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Modifiche alla legge provinciale 10 luglio 2018, n. 9, “Territorio e paesaggio”. (20-12-2019)
Bolzano
Legge n.17 del 20-12-2019
n.52 del 27-12-2019
Politiche infrastrutturali
/ Rinuncia impugnativa
21-2-2020 /
Impugnata
La legge provinciale , che detta modifiche alla legge provinciale 10 luglio 2018, n. 9, “Territorio e paesaggio” eccede dalle competenze riconosciute alla Provincia autonoma di Bolzano dallo Statuto speciale di autonomia della Regione Trentino Alto Adige , con riferimento alle norme contenute negli articoli articoli 4, 19, comma 1, 24, comma 2, 25, comma 1, e 34, per i seguenti motivi .
1. L’articolo 4 della legge provinciale n. 17 del 2019 sostituisce il comma 5 dell’articolo 17 della legge provinciale n. 9 del 2018, in materia di contenimento del consumo di suolo, stabilendo che: “All’esterno dell’area insediabile e all’esterno delle aree edificabili all’interno dell’area insediabile gli edifici destinati ad abitazioni esistenti dal 24 ottobre 1973, con una volumetria di almeno 300 m³ e non appartenenti ad un maso chiuso, possono essere ampliati fino a 1.000 m³. L’ampliamento deve essere utilizzato per abitazioni riservate ai residenti ai sensi dell’articolo 39 oppure, fatto salvo il relativo vincolo, può essere utilizzato, in deroga alle disposizioni di cui all’articolo 39, per l’affitto di camere ed appartamenti ammobiliati per ferie o per attività di agriturismo. L’ampliamento può anche essere eseguito in sede di demolizione e ricostruzione nella stessa posizione e con la stessa destinazione d’uso, senza aumento del numero di edifici. Nell’individuazione di cui all’articolo 19, comma 1, lettera a), della superficie occupata dall’edificio, per il calcolo del plusvalore di pianificazione di cui all’articolo 19, comma 5, viene considerata la consistenza esistente prima dell’applicazione delle possibilità di ampliamento di cui all’articolo 17, comma 5.”. La disposizione rinnova una precedente analoga previsione, estendendone peraltro la portata, atteso che gli ampliamenti realizzabili erano prima limitati alle sole abitazioni riservate ai residenti, mentre in forza della norma ora vigente – che ha in ogni caso novato la precedente – sono consentiti anche “per l’affitto di camere ed appartamenti ammobiliati per ferie o per attività di agriturismo”.
La previsione si pone in contrasto con il principio fondamentale – desumibile dagli articoli 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio – in base al quale spetta soltanto al piano paesaggistico dettare le cd. prescrizioni d’uso (e cioè i criteri di gestione del vincolo, volti a orientare la fase autorizzatoria) e stabilire la tipologia delle trasformazioni compatibili e di quelle vietate, nonché le condizioni delle eventuali trasformazioni. La possibilità di ampliamenti prevista a priori, sia pure al ricorrere delle condizioni indicate dalla legge, determina infatti la compromissione del ruolo stesso della pianificazione paesaggistica, poiché non tiene conto della specificità dei singoli contesti e prescinde persino dalla circostanza che gli immobili oggetto di ampliamento siano soggetti o meno a tutela paesaggistica.
Da ciò la violazione dell’articolo 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione e dell’articolo 8 dello Statuto speciale. La suddetta previsione statutaria richiede infatti, mediante il richiamo al precedente articolo 4, che l’esercizio delle competenze legislative provinciali in materia di “tutela del paesaggio” avvenga “In armonia con la Costituzione e i principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica e con il rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali – tra i quali è compreso quello della tutela delle minoranze linguistiche locali – nonché delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica”. E, secondo l’insegnamento della Corte costituzionale, in materia di tutela dell’ambiente e del paesaggio, la disciplina statale costituisce un limite minimo di tutela non derogabile dalle Regioni, ordinarie o a statuto speciale, e dalle Province autonome (sentenze n. 101 del 2010, n. 272 del 2009 e n. 378 del 2007). La Corte ha infatti “ripetutamente affermato (sentenze n. 189 del 2016, n. 308, n. 238 del 2013, n. 101 del 2010) che il legislatore statale conserva il potere di vincolare la potestà legislativa primaria degli enti ad autonomia speciale attraverso l’emanazione di norme qualificabili come «grandi riforme economico-sociali», anche sulla base del titolo di competenza legislativa in materia di «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.”, per cui le disposizioni del Codice dei beni culturali e del paesaggio “si impongono alla Provincia autonoma di Bolzano nell’esercizio di tutte le competenze primarie ad essa attribuite dallo statuto” (sentenza n. 201 del 2018).
2. L’articolo 19, comma 1, della legge provinciale in esame modifica l’articolo 54, comma 1, della legge provinciale n. 9 del 2018, ove si prevede l’applicazione di un procedimento semplificato alle varianti al piano comunale per il territorio e il paesaggio che riguardano interventi all’interno dell’area insediabile, perimetrata ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della stessa legge n. 9 del 2018. In particolare, il suddetto procedimento semplificato non prevede l’acquisizione del parere della Commissione provinciale per il territorio e il paesaggio (che è chiamata a pronunciarsi nel procedimento ordinario, ai sensi dell’articolo 53, comma 6, della legge provinciale n. 9 del 2018). È invece acquisito soltanto il parere della Commissione comunale per il territorio e il paesaggio, come si evince dal richiamo all’iter previsto dall’articolo 60 della legge n. 9 del 2018 per i piani di attuazione.
In questo quadro, la citata norma provinciale ha previsto che il suddetto procedimento semplificato non sia più escluso in tutti i casi in cui le varianti incidano “sulle aree e sugli immobili assoggettati a tutela paesaggistica”, bensì soltanto laddove vi siano “beni paesaggistici di particolare valore paesaggistico di cui all’articolo 11, comma 1, lettere a), c), d), e), f), g), h) ed i)”. Viene, in questo modo, ridotto il perimetro della verifica da parte della Commissione provinciale sulla conformità della variante al piano comunale rispetto al piano paesaggistico approvato dalla Provincia (ai sensi degli articoli 48 e 53 della legge provinciale n. 9 del 2018). Conseguentemente, risulta violato, in presenza di beni paesaggistici non riconducibili alle categorie fatte salve dal legislatore provinciale, il principio che impone di prevedere una fase di verifica istruttoria della conformità degli strumenti urbanistici al piano paesaggistico, ad essi sovraordinato, ad opera dell’autorità di tutela. Il predetto principio – desumibile dagli articoli 143, comma 9, e 145, comma 5, del Codice dei beni culturali e del paesaggio – è infatti da ritenere applicabile anche laddove l’autorità di tutela sia identificabile in un’Amministrazione diversa dallo Stato e dalla Regione, come la Provincia autonoma di Bolzano. Emerge, conseguentemente, la violazione dei limiti alla potestà legislativa provinciale posti dall’articolo 8 dello Statuto di autonomia e dell’articolo 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione.
3. Vanno, inoltre, censurate le previsioni degli articoli 24, comma 2, e 25, comma 1, della legge provinciale in esame, ove – novellando la precedente legge n. 9 del 2018 – si prevede che il Sindaco o la Sindaca facciano parte, senza diritto di voto, della Commissione di esperti che esprime parere obbligatorio ai fini del rilascio dell’autorizzazione paesaggistica di competenza del Comune (articolo 24, comma 2) e che il Sindaco o la Sindaca facciano parte, in questo caso si desume con diritto di voto, della Commissione chiamata a rendere il parere finalizzato al rilascio del titolo autorizzatorio (articolo 25, comma 1).
Anche in questo caso le disposizioni censurate si pongono in contrasto con i limiti alla potestà legislativa provinciale posti dall’articolo 8 dello Statuto speciale e dall’articolo 117, secondo comma, lett. s) e m), in quanto: (i) prevedendo la partecipazione di un organo politico alle Commissioni, ne compromette la funzione di organi deputati a rendere una valutazione tecnica degli interventi proposti, così ponendosi in contrasto con l’articolo 146, comma 6, del Codice di settore, in forza del quale “La regione esercita la funzione autorizzatoria in materia di paesaggio avvalendosi di propri uffici dotati di adeguate competenze tecnico-scientifiche e idonee risorse strumentali. Può tuttavia delegarne l’esercizio, per i rispettivi territori, a province, a forme associative e di cooperazione fra enti locali come definite dalle vigenti disposizioni sull’ordinamento degli enti locali, agli enti parco, ovvero a comuni, purché gli enti destinatari della delega dispongano di strutture in grado di assicurare un adeguato livello di competenze tecnico-scientifiche nonché di garantire la differenziazione tra attività di tutela paesaggistica ed esercizio di funzioni amministrative in materia urbanistico-edilizia.”; (ii) contraddice il principio cardine dell’ordinamento della separazione tra organi politici e organi gestionali, che trova positiva emersione nelle previsioni dell’articolo 107, comma 1, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 e dell’articolo 4 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e che costituisce norma fondamentale di riforma economico sociale.
4. L’articolo 34 della legge provinciale è composto da un unico comma, mediante il quale viene disposta la sostituzione del comma 1 dell’articolo 99 della legge provinciale 10 luglio 2018, n. 9 con la seguente previsione: “1. Nel caso di un intervento su un bene sottoposto a tutela paesaggistica senza la prescritta autorizzazione, qualora il ripristino dello stato dei luoghi ai sensi dell’articolo 86, comma 3, non sia possibile, l’autorità competente per il rilascio della stessa ordina al soggetto responsabile dell’abuso l’effettuazione di interventi compensativi equivalenti o il pagamento di una sanzione pecuniaria, ai sensi dell’apposito regolamento di attuazione. Qualora il danno provocato dall’intervento abusivo non risulti completamente eliminabile, nonostante l’intervento compensativo, si applica in aggiunta una sanzione pecuniaria.”.
La norma così introdotta si pone in evidente contrasto con le previsioni in materia di sanzioni per gli illeciti paesaggistici contenute all’articolo 167 del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42. In particolare, il comma 1 dell’articolo 167 stabilisce il principio cardine secondo il quale “In caso di violazione degli obblighi e degli ordini previsti dal Titolo I della Parte terza, il trasgressore è sempre tenuto alla rimessione in pristino a proprie spese”, e ciò con la sola eccezione delle limitate ipotesi – disciplinate al successivo comma 4 – in cui è consentito all’Autorità amministrativa competente di accertare la compatibilità paesaggistica delle opere realizzate.
In particolare, tale accertamento è astrattamente ammissibile soltanto nei casi espressamente tipizzati, ossia: “a) per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati; b) per l’impiego di materiali in difformità dall’autorizzazione paesaggistica; c) per i lavori comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell’articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380”. Laddove, nelle predette limitate ipotesi, venga accertata la compatibilità paesaggistica delle opere realizzate, “il trasgressore è tenuto al pagamento di una somma equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione” ( ), mentre “In caso di rigetto della domanda si applica la sanzione demolitoria di cui al comma 1” (così il quinto periodo del medesimo comma 5 dell’articolo 167).
Deve, inoltre, rimarcarsi che il procedimento di valutazione della compatibilità paesaggistica delle opere illecitamente realizzate previsto dall’articolo 167 del Codice di settore, al fine dell’estinzione dell’illecito amministrativo, è sovrapponibile all’analogo iter di cui all’articolo 181, commi 1-ter e 1-quater, ai fini dell’estinzione dell’illecito penale, e, anzi, i due procedimenti di regola coincidono, come testimoniato dalla previsione dell’articolo 167, comma 5, ultimo periodo, del Codice di settore, ove si stabilisce che “La domanda di accertamento della compatibilità paesaggistica presentata ai sensi dell’articolo 181, comma 1-quater, si intende presentata anche ai sensi e per gli effetti di cui al presente comma”.
Deve, inoltre aggiungersi che, in forza dell’articolo 181, comma 1-quinquies, del Codice di settore “La rimessione in pristino delle aree o degli immobili soggetti a vincoli paesaggistici, da parte del trasgressore, prima che venga disposta d’ufficio dall’autorità amministrativa, e comunque prima che intervenga la condanna, estingue il reato di cui al comma 1.” e che, inoltre, il successivo comma 2 dispone: “Con la sentenza di condanna viene ordinata la rimessione in pristino dello stato dei luoghi a spese del condannato. Copia della sentenza è trasmessa alla regione ed al comune nel cui territorio è stata commessa la violazione.”.
Principi coessenziali al sistema della tutela paesaggistica delineato dal Codice dei beni culturali e del paesaggio sono, quindi: (i) l’indefettibilità, al di fuori delle sole ipotesi espressamente stabilite dal legislatore, della sanzione amministrativa ripristinatoria dell’interesse paesaggistico leso; (ii) la limitazione dei casi di applicazione di una sanzione pecuniaria, in luogo del ripristino, soltanto agli illeciti di minore rilievo di cui all’articolo 167, comma 4, e comunque subordinatamente alla valutazione in concreto della compatibilità paesaggistica dell’opera realizzata; (iii) la rilevanza della medesima valutazione di compatibilità paesaggistica – ove consentita – sia al fine dell’esclusione della sanzione penale, che della non applicazione della sanzione amministrativa ripristinatoria; (iv) la necessaria applicazione della rimessione in pristino dello stato dei luoghi da parte del giudice penale, in caso di condanna ai sensi dell’articolo 181, comma 1, del Codice.
La disposizione dell’articolo 34 della legge provinciale in esame si pone in contrasto con i suddetti principi, perché contempla l’eventualità dell’impossibilità del ripristino, non considerata dal legislatore nazionale, e – senza specificare neppure in cosa debba consistere tale impossibilità e come debba essere accertata – esclude l’applicazione della sanzione ripristinatoria. Nei predetti casi, la determinazione delle conseguenze dell’illecito è peraltro rinviata a un atto regolamentare, mentre la legge provinciale si limita a stabilire soltanto che l’autorità competente debba ordinare “l’effettuazione di interventi compensativi equivalenti o il pagamento di una sanzione pecuniaria” e che “Qualora il danno provocato dall’intervento abusivo non risulti completamente eliminabile, nonostante l’intervento compensativo, si applica in aggiunta una sanzione pecuniaria”.
4.1. la disposizione censurata si pone in contrasto anzitutto con l’articolo 8 dello Statuto speciale e con l’articolo 117, secondo comma, lett. s) e m), della Costituzione, in quanto confligge, nel senso sopra illustrato, con le previsioni degli articoli 167 e 181 del Codice dei beni culturali e del paesaggio. Al riguardo, deve ricordarsi che, nella sua giurisprudenza, la Corte costituzionale ha già avuto modo di dichiarare l’illegittimità costituzionale di previsioni legislative di Regioni a statuto speciale volte a disciplinare diversamente rispetto al Codice di settore il trattamento sanzionatorio degli illeciti paesaggistici. E ciò in applicazione del “… consolidato indirizzo seguito dalla giurisprudenza costituzionale, secondo cui «l’autorizzazione paesaggistica […], deve essere annoverata «tra gli istituti di protezione ambientale uniformi, validi in tutto il territorio nazionale» (sentenze n. 101 del 2010 e n. 232 del 2008)” (così Corte cost., sentenza 238 del 2013).
4.2. È, inoltre, violata la potestà legislativa esclusiva statale in materia di ordinamento penale di cui all’articolo 117, secondo comma, lett. l), della Costituzione, atteso che le previsioni della legge provinciale interferiscono con l’articolo 181 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, il quale – oltre a stabilire il già visto parallelismo tra sanzione penale e sanzione amministrativa ripristinatoria – prevede che il giudice penale debba sempre ordinare la rimessione in pristino dei luoghi con la sentenza di condanna.
4.3. È, infine, violata anche la riserva di legge in materia di sanzioni amministrative desumibile dall’articolo 25, secondo comma, atteso che la sanzione per gli illeciti per i quali non viene comminata la rimessione in pristino è del tutto indeterminata e rinviata a un successivo regolamento.
Per i motivi sopra descritti e limitatamente alle disposizioni indicate, la legge provinciale deve essere impugnata ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione.
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