Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per raccogliere statistiche in forma aggregata e consentire l'accesso a media esterni.
Se non acconsenti all'utilizzo dei cookie di terze parti, alcuni contenuti potrebbero non essere disponibili.
Per maggiori informazioni consulta la privacy policy. Acconsenti all'utilizzo di cookie di terze parti?
Testo unico in materia di legalità, regolarità amministrativa e sicurezza. (28-3-2019)
Puglia
Legge n.14 del 28-3-2019
n.36 del 1-4-2019
Politiche socio sanitarie e culturali
20-5-2019 /
Impugnata
La legge regionale n. 14/2019, recante: “Testo unico in materia di legalità, regolarità amministrativa e sicurezza.”, presenta i seguenti profili d’illegittimità costituzionale.
1. Varie norme della legge varata dalla Regione Puglia, che si iscrive nell'ambito di una più ampia strategia di prevenzione e contrasto del fenomeno mafioso, presentano aspetti d’illegittimità costituzionale in quanto invasivi di ambiti inerenti all'ordine pubblico e alla sicurezza, la cui disciplina è riservata in via esclusiva al legislatore statale dall’art. 117, secondo comma, lett. h), della Costituzione.
Appare opportuno premettere che la legge in esame si muove nel solco delle politiche pubbliche per la promozione di un sistema di sicurezza integrata previsto dal decreto legge 20 febbraio 2017, n.14 (recante "Disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città'"), convertito con modificazioni dalla legge 18 aprile 2017, n 48, che, nel definire la cornice organica degli interventi necessari a realizzare tale sistema integrato, promuove un sistema di governance multilivello mediante il coinvolgimento di una pluralità di soggetti istituzionali nella trattazione delle tematiche afferenti alla sicurezza urbana. In tale ambito, ai necessari interventi per garantire la tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica si affiancano misure che puntano al miglioramento della vivibilità del territorio e, più in generale, al benessere delle comunità locali, nel rispetto delle attribuzioni tra i diversi livelli di governo, così come ripartite dalla Costituzione.
La stessa definizione del concetto di "sicurezza integrata", resa dall'articolo 1, comma 2, del citato decreto, contribuisce a perimetrare la sfera di azione dei soggetti istituzionali coinvolti, potendo essi attuare gli interventi necessari "nel rispetto delle rispettive competenze".
Pertanto nel più ampio genus delle politiche di sicurezza occorre distinguere le cosiddette "politiche criminali" - orientate alla prevenzione e repressione dei reati e la cui disciplina è riservata alla legislazione statale - dagli interventi di carattere social-preventivo che, muovendo dall'analisi dei fenomeni di devianza e di degrado che emergono nel tessuto socio-economico, mirano al contenimento dei fattori criminogeni in contesti di illegalità diffusa, e che possono essere regolamentati anche dalla legislazione regionale ( in tal senso Corte Cost., n. 35 del 2012).
Premesso quanto sopra, le seguenti norme eccedono dalle competenze regionali in materia di politiche di sicurezza sopra descritte e invadono le competenze riservate alla legislazione statale in materia di ordine pubblico e sicurezza, in violazione dell’ articolo 117, comma secondo, lettera h), della Costituzione.
- In primo luogo, si evidenzia come sia l'articolo 1, comma 2 che l'articolo 2, comma 1, del provvedimento in esame si espongano a censura per violazione del menzionato riparto delle competenze legislative tra Stato e Regioni in materia di ordine pubblico e sicurezza (ex articolo 117, comma secondo, lettera h, della Costituzione) laddove, con formulazione generica e di dubbia interpretazione, ricomprende tra i principi e le finalità della legge anche ogni "intervento necessario per contrastare qualsiasi fenomeno di infiltrazione del crimine organizzato” e l'insieme di "azioni volte alla prevenzione ed al contrasto non repressivo della criminalità organizzata", attività queste da condurre nell'alveo della politica criminale, sottratta alla cognizione del legislatore regionale.
Risulta, in particolare, troppo generico e di dubbia interpretazione il riferimento al concetto di "contrasto non repressivo", essendo necessaria una puntuale definizione dello stesso per evitare ingerenze nella potestà punitiva dello Stato.
- Le medesime censure formulate nei confronti degli artt. 1 e 2 inficiano anche gli articoli 4 e 5, ove vengono previsti gli strumenti regionali della "concertazione" e del "Piano regionale integrato" per l'attuazione delle finalità connesse alla legge in oggetto, strumenti questi di democrazia partecipativa, di certo non utilizzabili per tracciare le "linee programmatiche e di indirizzo" degli "interventi ... per il contrasto alla criminalità organizzata e mafiosa sul territorio regionale".
- E’ censurabile anche l’articolo 6, comma 2, lettera k): la disposizione prevede che la costituenda “Fondazione antimafia sociale - Stefano Fumarulo” predisponga, d’intesa con l’ANBSC (Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata), una banca dati dei beni confiscati alla criminalità organizzata esistenti sul territorio regionale, accessibile a tutti.
Al riguardo si evidenzia che, ai sensi di quanto previsto dall’articolo 112, comma 4, lettera m), del Codice Antimafia (d. lgs. n. 159 del 2011), l’ANBSC può sottoscrivere convenzioni o protocolli con pubbliche amministrazioni, regioni, enti locali, ordini professionali, enti e associazioni per le finalità indicate dal Codice antimafia, mentre dal contenuto del citato articolo 6 della legge regionale non si evince la natura della Fondazione in questione.
Si sottolinea, inoltre, che tale disposizione, oltre a presentare profili di criticità in materia di privacy per la prevista menzione in banca dati delle “generalità del soggetto destinatario della confisca”, si sovrappone agli obblighi di pubblicazione specificamente previsti dall’articolo 48, comma 3, lettera c), del Codice Antimafia ai sensi del quale “gli enti territoriali provvedono a formare un apposito elenco dei beni confiscati ad essi trasferiti, che viene aggiornato con cadenza mensile. L'elenco, reso pubblico nel sito internet istituzionale dell'ente, deve contenere i dati concernenti la consistenza, la destinazione e l'utilizzazione dei beni nonché, in caso di assegnazione a terzi, i dati identificativi del concessionario e gli estremi, l'oggetto e la durata dell'atto di concessione.”
- A giusto corollario di quanto esposto e per le medesime doglianze formulate avverso le norme regionali sopra indicate, è censurabile anche l'articolo 10, comma 2, ove è previsto che la Regione possa promuovere "la stipula, di intese e accordi di collaborazione con gli organi dello Stato, altri enti pubblici e privati, nonché associazioni e soggetti che gestiscono i beni confiscati, allo scopo di coordinare e promuovere il migliore utilizzo di beni e aziende confiscate alla criminalità".
- Ulteriori criticità, per i medesimi motivi esposti nei confronti degli articoli 1 e 2, inficiano l'art. 7, laddove, con formulazione generica e di dubbia interpretazione, ricomprende tra i principi e le finalità della legge anche ogni "intervento necessario per contrastare qualsiasi fenomeno di infiltrazione del crimine organizzato” e l'insieme di "azioni volte alla prevenzione ed al contrasto non repressivo della criminalità organizzata". Si rammenta, a tale proposito, che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 134 del 29 aprile 2004 relativa alla legge regionale Marche n. 11/2002, ha sancito il principio secondo cui "le forme di collaborazione e di coordinamento che coinvolgono compiti e attribuzioni di organi dello Stato non possono essere disciplinate unilateralmente e autoritativamente dalle Regioni; nemmeno l'esercizio della loro potestà legislativa: esse debbono trovare il loro fondamento e il loro presupposto in leggi statali che le prevedono o le consentano, in accordi tra gli enti interessati".
- Per quanto concerne la formulazione dell’articolo 9, particolari aspetti di illegittimità emergono nella previsione delle politiche locali per la legalità indicate al comma 1, e al comma 2, lettera d), e lett. e), finalizzate, rispettivamente: "all’adozione di specifiche iniziative ... per il contrasto al crimine organizzato e mafioso" da parte della Regione, alla "promozione ... del riuso sociale dei beni confiscati alla criminalità organizzata", e alla "attuazione di iniziative di contrasto al gioco d'azzardo", essendo palesi le ricadute sull'effettiva tenuta dei limiti costituzionalmente garantiti alla potestà legislativa regionale.
- Un travalicamento delle competenze legislative regionali in quelle strettamente connesse alla potestà punitiva dello Stato, emerge, altresì, in relazione all'articolo 16, ove, al comma 1, prevede che "nell'attuazione delle politiche di prevenzione e contrasto dei fenomeni di illegalità in materia di tutela dell'ambiente, connessi o derivanti da attività criminose di tipo organizzato e mafioso" viene conferita alla Regione la possibilità di promuovere "la conclusione di accordi e la stipula di convenzioni con le autorità statali operanti sul territorio regionale nel settore ambientale".
Risultano, "ictu oculi", vaghe ed indeterminate non solo le modalità attuative ma anche le finalità connesse alla stipula dei predetti accordi o convenzioni, i cui contenuti, se non debitamente delineati, possono comportare possibili sconfinamenti nelle scelte legislative statali predisposte per il contrasto al crimine organizzato ed incidere sull'attività delle Forze di Polizia.
Del medesimo tenore anche il comma 3, che prevede, sempre da parte della Regione, l'adozione di un "atto di indirizzo per rafforzare la prevenzione e il contrasto della corruzione e degli altri fenomeni di illegalità nel settore sanitario".
- Aspetti di illegittimità presenta anche l'articolo 17, comma 2, laddove disciplina il ricorso allo strumento dei "protocolli di legalità".
Il citato articolo prevede che la Regione possa promuovere la stipula dei "protocolli di legalità tra Prefetture e amministrazioni aggiudicatrici, per potenziare gli strumenti di prevenzione e contrasto dei fenomeni corruttivi e delle infiltrazioni mafiose, nella realizzazione di opere e prestazione di servizi, in materia urbanistica e di edilizia privata”.
Giova specificare come l'utilizzo di predetti strumenti, così come previsti dall'articolo 1, comma 17, della legge 6 novembre 2012 n. 190, è rimesso alla mera discrezionalità della singola stazione appaltante che può inserirli all'interno di bandi di gara, avvisi o di lettere d'invito.
Pertanto, la previsione di una potestà, in carico alla Regione, di promuovere la stipula di siffatti protocolli tra prefetture e amministrazioni aggiudicatrici al fine di potenziare gli strumenti di prevenzione e contrasto ai fenomeni corruttivi appare lesiva del riparto delle competenze legislative tra Stato e Regioni così come delineato dall'articolo 117 della Costituzione, avendo la normativa sull’anticorruzione delle evidenti ricadute sulla materia dell'ordine pubblico e la sicurezza, riservata in via esclusiva al legislatore statale.
- Infine, non risulta chiaro il tenore e l’ambito di applicazione dell’articolo 20, commi 2 e 3, e conseguentemente la sua coerenza col Codice Antimafia, nonostante il suo pur condivisibile intento, nella parte in cui si prevede che la Regione e i Comuni possano affidare ad apposite Aziende le funzioni di “assegnazione e manutenzione ordinaria e straordinaria del patrimonio immobiliare”, utilizzabile o riconvertitile a uso abitativo, nell’ambito di beni immobili “sequestrati e confiscati”.
2. L'articolo 13, comma 1, prevede il diritto all'assistenza psicologica e psichiatrica a carico della Regione, a favore degli invalidi vittime della mafia, della criminalità organizzata, del terrorismo, del dovere, individuati nei modi di cui alla legge n. 302/1990, nonché ai loro familiari conviventi; il comma 2 riconosce agli stessi assistiti, nonché ai familiari, inclusi i familiari dei deceduti, limitatamente al coniuge e ai figli e, in mancanza dei predetti, ai genitori, l'esenzione dalla partecipazione alla spesa per ogni tipo di prestazione sanitaria fruita presso le strutture del Servizio sanitario nazionale o presso le strutture private accreditate e l'esenzione dalla partecipazione alla spesa farmaceutica, nonché dall'obbligo di pagare la differenza tra il prezzo di rimborso dei medicinali generici e il prezzo delle specialità medicinali coperte da brevetto.
La norma regionale in esame, estendendo i benefici stabiliti dalla norma stessa a soggetti non ricompresi tra i beneficiari dalla normativa statale, pone a carico del Servizio sanitario prestazioni che non sono ricomprese tra le cure mediche che costituiscono i livelli essenziali di assistenza, stabiliti dalla normativa statale, in violazione del principio del contenimento della spesa pubblica sanitaria, quale principio generale di coordinamento della finanza pubblica ai sensi dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione.
Tale norma contrasta in particolare con quanto disposto al riguardo dal D.P.R. 7 luglio 2006, n. 243, che, ai fini della progressiva estensione alle vittime del dovere dei benefici già previsti in favore delle vittime della criminalità e del terrorismo, all’art. 4, comma 1, lett. a), n. 2, e lett. c), n. 2, riconosce il diritto all'esenzione dal pagamento del ticket per ogni tipo di prestazione sanitaria e il diritto all'assistenza psicologica a carico dello Stato solamente alle vittime stesse e ai loro familiari superstiti.
Dal tenore letterale della suddetta disposizione si evince pertanto con chiarezza che il diritto all'esenzione e all'assistenza psicologica è limitato ai "familiari superstiti", nozione che, per definizione, implica il decesso della vittima del dovere.
A conferma della correttezza di tale interpretazione, vi è la circostanza che la citata disposizione del D.P.R. n. 243 del 2006 rinvia, per il diritto all'esenzione, direttamente all'art. 15 della legge n. 302/1990 e non all'art. 9 della legge n. 206/2004, che include tra gli aventi diritto a tale beneficio anche i familiari degli invalidi vittime degli atti di terrorismo che non siano deceduti.
Pertanto, a tenore delle disposizioni statali vigenti, nel caso in cui l'assistito riconosciuto vittima del dovere non sia deceduto, il diritto all'esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria e il diritto all'assistenza psicologica non potrebbero essere estesi al relativo coniuge o ai relativi figli.
L'intervento normativo della Regione Puglia, includendo tra i destinatari dell'esenzione anche genericamente i "familiari conviventi" e non solo quelli superstiti, attribuisce, dunque, un beneficio che si configura quale livello ulteriore di. assistenza (c.d. extra-LEA).
E’, inoltre, parimenti configurabile come livello ulteriore di assistenza il riconoscimento a tutte le categorie di invalidi di cui sopra del diritto all'esenzione dall'obbligo di pagare la differenza tra il prezzo di rimborso dei medicinali generici e il prezzo delle specialità medicinali coperte da brevetto.
Si ricorda, infatti, che l'art. 15 della legge n. 302/1990 , prevedendo che i cittadini italiani che abbiano subìto ferite o lesioni in conseguenza dello svolgersi nel territorio dello Stato di atti di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico siano esentati dal pagamento di ticket per le prestazioni sanitarie, fa riferimento ad un istituto, quello del ticket, che non è assimilabile alla differenza tra il prezzo dei medicinali generici e il prezzo delle specialità medicinali coperte da brevetto.
Per le ragioni sopra rappresentate si ritiene che l'articolo 13 della legge regionale in oggetto, laddove pone a carico del Servizio sanitario prestazioni non previste dal d.P.C.M. 12.01.2017, recante "Definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, di cui all'articolo 1, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502", e dalle disposizioni statali vigenti, violi il principio del contenimento della spesa pubblica sanitaria, quale principio generale di coordinamento della finanza pubblica ai sensi dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione.
Inoltre, la regione Puglia, essendo impegnata nel Piano di rientro dal disavanzo sanitario, non può garantire livelli di assistenza ulteriori rispetto a quelli previsti dal d.P.C.M. 12.01.2017, vigendo il divieto di effettuare spese non obbligatorie, ai sensi dell'articolo 1, comma 174, della legge 30 dicembre 2004, n. 311; coerentemente a ciò, la Corte costituzionale (cfr. sent. n. 104 del 2013) ha evidenziato che "l'autonomia legislativa concorrente delle Regioni nel settore della tutela della salute ed in particolare nell'ambito della gestione del servizio sanitario può incontrare limiti alla luce degli obiettivi della finanza pubblica e del contenimento della spesa", specie "in un quadro di esplicita condivisione da parte delle Regioni della assoluta necessità di contenere i disavanzi del settore sanitario”.
Anche sotto tale profilo emerge il contrasto con i principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, in violazione dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione.
Per i motivi esposti le norme regionali sopra indicate devono essere impugnate dinanzi alla Corte Costituzionale, ai sensi dell’art. 127 della Costituzione.
A 50 anni dall'istituzione delle Regioni a statuto ordinario, un volume approfondisce lo stato ed i tempi di sviluppo economico e sociale conseguito a livello regionale, le modalità di confronto tra Stato e Regioni, le opportunità di finanziamento da parte dell'Unione Europea e altri temi rilevanti sul ruolo delle Regioni.
Il Dipartimento per gli Affari Regionali e le Autonomie è promotore del Progetto ReOPEN SPL, finalizzato a supportare gli enti territoriali con competenze nei settori di acqua, rifiuti e trasporti, anche attraverso attività di ricerca e analisi territoriale.
Un approfondimento sulle Commissioni paritetiche di ciascuna Regione a statuto speciale, con i Decreti di costituzione e l’elenco dei decreti legislativi concernenti le norme di attuazione