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Norme per il riconoscimento ed il sostegno della funzione sociale del controllo di vicinato nell'ambito di un sistema di cooperazione interistituzionale integrata per la promozione della sicurezza e della legalità. (8-8-2019)
Veneto
Legge n.34 del 8-8-2019
n.89 del 9-8-2019
Politiche socio sanitarie e culturali
3-10-2019 /
Impugnata
La legge della Regione Veneto n. 34 del 2019, recante “Norme per il riconoscimento ed il sostegno della funzione sociale del controllo di vicinato nell'ambito di un sistema di cooperazione interistituzionale integrata per la promozione della sicurezza e della legalità”, presenta profili d’illegittimità costituzionale.
La legge in esame promuove e sostiene il controllo di vicinato quale strumento di prevenzione finalizzato alla partecipazione della Regione alla sicurezza urbana integrata. In particolare la legge promuove forme di collaborazione fra amministrazioni statali, istituzioni locali e società civile, prevedendo, tra l’altro, all’art. 2, comma 4, la stipula di accordi o di protocolli di intesa con gli Uffici Territoriali di Governo da parte degli enti locali in materia di tutela dell'ordine e sicurezza pubblica, nei quali vengono definite e regolate le funzioni svolte dai soggetti aventi quale propria finalità il controllo di vicinato.
Il menzionato art. 2, comma 4, e gli altri articoli di seguito indicati, nonché l’intera legge regionale, avente carattere normativo omogeneo, eccedono dalle competenze regionali. Essi, infatti, introducendo forme di coordinamento interistituzionale in materia di ordine pubblico e sicurezza, che peraltro non coincidono e anzi si contrappongono a quelle individuate dalla disciplina statale in materia, esulano dalla competenza legislativa regionale e invadono la competenza esclusiva riservata alla legislazione statale in materia di ordine pubblico e sicurezza e disciplina delle forme di coordinamento interistituzionale in tali materie, in violazione degli artt. 117, secondo comma, lett. h), e 118, terzo comma, della Costituzione. La legge inoltre, attribuendo compiti ad organi statale (come previsto dall’art. 2, commi 3 e 4) invade la materia "ordinamento e organizzazione amministrativa della Stato e degli enti pubblici nazionali", di cui all’art. 117, secondo comma, lett. g), atteso che, come chiarito dalla Corte Costituzionale, con sentenza n. 134 del 29 aprile 2004, “le forme di collaborazione e di coordinamento che coinvolgono compiti e attribuzioni di organi dello Stato non possono essere disciplinate unilateralmente e autoritativamente dalle regioni; nemmeno nell’esercizio della loro potestà legislativa: esse debbono trovare il loro fondamento e il loro presupposto in leggi statali che le prevedono o le consentano, o in accordi tra gli enti interessati”.
Il legislatore regionale, infatti, con la legge in esame, oltre a disciplinare una materia che esula totalmente dalle competenze legislative regionali, detta regole riguardanti il coordinamento interistituzionale in materia di ordine pubblico e sicurezza che si contrappongono alla normativa emanata dallo Stato nella materia in oggetto. Il legislatore statale infatti, in attuazione dell'art. 118, terzo comma, della Costituzione, ha previsto specifiche misure volte alla realizzazione di un efficace coordinamento di azioni integrate di Stato, Regioni, Province Autonome, enti locali ed altri soggetti istituzionali, al fine di concorrere, ciascuno nelle proprie competenze, all'attuazione di un sistema unitario e integrato di sicurezza per il benessere delle comunità locali.
In particolare le politiche pubbliche per la promozione di un sistema di sicurezza integrata e di sicurezza urbana sono state definite con il decreto legge 20 febbraio 2017, n. 14 (convertito, con modificazioni, dalla legge 18 aprile 2017, n. 48), recante “Disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città”, che, nel definire la cornice organica degli interventi necessari a realizzare un sistema integrato di politiche di sicurezza, promuove un sistema di governance multilivello, mediante il coinvolgimento di una pluralità di soggetti istituzionali nella trattazione delle tematiche afferenti alle due nozioni di sicurezza declinate dallo stesso provvedimento.
Il richiamato D.L. 14/2017 ha quindi introdotto, in attuazione dell'art. 118, III comma, della Costituzione, specifiche misure volte alla realizzazione di un efficace coordinamento fra i vari soggetti istituzionali, al fine di concorrere all'attuazione di un sistema unitario e integrato di sicurezza per il benessere delle comunità locali e per contrastare il degrado delle aree urbane, attraverso modalità e strumenti di coordinamento per sviluppare la cooperazione tra i soggetti coinvolti a vario titolo nella gestione della sicurezza in senso lato.
Più nel dettaglio, l’articolo 2 del cennato decreto rimette ad un accordo in sede di Conferenza Unificata, su proposta del Ministro dell’interno, la definizione delle linee generali delle politiche pubbliche per la promozione della sicurezza integrata, sancite in data 24 gennaio 2018. Queste definiscono modalità e strumenti di coordinamento tra l’azione dei vari livelli di governo coinvolti nella predisposizione degli interventi necessari a garantire l’innalzamento dei livelli di sicurezza e vivibilità delle città. A tal fine, in attuazione delle linee generali di cui al citato articolo 2, le Regioni possono concludere specifici accordi con lo Stato e promuovere, nell’ambito delle proprie competenze, iniziative progettuali, con lo scopo di attuare interventi in tema di sicurezza integrata nel territorio di riferimento (cfr. articolo 3, d.l. n. 14/2017).
Inoltre, in coerenza con le linee generali di cui all’articolo 2 del decreto e nel rispetto delle linee guida adottate, su proposta del Ministro dell’interno, con accordo sancito in sede di Conferenza Stato-città ed autonomie locali in data 26 luglio 2018, prefetto e sindaco possono sottoscrivere appositi patti per l’attuazione degli interventi in materia di sicurezza urbana con riguardo ai diversi obiettivi elencati dall’articolo 5 del decreto legge n. 14/2017, tra i quali si annovera la prevenzione e il contrasto dei fenomeni di criminalità diffusa e predatoria, attraverso servizi e interventi di prossimità.
In merito, il citato accordo di approvazione delle linee guida in sede di Conferenza Stato-città e autonomie locali prevede la figura degli assistenti civici ovvero di volontari che collaborano con la polizia locale per realizzare una presenza attiva sul territorio e creare condizioni ambientali più favorevoli per l’efficace svolgimento di operazioni di polizia, anche sulla base delle esperienze di partecipazione già attivate nel corso degli ultimi anni.
I gruppi di controllo di vicinato, richiamati dall’accordo, non sono tuttavia assimilabili, come precisato nelle medesime linee guida, alle associazioni di osservatori volontari (le c.d. “ronde”) istituite dall’articolo 3 della legge 15 luglio 2009, n. 94 e disciplinate dal decreto del Ministro dell’interno dell’8 agosto 2009.
All’esito di tali argomentazioni, raffrontando la descritta normativa statale con l’impianto normativo prospettato dal legislatore regionale, appare evidente l’“eccesso di competenza” da parte della Regione che, sebbene possa, in base alla normativa statale menzionata concludere specifici accordi con lo Stato in materia di sicurezza integrata, non è tuttavia legittimata, in base ai menzionati principi costituzionali, a legiferare in materia di coordinamento interistituzionale per la promozione e l’attuazione di un sistema unitario e integrato di sicurezza, essendo detto coordinamento riservato alla legislazione statale, che lo ha puntualmente e dettagliatamente disciplinato con la normativa sopra menzionata. Al riguardo, appare evidente che detto coordinamento debba avvenire esclusivamente secondo quanto stabilito dalle predette linee generali e linee guida definite in sede di Conferenza Unificata e in sede di Conferenza Stato-città e autonomie locali, non potendo essere rimesso alla libera iniziativa del legislatore regionale.
A conferma di quanto sopra esposto, sono da censurare in particolare i seguenti articoli, nonché quelli ad essi inscindibilmente connessi, che evidenziano l’intento del legislatore regionale di voler disciplinare autonomamente il coordinamento in parola, in violazione dei principi costituzionali sopra indicati.
1) gli artt. 1, 2 e 3, nel promuovere il controllo di vicinato, richiamano genericamente le norme nazionali in materia di sicurezza. Tali articoli operano un rinvio che non appare esaustivo ed è contraddetto dalla previsione contenuta nell’art. 2, comma 4, che, come sopra anticipato, dispone la stipula di accordi o protocolli di intesa che non coincidono con la procedura “tipizzata” di cui al decreto legge n. 14 del 2017 e consente, solo in via meramente residuale, l’applicazione delle procedure stabilite dalla normativa statale sopra menzionata “ove ne ricorrano le condizioni”.
2) Inoltre l’art. 2, comma 2, detta, in via autonoma e al di fuori della procedura “tipizzata” di cui al decreto legge n. 14 del 2017, una definizione nominalistica e giuridica di controllo di vicinato, qualificandolo come «quella forma di cittadinanza attiva che favorisce lo sviluppo di una cultura di partecipazione al tema della sicurezza urbana ed integrata per il miglioramento della qualità della vita e dei livelli di coesione sociale e territoriale delle comunità, svolgendo una funzione di osservazione, ascolto e monitoraggio, quale contributo funzionale all'attività istituzionale di prevenzione generale e controllo del territorio. Non costituisce comunque oggetto dell'azione di controllo di vicinato l'assunzione di iniziative di intervento per la repressione di reati o di altre condotte a vario titolo sanzionabili, nonché la definizione di iniziative a qualsivoglia titolo incidenti sulla riservatezza delle persone”.
Infine, il medesimo art. 2, al comma 2, indicando l’attività di controllo di vicinato quale “contributo funzionale all’attività istituzionale di prevenzione generale e controllo del territorio”, confligge con la funzione di coordinamento rimessa agli organi statali.
3) l’articolo 4, comma 1, lett. a), che, con formulazione generica e poco chiara, attribuisce l’attività di controllo di vicinato a “soggetti giuridici aventi quale propria finalità principale il controllo di vicinato”, attribuisce natura giuridica a soggetti il cui perimetro di azione non risulta definito;
4) l’articolo 3, comma 2, lettera b), che prevede che la Giunta regionale promuova interventi per sostenere il controllo di vicinato e definisca programmi di intervento riguardanti, tra l’altro, l’«analisi dei risultati conseguiti, con particolare riguardo al livello di impatto sulla sicurezza» si pone in contrasto con l’articolo 6, comma 1, lettera a), della legge 1° aprile 1981, n. 121, che demanda l’analisi strategica interforze sui fenomeni criminali al Dipartimento della pubblica sicurezza, ai fini del supporto dell’Autorità nazionale di pubblica sicurezza.
5) l’articolo 5 promuove la costituzione, da parte della Giunta regionale, di una «banca dati», alimentata da non precisati elementi forniti da enti locali che svolgono attività di controllo del vicinato. Poiché la funzione di tale strumento appare quella di definire la situazione delle tipologie di reato e il loro impatto sul sistema territoriale, la sua istituzione sembra incompatibile con la funzione attribuita al CED. In merito, si precisa che il CED interforze è stato istituito, secondo l’articolo 7, comma 1, della legge 121/81, per la raccolta di informazioni e dati provenienti dalle Forze di polizia finalizzate all’attività di analisi, classificazione e valutazione delle informazioni in materia di prevenzione e repressione dei reati e di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica. L’istituzione della banca dati prevista dall’articolo 5 del provvedimento in esame sembra incompatibile con la funzione attribuita al CED, che rientra nell’ambito dei poteri esclusivi dello Stato nella materia de qua.
Si precisa, infine, che le richiamate linee-guida prevedono la possibilità di costituire, nei comuni sedi di circoscrizioni di decentramento amministrativo di cui all’articolo 17 del T.U.E.L. (decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267), appositi tavoli di osservazione (TdO), regolamentati nei Patti per la sicurezza, coordinati da Dirigenti delle Prefetture e composti dai Presidenti delle circoscrizioni e dai responsabili delle articolazioni delle Forze di polizia e delle polizie locali. La finalità dei predetti tavoli è l’individuazione di azioni di prevenzione e contrasto da compiere con le risorse disponibili, anche attraverso momenti di confronto con i comitati civici e gli altri soggetti esponenziali degli interessi e dei bisogni delle “realtà di quartiere”. Tale funzione di carattere preventivo e propositivo di cui le istanze espresse da gruppi di privati formano parte integrante rendono pertanto superflua la costituzione di ulteriori banche dati per l’analisi di fenomeni criminali e la stipula di intese al riguardo. Si può dunque che la norma in esame determinerebbero evidenti ricadute sull’effettiva tenuta dei limiti costituzionalmente posti alla potestà legislativa regionale.
6) Inoltre, l’articolo 5, laddove prevede la «stipula di intese con gli enti locali e con i soggetti istituzionali competenti in materia di ordine e sicurezza pubblica», è censurabile per gli stessi motivi evidenziati sub 1) nei confronti dell’art. 2, comma 4, in quanto il legislatore regionale prevedendo la stipula di intese tra gli enti locali e i soggetti istituzionali competenti in materia di ordine e sicurezza pubblica, va a ben oltre il sistema multilivello di sicurezza integrata costituito dal decreto legge n. 14 del 2017, intervenendo direttamente nella materia dell’ordine e della sicurezza pubblica.
Per i motivi esposti le norme sopra indicate, e le altre ad esse inscindibilmente connesse, nonché l’intera legge regionale, avente carattere normativo omogeneo, devono essere impugnate dinanzi alla Corte Costituzionale, ai sensi dell’art. 127 della Costituzione.
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