Dettaglio Legge Regionale

Modifiche alla legge regionale 22 febbraio 1995, n. 12 (Riordino delle aree protette) e alla legge regionale 10 luglio 2009, n. 28 (Disposizioni in materia di tutela e valorizzazione della biodiversità). (19-4-2019)
Liguria
Legge n.3 del 19-4-2019
n.5 del 26-4-2019
Politiche infrastrutturali
19-6-2019 / Impugnata
La legge regionale, che detta modifiche a leggi regionali in materia di aree protette e tutela e valorizzazione delle biodiversità, è censurabile relativamente alle disposizioni di seguito indicate che appaiono costituzionalmente illegittime, in quanto contrastanti con gli standard di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema posti dal legislatore statale nell’esercizio della propria competenza esclusiva nella materia, violando gli articoli 97 e 117, secondo comma, lett. s), Cost , con riferimento ai parametri interposti statali dettati dalla legge quadro in materi di aree naturali protette n. 394/1991.

Si premette che , come ripetutamente statuito dalla Corte Costituzionale (sentenze n. 315 e n. 193 del 2010, n. 44, n, 269 e n. 325 del 2011, n. 14 del 2012, n. 212 del 2014 e n. 36 dcl 17 febbraio 2017), la disciplina delle aree protette rientra nella competenza esclusiva dello Stato in materia di «tutela dell’ambiente» ex art. 117, secondo comma, lettera s), ed è contenuta nella legge n. 394 del 1991 che detta i principi fondamentali della materia, ai quali la legislazione regionale è chiamata ad adeguarsi, assumendo anche i connotati di normativa interposta che deve considerarsi espressione, per l’appunto, dell'esercizio della competenza esclusiva statale in materia di tutela dell'ambiente, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. (sentenze n. 44 del 2011, n. 315 e n. 20 del 2010).
Le regioni, pertanto, in ambito di aree protette, possono soltanto determinare maggiori livelli di tutela, ma non derogare alla legislazione statale (Corte Cost. sentenze n. 44 del 2011, n. 193 del 2010, n. 61 del 2009 e n. 232 del 2008).
In particolare, la giurisprudenza costituzionale ha chiarito come "il territorio dei parchi, siano essi nazionali o regionali, ben (possa) essere oggetto di regolamentazione da parte della Regione, in materie riconducibili ai commi terzo e quarto dell'art. 117 Cost., purche' in linea con il nucleo minimo di salvaguardia del patrimonio naturale, da ritenere vincolante per le Regioni" (Corte Cost., sentenze nn.rr. 232 del 2008, punto 5. del Considerato in diritto e 44 del 2011 gia' citata).
Nell’ambito, quindi, delle materie di loro competenza, le Regioni trovano un limite negli standard di tutela fissati a livello statale. Questi, tuttavia, non impediscono al legislatore regionale di adottare discipline normative che prescrivano livelli di tutela dell’ambiente più elevati (di recente, Corte Cost., sentenze n. 66 del 2018, n. 74 del 2017, n. 267 del 2016 e n. 149 del 2015), i quali «implicano logicamente il rispetto degli standard adeguati e uniformi fissati nelle leggi statali» (Corte Cost., sentenza n. 315 del 2010), che rappresentano, ex se, limiti invalicabili per l'attività legislativa della Regione, in quanto statuenti norme imperative che devono essere rispettate sull'intero territorio nazionale per primarie esigenze di tutela ambientale..
Come già sottolineato, la legge quadro n. 394 del 1991 è stata reiteratamente ricondotta dalla giurisprudenza costituzionale alla materia «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema» (da ultimo, sentenze n. 74 e n. 36 del 2017), da ciò derivandone, dunque, che le Regioni sono tenute ad adeguarsi ai principi fondamentali da essa dettati, pena l’invasione di un ambito materiale di esclusiva spettanza statale.
La stessa Corte Costituzionale ha altresì posto in evidenza come lo standard minimo uniforme di tutela nazionale si estrinsechi nella predisposizione da parte degli enti gestori delle aree protette «di strumenti organizzativi, programmatici e gestionali per la valutazione di rispondenza delle attività svolte nei parchi alle esigenze di protezione» dell’ambiente e dell’ecosistema (sentenza n. 171 del 2012; nello stesso senso, le sentenze n. 74 del 2017, n. 263 e n. 44 del 2011, n. 387 del 2008).
La più volte menzionata n. 394 del 1991 non si limita, dunque, a dettare standard minimi uniformi atti a tutelare soltanto i parchi e le riserve naturali nazionali e regionali – istituiti ai sensi dell’art. 8 della legge quadro (rispettivamente, con decreto del Presidente della Repubblica e con decreto del Ministro dell’ambiente) – ma impone anche un nucleo minimo di tutela del patrimonio ambientale rappresentato dai parchi e dalle riserve naturali regionali, che vincola il legislatore regionale nell’ambito delle proprie competenze (sentenze n. 74 e n. 36 del 2017, n. 212 del 2014, n. 171 del 2012, n. 325, n. 70 e n. 44 del 2011).
Anche in relazione alle aree protette regionali, invero, il legislatore statale ha predisposto un modello fondato sull’individuazione del loro soggetto gestore, ad opera della legge regionale istitutiva (art. 23), sull’adozione, «secondo criteri stabiliti con legge regionale in conformità ai principi di cui all’articolo 11, di regolamenti delle aree protette» (art. 22, comma 1, lettera d, peraltro significativamente ed espressamente ricompreso tra i «princìpi fondamentali per la disciplina delle aree naturali protette regionali»), nonché su un modello organizzativo tramite il quale siano attivate le finalità del parco naturale regionale (art. 24).
Per altro verso, può senz’altro riconoscersi che il legislatore statale ha previsto, per le aree naturali protette regionali, un quadro normativo meno dettagliato di quello predisposto per le aree naturali protette nazionali, tale che le Regioni abbiano un qualche margine di discrezionalità tanto in relazione alla disciplina delle stesse aree protette regionali quanto sul contemperamento tra la protezione di queste ultime e altri interessi meritevoli di tutela da parte del legislatore regionale.
Ciò non toglie che debba essere comunque garantita la conforme corrispondenza ai canoni previsionali inderogabili imposti dalla normativa nazionale, essendo manifestazione di quello standard minimo di tutela che il legislatore statale ha individuato nell’esercizio della propria competenza esclusiva in materia di «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema» e che, come dianzi già posto in rilievo, le Regioni possono accompagnare con un surplus di tutela, ma non, appunto, derogare in peius.
Tutto ciò premesso, appaiono censurabili le seguenti disposizioni della legge regionale in esame :


1 ) L’art. 7 sostituisce l’articolo 11 della l.r. 12/1995, rubricato “Comunità del Parco “. In particolare i commi 1, 2 e 3 della disposizione novellata attribuiscono alla Giunta Regionale il compito di determinare criteri partecipativi degli Enti Locali alla Comunità di ogni area naturale protetta in base a quote di superficie territoriale.
Risulta in tal modo violato l’art. 24 della legge quadro in materia di aree protette n. 394 del 1991, che demanda la disciplina dell’organizzazione amministrativa del parco naturale regionale, “in relazione alla peculiarità di ciascuna area interessata”, alle previsioni di uno specifico statuto. E’ tramite lo statuto, infatti, che va regolato il funzionamento degli organi statutari e la costituzione della comunità del parco.
Il successivo comma 4 del sostituito articolo 11, nel prevedere, poi, che “La Comunità concorre all’elaborazione del Piano pluriennale socio-economico nei modi previsti all’articolo 22”, si pone in contrasto con il disposto di cui all’art. 10, comma 3, della citata legge n. 394 del 1991, che prevede che la Comunità del Parco deliberi in merito al Piano Pluriennale economico sociale.
Il comma 5 dello stesso art. 11, della l.r. 12/1995, così come modificato, prevede, altresì, la possibilità del rilascio da parte della Comunità del Parco di un parere vincolante sulla base dello Statuto del Parco stesso.
Detta previsione regionale risulta in palese contrasto con l’art. 10, comma 2, della legge n. 394 del 1991, secondo il quale “2. La Comunità del parco è organo consultivo e propositivo dell'Ente parco. In particolare, il suo parere è obbligatorio”. Dalla lettera della norma statale non si evince alcun espresso riferimento all’efficacia vincolante del parere, neppure con rinvio allo statuto dell’ente parco.
A conferma di ciò, si richiama, altresì, il comma 3 dell’anzidetto articolo 10 della legge n. 394 del 1991, da cui si evince che la Comunità non è totalmente autonoma neppure nell’approvazione del piano pluriennale economico e sociale; in quella sede istruttoria è infatti previsto il parere vincolante del consiglio direttivo dell’ente parco, ma in nessun caso si prevede un parere vincolante della Comunità che resta un organo consultivo, a pena di stravolgere la ratio dell’impalcatura istituzionale dell’ente parco: ente con natura di soggetto amministrativo ad elevata specializzazione tecnico scientifica, con rilevante indipendenza dalle strutture di derivazione politico rappresentativa.
2 ) L’art. 8, che sostituisce l’art. 14 legge regionale 22 febbraio 1995, n.12, nella sua nuova formulazione, sopprime le 42 aree protette provinciali, già incluse nel VI aggiornamento dell’Elenco ufficiale delle aree protette approvato con DM 27/04/2010. Tale soppressione ex lege si pone in contrasto con l’art. 22, comma 1, lettera a) della legge n. 394 del 1991 che definisce il procedimento istitutivo delle aree protette regionali, prevedendo che “Costituiscono principi fondamentali per la disciplina delle aree naturali protette regionali:
a) la partecipazione delle province, delle comunità montane e dei comuni al procedimento di istituzione dell'area protetta, fatta salva l'attribuzione delle funzioni amministrative alle province, ai sensi del l'articolo 14 della legge 8 giugno 1990, n.142. Tale partecipazione si realizza, tenuto conto dell'articolo 3 della stessa legge n. 142 del 1990, attraverso conferenze per la redazione di un documento di indirizzo relativo all'analisi territoriale dell'area da destinare a protezione, alla perimetrazione provvisoria, all'individuazione degli obiettivi da perseguire, alla valutazione degli effetti dell'istituzione dell'area protetta sul territorio”.
Contrarius actus, lo stesso procedimento quindi seguito per l’istituzione delle arre suddette avrebbe dovuto essere adottato per la relativa soppressione.
Inoltre, il comma 2 del citato art. 14, della l.r. 12/1995 (e relativo Allegato A), nel modificare e restringere i confini dei preesistenti Parchi naturali regionali delle Alpi Liguri, dell’Antola, dell’Aveto e del Beigua, viola, anch’esso il procedimento partecipativo previsto dall’art. 22, comma 1, lettera a), ponendosi, altresì in contrasto con l’art. 23 della legge n. 394 del 1991, che prevede la perimetrazione del parco naturale regionale tramite lo strumento della legge regionale solo per quanto attiene alla perimetrazione provvisoria.

La variazione dei confini di ogni parco naturale regionale esistente, infatti, è un atto insito nella possibilità di modifica o rinnovo del piano del parco, come tale necessitante della previa adozione da parte dell’organismo di gestione (ai sensi dell'art. 25 , comma 2, della legge quadro n. 394 del 1991) tramite atto amministrativo soggetto ad approvazione regionale e non certo con una legge-provvedimento; quest’ultimo strumento escluderebbe aprioristicamente la partecipazione nel procedimento dell’ente gestore, peraltro su un elemento fondamentale come la superficie dell’area protetta.
Analoghe considerazioni valgono in relazione all’art. 31 della legge regionale in esame , che detta disposizioni sugli effetti di revisione dei confini . La norma infatti incorre nelle medesime illegittimità per la violazione dell’art. 22, comma 1, lettera a), della l. 394/1991, relativamente al procedimento partecipativo. Pertanto, anche detta disposizione incorre nelle medesime violazioni di legge.
Le previsioni regionali così formulate, oltre che porsi in contrasto con il suddetto parametro statale interposto di cui all’art. 22, comma 1, lettera a) della legge n. 394 del 1991, si pongono in aperta antitesi con il principio di buon andamento dell’amministrazione sancito dall’articolo 97, Cost., confliggendo con i canoni di efficacia, efficienza ed economicità che devono presiedere all’esercizio dell’azione amministrativa.


3 ) L’art. 10 sostituisce l’articolo 17 della l.r. 12/1995, e stabilisce, sl comma 4 della disposizione novellata, che il Piano del parco “vincola, nelle sue indicazioni di carattere prescrittivo, la pianificazione territoriale di livello regionale, provinciale e comunale con effetto di integrazione della stessa e, in caso di contrasto, di prevalenza su di essa”.
La disposizione confligge con l’art. 25, comma 2 (ultimo capoverso), della legge quadro n. 394 del 1991 che, molto più nettamente, dispone che il Piano del parco “ha valore anche di piano paesistico e di piano urbanistico e sostituisce i piani paesistici e i piani territoriali o urbanistici di qualsiasi livello”, anche al di fuori di casi di contrasto.
Il successivo comma 6 del nuovo art. 17 della l.r. 12/1995 ,prevedendo che il Piano possa apportare modifiche alla perimetrazione dell’area protetta, viola il procedimento partecipativo previsto dall’art. 22, comma 1, lettera a), della L. n. 394 del 1991,. Le modifiche in parola, infatti, possono essere apportate unicamente attraverso il procedimento del richiamato art. 22 della legge n. 394 del 1991; il Piano può eventualmente e solo contenere una proposta di revisione.
Anche in questo caso si ravvisa dunque la lesione del principio di buon andamento dell’amministrazione sancito dall’articolo 97, della Costituzione.

4) L’articolo 22 sostituisce l’articolo articolo 32 della l.r. 12/1995. Il comma 3 della norma novellata, nel prevedere la possibilità di collaborazioni e di stipula “di apposite convenzioni” anche con soggetti privati non istituzionali in materia di vigilanza, viola l’art. 23, ultimo capoverso, della legge 6 dicembre 1991, n. 394, che vieta espressamente la stipula convenzioni con enti pubblici e con soggetti privati (ad esempio guardie ecologiche, venatorie, ittiche e micologiche volontarie) per l’esercizio della vigilanza nei parchi naturali regionali.
5) L’art. 23, che sostituisce l’art. 33, della legge regionale 22 febbraio 1995, n.12, nel fissare al comma 1, lettere a), b), c), d) i minimi ed i massimi delle sanzioni previste per le fattispecie elencate al comma 1 del successivo art. 25 che sostituisce l’articolo 42 della l.r. 12/95, si pone in conflitto con quanto già disciplinato e previsto dall’art. 30 della legge n. 394 del 1991, fonte normativa superiore, prevedendo sanzioni differenti sia per entità che per tipologia di violazione.

Per i motivi dianzi esposti, limitatamente alle disposizioni sopra indicate, la legge regionale deve essere impugnata dinanzi alla Corte Costituzionale ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione.

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