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Disposizioni per la regolarizzazione delle opere edilizie eseguite in parziale difformità prima dell’entrata in vigore della legge 28 gennaio 1977, n. 10 “Norme in materia di edificabilità dei suoli”. (23-12-2019)
Veneto
Legge n.50 del 23-12-2019
n.150 del 27-12-2019
Politiche infrastrutturali
21-2-2020 /
Impugnata
La legge regionale in esame, che introduce una nuova disciplina relativa alle opere edilizie provviste di titolo edilizio abilitativo o di certificato di abitabilità o agibilità, ma eseguite in parziale difformità dai titoli edilizi rilasciati o dai progetti approvati prima dell’entrata in vigore della legge 28 gennaio 1977 n. 10 recante “Norme per la edificabilità dei suoli”, ammettendo la regolarizzazione amministrativa di dette difformità, risulta violare, con riferimento alle disposizioni contenute negli articoli 1 e 2 ed alle norme ad esse connesse, norme di principio contenute nel Testo Unico dell’Edilizia, d.P.R. n. 380 del 2001 e quindi l’articolo 117, terzo comma della Costituzione, con riguardo alla materia del “governo del territorio”.
L’articolo 1 della legge regionale, nell’enunciarne le finalità, recita:
“1. Nelle more dell'entrata in vigore della normativa regionale di riordino della disciplina edilizia, la Regione del Veneto, in attuazione dei principi di tutela del legittimo affidamento dei soggetti interessati e di semplificazione dell'azione amministrativa, promuove, in coerenza con quanto previsto dalla legge regionale 6 giugno 2017, n. 14 "Disposizioni per il contenimento del consumo di suolo e modifiche della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 "Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio"", il recupero e la riqualificazione del patrimonio edilizio esistente, consentendo la regolarizzazione amministrativa delle parziali difformità edilizie risalenti nel tempo, secondo le modalità e le procedure di cui alla presente legge”.
Il successivo articolo 2 stabilisce l’ambito e le modalità di applicazione, disponendo:
“1. Le disposizioni della presente legge si applicano alle opere edilizie, provviste di titolo edilizio abilitativo o di certificato di abitabilità od agibilità, eseguite in parziale difformità dai titoli edilizi rilasciati o dai progetti approvati prima dell'entrata in vigore della legge 28 gennaio 1977, n. 10 "Norme per la edificabilità dei suoli" che:
a) comportino un aumento fino a un quinto del volume dell'edificio e comunque in misura non superiore a 90 metri cubi;
b) comportino un aumento fino a un quindo della superficie dell'edificio e comunque in misura non superiore a 30 metri quadrati;
c) comportino un diverso utilizzo dei vani, ferma restando la destinazione d'uso consentita per l'edificio;
d) comportino modifiche non sostanziali della localizzazione dell'edificio sull'area di pertinenza, rispetto a quella indicata nel progetto approvato, purché non in violazione delle normative in tema di distanze tra fabbricati, dai confini e dalle strade;
e) non rilevino in termini di superfici o volume e non siano modificative della struttura e dell'aspetto complessivo dell'edificio.
2. Il calcolo dell'aumento in termini di volume o superficie di cui al comma 1 è determinato sulla base dei parametri edificatori stabiliti dallo strumento urbanistico.
3. Fatti salvi gli effetti civili e penali dell'illecito e fermo restando il pagamento del contributo di costruzione, ove dovuto, le difformità edilizie di cui al comma 1 possono essere regolarizzate mediante presentazione di una segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) e previo pagamento delle seguenti sanzioni pecuniarie:
a) 70 euro al metro cubo per aumento di volumi di cui alla lettera a);
b) 210 euro al metro quadrato per aumento delle superfici di cui alla lettera b);
c) 500 euro a vano nel caso di cui alla lettera c);
d) 1.000 euro per le modifiche di cui alla lettera d);
e) 750 euro per le opere di cui alla lettera e).
4. Resta ferma l'applicazione della disciplina sanzionatoria di settore, tra cui la normativa antisismica, idraulica, idrogeologica, dì sicurezza, igienico-sanitaria e quella di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 "Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137 del 2004".
La nuova normativa regionale dunque ammette la conservazione del patrimonio privato esistente, anche se abusivo, in luogo del ripristino della legalità previsto dagli art 30 e seguenti del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 recante il “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia”, introduce, sostanzialmente una nuova forma di condono edilizio. Questa nuova forma di condono, rispetto all’istituto generale e permanente del permesso in sanatoria di cui al TUE artt. 36 e 45, previsto nel solo caso di cosiddetta doppia conformità, si contraddistingue per essere eccezionale e temporaneo, in quanto, derogando alla norma generale, regolarizza un illecito in presenza di presupposti individuati dal legislatore statale come integrati della normativa regionale.
Si premette, in proposito, che la Corte Costituzionale è intervenuta in materia di sanatoria straordinaria di opere edilizie abusive con numerose pronunce (Corte Costituzionale sentenze n. 303, n.362, n. 307 del 2003; sentenza n. 196/2004) che pur collocando ormai pacificamente la materia del condono edilizio nell’ambito del “governo del territorio”, ossia nell’ambito della legislazione concorrente di cui al comma 3 dell’art 117 della Costituzione, ha definito i principi fondamentali del condono edilizio di esclusiva competenza statale identificati, a titolo esemplificativo, nella previsione de1 titolo abilitativo edilizio in sanatoria di cui a1 comma 1 de1l'art. 32, ne1 limite temporale massimo di realizzazione delle opere condonabili, nonché nella determinazione delle volumetrie massime condonabili (Corte Costituzionale, sentenza 196/2004). La Corte Costituzionale è pervenuta alla medesima conclusione anche nella sentenza 49/2006 sul ricorso dello Stato avverso a molteplici regionali attuative del dl n. 269/2003 ribadendo che” spetta al legislatore statale determinare non solo tutto ciò che attiene alla dimensione penalistica del condono, ma anche la potestà di individuare, in sede di definizione dei principi fondamentali nell'ambito della materia legislative “governo del territorio” la portata massimo del condono edilizio straordinario”.
Ciò premesso, le norme regionali in esame risultano censurabili nella parte in cui determinano, di fatto, un ampliamento delle ipotesi condonabili previste dalla legislazione statale, ammettendo la regolarizzazione amministrativa delle (parziali) difformità edilizie a seguito della presentazione di una Segnalazione Certificata di Inizio Attività, ossia con un titolo abilitativo differente da quello indicato da1 legislatore statale e, soprattutto, della tempistica dettata da1 procedimento amministrativo disciplinato dal legislatore statale del 2003 nel1’esercizio della competenza esclusiva attribuitagli dall’art. 117, comma 3, Costituzione.
Ciò configura una disciplina autonoma di una nuova sanatoria straordinaria per tutto il territorio regionale.
La Corte Costituzionale con la sentenza n. 233/2015 resa in ordine a disposizioni consimili della regione Toscana, ha affermato che spetta esclusivamente allo Stato stabilire le scelte di principio sul versante della sanatoria amministrativa, in particolare quelle relative all’an, al quando e al quantum, ribadendo che esula dalla potestà legislativa regionale il potere di disporre autonomamente una sanatoria straordinaria per il solo territorio regionale.
Ulteriore conferma di una violazione del riparto di competenze Stato-Regioni è avvalorata dalla considerazione che sebbene la materia di oggetto della legge regionale in esame rappresenti la disciplina di dettaglio di competenza regionale è comunque decorso il termine temporale, di quattro mesi dalla data di entrata in vigore, previsto dall’articolo 5 del d.l. 12 luglio 2004, n. 168 "Interventi urgenti per il contenimento della spesa pubblica", individuato dal legislatore statale per l’intervento legislativo in materia di condono edilizio, termine qualificato come perentorio dalla stessa Corte Costituzionale (sentenza n. 49/2006) tanto da prevedere che ove le Regioni non esercitino il proprio potere entro il termine prescritto non potrà essere applicata la disciplina dell’art. 32 e dell’ Allegato 1 del d.l. 269/2003 così come convertito in legge (Corte Costituzionale, sentenza n. 49/2006). Pertanto, lo scadere dei quattro mesi dall’entrata in vigore del d.l. n. 168/2004 non consente un nuovo intervento legislativo della regione Veneto, in attuazione della normativa statale sul condono edilizio.
Pertanto, l’ articolo 2 della legge regionale in esame che, come detto, consente la regolarizzazione di opere edilizie eseguite in parziale difformità dai titoli rilasciati o dai progetti approvati prima dell’entrata in vigore della legge n. 10/1977, mediante la presentazione di una Segnalazione Certificata di Inizio Attività, ossia un titolo diverso da quello indicato dal legislatore statale e previo pagamento di sanzioni pecuniarie (comma 3) nonché al di fuori della tempistica dettata dal procedimento amministrativo disciplinato dal dl 269/2003, convertito in legge n. 326/2003 recante “Normativa statale sul condono edilizio”, viola l’art. 117 comma 3 della Costituzione, con riferimento alla materia governo del territorio .
Il comma 1 del medesimo articolo 2 della legge regionale, che indica l’entità delle difformità suscettibili di regolarizzazione, contrasta anche con l’articolo 34 “Interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire”, comma 2-ter del d.P.R. n.380/2001 che prevede “2-ter. Ai fini dell’applicazione del presente articolo, non si ha parziale difformità del titolo abilitativo in presenza di violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che non eccedano per singola unità immobiliare il 2 per cento delle misure progettuali.”
Inoltre, la stessa norma di cui all’’articolo 2 contrasta con la disposizione di principio contenuta nell’art. 36 “Accertamento di conformità”, comma 1 nonché con l’ articolo 37 “Interventi eseguiti in assenza o in difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività e accertamento di conformità”, comma 4 del DPR n. 380/2001, ossia il principio della “doppia conformità”, riconosciuto come tale in base agli orientamenti consolidati dalla Corte Costituzionale, come affermato anche nell’ultima sentenza n. 290 del 2019 in cui viene confermato: “A loro volta, gli artt. 36 e 37 del d.P.R. n. 380 del 2001 riguardano, rispettivamente, l’accertamento di conformità e gli interventi eseguiti in assenza o in difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività e accertamento di conformità. Nelle due ipotesi sono consentiti il permesso in sanatoria e la sanatoria dell’intervento a condizione che sussista la cosiddetta doppia conformità, cioè «se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda». I citati artt. 36 e 37 recano quindi norme di principio nella materia del governo del territorio (tra le più recenti, sentenze n. 2 del 2019, n. 68 del 2018, n. 232 e n. 107 del 2017, n. 101 del 2013)”.
Per questi motivi la legge regionale, limitatamente alle norme sopraevidenziate, risulta violare disposizioni di principio contenute nel Testo Unico dell’Edilizia, d.P.R. n. 380/ del 2001 e quindi l’articolo 117, terzo comma della Costituzione, al cui rispetto le Regioni sono tenute, nell’ambito della propria competenza concorrente con riguardo alla materia del governo del territorio e devono quindi essere impugnate ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione.
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