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Principi e norme fondamentali del sistema Regione - autonomie locali nel Friuli Venezia Giulia. (9-1-2006)
Friuli Venezia Giulia
Legge n.1 del 9-1-2006
n.2 del 11-1-2006
Politiche ordinamentali e statuti
2-3-2006 /
Impugnata
La legge detta i principi e le norme fondamentali del sistema Regione – autonomie locali, disciplinando la distribuzione delle funzioni amministrative tra la regione e gli enti territoriali minori.
Premesso che la Regione, in base al proprio Statuto Speciale, vanta competenza primaria in materia di ordinamento degli enti locali (art.4, comma 1, n.1 bis dello Statuto Speciale), si evidenzia tuttavia che le norme della legge regionale,riducendo le funzioni proprie delle Province, eccedono dalle competenze statutarie e violano diverse norme costituzionali, per i profili di seguito indicati.
In particolare:
1) l’art. 8, comma 5, si limita a specificare che i Comuni e le Province sono titolari delle funzioni fondamentali ad essi riconosciute e di quelle ulteriori conferite con legge, omettendo di far riferimento alle “funzioni proprie” di tali enti locali, espressamente riconosciute, al contrario, dall’art. 118, comma 2 Cost.
Il mancato riconoscimento delle funzioni proprie degli enti locali, in particolare alle Province, è confermato dall’art. 17 della legge in esame, il quale, nell’enucleare i settori nei quali le Province esercitano le funzioni amministrative stabilite dalla legge, omette di indicare una serie di compiti storicamente attribuiti alle Province stesse, quali enti esponenziali di collettività vaste, di livello intermedio tra quelle comunali e quelle regionali. Ciò comporta una grave lesione della sfera di autonomia costituzionalmente garantita e del principio di sussidiarietà ed adeguatezza.
La norma in esame, pertanto, eccede dalla competenza statutaria, ponendosi in contrasto con l’art. 4 dello Statuto di autonomia speciale. Quest’ultimo, infatti, pur attribuendo la materia “ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni” alla potestà legislativa primaria della regione, specifica che tale potestà deve essere esercitata in “armonia con la Costituzione, con i principi generali dell’ordinamento giuridico della Repubblica, con le norme fondamentali delle riforme economico-sociali e con gli obblighi internazionali dello Stato”.
L’esercizio della competenza legislativa primaria, quindi, non è immune dal rispetto di una serie di limiti, individuati dal legislatore costituzionale. A tal riguardo, è da ritenere che il principio autonomistico, consacrato negli articoli 5, 114 e 118 della Costituzione, costituisca “principio generale dell’ordinamento giuridico della Repubblica”, come tale vincolante anche nei confronti delle regioni ad autonomia speciale (sent. Corte Cost. n. 48/2003).
Una disciplina divergente è comunque certamente "non in armonia con la Costituzione", non tenendo conto delle funzioni proprie (art. 118, comma 2 Cost.) e di quelle fondamentali (art. 117, comma 2, lett. p, Cost.) degli enti locali in questione.
In particolare, occorre richiamare l’art. 114, comma 2 della Costituzione, il quale statuisce che “i Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principî fissati dalla Costituzione”; nonché l’art. 118, comma 2 Cost., il quale specifica che “i Comuni, le Province e le Città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze”.
Dal complesso di tali disposizioni si desume che gli enti locali (comprese le Province) sono titolari, oltre che delle funzioni conferite, anche di funzioni “proprie”, intendendo per tali quelle storicamente attribuitegli e non comprimibili dal legislatore (nazionale o regionale), in quanto da sempre ritenute necessarie per l’esistenza e il corretto sviluppo delle rispettive comunità territoriali e degli interessi di cui sono esponenziali.
In tal senso, si deve rilevare che le funzioni escluse dal citato articolo 17 della legge in esame fanno riferimento ad interventi di area vasta e sono sempre state considerate di competenza delle Province, come originariamente disposto dagli artt. 14 e 15 della legge n. 142/1990 ed ora dagli artt. 19 e 20 del d.lgs. n. 267/2000.
Pertanto, l’articolo si configura illegittimo nella parte in cui omette di riconoscere in capo a tali enti territoriali ulteriori funzioni, previste invece dagli articoli 19 e 20 del d.lgs. n. 267/2000 (TUEL), da considerarsi il quadro normativo di riferimento per l’attuazione e l’interpretazione degli artt. 117, comma 2, lett. p) e 118, comma 2 della Costituzione, e come tale vincolante, per i profili richiamati, anche nei confronti delle regioni ad autonomia speciale.
2) Le argomentazioni sviluppate riguardo alla censura precedente valgono anche per le disposizioni contenute negli artt. 9, 25 e correlato art. 26 della legge in esame, che attribuiscono determinate funzioni, tradizionalmente spettanti alle Province, ad altri enti territoriali o a loro associazioni. In particolare, l’art. 9 attribuisce la funzione di pianificazione di area vasta alle Città Metropolitane; l’art. 25, invece, attribuisce ulteriori e peculiari funzioni di area vasta agli ASTER (Ambiti per lo sviluppo territoriale), costituiti da associazioni intercomunali e unioni di Comuni, formate da Comuni non montani dotati dei requisiti indicati dalla legge stessa. A tali organismi è attribuita, tra l’altro, la “programmazione di interventi territoriali integrati relativamente alle seguenti finalità: realizzazione di opere pubbliche; programmazione territoriale e reti infrastrutturali dei servizi pubblici; tutela e valorizzazione del territorio e delle risorse naturali; coordinamento dell’organizzazione dei servizi pubblici locali; coordinamento dello sviluppo economico e sociale; coordinamento di altre iniziative relative al territorio dell’ambito, da attuare da parte di soggetti pubblici e privati”.
Più specificamente, l’illegittimità di tale disposizione risiede nel fatto che essa, nel disciplinare funzioni esercitate in forma associata dai Comuni, fa però riferimento a funzioni che non spettano solamente ai comuni, bensì anche alle Province, così come disposto espressamente dalla legge stessa o come desumibile dalla legislazione statale in materia. E’ il caso, in particolare, dei compiti di programmazione relativi alla “tutela e valorizzazione del territorio e delle risorse naturali”, che attengono alla materia “difesa del suolo, tutela e valorizzazione dell’ambiente”, attribuita alle Province dall’art. 17 della legge regionale in esame. Analoga considerazione vale per la funzione di coordinamento dello sviluppo economico e sociale, che è attribuita alle Province dal TUEL (art. 20).
3) Analogamente, l’art. 20 della legge in esame, nel disciplinare le forme collaborative tra gli enti locali, esclude la possibilità che l’ente provincia possa aderirvi, in quanto tra gli strumenti di collaborazione vengono individuati esclusivamente le convenzioni, le associazioni intercomunali e le unioni di Comuni. In ogni caso, la disposizione in esame esclude che la Provincia costituisca l’ente di riferimento dei relativi ambiti territoriali, in quanto omette di attribuirgli le funzioni di coordinamento e di sostituzione nei confronti dei Comuni inadempienti. Valgono al riguardo, pertanto, le stesse motivazioni di censura espresse per i punti precedenti.
A tali motivazioni, concernenti specificamente l’omessa considerazione, da parte della legge in esame, delle funzioni “proprie” delle province, è opportuno aggiungere che non è possibile ritenere che la potestà primaria della regione in materia di enti locali consenta una distribuzione delle funzioni amministrative completamente libera e svincolata dai principi costituzionali. In particolare, assumono fondamentale rilievo, sotto questo profilo, i principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza, sanciti dall’art. 118, comma 1 della Costituzione, secondo cui le funzioni amministrative devono essere attribuite ai livelli di governo idonei, per la propria struttura organizzativa e per le proprie dimensioni, ad esercitarle con efficacia ed efficienza.
Tali principi non sembrano rispettati dalle citate norme regionali, le quali attribuiscono esclusivamente ai comuni (o alle associazioni di comuni) tutte le funzioni attinenti ad aree sovracomunali, che invece, proprio per l’entità degli interessi cui fanno riferimento – interessi che trascendono la dimensione comunale – dovrebbero essere conferite alle Province, quali enti territoriali “intermedi” tra comuni e regioni.
Né può sostenersi che i richiamati principi di sussidiarietà, proporzionalità ed adeguatezza siano rispettati in ragione del fatto che la stessa regione ha attribuito le citate funzioni alle Città Metropolitane o alle associazioni di Comuni. Per quanto riguarda le prime, infatti, occorre rilevare che la loro istituzione è solo eventuale e non obbligatoria (la legge dispone, all'art. 9, comma 1, che "con legge regionale possono istituirsi città metropolitane") e che, inoltre, il loro territorio non coincide con quello dell'intera Provincia di riferimento. Anche con riferimento alle seconde, vale la considerazione che esse sono istituite su eventuale iniziativa dei Comuni e pertanto non si qualificano come “enti necessari”, potendo, in realtà, anche non essere istituite. Ipotesi, quest’ultima, al verificarsi della quale accadrebbe che le funzioni necessarie per la cura di interessi relativi ad aree sovracomunali non sarebbero attribuite ad alcun ente, con grave pregiudizio per le collettività di riferimento. Solo le Province possono invece garantire, in quanto “enti necessari” di livello intermedio, l’espletamento di tali tipi di funzioni, le quali, pertanto, sono da considerarsi come funzioni loro proprie, quindi non derogabili neppure dalla competenza legislativa primaria vantata dalla regione in materia.
Per questi stessi motivi, le censurate norme regionali si pongono in diretto contrasto anche con l’art. 59 dello Statuto speciale della regione, secondo cui “le Province sono enti autonomi ed hanno funzioni stabilite dalle leggi dello Stato e delle Regioni”, nonché con l’art. 2 del d.lgs. n. 9/1997 (recante “Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Friuli Venezia Giulia in materia di ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni), il quale sancisce che la regione, nel fissare i principi dell’ordinamento locale e nel determinarne le funzioni, deve perseguire l’obiettivo di favorire la piena realizzazione dell’autonomia degli enti locali, nel rispetto degli artt. 5 e 128 della Costituzione (quest’ultimo poi abrogato dalla riforma del 2001, ma il cui riferimento all’autonomia di Comuni e Province risulta assorbito e potenziato dagli artt. 114 e 118 Cost.), oltre che dei limiti stabiliti dall’art. 4 dello statuto di autonomia.
A tal proposito, si sottolinea che la distribuzione delle funzioni amministrative tra i vari enti territoriali, così come definita dalle citate leggi statali, risponde a quei criteri di sussidiarietà, proporzionalità e adeguatezza, ora assurti a parametri costituzionali.
Si tratta, dunque, di una distribuzione di competenze che certamente può subire, rispetto alla legislazione statale vigente e sulla base della potestà legislativa primaria vantata dalla regione in materia, talune variazioni, ma che non può essere stravolta al punto tale da violare i citati parametri costituzionali.
4) Infine, risultano censurabili anche le norme contenute negli articoli 31, 32, 33, 34, 35, 36 e 37, le quali istituiscono e disciplinano il Consiglio delle autonomie locali. Tali previsioni si configurano costituzionalmente illegittime, alla luce delle riforme costituzionali intervenute, in quanto l'ultimo comma dell'articolo 123 della Costituzione, introdotto dalla legge costituzionale n. 3/2001, prevede che in ogni regione lo statuto (non, quindi, la legge regionale ordinaria) disciplini il Consiglio delle Autonomie locali, quale organo di consultazione fra Regione ed enti locali.
E' pur vero che l'articolo 123 della Costituzione si riferisce alle regioni a statuto ordinario e che l'art. 116 Cost. attribuisce invece alle regioni a statuto speciale forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti adottati con legge costituzionale; tuttavia l'articolo 10 della citata legge costituzionale n. 3/2001, prevede espressamente che, sino all'adeguamento dei rispettivi statuti si applichino anche alle regioni a statuto speciale le disposizioni della medesima legge costituzionale "per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite". Tali condizioni di maggior autonomia si ritiene debbano essere riferite anche agli enti locali.
Di conseguenza, la norma contenuta nell'ultimo comma dell'art. 123 Cost., facendo riferimento al Consiglio delle Autonomie Locali, che costituisce espressione di maggior autonomia e partecipazione degli enti locali, deve ritenersi vincolante anche per le regioni a statuto speciale, le quali sono dunque tenute a disciplinare l'organo in questione con fonte statutaria e non con fonte legislativa ordinaria.
Si propone, pertanto, di sollevare la questione di legittimità costituzionale, avverso gli artt. 8, comma 5, 9, 17 , 20, 25 e 26 della legge regionale in esame, per violazione degli art. 4, comma 1 e 59 dello Statuto di autonomia speciale (legge costituzionale n. 1/1963), oltre che dell’art. 2 del d.lgs. n. 9/1997, nonché degli art. 5, 114, e 118, commi 1 e 2 e art. 117, comma 2, lett. p), della Costituzione. Si propone altresì di sollevare questione di legittimità costituzionale avverso gli artt. 31, 32, 33, 34, 35, 36 e 37 della legge in esame, per violazione dell’art. 123, ultimo comma della Costituzione.
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