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Esternalizzazione del servizio gestione degli archivi dei Geni Civili regionali e ulteriori disposizioni. (23-4-2021)
Abruzzo
Legge n.8 del 23-4-2021
n.90 del 23-4-2021
Politiche infrastrutturali
17-6-2021 /
Impugnata
La legge regionale, che reca norme per la esternalizzazione del servizio gestione degli archivi dei Geni Civili regionali, nonché ulteriori disposizioni, è censurabile in quanto la disposizione contenuta nell’articolo 4 risulta, per i motivi di seguito specificati, porsi in contrasto con gli articoli 41, 97 e 117, commi primo e terzo della Costituzione.
La norma contenuta nell’articolo 4 risulta costituzionalmente illegittima in quanto contrastante con la potestà legislativa concorrente in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia”, i cui princìpi fondamentali, per costante giurisprudenza della Corte Costituzionale, non tollerano eccezioni sull’intero territorio nazionale (cfr. da ultimo, corte Cost. Sent. n. 126/2020), nel cui ambito i principi fondamentali sono dettati dal decreto legislativo 28 dicembre 2003, n. 387, recante “Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità”, che costituisce parametro statale interposto.
In particolare, si rileva quanto segue.
L’articolo 4 della legge regionale de qua, sotto la rubrica “Disposizioni urgenti per individuazione aree inidonee all'installazione di impianti da fonti rinnovabili", dispone che “Nelle more dell'individuazione in via amministrativa delle aree e dei siti inidonei all'installazione di specifici impianti da fonti rinnovabili, così come previsto dal D.M. 10 settembre 2010 (Linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti Rinnovabili), sono sospese le installazioni non ancora autorizzate di impianti di produzione di energia eolica di ogni tipologia, le grandi installazioni di fotovoltaico posizionato a terra e di impianti per il trattamento dei rifiuti, inclusi quelli soggetti ad edilizia libera, nelle zone agricole caratterizzate da produzioni agroalimentari di qualità (produzioni biologiche, produzioni D.O.P., I.G.P., S.T.G., D.O.C., D.O.C.G., produzioni tradizionali) e/o di particolare pregio rispetto al contesto paesaggistico-culturale, al fine di non compromettere o interferire negativamente con la valorizzazione delle tradizioni agroalimentari locali e del paesaggio rurale” (comma 1).
Il comma 2, del citato articolo 4, fissa, altresì, al 31 dicembre 2021 il termine entro il quale la Giunta regionale è tenuta a proporre al Consiglio regionale lo strumento di pianificazione di cui al comma 1. Il successivo comma 3, prevede, infine, che le sospensioni disposte ai sensi del comma 1 cessino qualora la Giunta non adempia a quanto stabilito al comma 2.
Attraverso l’anzidetta disposizione, il legislatore regionale risulta, dunque, aver stabilito una sospensione dei procedimenti autorizzativi per la costruzione ed esercizio di impianti alimentati da fonti rinnovabili ivi indicati (c.d. “moratoria”) sino all’adozione dello strumento di pianificazione teso alla individuazione delle aree inidonee all'installazione degli impianti medesimi e comunque sino al 31 dicembre 2021.
A tal riguardo, occorre in limine evidenziare che la disposizione in esame, nel disciplinare le procedure autorizzative per la costruzione ed esercizio di impianti alimentati da fonti rinnovabili, è da ritenersi, in quanto tale, riconducibile alla materia (attribuita alla potestà legislativa concorrente ex art. 117, comma 3 Cost.) “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia”, nel cui ambito i principi fondamentali sono dettati dal d.lgs. n. 387 del 2003 (recante “Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità”) e, in specie, nell’ambito previsionale di cui all’art. 12.
Detta norma. al comma 4, nel prevedere che l’autorizzazione alla costruzione ed esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili è rilasciata nell’ambito di un procedimento unico cui partecipano tutte le Amministrazioni interessate, svolto nel rispetto dei principi di semplificazione, dispone che “(…) il termine massimo per la conclusione del procedimento unico non può essere superiore a novanta giorni, al netto dei tempi previsti dall'articolo 26 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, per il provvedimento di valutazione di impatto ambientale”.
Ciò premesso, giova rilevare che l'indicazione del termine di conclusione del procedimento autorizzativo, di cui al citato art. 12, comma 4, assurge, secondo il costante orientamento della Corte Costituzionale, a principio fondamentale della materia, dettato dal legislatore statale a salvaguardia delle esigenze di semplificazione, celerità nonché di omogeneità sull’intero territorio nazionale ed è pertanto inderogabile da parte delle Regioni (Corte Cost. sentenza n. 189 del 2014).
Nel regolare, difatti, l’installazione di detti impianti attraverso un procedimento che si conclude con il rilascio di un’autorizzazione unica (commi 3 e 4), la citata norma interposta “reca un principio fondamentale vincolante per il legislatore regionale (sentenze n. 224 del 2012, n. 192 del 2011, n. 124 del 2010 e n. 282 del 2009), essendo, inoltre, «ispirata a canoni di semplificazione» ed, in quanto tale “finalizzata a rendere più rapida la costruzione degli impianti di produzione di energia alternativa» (Corte Cost. sentenza n. 344 del 2010).
La medesima natura di «principi fondamentali» è stata, inoltre, riconosciuta anche alle Linee guida previste dall’art. 12, comma 10, del decreto legislativo n. 387 del 2003 emanate con il decreto ministeriale 10 settembre 2010, per lo svolgimento del procedimento autorizzativo unico, in quanto esse costituiscono «necessaria integrazione delle previsioni contenute nell’art. 12» del medesimo decreto legislativo (Corte Cost. sentenza n. 275 del 2012) e la loro adozione «è informata al principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni» (Corte Cost. sentenza n. 308 del 2011).
Ebbene, l’art. 4 della l.r. in esame, nell’implicare la sospensione del rilascio delle autorizzazioni degli impianti a fonti rinnovabili nel territorio regionale, si traduce in un effetto di procrastinazione che contravviene al principio fondamentale espresso dall’art. 12, comma 4, del decreto legislativo n. 387 del 2003, con conseguente illegittimità per violazione dei limiti della competenza della Regione in materia di “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia”, ex art. 117, comma 3, Cost.
A tal riguardo giova richiamare la sentenza n. 364 del 2006 - la prima intervenuta sul tema – afferente la legge Regione Puglia 11 agosto 2005, n. 9, con la quale il Giudice delle leggi ha affermato, per i profili che qui rilevano:
“È illegittimo l'art. 1, c. 1, della L.R. 11 agosto 2005, n. 9, Puglia (Moratoria per le procedure di valutazione d'impatto ambientale e per le procedure autorizzative in materia di impianti di energia eolica). La suddetta legge regionale nel disciplinare le procedure autorizzative in materia di impianti di energia eolica, incide sulla materia "produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia" rientrante nella competenza legislativa concorrente delle regioni, ai sensi dell'art. 117, c. 3, Cost.
I principi fondamentali in materia si ricavano dalla legislazione statale e, attualmente, dal D.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità). (…). L'indicazione del termine, contenuto nell'art. 12, c. 4, deve qualificarsi quale principio fondamentale in materia di "produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia", in quanto tale disposizione risulta ispirata alle regole della semplificazione amministrativa e della celerità garantendo, in modo uniforme sull'intero territorio nazionale, la conclusione entro un termine definito del procedimento autorizzativo”.
Ad amplius, occorre aggiungere che il richiamato principio fondamentale sancito dall’art. 12, comma 4, del decreto legislativo n. 387 del 2003, attuativo dell’art. 13 della direttiva n. 2009/28/CE, secondo cui «[g]li Stati membri assicurano che le norme nazionali in materia di procedure di autorizzazione […] applicabili agli impianti […] per la produzione di elettricità […] a partire da fonti energetiche rinnovabili … siano proporzionate e necessarie. Gli Stati membri prendono in particolare le misure appropriate per assicurare che: […] c) le procedure amministrative siano semplificate e accelerate al livello amministrativo adeguato […]», risulta ora ripreso dall’art. 15 della direttiva 2018/2001/UE a tenore del quale gli Stati membri sono tenuti ad adottare misure appropriate per assicurare che siano previste procedure di autorizzazione semplificate e meno gravose per la produzione e lo stoccaggio di energia da fonti rinnovabili, con la conseguenza che la disposizione regionale qui censurata risulta collidere anche con detta disposizione sovranazionale e, suo tramite, con l’art. 117, primo comma, Cost. che impone alle Regioni di esercitare la potestà legislativa anche nel rispetto dei vincoli comunitari.
Si sottolinea , infine, l’ulteriore contrasto della disposizione regionale in esame, con gli artt. 97 e 41 della Costituzione, nella misura in cui la sospensione del potere autorizzativo relativo a un’attività non solo consentita, ma anche promossa e incentivata dall’ordinamento nazionale ed europeo, costituirebbe un grave ostacolo all’iniziativa economica nel campo della produzione energetica da fonti rinnovabili.
In tale contesto, si richiama la sentenza del 26 luglio 2018, n. 177, con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 15, comma 3, della legge Regione Campania n. 6/2016.
Nell’ambito della citata pronuncia la Corte, nel rilevare il contrasto della norma impugnata con l’art. 117, primo comma, Cost. - anche per il sostanziale contrasto con la prescrizione dell’art. 13 della direttiva 2009/28/CE - rileva, altresì, che «la normativa comunitaria promuove […] il maggiore ricorso all’energia da fonti rinnovabili, espressamente collegandolo alla necessità di ridurre le emissioni di gas ad effetto serra, e dunque anche al rispetto del protocollo di Kyoto della convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, in una prospettiva di modifica radicale della politica energetica dell’Unione. […]. In una diversa, non meno importante, direzione, la normativa comunitaria ha richiesto agli Stati membri di semplificare i procedimenti autorizzatori» (sentenza n. 275 del 2012).
Il percorso di regolamentazione settoriale a carattere eurounitario avviato dalla menzionata direttiva 2001/77/CE, cui è stata data attuazione con il decreto legislativo n. 387 del 2003, si è poi ulteriormente sviluppato ed ampliato attraverso la direttiva 2009/28/CE, sostitutiva della precedente, che ha ricevuto attuazione con il decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 (Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE).
L’anzidetta normativa europea, come strutturata, da un lato esige che la procedura amministrativa si ispiri a canoni di semplificazione e rapidità – esigenza cui risponde il procedimento di autorizzazione unica – e, dall’altro, richiede che in tale contesto confluiscano, per essere ponderati, gli interessi correlati alla tipologia di impianto, quale, nel caso di impianti energetici da fonte eolica, quello, potenzialmente confliggente, della tutela del territorio nella dimensione paesaggistica.
La sospensione disposta in via generale dalla disposizione censurata collide con le norme di principio della legge nazionale in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» e con le ricordate norme europee che, per i termini in cui sono formulate, mostrano chiaramente di non tollerare condizionamenti anche se giustificati da un’asserita esigenza di tutela dell’ambiente.
La moratoria prevista s’inserisce, dunque, in una cornice normativa interna e sovranazionale connotata dalla presenza degli evidenziati principi e criteri direttivi che impediscono l’arresto dei procedimenti autorizzatori in nome della salvaguardia di interessi ulteriori, i quali possono comunque trovare considerazione nel contesto procedimentale unificato, attraverso una concreta ponderazione della fattispecie in sede amministrativa.
Con la sospensione del rilascio di nuove autorizzazioni la Regione ha, pertanto, alterato il contesto normativo esistente al momento della presentazione della richiesta di autorizzazione unica, caratterizzato da una tempistica certa e celere, in coerenza con il particolare favor riconosciuto alle fonti energetiche rinnovabili dalla disciplina interna e sovranazionale.
Ne deriva che, sotto tale profilo, la norma in esame della Regione Abruzzo colpisce l’interesse del richiedente alla tempestiva disamina dell’istanza, che concorre a influenzare la relativa scelta di sfruttamento imprenditoriale, la cui posizione non consiste in un diritto al rilascio dell’autorizzazione, bensì in un interesse qualificato all’esame dell’istanza a legislazione vigente, secondo il procedimento valutativo integrato in precedenza descritto.
Per dette ragioni si evidenzia dunque la censura posta in riferimento all’art. 97 della Costituzione.
In merito alla disciplina degli impianti da fonte di energia rinnovabile, la stessa Corte Costituzionale ha evidenziato che «[è] nella sede procedimentale […] che può e deve avvenire la valutazione sincronica degli interessi pubblici coinvolti e meritevoli di tutela, a confronto sia con l’interesse del soggetto privato operatore economico, sia ancora (e non da ultimo) con ulteriori interessi di cui sono titolari singoli cittadini e comunità, e che trovano nei princìpi costituzionali la loro previsione e tutela. La struttura del procedimento amministrativo, infatti, rende possibili l’emersione di tali interessi, la loro adeguata prospettazione, nonché la pubblicità e la trasparenza della loro valutazione, in attuazione dei princìpi di cui all’art. 1 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi): efficacia, imparzialità, pubblicità e trasparenza. Viene in tal modo garantita, in primo luogo, l’imparzialità della scelta, alla stregua dell’art. 97 Cost., ma poi anche il perseguimento, nel modo più adeguato ed efficace, dell’interesse primario, in attuazione del principio del buon andamento dell’amministrazione, di cui allo stesso art. 97 Cost.» (Sentenza n. 69 del 2018).
La scelta della norma censurata, quindi, di sospendere il rilascio dell’autorizzazione unica non solo trascura completamente le istanze recate dalle normative europea e nazionale precedentemente richiamate, ma paralizza – seppur momentaneamente – la stessa sede in cui tutti gli interessi coinvolti debbono confluire per trovare adeguato contemperamento onde garantire il buon andamento dell’azione amministrativa.
Con riferimento, poi, al rilevato contrasto con l’art. 41 Cost., come dalla stessa Corte rilevato nella sentenza n. 177 del 2018, la norma regionale che si contesta, prevedendo la sospensione del rilascio di nuove autorizzazioni per impianti eolici, ha alterato il contesto normativo esistente al momento della presentazione della richiesta di autorizzazione unica, caratterizzato da una tempistica certa e celere, in coerenza con il particolare favor riconosciuto alle fonti energetiche rinnovabili dalla disciplina interna e sovranazionale.
Sotto tale profilo essa sacrifica l’interesse del richiedente alla tempestiva disamina dell’istanza, che concorre a influenzare la scelta di sfruttamento imprenditoriale. Occorre al riguardo precisare che la posizione del richiedente non consiste in un diritto al rilascio dell’autorizzazione, bensì in un interesse qualificato all’esame dell’istanza a legislazione vigente, secondo il procedimento valutativo integrato precedentemente descritto.
Dunque, «il legislatore regionale ha inserito una norma non coordinata, sotto il profilo […] temporale, con l’esigenza di concentrare [i] tempi […] degli accertamenti confluenti nell’autorizzazione finale. Il risultato di tale operazione non conforme al dettato costituzionale è quello di penalizzare, attraverso non ordinati “schermi burocratici” […] le strategie industriali di settore, che non possono prescindere dal fattore tempo» (sentenza n. 267 del 2016).
Né la moratoria può essere giustificata con diverso e qualificato interesse d’ordine generale poiché, alla luce di quanto in precedenza evidenziato, l’interesse alla tutela del territorio nella dimensione paesaggistica trova adeguata valorizzazione all’interno degli schemi procedimentali tipizzati dal legislatore competente.
Alla luce dei suesposti indirizzi interpretativi, sembra doversi concludere nel senso della illegittimità della disposizione censurata riguardo ai parametri evocati, atteso che la ivi disposta moratoria non appare giustificabile in considerazione della circostanza che siffatti impianti siano da ubicarsi in zone agricole caratterizzate da produzioni agro-alimentari di qualità (produzioni biologiche, produzioni D.O.P., I.G.P., S.T.G., D.O.C., D.O.C.G., produzioni tradizionali) e/o di particolare pregio rispetto al contesto paesaggistico-culturale.
Al riguardo è sufficiente osservare che la destinazione agricola di un’area non costituisce, in linea generale ed aprioristica, elemento ostativo all’installazione di impianti a fonti rinnovabili, richiamandosi in tal senso l'art. 12, comma 7 del più volte menzionato decreto legislativo n. 387 del 2003 prevedente, appunto, che " gli impianti di produzione di energia elettrica, di cui all'articolo 2, comma 1, lettere b) e c), possono essere ubicati anche in zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici. Nell'ubicazione si dovrà tenere conto delle disposizioni in materia di sostegno nel settore agricolo, con particolare riferimento alla valorizzazione delle tradizioni agroalimentari locali, alla tutela della biodiversità, così come del patrimonio culturale e del paesaggio rurale (…)".
Come a tal riguardo precisato dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato "Appare evidente come il legislatore, nel rendere possibile l'ubicazione di impianti di produzione di energia anche in zone classificate agricole, non intende consentire, in via generalizzata, la possibilità di ubicare impianti, per così dire "a discrezione del privato", derogando alle destinazioni impresse al territorio dagli strumenti urbanistici. La disposizione in esame, infatti, contiene una "possibilità", offerta alla Regione in sede di rilascio di autorizzazione unica regionale di consentire l'ubicazione anche in zone classificate agricole dagli strumenti urbanistici regionali, ed a tal fine indica alla medesima Regione una serie di elementi dei quali la stessa deve tener conto, laddove intenda determinarsi a tale scelta. In definitiva, l'art. 12, co. 7 non prevede affatto una immediata possibilità di deroga alla zonizzazione comunale, ma si limita a non impedire che ciò possa avvenire qualora – nel bilanciamento degli interessi pubblici presenti e tenuto conto degli elementi indicati dal legislatore - si ritenga che la ubicazione in zona agricola risulti ragionevole ed opportuna". (cfr. Sez. IV, sent. 22/03/2017, n. 1298).
Quanto precede, trova, altresì, puntuale conferma nell’ambito delle anzidette Linee guida nazionali per l’autorizzazione degli impianti in esame, approvate con DM 10 settembre 2010, che, al paragrafo 17 (“Aree non idonee”), dispongono che le Regioni possano individuare “aree e siti non idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti”, secondo le modalità di cui al presente punto e sulla base dei criteri di cui all'Allegato 3.
L'individuazione della non idoneità dell'area è operata dalle Regioni attraverso un'apposita istruttoria avente ad oggetto la ricognizione delle disposizioni volte alla tutela dell'ambiente, del paesaggio, del patrimonio storico e artistico, delle tradizioni agroalimentari locali, della biodiversità e del paesaggio rurale, che identificano obiettivi di protezione non compatibili con l'insediamento, in determinate aree, di specifiche tipologie e/o dimensioni di impianti, i quali determinerebbero, pertanto, un’elevata probabilità di esito negativo delle valutazioni, in sede di autorizzazione.
Occorre, infine, porre in rilievo che, sulla base di quanto disposto dal citato Allegato 3 (“Criteri per l'individuazione di aree non idonee, lett. c): “ai sensi dell'articolo 12, comma 7, le zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici non possono essere genericamente considerate aree e siti non idonei”.
Per i motivi esposti, si propone, limitatamente all’articolo 4, l’impugnativa della legge regionale ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione
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