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Disposizioni collegate alla legge di stabilità provinciale per l’anno 2022. (10-1-2022)
Bolzano
Legge n.1 del 10-1-2022
n.2 del 13-1-2022
Politiche economiche e finanziarie
10-3-2022 /
Impugnata
La legge Bolzano n. 1 del 10 gennaio 2022 presenta i seguenti profili di illegittimità costituzionale e va pertanto impugnata ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione.
L'articolo 4, comma 10, della legge provinciale in oggetto (recante "Disposizioni collegate alla legge di stabilità provinciale per l'anno 2022"), nel sostituire l'articolo 94 della legge provinciale 10 luglio 2018, n. 9, prevede che:
«1. In caso di annullamento del titolo abilitativo, qualora in base a motivata valutazione non sia possibile la rimozione dei vizi delle procedure amministrative o il ripristino dello stato dei luoghi anche in considerazione dell'esigenza di bilanciamento con i contrapposti interessi di salvaguardia delle attività legittimamente espletate, l'autorità preposta alla vigilanza applica una sanzione pecuniaria, tenuto conto del danno urbanistico arrecato dalla trasformazione del territorio. L'ammontare della sanzione pecuniaria varia in ragione della gravità degli abusi da 0,8 a 2,5 volte l'importo del costo di costruzione, determinato ai sensi dell'articolo 80. Ove non sia possibile determinare il costo di costruzione, la sanzione è calcolata in relazione all'importo delle opere eseguite, determinato in base all'elenco prezzi informativi opere civili della Provincia.
2. Nel caso in cui, al momento dell'irrogazione della sanzione pecuniaria di cui al comma i o prima del versamento dell'ultima rata di cui al comma 5, le opere eseguite in base al titolo annullato risultino conformi al quadro normativo e alle previsioni urbanistiche a tale momento vigenti, l'autorità preposta alla vigilanza dispone la riduzione della sanzione pecuniaria di cui al comma i, commisurandola alla durata dell'abuso, e la restituzione senza interessi delle somme eventualmente versate in eccesso. La sanzione ridotta non potrà comunque essere inferiore a quella di cui all'articolo 95, comma 3.
3. L'integrale corresponsione della sanzione pecuniaria irrogata, anche nella misura ridotta di cui al comma 2, produce i medesimi effetti dell'accertamento di conformità di cui all'articolo 95. 4. Nelle more della rimozione dei vizi delle procedure amministrative relative al rilascio del titolo ovvero alla formazione delle disposizioni urbanistiche su cui questo si fonda, nonché nelle more del procedimento di irrogazione della sanzione pecuniaria, sono fatti salvi gli usi in atto derivanti dal titolo abilitativo annullato. 5. La sanzione pecuniaria può, previa motivata richiesta, essere rateizzata, [...J».
La disposizione, nel disciplinare le sanzioni da applicare nei casi di interventi eseguiti in base a permesso a costruire o altro titolo abilitativo annullato, appare in contrasto con la normativa dettata dall'art. 38 del Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380).
Al riguardo, l'articolo 38 del Testo unico edilizia, nel disciplinare gli interventi eseguiti in base a permesso annullato, prevede che: "In caso di annullamento del permesso di costruire, qualora non sia possibile, in base a motivata valutazione, la rimozione dei vizi delle procedure amministrative o la restituzione in pristino, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale applica una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite, valutato dall'agenzia del territorio, anche sulla base di accordi stipulati tra quest'ultima e l'amministrazione comunale ".
Tanto premesso, è evidente che la disposizione della legge provinciale in esame:
a) disciplina le ipotesi in cui si può procedere alla irrogazione della sanzione pecuniaria, in luogo della rimozione dei vizi o della restituzione in pristino, anche in considerazione dell’”esigenza di bilanciamento con i contrapposti interessi di salvaguardia delle attività legittimamente espletate". La previsione, pertanto, introduce un criterio valutativo, non rinvenibile nella disposizione nazionale, che di fatto amplia le ipotesi in cui è possibile escludere la riduzione in pristino. Peraltro, ove si consideri che la corresponsione della sanzione pecuniaria irrogata produce i medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria, sembra potersi ipotizzare che la disposizione provinciale introduca una ipotesi di sanatoria, sganciata dai presupposti richiesti dalla legislazione statale ai sensi del combinato disposto degli articoli 36 e 38 del d.P.R. n. 380 del 2001.
b) parametra l'ammontare della sanzione pecuniaria al costo di costruzione (da .0,8 a 2,5 volte l'importo dello stesso), discostandosi dalla disposizione nazionale, contenuta nel richiamato articolo 38 del Testo unico edilizia, che prevede l'applicazione di una sanzione pecuniaria pari al venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite. La disposizione, pertanto, introduce una disciplina sanzionatoria differente da quella vigente sul resto del territorio nazionale.
La disposizione quindi contrasta la disciplina statale con conseguente violazione dei principi fondamentali della materia edilizia, ascrivibile in quella più generale del "governo del territorio", oggetto di competenza concorrente ex art. 117, terzo comma, Cost., in quanto, secondo il consolidato orientamento della Corte Costituzionale, la disciplina statale dei "titoli edilizi" costituisce norma di principio (Corte Cost. sentenze n.49 del 2016, n. 259 del 2014, ii. 139 e n. 102 del 2013 e n. 303 del 2003).
In particolare, il comma 1 dell’articolo 94 introduce una disciplina che presenta significativi profili di difformità rispetto a quella contenuta all’articolo 38 del d.P.R. n. 380 del 2001, in quanto: (i) prevede la sanzione ripristinatoria come residuale, invece che come sanzione principale, secondo quanto stabilito dalla legge statale, introducendo un bilanciamento “con i contrapposti interessi di salvaguardia delle attività legittimamente espletate”; (ii) stabilisce che anche la sanzione pecuniaria abbia una portata molto meno afflittiva, in quanto commisurata al costo di costruzione delle opere, e non al valore venale delle stesse.
Complessivamente, il legislatore provinciale altera in modo sostanziale la ratio sottesa all’impianto sanzionatorio del Testo unico dell’edilizia.
Quest’ultimo è, infatti, improntato principalmente a una finalità ripristinatoria dell’interesse pubblico leso, da attuarsi prioritariamente mediante la rimessione in pristino dello stato dei luoghi, mentre la disciplina provinciale è orientata all’irrogazione di una sanzione afflittiva nei confronti dell’autore dell’abuso, senza dare prioritaria rilevanza alla rimozione dell’opera abusiva. In questa prospettiva, viene introdotto un elemento di ponderazione riferito all’affidamento del privato, che, tuttavia, è estraneo alla logica che informa la disciplina statale, la quale non consente di dare rilievo neppure al tempo trascorso dalla commissione dell’abuso all’irrogazione della sanzione (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen. n. 9 del 2017). Come detto, infatti, l’articolo 38 del d.P.R. n. 380 del 2001 – pur dettando un trattamento più mite per gli immobili abusivi realizzati sulla base di un titolo annullato – persegue prioritariamente l’interesse pubblico all’ordinato assetto del territorio, mediante la rimozione dell’abuso, ove non regolarizzabile.
Ciò posto, occorre evidenziare che la Provincia riconduce tale disposizione all’ordinamento giuridico risalente al 1977, pur essendo la predetta previsione contenuta in una legge ben più recente (del 2018).
In disparte ulteriori ricostruzioni di carattere cronologico e sistematico, la Provincia sostiene che il testo previgente dell’articolo 94, comma 1 già commisurava la sanzione pecuniaria al costo di costruzione, sebbene secondo una diversa forbice edittale, e riconduceva l’irrogazione della stessa, in luogo della rimozione dei vizi o del ripristino dello stato dei luoghi, anche all’esigenza di non recare pregiudizio alle attività di trasformazione del territorio eseguite legittimamente.
L’assunto provinciale circa la non innovatività della disposizione ora introdotta contrasta con il consolidato orientamento della Corte costituzionale, la quale ha da tempo chiarito che “nei giudizi in via principale non si applica l’istituto dell’acquiescenza, atteso che la norma impugnata, anche se riproduttiva, in tutto o in parte, di una norma anteriore non impugnata, ha comunque l’effetto di reiterare la lesione da cui deriva l’interesse a ricorrere” (cfr., ex multis, Corte cost. n. 56 del 2020, che richiama le precedenti sentenze n. 41 del 2017, n. 231 e n. 39 del 2016).
Anche nella recentissima sentenza n. 24 del 28 gennaio 2022 la Corte ha ribadito che “L’ammissibilità dell’impugnazione, in termini di tempestività e di sussistenza dell’interesse a ricorrere, deve essere valutata in relazione alle singole leggi adottate. Come questa Corte ha affermato in altre occasioni, l’acquiescenza rispetto ad altre leggi regionali non milita a favore della legittimità costituzionale delle disposizioni impugnate (sentenza n. 87 del 2019, punto 4.1.2. del Considerato in diritto). […] Non è influente la circostanza che già la disciplina previgente contemplasse interventi destinati a ricadere nella fascia entro i 300 metri dalla linea di battigia, poiché, come già detto, nei giudizi in via principale non opera l’istituto dell’acquiescenza; si deve rilevare, inoltre, che la previsione aggiunta dalla legge impugnata introduce un ulteriore elemento di deroga, che si ripercuote sull’assetto paesaggistico.”.
Pertanto, non assume rilevanza in punto di incostituzionalità il fatto che la disciplina contestata fosse in parte già prevista dal testo previgente dell’articolo 94, comma 1.
Ciò che, invece, rileva ai fini dell’illegittimità costituzionale è il contrasto della norma in questione con la disciplina statale recata in materia dall’articolo 38 “Interventi eseguiti in base a permesso annullato” del d.P.R. n. 380 del 2001 (c.d. Testo unico edilizia), essendo la Provincia priva di alcuna potestà normativa in materia di regime sanzionatorio degli illeciti edilizi.
In base all’articolo 8 dello Statuto speciale, infatti, la Provincia ha potestà legislativa in materia di “urbanistica e piani regolatori” (n. 5), nonché in materia di “edilizia comunque sovvenzionata” (n. 10) e di “edilizia scolastica” (n. 28). È dubbio, pertanto, che la potestà legislativa primaria della Provincia includa in toto la materia edilizia (e non solo gli ambiti circoscritti dell’edilizia sovvenzionata e di quella scolastica) e che non debba piuttosto riconoscersi alla medesima Provincia, fuori dal perimetro delle materie indicate all’articolo 8 dello Statuto, una potestà concorrente, al pari di quella spettante alle Regioni a statuto ordinario in materia di governo del territorio, come tale soggetta al limite dei principi fondamentali della legge statale, di cui all’articolo 117, terzo comma, della Costituzione.
In ogni caso, anche ove la Provincia disponesse di potestà legislativa primaria estesa all’intera materia edilizia, tale potestà dovrebbe esercitarsi “entro i limiti indicati dall’art. 4” dello stesso Statuto, ossia “in armonia con la Costituzione e i principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica e con il rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali (…) nonché delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica”.
Al riguardo, non può dubitarsi della circostanza che l’intera disciplina delle sanzioni edilizie attenga non solo ai principi fondamentali della legge statale, ma – prima ancora – alle norme fondamentali di riforma-economico sociale, in quanto il trattamento sanzionatorio di tali illeciti non può che essere uniforme a livello nazionale e va, pertanto, ricondotto ai livelli essenziali delle prestazioni che lo Stato è chiamato a dettare ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lett. m), della Costituzione. Si tratta, pertanto, di una disciplina inderogabile anche da parte delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome.
Con specifico riguardo all’articolo 38 del Testo unico edilizia, deve sottolinearsi che la giurisprudenza amministrativa ha riconosciuto a tale disposizione la natura di principio fondamentale insuscettibile di applicazione differenziata sul territorio nazionale: “Per il suo contenuto precettivo tale norma [art. 38 del TUE] deve essere intesa quale espressione di un principio fondamentale della materia del governo del territorio, non essendo ipotizzabile un’applicazione differenziata in ambito nazionale delle regole che presiedono alla repressione degli abusivi divenuti tali successivamente all’annullamento del permesso di costruire” (sentenza del Consiglio di Stato n. 1909 del 2017).
Ad avviso della Corte costituzionale nella recente pronuncia sopra citata (sent. n. 24 del 2022) – peraltro relativa a una Regione a statuto speciale che esercita potestà legislativa primaria in materia di edilizia e urbanistica nel rispetto delle norme fondamentali di riforma economico-sociale stabilite dal legislatore statale – a queste ultime norme fondamentali “devono essere anzitutto ricondotte – nei limiti e per i motivi che saranno illustrati – le previsioni del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia. (Testo A)». Delle norme fondamentali di riforma economico-sociale le disposizioni del d.P.R. n. 380 del 2001 menzionate dal ricorrente condividono le caratteristiche salienti, che questa Corte ha enucleato nel contenuto riformatore e nell’attinenza a settori o beni della vita economico-sociale di rilevante importanza (fra le molte, sentenza n. 198 del 2018, punto 6.2.2. del Considerato in diritto)”.
Come più volte affermato dalla Corte, “le norme fondamentali di riforma economico-sociale sono tali, infatti, per il loro «contenuto riformatore» e per la loro «attinenza a settori o beni della vita economico-sociale di rilevante importanza» (sentenza n. 229 del 2017). Gli interessi sottesi alla disciplina, che postulano una uniformità di trattamento sull’intero territorio nazionale (sentenze n. 170 del 2001, n. 477 del 2000 e n. 323 del 1998; da ultimo, anche sentenza n. 229 del 2017), assieme allo stretto rapporto di strumentalità che, nel caso de quo, le disposizioni intrattengono con il valore ambientale, bene di rango costituzionale […], concorrono a qualificare come norme fondamentali di riforma economico-sociale quelle recate dal decreto legislativo censurato” (ex multiis, sent. cost. n. 198 del 2018).
È evidente come la stessa stretta compenetrazione tra valori ambientali, paesaggistici e di tutela del patrimonio culturale sia connaturata alla disciplina degli illeciti edilizi, la quale deve sanzionare con efficacia ed effettività interventi eseguiti in base a un titolo abilitativo annullato, non potendosi determinare difformità di trattamento in materia sul territorio nazionale.
Analoghe considerazioni possono svolgersi in merito all’articolo 94, comma 2, che, ad avviso della Provincia, distinguerebbe il caso dell’illecito urbanistico permanente da quello cosiddetto temporaneo, riducendo significativamente la sanzione irrogata in caso di modifiche normative sopravvenute che rendano i lavori già eseguiti conformi alla legge. Ai sensi dello stesso articolo 94, comma 2, ultimo periodo, la sanzione ridotta non potrà essere inferiore a quella di cui all’articolo 95, comma 3 dovuta a titolo di oblazione per il rilascio del titolo abilitativo in sanatoria in misura pari al doppio del contributo sul costo di costruzione o, in caso di gratuità, al contributo medesimo.
Mediante l’articolo 94, comma 2, la Provincia sembra sovrapporre la disciplina dell’intervento edilizio eseguito in base a titolo abilitativo annullato (a livello statale prevista dall’articolo 38 del TUE) con quella dell’accertamento di conformità e del rilascio del permesso in sanatoria (invece normati dall’articolo 36 del TUE).
Il minimo edittale previsto per la sanzione ridotta nella disposizione provinciale censurata infatti corrisponde all’oblazione per il rilascio del permesso in sanatoria, di cui all’articolo 36, comma 2, del TUE, ma, diversamente dall’accertamento di conformità statale, la disposizione di favore provinciale sfugge al principio della doppia conformità urbanistica previsto a livello statale dall’articolo 36, comma 1, TUE.
Ai sensi di quest’ultima disposizione, infatti, il rilascio del permesso in sanatoria è subordinato alla conformità dell’intervento alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda.
Nella fattispecie provinciale, invece, la sola conformità al quadro normativo vigente al momento dell’irrogazione della sanzione pecuniaria in caso di titolo abilitativo annullato è sufficiente a determinare un’ulteriore riduzione della sanzione – già nella sua misura base parametrata al costo di costruzione invece che al valore venale dell’opera realizzata – il cui importo minimo peraltro corrisponde al pagamento richiesto a titolo di oblazione per il rilascio del permesso in sanatoria.
È di tutta evidenza la particolare tenuità della sanzione prevista dalla normativa provinciale rispetto a quella statale, laddove la disciplina statale innanzitutto inquadra la sanzione demolitoria come principale, autorizzando l’irrogazione della sanzione pecuniaria solo in ipotesi residuali, e anche in tali ultimi casi residuali commisura la sanzione pecuniaria al valore venale delle opere o di parti di esse abusivamente eseguite e non al costo di costruzione né tantomeno al contributo su tale costo.
Introducendo siffatte disposizioni, la Provincia delinea un sistema sanzionatorio degli illeciti edilizi del tutto difforme rispetto a quello statale, in aperto contrasto con l’articolo 38 del Testo unico edilizia, che costituisce norma di grande riforma economico-sociale, e pertanto censurabile anche in quanto incide, riducendoli, sui livelli essenziali delle prestazioni che devono essere assicurati uniformemente sull’intero territorio nazionale, materia riservata allo Stato ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lett. m), Cost.
Conclusivamente, si ritiene di dover impugnare innanzi alla Corte costituzionale l’articolo 4, comma 10, della legge provinciale n. 1 del 2022, nella parte in cui introduce il nuovo articolo 94, commi 1 e 2, nella legge urbanistica provinciale n. 9 del 2018, per violazione degli articoli 4 e 8 dello Statuto di autonomia, nonché dell’articolo 117, secondo comma, lett. m), e terzo comma Cost., in materia di "governo del territorio", stante il contrasto della disposizione censurata con l’articolo 38 del d.P.R. n. 380 del 2001.
Per le motivazioni che precedono, si ritiene di dover impugnare la legge provinciale in esame ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione.
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