Dettaglio Legge Regionale

Modifiche alla legge regionale 31 maggio 1980, n. 56 (Tutela ed uso del territorio), disposizioni in materia urbanistica, modifica alla legge regionale 27 luglio 2001, n. 20 (Norme generali di governo e uso del territorio), modifica alla legge regionale 6 agosto 2021, n. 25 (Modifiche alla legge regionale 11 febbraio 1999, n. 11 “Disciplina delle strutture ricettive ex artt. 5, 6 e 10 della legge 17 maggio 1983, n. 217 delle attività turistiche ad uso pubblico gestite in regime di concessione e delle associazioni senza scopo di lucro” e disposizioni varie) e disposizioni in materia derivazione acque sotterranee. (30-11-2021)
Puglia
Legge n.39 del 30-11-2021
n.150 del 3-12-2021
Politiche infrastrutturali
31-1-2022 / Impugnata
La legge della Regione Puglia n.39 del 30 novembre 2021, che apporta modifiche alla legge regionale 31 maggio 1980, n. 56 (Tutela ed uso del territorio), disposizioni in materia urbanistica, modifica alla legge regionale 27 luglio 2001, n. 20 (Norme generali di governo e uso del territorio), modifica alla legge regionale 6 agosto 2021, n. 25 (Modifiche alla legge regionale 11 febbraio 1999, n. 11 “Disciplina delle strutture ricettive ex artt. 5, 6 e 10 della legge 17 maggio 1983, n. 217 delle attività turistiche ad uso pubblico gestite in regime di concessione e delle associazioni senza scopo di lucro” e disposizioni varie) e disposizioni in materia derivazione acque sotterranee, presenta profili di illegittimità costituzionale in quanto alcune disposizioni violano con gli articoli 3, 9, 97 e 117, primo comma e secondo comma, lettera s), della Costituzione, nonché il principio di leale collaborazione che in materia di paesaggio si attua con la co-pianificazione Stato-Regione; incidono, infine, sulla definizione generale di “ristrutturazione edilizia”, ovvero sul principio fondamentale della legislazione in materia di governo del territorio, violando l’articolo 117, comma 3, della Costituzione.
Risultano censurabili, in particolare, le seguenti disposizioni della legge regionale in argomento:
1. l’articolo 2 modifica l'art.51 della legge regionale n. 56 del 1980, concernente “Limitazione delle previsioni insediative fino all'entrata in vigore dei Piani territoriali”, introducendo, nel primo comma, le nuove lettere g-bis), g-ter) e g-quater). Le nuove lettere introdotte recano: "g-bis.) Nel rispetto delle norme di tutela paesaggistica del Piano paesaggistico territoriale regionale (PPTR) e al fine di soddisfare le esigenze produttive delle aziende agricole, è ammessa la realizzazione, in zona agricola, di nuovi fabbricati qualora gli stessi siano necessari alla conduzione del fondo e all’esercizio dell’attività agricola, ivi comprese le attività connesse a quella agricola.
g-ter) L'esigenza della costituzione di nuovi fabbricati è consentita solo nel caso in cui quelli esistenti non abbiano alternative rispetto al riuso e/o alla trasformazione e va dimostrata attraverso la presentazione di un piano di sviluppo aziendale e/o di riconversione e/o di ammodernamento dell'attività agricola, asseverato da tecnico abilitato nel rispetto della normativa di settore.
g-quater. I nuovi fabbricati vanno realizzati all’interno o in adiacenza ai centri aziendali, onde evitare la realizzazione di insediamenti isolati, fatta salva 1’osservanza di norme di carattere paesaggistico ed ambientale nonché di carattere igienico-sanitario previste per specifici insediamenti zootecnici.“
Le novelle introdotte sono rivolte a consentire, benché a determinate condizioni, la realizzazione, in zona agricola, di nuovi fabbricati, qualora gli stessi siano necessari alla conduzione del fondo e all'esercizio dell'attività agricola. Sebbene l'incipit della novella rechi “Nel rispetto delle norme di tutela paesaggistica del Piano paesaggistico territoriale regionale (PPTR1”, occorre rilevare che in realtà la previsione si inserisce in una disposizione (l'art. 5 l della legge regionale n. 56 del 1980) la cui efficacia è espressamente limitata “sino all’entrata in vigore dei Piani territoriali”. Considerato che nel 2000 in Puglia è stato approvato il Piano urbanistico territoriale tematico per il paesaggio (PUTT/P), poi sostituito nel 2015 da1 piano paesaggistico regionale (PPTR) pugliese, approvato d'intesa con lo Stato, l'efficacia dell'art. 51 citato appare ormai definitivamente esaurita. Con l'art. 51 della legge del 1980, infatti, la Regione Puglia, così come molte Regioni d’Italia, nell'intento condivisibile di salvaguardate il territorio regionale da trasformazioni incontrollate, aveva stabilito alcune limitazioni all'edificazione nelle more della redazione dei piani territoriali, aventi il compito di predisporre la disciplina di pianificazione del territorio.
Con le novelle de quibus, invece, la Regione Puglia, contravvenendo allo spirito della disposizione originaria, e nonostante l'avvenuta approvazione del piano paesaggistico regionale d'intesa con lo Stato, piano al quale è riservata la pianificazione dell'intero territorio regionale, e il conseguente obbligo a valutare congiuntamente eventuali modificazioni al piano stesso, interviene ora autonomamente a disciplinare le trasformazioni del territorio agricolo consentendo nuove edificazioni e stabilendone presupposti e condizioni, sottraendo così la relativa disciplina alla fonte designata dal legislatore e costituita dal piano paesaggistico.
Appare evidente che la Regione Puglia utilizza l'art. 51 della legge del 1980 come veicolo per inserire nell'ordinamento una nuova disciplina pianificatoria delle aree agricole, che si sovrappone in modo non coerente con quella contenuta nelle NTA de1 PPTR e condivisa con lo Stato, a1 fine di consentire la trasformazione di dette aree in deroga alla disciplina di Piano. Ai sensi dell'art. 83, comma 6, delle NTA, a seguito dell'approvazione del PPTR pugliese infatti in tutte le zone territoriali omogenee a destinazione rurale si applicano le specifiche misure di salvaguardia ed utilizzazione dettate dal medesimo art. 83 per i paesaggi rurali’.
Pertanto, le novelle appaiono illegittime per violazione degli articoli 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, da considerare norme interposte rispetto all'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost, nonché del principio di leale collaborazione, in considerazione dell'impegno assunto dalla Regione Puglia con lo Stato a co-pianificare l'intero territorio regionale. Peraltro, le novelle inserendosi in una norma che ha già esaurito i suoi effetti, sono anche irragionevoli, e perciò in contrasto con gli articoli 3 e 97 della Costituzione
2. L’ articolo 3 (Interventi in aree individuate dal PPTR) prevede: “1. Ai sensi dell'articolo 3, comma 1, lettera d) , del decreto del Presidente della Repubblica del 6 giugno 2001, n. 380 (Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamenti in materia edilizi) , così come interpretato con circolare del 2 dicembre 2020 dei Ministeri delle Infrastrutture, Trasporti e Pubblica Amministrazione e con parere del Consiglio superiore dei Lavori pubblici dell’8 luglio 2021, sono consentiti, previa deliberazione del Consiglio comunale, gli interventi previsti dagli articoli 3 e 4 della legge regionale 30 luglio 2009, n. 14 (Misure straordinarie e urgenti a sostegno dell’attività edilizia e per il miglioramento della qualità del patrimonio edilizio residenziale) in aree individuate dal Piano paesaggistico territoriale regionale (PPTR), approvato con Delib.G.R. 16 febbraio 2015, n. 176 ed elaborato attraverso co-pianifìcazione Stato- Regione unilateralmente inderogabile, alle condizioni che l'intervento sia conforme alle prescrizioni, indirizzi, misure di salvaguardia e direttive dello stesso PPTR e che siano acquisiti nulla osta, comunque denominati, delle amministrazioni competenti alla tutela paesaggistica”.
A tale riguardo, è opportuno ricostruire il quadro normativo di riferimento in considerazione del fatto che la definizione di “ristrutturazione edilizia” è stata soggetta nel tempo ad interventi modificativi ed integrativi. La norma richiama l’art. 3, comma 1, lettera d), del TUE, così “come interpretato con circolare del 2 dicembre 2020 dei Ministeri delle Infrastrutture, Trasporti e Pubblica Amministrazione e con parere del Consiglio superiore dei Lavori pubblici dell’8 luglio 2021”, al solo fine di ampliare la categoria delle demo-ricostruzioni in aree paesaggisticamente vincolate riconducibili alla categoria delle “ristrutturazioni edilizie” (ricomprendendovi anche quegli interventi implicanti la modifica della sagoma, dei prospetti, del sedime e delle caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente e anche ove siano previsti incrementi di volumetria) e rendere così assentibili gli interventi edilizi “straordinari” previsti dal c.d. piano casa pugliese del 2009 previa la delibera del Consiglio comunale. Occorre premettere che la citata lettera d), come novellata dal decreto-legge n. 76 del 2020, contiene la definizione degli interventi di “ristrutturazione edilizia”, quali “gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi altresì gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica, per l’applicazione della normativa sull’accessibilità, per l’istallazione di impianti tecnologici e per l’efficientamento energetico. L’intervento può prevedere altresì, nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana. Costituiscono inoltre ristrutturazione edilizia gli interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza”. La disposizione contiene poi una specifica clausola di salvaguardia per gli immobili tutelati, prevedendo che “Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a tutela ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, nonché, fatte salve le previsioni legislative e degli strumenti urbanistici, a quelli ubicati nelle zone omogenee A di cui al decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, o in zone a queste assimilabili in base alla normativa regionale e ai piani urbanistici comunali, nei centri e nuclei storici consolidati e negli ulteriori ambiti di particolare pregio storico e architettonico, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove siano mantenuti sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente e non siano previsti incrementi di volumetria”. La novella del 2020 da un lato, in chiave semplificatoria, ha esteso la tipologia degli interventi di demolizione e/o ricostruzione riconducibili alla categoria “ristrutturazione edilizia”, ricomprendendone anche alcuni che in precedenza erano classificati come “nuova costruzione” ai sensi della successiva lettera e); dall’altro, ha individuato un nuovo punto di equilibrio con riferimento ai requisiti per qualificare tali interventi come “ristrutturazione edilizia”, ove da realizzare in presenza di vincoli ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 ovvero in ambiti di pregio storico e architettonico individuati negli strumenti urbanistici, così ampliando la portata della relativa “clausola di salvaguardia”. Secondo la circolare interpretativa emanata in data 2 dicembre 2020 dal Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione, tra le innovazioni più significative apportate dal decreto-legge n. 76 del 2020 alla definizione degli interventi di ristrutturazione edilizia vi sono : (i) un maggior rigore della previsione relativa agli immobili sottoposti a vincoli ai sensi del d.lgs. n. 42 del 2004: mentre in precedenza la demolizione e ricostruzione di detti immobili poteva qualificarsi come ristrutturazione edilizia purché fosse rispettata la sagoma originaria, oggi si richiede il mantenimento di “sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche” e si precisa che non devono essere previsti incrementi di volumetria; (ii) l’equiparazione agli edifici vincolati ai sensi del d.lgs. n. 42 del 2004 di quelli ubicati nelle zone omogenee A e in quelle ad esse assimilabili in base ai piani urbanistici comunali, nonché “nei centri e nuclei storici consolidati e negli ulteriori ambiti di particolare pregio storico e architettonico”. La nuova formulazione della lettera d), come novellata dal decreto-legge n. 76 del 2020, e in particolare la locuzione “immobili sottoposti a tutela ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio” contenuta nella clausola di salvaguardia è stato oggetto di uno specifico quesito interpretativo rivolto al Ministero della cultura da parte del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, anche a seguito di più pareri, peraltro non del tutto allineati tra loro, espressi da diversi organi del Consiglio superiore dei lavori pubblici (tra cui quello citato nella normativa regionale), il quale si appellava comunque al parere del Ministero della cultura. La questione faceva seguito, peraltro, anche a una nota pubblicata dalla Regione Liguria (nota prot. 92712 del 13 marzo 2021), con la quale la Regione ha espresso un orientamento interpretativo non condivisibile, in quanto, in contrasto con la lettera e la ratio della previsione normativa recante la “clausola di salvaguardia” sopra riportata. In detta nota la Regione Liguria ha preso a pretesto il riferimento contenuto nella richiamata circolare ministeriale agli immobili “sottoposti a vincoli”, per indicare gli immobili che la previsione normativa indica come “sottoposti a tutela”, ricavandone la (erronea) conclusione che la circolare abbia voluto chiarire che disposizione legislativa recante la “clausola di salvaguardia” avrebbe inteso riferirsi ai soli immobili gravati da “specifico” vincolo e quindi sottoposti a “specifica” tutela. Conseguentemente, al di fuori di tale fattispecie – peraltro ignota alla sistematica del Codice dei beni culturali e del paesaggio – gli interventi di demolizione e ricostruzione sarebbero qualificabili come mera ristrutturazione edilizia (e non come nuova costruzione) anche laddove non siano rispettati “sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche” dell’edificio preesistente. Non mancano peraltro Regioni, come l’Emilia-Romagna, che hanno sin da subito colto correttamente la portata della novella. Il Consiglio superiore dei lavori pubblici, con nota prot. 7119 del 15 luglio 2021 a firma del Presidente, ha ritenuto invece non condivisibile l’interpretazione fornita dalla Regione Liguria, sia in quanto contradditoria, essendo “immobili” anche i beni indicati alle lettere c) e d) dell’art. 136 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, sia perché in contrasto con le finalità di tutela dei beni paesaggistici. Nel predetto parere si evidenzia, inoltre, che anche l’interpretazione letterale non supporta l’orientamento restrittivo proposto dalla Regione Liguria, posto che il legislatore, con la locuzione utilizzata, non distingue fattispecie differenti di immobili “sottoposti a tutela”. In un precedente parere del Servizio tecnico centrale del medesimo Consiglio (nota prot. 6865 dell’8 luglio 2021), invece, ossia quello citato dalla normativa della Regione Puglia, rispondendo a un quesito sulla circolare interpretativa del 2 dicembre 2020, con riguardo agli edifici vincolati, si affermava un diverso orientamento, ritenendo “che per immobili il cui vincolo risiede nell’essere inseriti in aree sottoposte a vincolo paesaggistico (Parte III del Codice) – sebbene privi di riconosciuto valore storico, artistico, o architettonico intrinseco – sia consentito intervenire anche attraverso demolizione e ricostruzione classificabili nella “ristrutturazione edilizia”, che nella definizione del D.P.R. 380/2001 comprende anche modifiche alla sagoma, al sedime, ai prospetti ed al volume preesistente. Tali interventi sono, tuttavia, sempre da inquadrare all’interno di specifiche previsioni regolamentari proprie degli strumenti urbanistici comunali e da sottoporre, comunque, al rilascio di nulla osta della Amministrazioni competenti per la tutela del vincolo”. Con nota prot. 26340 del 21 settembre 2021, riscontrando una richiesta del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, l’Ufficio Legislativo del Ministero della cultura ha ribadito che salve “le previsioni legislative e degli strumenti urbanistici”. Il chiaro disposto normativo non consente infatti un’interpretazione volta a delimitare, nel senso prospettato, la portata della clausola di cui all’articolo 3, comma 1, lett. d), ultimo periodo del d.P.R. n. 380 del 2001. Occorre tenere presente che il legislatore – tanto nella previgente formulazione, quanto in quella introdotta dal decreto legge n. 76 del 2020 – ha consapevolmente riferito la clausola in esame agli “immobili”; termine che include sia gli ambiti sottoposti a vincolo in quanto tali, che gli edifici ricompresi nei medesimi ambiti. Non vi è dubbio, infatti, che in entrambi i casi si sia in presenza di “immobili”, ai sensi del codice civile.
È pertanto del tutto irrilevante che il regime di tutela sia stato specificamente imposto con un provvedimento amministrativo o per legge e che il medesimo regime trovi applicazione esclusivamente in relazione a edifici aventi caratteri intrinseci di pregio architettonico oppure a edifici, ricadenti in ambiti tutelati, che potrebbero apparire privi di pregio. La scelta operata dal legislatore è coerente con la nozione stessa di tutela del paesaggio, la quale si riferisce alla “forma” del territorio, nei suoi profili di pregio estetico e testimoniale, atteso che – secondo quanto affermato dalla Corte costituzionale – “il concetto di paesaggio indica, innanzitutto, la morfologia del territorio, riguarda cioè l’ambiente nel suo aspetto visivo” (Corte. cost. n. 367 del 2007).
Conseguentemente, la tutela paesaggistica intende preservare la conformazione dello stato dei luoghi, salvaguardando il territorio da qualsiasi trasformazione che sia esteticamente percepibile, e include, pertanto, anche gli interventi realizzati su edifici compresi in ambiti vincolati nel loro complesso.”. La Regione Puglia, invece, con la norma in esame, richiama la soluzione interpretativa di cui al parere del (Servizio tecnico centrale) del Consiglio superiore dell’8 luglio 2021, peraltro superata dallo stesso Consiglio superiore dei Lavori pubblici in pareri di poco successivi, al solo fine di ampliare le demo-ricostruzioni in aree paesaggisticamente vincolate riconducibili alla categorie delle “ristrutturazioni edilizie”, facendo propria un’interpretazione della novella del 2020, apportata alla predetta lettera d) dell’articolo 3 del TUE, non coerente con gli ordinari canoni ermeneutici e la giurisprudenza consolidata e soprattutto non conforme alla norma statale, da considerare al contempo norma di principio in materia di governo del territorio e norma di tutela del paesaggio, in violazione degli articoli 117, secondo comma, lettera s), e terzo comma della Costituzione.
La Corte Costituzionale peraltro ha sempre ribadito che la definizione delle diverse categorie di interventi edilizi spetta allo Stato ed è in conformità a queste che è disciplinato il regime dei titoli abilitativi, con riguardo al procedimento e agli oneri, nonché agli abusi e alle relative sanzioni, anche penali, escludendo che le Regioni possano adottare definizioni diverse (cfr. Corte cost. n. 309 del 2011, punto 2.1. considerato in diritto: “Questa Corte ha già ricondotto nell’ambito della normativa di principio in materia di governo del territorio le disposizioni legislative riguardanti i titoli abilitativi per gli interventi edilizi (sentenza n. 303 del 2003, punto 11.2 del Considerato in diritto): a fortiori sono principi fondamentali della materia le disposizioni che definiscono le categorie di interventi, perché è in conformità a queste ultime che è disciplinato il regime dei titoli abilitativi, con riguardo al procedimento e agli oneri, nonché agli abusi e alle relative sanzioni, anche penali. L’intero corpus normativo statale in ambito edilizio è costruito sulla definizione degli interventi, con particolare riferimento alla distinzione tra le ipotesi di ristrutturazione urbanistica, di nuova costruzione e di ristrutturazione edilizia cosiddetta pesante, da un lato, e le ipotesi di ristrutturazione edilizia cosiddetta leggera e degli altri interventi (restauro e risanamento conservativo, manutenzione straordinaria e manutenzione ordinaria), dall’altro. La definizione delle diverse categorie di interventi edilizi spetta, dunque, allo Stato”).
Con la norma in argomento invece, la Regione Puglia, amplia la categoria degli interventi di ristrutturazione edilizia, in quanto lo scopo della norma è attrarre gli interventi di demo-ricostruzione in aree vincolate con modifica di sagoma, sedime, prospetti e aumenti di volumi – diversamente da quanto stabilito dal legislatore statale – nelle ristrutturazioni edilizie, così da non incorrere nel divieto di nuove costruzioni previsto dalle NTA del PTPR in dette aree (cfr. articoli 63, 64, 65 e 66 NTA). Abbassando il livello di tutela, la norma si pone altresì in contrasto con l’art. 9 Cost, ai sensi del quale il paesaggio costituisce un valore “primario e assoluto” (sent. Corte cost. n. 367 del 2007). La norma, riferendosi a un orientamento del Servizio tecnico del Consiglio superiore dei lavori pubblici, smentito con nota di poco successiva dallo stesso Consiglio superiore, appare inoltre irragionevole e illogica e perciò contraria agli articoli 3 e 97 Cost.
Sotto altro profilo, la norma intende consentire gli interventi straordinari previsti dal piano casa pugliese (accogliendo un’interpretazione restrittiva della clausola di salvaguardia di cui all’art. 3, comma 1, lettera d), del TUE) , subordinandoli alla sola deliberazione del Consiglio comunale, in aree individuate dal Piano paesaggistico territoriale regionale (PPTR), pur ponendo come condizione che “l’intervento sia conforme alle prescrizioni, indirizzi, misure di salvaguardia e direttive dello stesso PPTR e che siano acquisiti nulla osta, comunque denominati, delle amministrazioni competenti alla tutela paesaggistica”.
Occorre premettere che la normativa regionale del piano casa pugliese è stata recentemente ampliata nella sua portata dalla Regione Puglia, prorogando di un ulteriore anno il termine per la presentazione delle istanze ed estendendone l’applicazione agli edifici realizzati fino ad agosto 2021 (cfr. legge regionale n. 38 del 2021, art. 1). La normativa regionale sul piano casa conteneva già una disposizione affetta da criticità di ordine costituzionale, in quanto consentiva ai comuni di derogare al piano paesaggistico, rimettendo agli stessi “L’individuazione di ambiti territoriali nonché di immobili ricadenti in aree sottoposte a vincolo paesaggistico ai sensi del Piano paesaggistico territoriale regionale (PPTR), approvato con Delib.G.R. n. 176/2015, nei quali consentire, secondo gli indirizzi e le direttive del PPTR, gli interventi di cui agli articoli 3 e 4 della presente legge, purché gli stessi siano realizzati, oltre che alle condizioni previste dalla presente legge, utilizzando per le finiture, materiali e tipi architettonici legati alle caratteristiche storico-culturali e paesaggistiche dei luoghi” (cfr. art. 6, comma 2, lettera c-bis) della legge regionale n. 14 del 2009). Tale disposizione è stata abrogata dalla Regione Puglia con la legge regionale n. 21 del 2003 a seguito di uno specifico impegno assunto nei confronti del Governo dal Presidente del Consiglio regionale della Puglia con nota prot. 3725 del 25 febbraio 2021 in sede di interlocuzione sulla legge regionale n. 35 del 2020. Con sentenza n. 3820 del 2021 il Consiglio di Stato ha tuttavia promosso giudizio incidentale innanzi alla Corte costituzionale, sospettando di incostituzionalità la disposizione regionale di cui alla richiamata lettera c-bis), in quanto la stessa consente ai comuni di incidere sui presupposti per il rilascio della autorizzazione paesaggistica, in deroga alle previsioni di tutela stabilite dal Codice e dal piano paesaggistico, e ciò nonostante l’intervenuta abrogazione della norma, la quale trova applicazione per le fattispecie sorte mentre era in vigore. In tale occasione il Collegio ha richiamato i principi in materia, affermando che “a) secondo la consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale, la tutela del paesaggio costituisce competenza riservata alla potestà legislativa esclusiva statale e limite inderogabile alla disciplina che le Regioni possono dettare nelle materie di loro competenza; b) il Codice definisce - con efficacia vincolante per tutti gli enti territoriali (sia le Regioni, sia gli Enti locali minori) e anche per gli enti pubblici operanti secondo specifiche normative di settore - i rapporti tra le prescrizioni del piano paesaggistico e le prescrizioni di carattere urbanistico ed edilizio, secondo un modello di prevalenza delle prime, non alterabile nemmeno ad opera della legislazione regionale; c) la summenzionata previsione della legge regionale n. 14 del 2009, nella parte in cui prevedeva - prima della sua espressa abrogazione e ratione temporis ancora applicabile all’istanza edilizia all’esame - la derogabilità delle prescrizioni dei piani paesaggistici e in particolare di quelle contenute nel P.P.T.R. della Puglia, appare porsi in contrasto con l’art. 145, comma 3, del Codice, quale norma interposta in riferimento all’art. 117, comma 2, lett. s), Cost., suscitando il relativo dubbio di legittimità costituzionale”.
La Regione Puglia, nonostante l’impegno assunto con il Governo sopra richiamato, e nelle more della decisione della Corte sulla questione sollevata dal Consiglio di Stato, introduce ora un’analoga disposizione altrettanto sospetta di incostituzionalità, al fine di consentire ai Comuni di assentire gli interventi previsti dal piano casa anche nelle aree sottoposte a tutela paesaggistica, in deroga alle previsioni del piano paesaggistico. Non vale a negare tale profilo di incostituzionalità la clausola (del tutto pleonastica) di conformità dell’intervento alle prescrizioni, indirizzi, misure di salvaguardia e direttive dello stesso PPTR e della necessaria previa acquisizione dei nulla osta, comunque denominati, delle amministrazioni competenti alla tutela paesaggistica. Occorre infatti sottolineare che gli interventi di cui al piano casa pugliese non sono conformi a molte delle prescrizioni d’uso nonché alle misure di salvaguardia e utilizzazione previste dalla NTA del PTPR. Si richiamano, ad esempio: l’art. 45 (Prescrizioni per i “Territori costieri” e i “Territori contermini ai laghi”), che vieta nei territori costieri e contermini ai laghi la realizzazione di qualsiasi nuova opera edilizia, fatta eccezione per le opere finalizzate al recupero/ripristino dei valori paesistico/ambientali; gli articoli 62 (Prescrizioni per i boschi), 63 (Misure di salvaguardia e di utilizzazione per l’Area di rispetto dei boschi), 64 (Prescrizioni per le “Zone umide Ramsar”), 65 (Misure di salvaguardia e di utilizzazione per le “Aree umide”) e 66 (Misure di salvaguardia e di utilizzazione per “Prati e pascoli naturali” e “Formazioni arbustive), che escludono in tali aree le nuove edificazioni. Ciò significa che la norma regionale punta in realtà a superare, in concreto, le previsioni di piano, astrattamente dichiarate non superabili, al fine di consentire ai comuni di realizzare i predetti interventi anche se in deroga alle NTA di piano. Tale intento è reso palese proprio dal richiamo al parere del Servizio tecnico centrale del Consiglio superiore dei Lavori pubblici dell’8 luglio 2021: come detto, infatti, il richiamo è volto a qualificare gli interventi di demo-ricostruzione con modifica di sagoma, prospetti, ecc., eseguiti su immobili sottoposti a tutela, quali meri interventi di ristrutturazione edilizia, invece che di nuova costruzione, come previsto dalla disciplina statale. Ne deriva che, per questa via, la Regione mira a consentire l’effettuazione di tali interventi in tutte le aree nelle quali le NTA del PTPR non consentono le nuove costruzioni. Le nuove costruzioni possono riguardare anche aree agricole ricadenti in contesti paesaggisticamente vincolati ai sensi dell’art. 136 del Codice, per i quali il PPTR prevede, all’art. 78, comma 4, delle NTA, l’obbligo per gli enti locali di disciplinare “gli interventi edilizi ed il consumo di suolo anche attraverso l’individuazione di lotti minimi di intervento e limiti volumetrici differenziati a seconda delle tessiture e delle morfologie agrarie storiche prevalenti”; le norme regionali possono perciò costituire una seria minaccia per la tutela dei territori agricoli.
La norma in esame è pertanto illegittima per violazione degli articoli 135, 143, 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, da considerare norme interposte rispetto all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., oltre che per il principio di leale collaborazione, introducendo una disposizione abrogata su impegno assunto dalla Regione. Il contrasto con la norma interposta di cui all’articolo 3, comma 1, lettera d) del Testo Unico dell’Edilizia TUE, che è principio fondamentale in materia di governo del territorio, concreta la violazione dell’articolo 117, terzo comma, della Costituzione La disposizione regionale , inoltre, abbassando i livelli di tutela, è contraria all’art. 9 Costituzione e , infine, consentendo interventi in deroga al PTPR, ma richiamandone il rispetto, risulta illogica e irrazionale e perciò contraria agli articoli 3 e 97 Cost.
3. l’articolo 4 (Ampliamento delle attività produttive) prevede: “1. L'ampliamento delle attività produttive di cui all'articolo 8 del decreto del Presidente della Repubblica del 7 settembre 2010, n. 160 (Regolamento per la semplificazione e il riordino della disciplina sullo sportello unico per la attività produttive, ai sensi dell'articolo 38, comma 3, del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008 j e alla Delib.G.R. 11 dicembre 2018, n. 2332, non è soggetto a limitazioni di superficie coperta e di volume. 2. Gli ampliamenti fìno al 20 per cento delle attività produttive di cui al comma 1, non costituiscono variante urbanistica e sono rilasciati secondo le disposizioni di cui all’articolo 3, lettera e) e all’articolo 20, del D.P.R. 380/2001 ”. La disposizione, al comma 1, consente l'ampliamento delle attività produttive senza limitazioni di superficie coperta e di volume, nei casi in cui “lo strumento urbanistico non individua aree destinate all'insediamento di impianti produttivi o individua aree insufficienti” (cfr. art. 8 d.P.R. n. 160 del 2010). Il modulo procedimentale di riferimento è quello della conferenza di servizi. Nel caso in cui la conferenza di servizi comporti la variazione dello strumento urbanistico e la Regione si sia espressa favorevolmente in quella sede, il verbale viene trasmesso al Sindaco o al Presidente del Consiglio comunale per l'approvazione. Il comma 2 stabilisce che gli ampliamenti fino al 20 per cento delle attività produttive di cui a1 comma 1 non costituiscono variante urbanistica. Con tale disposizione la Regione Puglia, sostanzialmente, consente l'ampliamento delle attività produttive, nei casi individuati, senza alcun limite di superficie o volume, precisando che nel caso di ampliamento fino al 20 per cento non è necessaria la procedura di variante. Il comma 1 contrasta con quanto previsto a livello nazionale dal DM n. 1444 del 1968, che definisce non solo i rapporti massimi tra gli spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e gli spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi (art. 3 e 5) fissando le quantità minime di queste ultime, ma anche i limiti inderogabili di densità edilizia (art. 7), di altezza degli edifici (art. 8) e di distanza tra i fabbricati (art. 9) che vanno rispettati per le diverse zone territoriali omogenee.
Pertanto, la disposizione si pone, in contrasto con i principi fondamentali stabiliti a livello statale in materia di governo del territorio, con conseguente violazione dell'articolo 117, terzo comma, Cost. D'altro canto, l'introduzione di procedure semplificate per l'approvazione delle varianti, o addirittura la qualificazione di determinate modifiche come non-varianti, comporta la sottrazione delle stesse anche alla procedura prevista dall'art. 97 delle NTA del PPTR2, che disciplina la partecipazione del Ministero della cultura alla procedura di adeguamento degli strumenti urbanistici e alle loro varianti alla pianificazione paesaggistica. Pertanto, viene violato, il principio espresso dall'art. 145, comma 5, del Codice dei beni culturali e del paesaggio. La disposizione viola quindi l'art. 117, secondo comma, lettera s) della Costituzione ;
4. l'articolo 5 integra l'art. 12 della legge regionale n. 20 del 2001, aggiungendo al comma 3 un'ulteriore lettera e.ter) del seguente tenore: “e ter.) incremento dell’indice di fabbricabilità fondiaria fìno a 0,1 mc/mq, per gli interventi di cui all’articolo 51 della L.R. n. 56/1980”. Per effetto della novella, viene aggiunta una nuova ipotesi, tra quelle già previste dal comma 3, in relazione alle quali “La deliberazione motivata del Consiglio comunale che apporta variazioni agli strumenti urbanistici generali vigenti non è soggetta ad approvazione regionale di cui alla legge regionale 31 maggio 1980, n. 56 (Tutela ed uso del territorio), o a verifica di compatibilità regionale e provinciale di cui alla presente legge”. La novella fa riferimento agli interventi di cui all'art. 51 della legge regionale n. 56 del 1980, oggetto di integrazione ad opera dell'art. 2, le cui criticità sono già state esposte. Peraltro, non è chiaro, a quali tra gli interventi previsti dall'art. 51 gli incrementi dell'indice di fabbricabilità fondiaria si riferiscano, posto che l'art. 51 elenca insediamenti industriali, artigianali, commerciali e direzionali, per i quali è già possibile supporre che sia previsto un indice di fabbricabilità fondiaria superiore a 0,1 mc/mq. L’intento del legislatore regionale, sembra quindi probabile sia quello riferire l'incremento dell'indice di fabbricabilità fondiaria alle zone omogenee di tipo E, ossia alle aree agricole, di cui alle nuove lettere g-bis), g-ter) e g-quater) introdotte dall'art. 2. L'incremento, per la genericità della formulazione, potrebbe però essere riferibile anche ad altre ipotesi, come per esempio la lettera i , riferita alle aree boschive, inserite negli strumenti urbanistici vigenti alla data di entrata in vigore della legge regionale n. 56 del 1980, per le quali l'edificazione è consentita nella sola radura nel rispetto delle previsioni dello stesso strumento urbanistico, previo parere dell' Ispettorato ripartimentale delle foreste anche ai fini dell’ammissibi1ità degli indici e dei parametri edilizi utilizzati. Occorre anche precisare che l'art. 51, primo comma, contiene anche norme di salvaguardia per la tutela di alcuni beni paesaggistici (sempre nelle more dell'entrata in vigore dei Piani territoriali) come per esempio la lettera , ai sensi della quale è fatto divieto di edificazione entro la fascia di 300 metri da1 confine del demanio marittimo, e la lettera h), ai sensi della quale è vietata qualsiasi edificazione all'interno della fascia di 200 metri dalla battigia delle coste, dei laghi, dei fiumi, delle gravine. Come detto, il PUU/P del 2000 prima e il PPTR del 2015 poi hanno disciplinato con specifiche prescrizioni d'uso i beni paesaggistici citati, consentendo alcuni e limitati interventi edilizi a determinate condizioni, superando le disposizioni di salvaguardia transitorie di cui all'art. 51. Con le novelle di cui agli articoli 2 e 5 la Regione cerca invece, attraverso le modifiche alla normativa di salvaguardia transitoria di cui all'art. 51 della legge regionale del 1980, di introdurre una disciplina derogatoria alla disciplina di piano, non per le finalità di tutela che avevano contraddistinto la genesi dell'art. 51 ma addirittura per le opposte finalità di “superare” (così derogandovi) in via unilaterale la normativa di tutela de1 piano condivisa con lo Stato, consentendo nuove edificazioni nelle aree agricole e incrementi edilizi non solo nelle aree agricole, ma anche nelle aree boscate e nelle fasce di rispetto delle acque. Sotto altro profilo, l'incremento indiscriminato dell'indice di fabbricabilità fondiaria fino a 0,1 mc/mq, riferibile alle zone omogenee di tipo E, ossia alle aree agricole, contrasta con quanto previsto a livello nazionale dal DM n. 1444 del 1968, che definisce non solo i rapporti massimi tra gli spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e gli spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi (art. 3 e 5) fissando le quantità minime di queste ultime, ma anche i limiti inderogabili di densità edilizia (art. 7), di altezza degli edifici (art. 8) e di distanza tra i fabbricati (art. 9) che vanno rispettati per le diverse zone territoriali omogenee. In particolare, per quanto attiene alle zone agricole, in linea di principio, per tutelare il paesaggio, l'ambiente e controllare la densità edilizia, prevale la formula de11’inedificabi1ità. Anche nei limitati casi in cui è ammessa l'attività edificatoria nelle zone agricole, la stessa è estremamente ridotta ed è stabilito un limite massimo e inderogabile con indice di edificabilità a fini di insediamento residenziale pari a 0,03 metri cubi per metro quadro.
Viene, quindi, introdotta una previsione derogatoria rispetto alla norma fondamentale posta dall'art. 4l -quinquies, ottavo comma, della legge n. 1150 de1 1942, che impone il rispetto dei limiti inderogabili di densità edilizia previsti per le diverse zone del territorio comunale (Corte cost. n. 217 del 2020). La previsione in esame si presta a determinare la trasformazione di insediamenti rurali in insediamenti abitativi, con conseguente grave rischio di fenomeni di c.d. dispersione urbana.
In conclusione, la disposizione è illegittima per violazione degli articoli 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, da considerare norme interposte rispetto all'art. 117, secondo comma, lettera st, Cost, nonché per violazione dell'art. 117, terzo comma, in materia di governo del territorio, per violazione della norma fondamentale di grande riforma contenuta nell'art. 41-quinquies, ottavo comma, della legge n. 1150 del 1942.
Per tutte le ragioni sopra esposte, la legge regionale, limitatamente alle disposizioni sopra indicate, deve essere impugnata ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione.


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