Dettaglio Legge Regionale

Ulteriori disposizioni urgenti in vari settori d'intervento della Regione Basilicata (13-3-2019)
Basilicata
Legge n.4 del 13-3-2019
n.12 del 14-3-2019
Politiche infrastrutturali
8-5-2019 / Impugnata
La legge regionale detta numerose disposizioni in vari settori di intervento. Essa, per i motivi di seguito specificati, eccede dalle competenze regionali con riferimento alle norme sotto elencate, che risultano violare le competenze esclusive statali in materia di ordine pubblico e sicurezza, ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato, tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, di cui all’articolo 117, secondo comma lettere g) h) e s) della Costituzione, oltre a presentarsi in contrasto con norme statali che costituiscono principi fondamentali in materia di tutela della salute e produzione trasporto di energia, in violazione del terzo comma dell’articolo 117 della Costituzione.
In particolare :
1. La norma contenuta nell’articolo 2, comma 7, modifica l’articolo 28, comma 2 della l.r. n. 2/1995, come modificato dall’articolo 13, comma 2 della l.r. n. 37/2018, in materia di controllo della fauna selvatica. La previgente normativa prevedeva che la Regione, per la realizzazione dei piani di abbattimento dei cinghiali, potesse avvalersi "dei proprietari o dei conduttori dei fondi nei quali si attuano i piani di abbattimento, delle guardie forestali e del personale di vigilanza dei comuni nonché delle guardie di cui all'art. 45, purché i soggetti in questione siano in possesso della licenza di caccia "
Con l'articolo 2, comma 7, della legge in esame viene riformulata la sopra descritta statuizione a seguito dell'assorbimento del Corpo Forestale dello Stato nell'Arma dei Carabinieri, prevedendo che "tali piani sono attuati dal corpo di Polizia provinciale che potrà avvalersi di personale dell'Arma dei Carabinieri Forestali e della polizia locale purché munito di licenza per l'esercizio venatorio ".
Tale previsione finisce per porre il personale specializzato dell'Arma dei Carabinieri nel settore del patrimonio agro - forestale in posizione servente rispetto alla polizia provinciale che potrebbe impiegarlo per l'attuazione dei piani predisposti dalla Regione.
La disposizione regionale, pertanto, così come formulata, determina uno sconfinamento nella materia "ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali" che l'art. 117, comma 2 lett. g) della Costituzione, riserva alla potestà legislativa esclusiva dello Stato, in quanto pone il personale di una Forza di Polizia, per definizione statuale, al servizio della polizia provinciale per il perseguimento di obiettivi individuati dalla Regione.
Come affermato dalla Corte Costituzionale, infatti, le Regioni non possono porre a carico di organi e amministrazioni dello Stato compiti ulteriori rispetto a quelli individuati con legge statale e non possono disciplinare unilateralmente, nemmeno nell'esercizio della loro potestà legislativa, forme di collaborazione e di coordinamento che coinvolgono attribuzioni di organi statali (sent. n. 134 del 2004).

2. La norma contenuta nell’articolo 5 sotto la rubrica "disposizioni sulla gestione dei fanghi di depurazione", al comma 1 stabilisce che: "Sul territorio della Regione Basilicata, nelle more di una revisione organica della normativa di settore, ai fini dell'utilizzo in agricoltura dei fanghi di cui all'art. 2 comma 1, lettera a) del D. Lgs. 27 gennaio 1992, n. 99 vigono i limiti dell'Allegato 113 del predetto decreto nonché, per la concentrazione di idrocarburi e fenoli, i valori limite sanciti dalla Tabella 1, all. 5, Titolo V parte IV del D.Lgs. 3 aprile 2006 n. 152”.
La norma nella sua attuale formulazione, ai fini dello spandimento dei fanghi di depurazione delle acque reflue in agricoltura, prevede, dunque non soltanto il rispetto dei limiti di concentrazione dei metalli pesanti e degli altri parametri previsti dal vigente decreto legislativo 27 gennaio 1992, n . 99, ma introduce, per la concentrazione degli idrocarburi e dei fenoli, il rispetto dei valori limite di C.S.C. (concentrazione soglia di contaminazione) nel suolo e nel sottosuolo stabiliti nella Tabella I, allegato 5, Titolo V, parte IV del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, (valori) che non risultano in linea con quelli tipici di idrocarburi riscontrati nei fanghi di depurazione, essendo quelli tabellarmente previsti dal citato decreto legislativo n. 152 del 2006 molto più restrittivi poiché destinati alle verifiche analitiche di esame del suolo per la specifica destinazione d'uso dei siti da bonificare (a seconda che si tratti di siti ad uso verde pubblico, privato e residenziale ovvero di siti ad uso commerciale e industriale) e non dei prodotti/rifiuti da spandere sui terreni agricoli.
A tal riguardo si evidenzia che il decreto legge 28 settembre 2018, n. 109, recante "disposizioni urgenti per la città di Genova, la sicurezza della rete nazionale delle infrastrutture e dei trasporti, gli eventi sismici del 2016 e 2017, il lavoro e le altre emergenze" modificato e convertito con la legge 16 novembre 2018, n. 130, all'articolo 41, sotto la rubrica "Disposizioni urgenti sulla gestione dei fanghi di depurazione", ha previsto specifiche disposizioni per taluni analiti non previsti nel decreto legge n. 99/1992 tra cui proprio gli idrocarburi, introducendo un valore limite di 1000 mg/kg di sostanza secca per gli idrocarburi CI 0-C40, corrispondente a quanto indicato nella classificazione comunitaria dei rifiuti come limite massimo per la determinazione dei rifiuti pericolosi.
La predetta disposizione regionale, pertanto, nell'introdurre il rispetto dei più restrittivi valori limite per gli idrocarburi e per i fenoli, come previsti per il suolo e per il sottosuolo dei sui da sottoporre a bonifica, oltre a porsi in conflitto con il parametro interposto statale costituito dal suddetto articolo 41 del decreto legge n. 109 del 2018 che ha stabilito i valore limite da assumere per gli idrocarburi e per altri composti (IPA, PCB, Diossine e Furani, Selenio, Toluene), determina , altresì, l'obbligo di dover conferire in discarica o presso gli impianti di incenerimento/co incenerimento i fanghi di depurazione delle acque reflue vista l'impossibilità del recupero in agricoltura, con conseguenti aggravi sulla filiera gestionale del rifiuto stesso.
Alla luce di quanto fin qui rappresentato e del quadro normativo eurounitario e statale, la legge regionale in argomento risulta in contrasto con il parametro costituzionale di cui al secondo comma, lettera s), dell'art. 117 Cost., in quanto essa interviene in una materia, quella della «tutela dell'ambiente e dell'ecosistema», attribuita in via esclusiva alla competenza legislativa dello Stato (ex multis, Corte Cost., sentenze n. 54 del 2012, n. 244 e n. 33 del 2011, n. 331 e n. 278 del 2010, n. 61 e n. 10 del 2009), nella quale rientra la disciplina della gestione dci rifiuti (Corte Cost., sentenza n. 249 del 2009, infra citata), anche quando interferisca con altri interessi e competenze, di modo che deve intendersi riservato allo Stato il potere di fissare livelli di tutela uniforme sull'intero territorio nazionale, ferma restando la competenza delle Regioni alla cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali (tra le molte, sentenze n. 67 del 2014, n. 285 del 2013, n. 54 del 2012, n. 244 del 2011, n. 225 en. 164 dei 2009 en. 437 del 2008).
Tale disciplina, «in quanto appunto rientrante principalmente nella tutela dell'ambiente, e dunque in una materia che, per la molteplicità dei settori di intervento, assume una struttura complessa, riveste un carattere di pervasività rispetto anche alle attribuzioni regionali» (sentenza n. 249 del 2009), con la conseguenza che, avendo riguardo alle diverse fasi e attività di gestione del ciclo dei rifiuti e agli ambiti materiali ad esse connessi, la disciplina statale «costituisce, anche in attuazione degli obblighi comunitari, un livello di tutela uniforme e si impone sull'intero territorio nazionale, come un limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in altre materie di loro competenza, per evitare che esse deroghino al livello di tutela ambientale stabilito dallo Stato, ovvero lo peggiorino» (sentenze n. 58 del 2015, n. 314 del 2009, n. 62 del 2008 e n. 378 del 2007).

3. La norma contenuta nell’articolo 8 , rubricato "processi di controllo del territorio", prevede che la Regione utilizzi il Fondo Unico Autonomie Locali, di cui alla legge regionale 19 settembre 2018, n. 23 , "al fine di migliorare i processi di controllo del territorio e fornire maggiore sicurezza ai cittadini lucani”. Proseguendo, prevede, inoltre, che i comuni interessati da significativi e ricorrenti episodi di attentati alla proprietà privata possano avvalersi dei fondi sopra menzionati finalizzati a forme di vigilanza del territorio , stipulando a tal fine apposite convenzioni con le imprese di privata vigilanza. Dal punto di vista semantico, la locuzione "controllo del territorio" evoca chiaramente l'attività di prevenzione dei reati immanente alla funzione di pubblica sicurezza, quale attività, riservata allo Stato, primariamente diretta a tutelare beni fondamentali, come l'integrità fisica o psichica delle persone, la sicurezza di possessi ed ogni altro bene che assume prioritaria importanza per l'esistenza stessa dell'ordinamento (sent. n. 407 del 2002).
Ed invero, ai sensi dell'art. 17 della legge 128 del 2001 è il Ministro dell'Interno, Autorità nazionale di pubblica sicurezza, che impartisce le direttive per la realizzazione a livello provinciale dei piani coordinati di controllo del territorio, attuati, in via prioritaria, dalle due Forze di polizia a competenza generale, Polizia di Stato e Arma dei Carabinieri, sotto il coordinamento dell'Autorità di pubblica sicurezza ed ai quali la polizia locale è chiamata a concorrere nell'ambito delle proprie competenze. Ferma restando la competenza esclusiva, dello Stato nella materia dell'ordine e della sicurezza pubblica, il legislatore, in attuazione del dispositivo di cui all'art. 118, comma 3, della Costituzione, con il decreto legge 20 febbraio 2017 n. 14 (legge di conversione 18 aprile 2017, n. 48) ha: introdotto misure volte alla realizzazione di un efficace coordinamento di azioni integrate dello Stato, delle Regioni, delle Province Autonome di Trento e Bolzano, degli enti locali e di altri soggetti istituzionali, al fine di concorrere, ciascuno nelle proprie competenze e le proprie responsabilità, all'attuazione di un sistema unitario e integrato di sicurezza per il benessere delle comunità locali e per contrastare il degrado delle aree urbane.
A tale scopo, il legislatore nazionale ha individuato quali piani d'intervento la sicurezza integrata e la sicurezza urbana, definendo gli enti e i modelli nel solco dei quali si sviluppa la cooperazione tra i soggetti coinvolti a vario titolo nella gestione della sicurezza in senso lato.
Alla luce del quadro normativo delineato, la formulazione dell'articolo 8 della legge regionale in esame eccede dalle competenze conferite alle Regioni nell'ottica di una sicurezza integrata, sconfinando nella materia della tutela della sicurezza in senso stretto, di esclusiva competenza dello Stato.
Inoltre, risulta equivoco il riferimento alle convenzioni che i Comuni possono stipulare con le imprese private di vigilanza per le finalità in questione. Com'è noto, infatti, la competenza degli istituti di vigilanza privata si risolve esclusivamente nella sorveglianza passiva di beni mobili e immobili, ma non già di persone, essendo la tutela di quest'ultime compito solo ed esclusivo delle Forze di Polizia dello Stato.
Pertanto, la citata disposizione, nell'attuale formulazione, si pone in contrasto con il dettato costituzionale che, all'articolo 117, comma 2 lett h), riserva alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la materia dell'ordine pubblico e sicurezza, della quale il controllo del territorio è espressione, generando interferenze potenziali con la disciplina statale della prevenzione e repressone dei reati (sent. n. 325 del 2011).

4. Gli artt. 9 e 10, rispettivamente dettano modifiche al paragrafo 1.2.1.4. dell'Appendice A del P.I.E.A.R. approvato con legge regionale 19 gennaio 2010, n. 1 e all'art. 38 della legge regionale 22 novembre 2018, n. 38. Esse , dunque, modificando la precedente disciplina, pongono condizioni relative alla distanza degli aerogeneratori dalle abitazioni e dalle strade. Tali disposizioni presentano profili di incostituzionalità, in riferimento all'art. 117, comma 3, Cost, per contrasto con l'art. 12, comma 10, del d.lgs. n. 387 del 2003, e con il paragrafo 1.2. delle Linee guida nazionali per l'autorizzazione degli impianti a fonte rinnovabile (DM 10 settembre 2010) che rinvia al paragrafo 17 per le modalità di individuazione delle aree non idonee. Sul punto, si ricorda che una normativa analoga sulle distanze minime degli aerogeneratori è già stata esaminata dalla Corte Costituzionale che, con le sentenze n. 13 del 2014 e n. . 69 del 2018, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di leggi regionali recanti condizioni sulle distanze per violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost.
In particolare, nella sentenza n. 69/2018, la Corte costituzionale ha osservato che alle Regioni è consentito soltanto individuare, caso per caso, «aree e siti non idonei», avendo specifico riguardo alle diverse fonti e alle diverse taglie di impianto, in via di eccezione e solo qualora ciò sia necessario per proteggere interessi costituzionalmente rilevanti. Il margine di intervento riconosciuto al legislatore regionale non permette invece che le Regioni prescrivano limiti generali, specie nella forma di distanze minime, perché ciò contrasterebbe con il principio fondamentale di massima diffusione delle fonti di energia rinnovabili, stabilito dal legislatore statale in conformità alla normativa dell'Unione europea.
Inoltre, già con la sentenza n. 308 del 2011, la Corte Costituzionale aveva sancito l'illegittimità costituzionale di disposizioni che prevedevano un divieto arbitrario, generalizzato e indiscriminato di localizzazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili; con la citata sentenza n. 69/2018, la Corte ha richiamato la pronuncia del 2011, osservando che i princìpi ivi indicati vanno ribaditi, nel senso che: "il principio di derivazione comunitaria della massima diffusione degli impianti di energia a fonte rinnovabile può trovare eccezione in presenza di esigenze di tutela della salute, paesaggistico-ambientale e dell'assetto urbanistico del territorio (sentenze n. 13 del 2014 e 224 del 2012), ma la compresenza dei diversi interessi coinvolti, tutti costituzionalmente rilevanti, ha come luogo elettivo di composizione il procedimento amministrativo, come previsto al paragrafo 17.1. dalle Linee guida, secondo cui «[...] l'individuazione della non idoneità dell'area è operata dalle Regioni attraverso un'apposita istruttoria avente ad oggetto la ricognizione delle disposizioni volte alla tutela dell'ambiente, del paesaggio, del patrimonio storico e artistico, delle tradizioni agroalimentari locali, della biodiversità e del paesaggio rurale che identificano obiettivi di protezione non compatibili con l'insediamento, in determinate aree, di specifiche tipologie e/o dimensioni di impianti, i quali determinerebbero, pertanto, una elevata probabilità di esito negativo delle valutazioni, in sede di autorizzazione (…) ».
E nella sede procedimentale, dunque, che può e deve avvenire la valutazione sincronica degli interessi pubblici coinvolti e meritevoli di tutela, a confronto sia con l'interesse del soggetto privato operatore economico, sia ancora (e non da ultimo) con ulteriori interessi di cui sono titolari singoli cittadini e comunità, e che trovano nei princìpi costituzionali la loro previsione e tutela. La struttura del procedimento amministrativo, infatti, rende possibili l'emersione ditali interessi, la loro adeguata prospettazione, nonché la pubblicità e la trasparenza della loro valutazione, in attuazione dei principi di cui all'art. 1 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi): efficacia, imparzialità, pubblicità e trasparenza. Viene in tal modo garantita, in primo luogo, l'imparzialità della scelta, alla stregua dell'art. 97 Cost., ma poi anche il perseguimento, nel modo più adeguato ed efficace, dell'interesse primario, in attuazione del principio del buon andamento dell'amministrazione, di cui allo stesso art. 97 Cost.
In definitiva viene in tal modo garantito il rispetto del principio di legalità - anch'esso desumibile dall'art. 97 Cost. - in senso non solo formale, come attribuzione normativa del potere, ma anche sostanziale, come esercizio del potere in modo coerente con la fonte normativa di attribuzione. Difatti, a chiusura del sistema, vi è la possibilità di sottoporre le scelte compiute e le relative modalità di adozione al vaglio giurisdizionale.".
Alla luce di quanto stabilito dalla Corte Costituzionale, la soluzione legislativa adottata dalla Regione Basilicata, nello stabilire in via generale, senza istruttoria e valutazione in concreto nella sede procedimentale dei siti di localizzazione, distanze minime per la collocazione degli impianti non previste dalla disciplina statale, non garantisce il rispetto di questi princìpi fondamentali e non permette un'adeguata tutela dei molteplici e rilevanti interessi coinvolti.
Né a diversa soluzione porta la circostanza che le Linee Guida nazionali di cui al DM 10 settembre 2010, all'allegato 4 (Impianti eolici: elementi per il corretto inserimento nel paesaggio e sul territorio) prevedono in qualche caso le distanze poiché si tratta di possibili misure di mitigazione dell'impatto ambientale e non di condizioni perentorie. In conclusione, la materia delle distanze non è contemplata nella normativa statale, se non nei limiti e nei termini contenuti nelle succitate Linee guida, come enucleati dalla Corte Costituzionale e che la medesima Corte ritiene assurgano, in settori squisitamente tecnici, seppur integranti norme di natura regolamentare, al rango di normativa interposta, cui è affidato il compito di individuare appunto le specifiche caratteristiche della fattispecie tecnica che, proprio perché frutto di conoscenze periferiche o addirittura estranee a quelle di carattere giuridico (le quali necessitano di applicazione uniforme in tutto il territorio nazionale), mal si conciliano con il diretto contenuto di un atto legislativo (cfr. Corte Cost., sent. n. 11 del 2014).
Le disposizioni regionali, dunque, presentano profili di incostituzionalità, in riferimento all'art. 117, comma 3, Cost, per contrasto con l'art. 12, comma 10, del d.lgs. n. 387 del 2003, e con il paragrafo 1.2. delle Linee guida nazionali per l'autorizzazione degli impianti a fonte rinnovabile (DM 10 settembre 2010) che rinvia al paragrafo 17 per le modalità di individuazione delle aree non idonee.

5. L'art. 12, sotto la rubrica “ Modifiche all’art. 3 bis della L.R. 26 aprile 2012, n. 8 e s.m.i.”, dopo il comma 1 dell’art. 3 bis della legge regionale 26 aprile 2012, n. 8 introdotto dall’art. 34 della legge regionale 22 novembre 2018 aggiunge il seguente comma:
“1 bis. Il termine di 90 giorni previsto al comma 1 per la presentazione della documentazione prescritta dall’Appendice A del P.I.E.A.R. per il rilascio dell’autorizzazione regionale di cui all’art. 12 del D. Lgs. n. 387/2003 può essere prorogato per motivi indipendenti dalla volontà dell’istante, su richiesta di parte, per un periodo massimo di 60 giorni.”.
La norma dunque stabilisce la proroga di massimo 60 giorni del termine per la presentazione della documentazione prevista dal Piano energetico regionale (PIEAR) ai fini dell'autorizzazione regionale di cui all’art. 12 del D. Lgs. n. 387/2003. Tale proroga può essere riconosciuta, su istanza dell’interessato, solo quando il ritardo è dovuto a motivi indipendenti dalla volontà di quest’ultimo.
Suddetta previsione, per quel che concerne i progetti assoggettati a valutazione di impatto ambientale (VIA), non risulta conforme con il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, che all’art. 27 bis, introdotto dall'art. 16, comma 2, del decreto legislativo 16 giugno 2017, n. 104, rubricato “Provvedimento autorizzatorio unico regionale”, prevede al comma 5 che “Su richiesta motivata del proponente l’autorità competente può concedere, per una sola volta, la sospensione dei termini per la presentazione della documentazione integrativa per un periodo non superiore a centottanta giorni.” La previsione regionale così formulata, oltre che porsi in contrasto con il suddetto parametro statale interposto, va contro l’esigenza di uniformità normativa sul territorio nazionale, in aperta antitesi con il parametro di ragionevolezza della legislazione desumibile dall’articolo 3 Cost nonché con il principio di buon andamento dell’amministrazione sancito dall’articolo 97, Cost. in quanto, stabilendo un ulteriore termine di proroga del procedimento ne dilata la relativa durata per motivi indipendenti dalla volontà dell’istante, su richiesta di parte, in assenza di logica ed esplicitata base motivazionale aggravando in modo arbitrario il procedimento autorizzativo, così confliggendo con i canoni di efficacia, efficienza ed economicità che devono presiedere all’esercizio dell’azione amministrativa. Inoltre, la norma regionale de qua è da ritenersi in contrasto con il parametro costituzionale di cui al secondo comma, lettera s), dell'art. 117 Cost., in quanto essa interviene in una materia, quella della «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema», attribuita in via esclusiva alla competenza legislativa dello Stato (ex multis, Corte Cost., sentenze n. 54 del 2012, n. 244 e n. 33 del 2011, n. 331 e n. 278 del 2010, n. 61 e n. 10 del 2009), nella quale rientra la disciplina della VIA, in seno alla quale deve intendersi riservato allo Stato il potere di fissare, anche in attuazione degli obblighi comunitari, livelli di tutela uniforme sull’intero territorio nazionale, imponendosi come un limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in altre materie di loro competenza, per evitare che esse deroghino al livello di tutela ambientale stabilito dallo Stato, ovvero lo peggiorino. L’articolo 12 della legge regionale dunque viola gli articoli 3, 97 e 117, secondo comma, lett. s) Cost., in riferimento ai parametri statali interposti dianzi citati.

6. L'art. 13, comma 1, detta modifiche all'art. 11 della L.R. 26 aprile 2012, n. 8, ponendo ulteriori condizioni per gli impianti a fonti rinnovabili di potenza nominale non superiore a 200 kW affinché gli stessi non concorrano al raggiungimento delle potenze installabili di cui alla parte III, paragrafo 1.2.3. tabella 1-4 del PIEAR. Le ulteriori condizioni, attraverso una serie di rinvii, risultano essere quelle di cui all'art. 32 della legge regionale n. 38 del 2018 (che ha modificato l'art. 6 della legge regionale n. 8/2012). Tale disposizione va esaminata insieme a quella di cui al comma 3 che prevede: "Nelle more della adozione della nuova pianificazione energetica ambientale della Regione, ai fini del rilascio delle autorizzazioni di cui all'art. 12 del D. Lgs. n. 38712003 i limiti massimi della produzione di energia da fonte rinnovabile stabiliti dalla Tab. 1" - 4 del vigente P.IE.A.R. approvato con L.R. n. 1 del 19 gennaio 2010 sono aumentati per singola fonte rinnovabile in misura non superiore a 2 volte l'obiettivo stabilito per la fonte eolica e per la fonte solare di conversione fotovoltaica e termodinamica e in misura non superiore a 1,5 volte gli obiettivi stabiliti per le altre fonti rinnovabili in essa previste.".
La normativa appena riportata diminuisce la quantità degli impianti da calcolare per verificare il rispetto dei limiti di potenza elettrica installabile in relazione alle diverse tipologie di fonte rinnovabile (comma 1) e, in via transitoria, stabilisce l'aumento della potenza installabile, differenziato sempre in base alla tipologia di fonte rinnovabile (comma 3).
In particolare , per quanto concerne il comma 1, il rinvio alle condizioni di cui al citato art. 32 della legge regionale n. 38 del 2018 (rectius, art. 6 legge n. 8 del 2012) comporta la riproposizione delle osservazioni di incostituzionalità dello stesso art. 32, già impugnato dal Governo nello scorso mese di gennaio 2019. Detto articolo 32 della l.r. n. 38/2018 infatti ha previsto l'indicazione di una distanza minima tra un impianto FER - fonti di energia rinnovabili - e un altro, non prevista in alcuna norma di rango statale e quindi in contrasto con l'articolo 117, comma 3, della Costituzione, in relazione alla materia oggetto di potestà legislativa concorrente «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia», con riferimento al parametro interposto statale costituito dall'articolo 12, comma 10, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità), e con il paragrafo 1.2 e 17.1 delle discendenti Linee guida nazionali approvate con decreto del Ministero dello sviluppo economico del 10 settembre 2010 (Linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili), recanti specifici indirizzi in merito alla individuazione delle aree non idonee.
Nei confronti della medesima norma regionale , inoltre, è stato eccepito che introduzione dell’ulteriore condizione della “disponibilità di un suolo la cui estensione sia pari o superiore a 3 volte la superficie del generatore fotovoltaico, sul quale non potrà essere realizzato altro impianto di produzione di energia da qualunque tipo di fonte rinnovabile” contrasta con l’art. 12 del D.Lgs. 29 dicembre 2003, n. 387 che per l’autorizzazione unica (cioè per un regime abilitativo più complesso) prevede al comma 4 bis “la disponibilità del suolo su cui realizzare l’impianto”. Si era dunque evidenziata la violazione di un principio fondamentale della materia, ineludibile dalle Regione con un aggravamento ingiustificato degli oneri a carico dell’operatore anche sotto il profilo del divieto di altre iniziative nell’area, per contrasto con l’art. 12, comma 10, del d.lgs. n. 387 del 2003, e del paragrafo 1.2. delle Linee guida nazionali per l’autorizzazione degli impianti a fonte rinnovabile (DM 10 settembre 2010) che rinvia al paragrafo 17 per le modalità di individuazione delle aree non idonee, rilevandosi altresì il contrasto con l’art. 41 Cost sulla libertà di iniziativa economica privata e dell’art. 117, comma primo, Cost. (cfr art 1 del d. lgs. 79/1999 che sancisce, in attuazione della direttiva 96/92/CE, la liberalizzazione del mercato elettrico, ivi compresa dell’attività di produzione di energia elettrica).
In relazione al comma 3 dell’articolo 13 della legge regionale in esame, che aggiunge un comma 7 all’articolo 11 dellal.r. n. 8/2012, stabilendo , come detto, che “7. Nelle more della adozione della nuova pianificazione energetica ambientale della Regione, ai fini del rilascio delle autorizzazioni di cui all'art. 12 del D.Lgs. n. 387/2003 i limiti massimi della produzione di energia da fonte rinnovabile stabiliti dalla Tab. 1" - 4 del vigente P.I.E.A.R. approvato con L.R. n. 1 del 19 gennaio 2010 sono aumentati per singola fonte rinnovabile in misura non superiore a 2 volte l'obiettivo stabilito per la fonte eolica e per la fonte solare di conversione fotovoltaica e termodinamica e in misura non superiore a 1,5 volte gli obiettivi stabiliti per le altre fonti rinnovabili in essa previste “, si rappresenta che nel nostro ordinamento non vi è un principio di regionalizzazione per la produzione e consumo di energia. Secondo quanto disposto dall'art. 1, comma 1, del d.lgs. 79/1999, la produzione di energia elettrica (da qualunque fonte) è attività libera e non è pertanto condizionata dall'entità dei consumi in ambito regionale. Le linee guida statali, in coerenza con tale principio, prevedono che l'eventuale superamento di limitazioni programmatiche contenute nel Piano energetico regionale o delle quote minime di incremento dell'energia elettrica da FER non preclude comunque l'avvio e la conclusione favorevole del procedimento di rilascio dell'autorizzazione unica (par. 14.5). Il riferimento alle quote minime di incremento di energia da FER è stato introdotto nelle linee guida in relazione all'obiettivo nazionale del 17% di consumo finale lordo da FER al 2020, stabilito dalla direttiva europea 2009/28/CE (sulla promozione delle fonti rinnovabili). In base al d. lgs. 28 del 2011 è stato emanato il DM 15 marzo 2012 (cd. Burden Sharing) che ha ripartito detto obiettivo fra le Regioni, in considerazione del loro potenziale tecnico-economico e delle disponibilità di risorse energetiche locali. Le Regioni perseguono i rispettivi obiettivi con l'utilizzo di FER ed interventi di efficienza energetica, la cui combinazione è rimessa alla loro discrezionalità. Sebbene la Regione Basilicata sia in linea con la traiettoria intermedia degli obiettivi fissati dal Burden Sharing, va osservato che la fissazione di tetti di produzione di energia elettrica non deve in ogni caso rappresentare un ostacolo o la compressione della libertà di iniziativa economica in materia di produzione di energia elettrica di cui al citato art. 1, comma 1, del d.lgs. 79/1999, che è di derivazione comunitaria (direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica). Deve allora risultare chiaramente che i predetti limiti massimi di produzione per le singole fonti, che le Regioni possono fissare, non inibiscono l'avvio e la conclusione favorevole del procedimento di rilascio dell'autorizzazione unica o di altri titoli abilitativi.
In caso contrario, potrebbe configurarsi una moratoria ad libitum con violazione del termine perentorio di 90 giorni previsto dal comma 4 dell'art. 12, d. lgs. 387/2003, riconosciuto pacificamente dalla Corte Costituzionale come principio fondamentale della materia (Corte Cost. n. 364 del 2006, n. 282/2009, n. 124/2010) e riservato pertanto alla competenza legislativa statale (art. 117, comma 3, Cost). Inoltre, si profilerebbe la violazione dell'art. 117, comma 1, Cost. (che impone la conformità della legislazione regionale all'ordinamento comunitario e agli obblighi internazionali, tra cui si segnalano, in particolare, quelli assunti dall'Italia e conseguenti alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, ratificato con legge 18 giugno 2002, n. 120, c.d. protocollo di Kyoto). E' noto infatti il favor accordato alle fonti rinnovabili dagli accordi internazionali e dalle direttive comunitarie in materia (direttive 2001/77/CE e 2009/28/CE, attuate nell'ordinamento italiano, rispettivamente, con i d. lgs. n. 387/2003 e n. 28/2011). Al riguardo, è appena il caso di ricordare che con la recente direttiva 2018/2001 dell'11 dicembre 2018 sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili sono stati posti nuovi e più sfidanti obiettivi al 2030 e che l'Italia, con la proposta del Piano per l'energia e il Clima (inviata alla Commissione Europea a fine dicembre 2018), si è impegnata a raggiungere il 30% dei consumi di energia da fonte rinnovabile sul totale dei consumi energetici.

7. La disposizione contenuta nell’articolo 27 ( in origine art. 28, poi così rinumerato a seguito dell’ avviso di rettifica pubblicato sul BUR regionale n. 14 del 21 marzo 2019), riguardante le strutture socio sanitarie, autorizza la prosecuzione dei contratti già in essere con i gestori delle Strutture socio-sanitarie e dei servizi socio-assistenziali, socio-educativi e socio-sanitari già autorizzate, nelle more del perfezionamento dell’iter procedurale in materia di autorizzazione di cui alla D.G.R. n. 424 del 17 maggio 2018.
La norma , non contenendo alcun riferimento all’accreditamento istituzionale di cui all’art. 8-quater del d.lgs. n. 502/1992 e s.m.i., che costituisce la condizione necessaria per poter stipulare gli accordi contrattuali previsti dall’art. 8-quinquies del medesimo decreto, si pone in contrasto con le stesse norme del d.lgs. n. 502/1992 e s.m.i, che costituiscono principi fondamentali in materia di tutela della salute, così come espressamente previsto dall’art. 19, comma 1, dello stesso d.lgs. n. 502 del 1992 e più volte riconosciuto dalla Corte costituzionale (cfr. ex multis sentenze nn. 262 e 292 del 2012; sentenza n. 59 del 2015). La disposizione risulta dunque violare l’articolo 117, terzo comma della Costituzione.

Per i motivi sopra descritti la legge regionale, limitatamente alle disposizioni sopra indicate, deve essere impugnata ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione.

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