziari penali emerge, inoltre, dall’art. 654 del codice di procedura penale, così come interpretato dalla giurisprudenza di legittimità proprio con riferimento alla materia tributaria (cfr. ad esempio, fra le più recenti, Cassazione civile, sez. V, n. 10945 del 24 maggio 2005; Idem, n. 9109 del 21 giugno 2002);
La disposizione in esame contrasta inoltre con il divieto di proroga dei termini di prescrizione e di decadenza, di cui al terzo comma dell’art. 3 della legge n. 212 del 2000, ove interpretato in un’ottica sostanzialistica (divieto che è a sua volta espressione del principio, di rango costituzionale, della tutela del legittimo affidamento del cittadino nella certezza dei rapporti giuridici); va sottolineato, al riguardo, che, ai sensi dell’art. 1 della medesima legge n. 212/2000, le disposizioni dello statuto del contribuente «costituiscono principi generali dell’ordinamento tributario» e le regioni «regolano» le materie disciplinate da tale legge «in attuazione delle disposizioni in essa contenute».
Sulla base delle considerazioni su esposte, la disposizione contenuta nell’art. 6, co. 1, discostandosi da quanto statuito dall'art. 20 del D.lgs. n. 74 del 2000, nonché dall'articolo 3 della l. n. 212/2000, risulta illegittima per violazione dell'articolo 3 della Costituzione, per l'irragionevolezza; dell’art. 117, co. 2, lett. e), in materia di sistema tributario dello Stato, nonché della lett. l), dello stesso articolo della Costituzione, in materia di ordinamento penale e giustizia amministrativa.
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