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Norme in materia di discipline bio-naturali del benessere. (18-9-2006)
Piemonte
Legge n.32 del 18-9-2006
n.38 del 21-9-2006
Politiche socio sanitarie e culturali
17-11-2006 /
Impugnata
La legge regionale in esame, che regolamenta "le discipline bio-naturali del benessere", pur omettendo di individuare esplicitamente le attività che di fatto intende regolamentare e riconoscere, eccede i limiti della competenza regionale previsti dall' art. 117, comma 3, Cost., nella materia concorrente delle professioni. Ricorrono, infatti, i profili di illegittimità costituzionale già rilevati dalla Suprema Corte nella sentenza n. 40/2006 con riferimento alla l.r. n. 18/2004 con la quale la Regione Liguria tentava di normare il suddetto settore.
Le censure si rivolgono in particolare:
-all'art. 2, che individua le discipline bio-naturali del benessere in tutte quelle pratiche e tecniche naturali, qualificate come non sanitarie, che hanno per finalità il raggiungimento, il miglioramento o la conservazione stato di benessere della persona, nonché la definizione di operatore in discipline bionaturali;
-all'art. 3, che definisce il percorso formativo per il riconoscimento della qualifica di operatore nelle discipline bio-naturali del benessere;
-all'art. 5, nonché all'art. 6, che prevedono l'istituzione di un elenco regionale delle discipline bio-naturali per il benessere e l'affidamento alla Giunta regionale del compito di fissare i requisiti, successivamente deliberati dal Consiglio regionale, che devono avere i soggetti. Tali soggetti sono divisi in due sezioni: 1) agenzie formative, regolarmente accreditate, per operatori nelle discipline bio-naturali del benessere; 2) operatori nelle discipline bionaturali del benessere, ulteriormente suddivisi in base alle relative specializzazioni.
Così disponendo, alla stregua di quanto più volte affermato dalla Corte Costituzionale in materia di professioni (cfr. sentt. nn. 353/2003, 319, 355, 405 e 424/2005, nonché 40 e 153/2006), le suddette previsioni si pongono in contrasto con il principio fondamentale, già vigente nella legislazione statale di riferimento, secondo cui l'individuazione delle figure professionali, con i relativi profili, ordinamenti didattici e titoli abilitanti, così come l'istituzione di nuovi e diversi (rispetto a quelli istituiti dalle leggi statali) albi, ordini o registri, sono attività riservate allo Stato, residuando alle Regioni la disciplina di quegli aspetti che presentano uno specifico collegamento con la realtà territoriale.
Né il fatto che la legge specifichi che le discipline in questione "non si prefiggono la cura di specifiche patologie e non sono riconducibili alle attività di cura e riabilitazione fisica e psichica erogate dal servizio sanitario" e che l'operatore in tali discipline "non riveste rilievo di carattere sanitario e non prescrive farmaci" vale a superare la presunta illegittimità del provvedimento legislativo in oggetto. La legge infatti utilizza espressioni così ampie che potrebbe addirittura far ricadere nel proprio ambito attività curative per le quali non sussiste alcuna evidenza scientifica né alcun riscontro pratico tratto dall'esperienza, che garantiscono la loro efficacia e la loro non lesività per la salute (si pensi ad es., a pratiche come pranoterapia, o la riflessologia) La Consulta, inoltre, ha recentemente esteso a tutte le professioni il suddetto principio fondamentale, affermato inizialmente con riferimento alle sole professioni sanitarie (art. 6, comma 3, del d.lgs. n. 502/1992, poi confermato dall’art. 124, comma 1, lett. b), del d.lgs. n. 112/1998, nonché dall’art. 1, comma 2, della legge n. 42/1999), rilevando come tale limite si ponga come vincolo “di ordine generale” allo svolgimento della legislazione regionale in materia di “professioni”, stante il principio sancito nelle sentenze nn. 355 e 424 del 2005 secondo il quale “l’individuazione di una specifica tipologia o natura della «professione» oggetto di regolamentazione legislativa non ha alcuna influenza” ai fini della ripartizione delle competenze statali e regionali afferenti la materia in esame.
Tale consolidata giurisprudenza costituzionale è stata recepita anche nel d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 30 nel quale è affermato il principio secondo cui spetta solo allo Stato (e non alle Regioni) l'individuazione delle figure professionali, con i relativi profili e ordinamenti didattici, rientrando nella competenza delle Regioni la disciplina di quegli aspetti che presentano uno specifico collegamento con la realtà regionale.
Si fa presente inoltre che in altre due occasioni la regione Piemonte ha realizzato provvedimenti legislativi (l.r. n. 25 del 24 ottobre 2002 e n. 13 del 31 maggio 2004) sullo stesso argomento, che sono state impugnate dal Governo e risultate illecite per la Corte Costituzionale (sentenze n. 353/2003 e n. 424/2005). Ciò avvalora l'interpretazione odierna ritenendosi chiara l'intenzione del legislatore regionale di voler introdurre nel proprio ordinamento figure professionali che esulano dalla propria disciplina di competenza.
Considerato, infine, che le restanti disposizioni della legge regionale in esame (art. 1: individuazione delle finalità della legge; gli artt. 4 e 5 comma 1: istituzione del "Comitato regionale delle discipline bionaturali per il benessere", con disciplina della relativa composizione e individuazione dei relativi compiti; e art. 7: previsioni finali e transitorie finalizzate all'applicazione iniziale della legge) si pongono in inscindibile connessione con quelle specificamente censurate perché palesemente funzionali al raggiungimento dello scopo della legge stessa, si ritiene che l'illegittimità costituzionale debba estendersi, in via consequenziale, anche a tali disposizioni, ai sensi dell'art. 27 della legge n. 87/1953.
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