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Adeguamento della legislazione regionale in materia di disciplina edilizia per le attività produttive alla disciplina statale e altre disposizioni in materia di governo del territorio. (6-2-2020)
Liguria
Legge n.1 del 6-2-2020
n.1 del 12-2-2020
Politiche infrastrutturali
6-4-2020 /
Impugnata
La Legge regionale , che reca “Adeguamento della legislazione regionale in materia di disciplina edilizia per le attività produttive alla disciplina statale e altre disposizioni in materia di governo del territorio”, è censurabile relativamente alle disposizioni contenute negli articoli 8, Modifiche all’articolo 12 della l.r. 10/2012 e 24, recante modifica alla legge regionale 24 dicembre 2019, n. 30 “Disciplina per il riutilizzo di locali accessori, di pertinenza di fabbricati e di immobili non utilizzati” , che, per le ragioni di seguito specificate, viola gli articoli 3, 9, 117, secondo comma lettera s), con riferimento alla tutela dei beni culturali e del paesaggio, e terzo comma, della Costituzione, per violazione dei principi fondamentali in materia di governo del territorio.
In particolare :
1) La disposizione contenuta nell’’art. 8, comma 1, lett. b) sostituisce interamente il comma 2 dell’art. 12 della legge regionale n. 10 del 2012 con il seguente: "2. Gli interventi di cui al comma 1 non sono cumulabili con gli ampliamenti consentiti dagli strumenti urbanistici comunali entro soglie percentuali predeterminate e sono realizzabili, mediante il procedimento unico di cui all'articolo 10, anche in deroga alla disciplina dei piani urbanistici e territoriali vigenti e/o operanti in salvaguardia, fatto salvo in ogni caso il rispetto della dotazione dei parcheggi pertinenziali previsti dalla disciplina urbanistico comunale, nonché della dotazione di opere di urbanizzazione primaria e/o secondaria per il soddisfacimento degli standard urbanistici necessari, da regolare in apposito atto convenzionale contenente gli impegni del soggetto attuatore, nonché le modalità, i termini per l'esecuzione delle opere e le garanzie per la loro realizzazione. In tale ipotesi l'efficacia dell'autorizzazione dello SUAP resta sospesa fino all'avvenuta stipulazione con il Comune dell'atto convenzionale.".
Tale norma, nell’introdurre un nuovo comma 2 sostitutivo del precedente, ripropone la deroga generalizzata agli strumenti urbanistici e territoriali vigenti o operanti in salvaguardia per gli interventi di ampliamento mediante ristrutturazione edilizia, nuova costruzione e sostituzione edilizia relativi a insediamenti produttivi esistenti destinati ad attività artigianali, industriali, agricole e agrituristiche, ad alberghi tradizionali, a strutture turistico ricettive e ad attività socio-assistenziali e commerciali, con esclusione delle grandi strutture di vendita.
Tale deroga generalizzata agli strumenti urbanistici e territoriali in caso di ampliamento degli insediamenti produttivi, in assenza di espresse clausole di salvaguardia in favore della Parte II del Codice dei beni culturali e del paesaggio, e in favore del piano paesaggistico o di uno specifico stralcio di esso, presenta le stesse criticità costituzionali rilevate in merito alla analoga deroga disposta dall’art. 3 della legge regionale n. 30 del 2019 per gli interventi ivi previsti, con conseguente contrasto con la potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela dei beni culturali e del paesaggio, di cui all’articolo 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione, rispetto al quale costituiscono norme interposte gli articoli 20 e 21, in tema di interventi sui beni culturali, del Codice di settore, nonché gli articoli 135, 143 e 145 in tema di pianificazione congiunta del medesimo Codice dei beni culturali e del paesaggio, nonché con l’articolo 9 della Costituzione, in considerazione del potenziale pregiudizio ai beni tutelati derivante dagli interventi di ampliamento in deroga previsti dalla legge regionale.
Con specifico riferimento alla tutela dei beni culturali, si evidenzia che l’ampliamento è consentito anche in deroga agli strumenti urbanistici e territoriali vigenti o operanti in salvaguardia e non è prevista alcuna eccezione in relazione ai beni sottoposti a tutela ai sensi della Parte II del Codice di settore. Conseguentemente, la legge incide direttamente sul regime di tali beni, in quanto ammette gli interventi di modifica di complessi immobiliari potenzialmente di interesse culturale.
Al riguardo, deve tenersi presente che, ai sensi dell’articolo 20, comma 1, del Codice di settore “I beni culturali non possono essere distrutti, deteriorati, danneggiati o adibiti ad usi non compatibili con il loro carattere storico o artistico oppure tali da recare pregiudizio alla loro conservazione”. L’ampliamento in deroga agli strumenti urbanistici consentito dalla legge regionale in esame presenta pertanto una diretta rilevanza ai fini della tutela.
Sulla questione, si richiamano i costanti orientamenti della Corte costituzionale, la quale ha posto una precisa linea di distinzione tra le competenze legislative statali e regionali, riservando allo Stato la competenza tutte le volte in cui oggetto della disciplina sia un bene tutelato, anche avendo riguardo al “supporto materiale” inciso dalla normativa. In particolare, già con la sentenza n. 9 del 2004 la Corte ha evidenziato come rientri tra le attività costituenti tutela, riservata in via esclusiva allo Stato, quella diretta “a conservare i beni culturali e ambientali”, ossia volta “principalmente ad impedire che il bene possa degradarsi nella sua struttura fisica e quindi nel suo contenuto culturale”.
Non spetta, pertanto, alla Regione dettare una disciplina volta a favorire l’ampliamento di complessi immobiliari, anche tutelati, ai sensi della Parte II del Codice dei beni culturali e del paesaggio.
Con riferimento al paesaggio, la disciplina introdotta dalla legge regionale in esame, destinata a consentire in modo indiscriminato, in relazione all’intero territorio regionale, l’ampliamento di complessi immobiliari, anche sottoposti a vincolo paesaggistico, comporta il sostanziale svuotamento della funzione propria del piano paesaggistico.
Nel disegno delineato dagli articoli 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio spetta infatti a quest’ultimo strumento di dettare, per ciascuna area tutelata, le cd. prescrizioni d’uso (e cioè i criteri di gestione del vincolo, volti a orientare la fase autorizzatoria) e di stabilire la tipologia delle trasformazioni compatibili e di quelle vietate, nonché le condizioni delle eventuali trasformazioni.
La Corte costituzionale ha, infatti, da tempo affermato l’esistenza di un vero e proprio obbligo, costituente un principio inderogabile della legislazione statale, di elaborazione congiunta del piano paesaggistico, con riferimento ai beni vincolati (Corte cost. n. 86 del 2019) e ha rimarcato che l’impronta unitaria della pianificazione paesaggistica “è assunta a valore imprescindibile, non derogabile dal legislatore regionale in quanto espressione di un intervento teso a stabilire una metodologia uniforme nel rispetto della legislazione di tutela dei beni culturali e paesaggistici sull’intero territorio nazionale” (Corte cost., n. 182 del 2006; cfr. anche la sentenza n. 272 del 2009).
La disciplina introdotta dalla legge regionale in esame avrebbe, perciò, dovuto prevedere la propria applicazione, in relazione ai beni paesaggistici, esclusivamente nei casi e con le modalità previamente determinati dal piano paesaggistico in corso di elaborazione congiunta con il Ministero o eventualmente fissati d’intesa con quest’ultimo e destinati a confluire nel futuro piano. Ciò allo scopo di evitare che, in sede di rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche, le singole trasformazioni vengano valutate in modo parcellizzato, e non nell’ambito della considerazione complessiva del contesto tutelato specificamente demandata al piano paesaggistico, secondo la scelta operata al riguardo dal legislatore nazionale.
2) Riguardo alla disposizione contenuta nell’articolo 24 della legge in esame , si rappresenta in via preliminare che nella riunione del Consiglio dei Ministri del 25 febbraio 2020 è stata deliberata l’impugnativa di alcune disposizioni della legge regionale della Regione Liguria n. 30 del 2019.
L’articolo 24 della legge regionale in esame apporta modifiche alla predetta legge regionale 24 dicembre 2019, n. 30 e recita testualmente:
“Articolo 24 Modifiche alla legge regionale 24 dicembre 2019, n. 30 (Disciplina per l'utilizzo di locali accessori, di pertinenza di fabbricati e di immobili non utilizzati.
1. Al comma 5 dell'articolo 1 della L.R. 30/2019 la parola: "fabbricati" è sostituita dalla seguente: "immobili".
2. Al comma 1 dell'articolo 3 della L.R. 30/2019 dopo le parole: "piani urbanistici comunali" sono inserite le seguenti: "con esclusione della disciplina degli ambiti di rigenerazione urbana di cui al Capo II della legge regionale 29 novembre 2018, n. 23 (Disposizioni per la rigenerazione urbana e il recupero del territorio agricolo)".
3. Il comma 3 dell'articolo 4 della L.R. 30/2019 è sostituito dal seguente:
"3. Le disposizioni della presente legge si applicano ai locali, alle pertinenze e agli immobili, come definiti all'articolo 1, esistenti alla data della sua entrata in vigore o per la cui costruzione sia stato conseguito il titolo abilitativo edilizio prima della data di approvazione della deliberazione del Consiglio comunale di cui al comma 1. Ai locali, alle pertinenze e agli immobili realizzati sulla base di titolo edilizio successivo all'approvazione di tale delibera o, in mancanza della stessa, successivo al 30 aprile 2020, le disposizioni della presente legge si applicano decorsi cinque anni dall'ultimazione dei lavori."
2.1 Tanto premesso, si evidenzia, sotto il profilo della tutela del paesaggio, che la novella apportata al comma 1 dell’art. 3 della legge regionale n. 30 del 2019 dall’art. 24, comma 2, della legge regionale in esame , volta a far salva la disciplina regionale degli ambiti di rigenerazione urbana, non vale a sanare le rilevate criticità costituzionali in ordine alla pretermissione della disciplina statale di tutela culturale e paesaggistica. Tali censure restano pertanto immutate e vengono pertanto in questa sede ribadite.
Parimenti, per quel riguarda l’art. 24, comma 3, della legge regionale che sostituisce il comma 3 dell'articolo 4 della legge regionale 30 del 2019 la novella, limitandosi a riconfigurare i profili temporali di applicazione della legge previsti dal comma 3 con riferimento ai singoli immobili, non interferisce con i profili di illegittimità costituzionale della restante parte dell’art. 4 della legge regionale n. 30 del 2019.
La disciplina dettata da tali norme infatti, incentiva in maniera generalizzata gli interventi su una pluralità di fabbricati, anche vetusti, disseminati su tutto il territorio regionale al fine del loro riutilizzo per gli scopi più diversi (turistico, residenziale, commerciale etc), anche in deroga agli strumenti urbanistici e al PTCP regionale. Oggetto della legge sono, quindi, anche gli immobili di interesse culturale e paesaggistico, sottoposti a tutela ai sensi della Parte II e della Parte III del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.
Non è infatti prevista alcuna eccezione in favore di tali beni agli articoli 3 o 4 della stessa legge, ove si prevedono, rispettivamente, le deroghe e gli ambiti di esclusione e, in tale ultimo caso, si demanda, peraltro, esclusivamente al Consiglio comunale la possibilità di stabilire alcune limitate eccezioni all’indiscriminata applicazione su tutto il territorio regionale della disciplina introdotta.
Conseguentemente le norme regionali invadono la competenza legislativa esclusiva statale in materia di tutela dei beni culturali e del paesaggio di cui all’articolo 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione – rispetto al quale le previsioni del Codice dei beni culturali e del paesaggio costituiscono norme interposte – e si pongono anche in contrasto con il principio fondamentale della tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione di cui all’articolo 9 della Costituzione.
2.2 Anche in relazione alla disciplina urbanistica e di governo del territorio le modifiche introdotte all’articolo 3, comma 1 della legge regionale n. 30 del 2019, per effetto dell’articolo 24 comma 2, della legge regionale in esame, comportanti soltanto l’esclusione dell’applicazione della disciplina derogatoria con riferimento ad ambiti di rigenerazione urbana, non risultano sufficienti a superare i motivi di impugnativa già prospettati e che in questa sede, pertanto, si ribadiscono e si richiamano integralmente (ivi compreso il riferimento anche all’articolo 4, commi 1, 2 e 3, anche in relazione al testo sostituito dall’articolo 24, comma 3 della legge regionale in esame):
“L’articolo 3, al comma 1 prevede che:
“1. Il riutilizzo per gli usi di cui all'articolo 1, comma 1, di locali accessori e di pertinenze di un fabbricato, anche collocati in piani seminterrati, nonché di immobili non utilizzati, anche diruti, è ammesso in deroga alla disciplina dei vigenti strumenti e piani urbanistici comunali, nonché alla disciplina del vigente Piano territoriale di coordinamento paesistico regionale, approvato ai sensi della legge regionale 22 agosto 1984, n. 39 (Disciplina dei piani territoriali di coordinamento) e successive modificazioni e integrazioni. Resta comunque ferma e non derogabile la disciplina dell'Assetto Insediativo di Livello Locale del Piano territoriale di coordinamento paesistico regionale relativamente ai regimi normativi "PU" (parchi urbani) e "ANI-CE" (aree non insediate - conservazione).”.
Al riguardo, con specifico riferimento alla possibilità di riutilizzo per gli usi di cui all'articolo 1, comma 1, di locali accessori e di pertinenze di un fabbricato, anche collocati in piani seminterrati, nonché di immobili non utilizzati, anche diruti, in deroga alla disciplina dei vigenti strumenti e piani urbanistici comunali, si rileva un contrasto con il parametro interposto di cui all’articolo 14 del d.P.R. n. 380 del 2001, e, di conseguenza, una violazione dell’articolo 117, terzo comma, Cost., “governo del territorio”.
Infatti, tale articolo 14 del TUE, recita testualmente:
“1. Il permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici generali è rilasciato esclusivamente per edifici ed impianti pubblici o di interesse pubblico, previa deliberazione del consiglio comunale, nel rispetto comunque delle disposizioni contenute nel decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, e delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia.
1-bis. Per gli interventi di ristrutturazione edilizia, attuati anche in aree industriali dismesse, è ammessa la richiesta di permesso di costruire anche in deroga alle destinazioni d'uso, previa deliberazione del Consiglio comunale che ne attesta l'interesse pubblico, a condizione che il mutamento di destinazione d'uso non comporti un aumento della superficie coperta prima dell'intervento di ristrutturazione, fermo restando, nel caso di insediamenti commerciali, quanto disposto dall'articolo 31, comma 2, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, e successive modificazioni.
2. Dell'avvio del procedimento viene data comunicazione agli interessati ai sensi dell'articolo 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241.
3. La deroga, nel rispetto delle norme igieniche, sanitarie e di sicurezza, può riguardare esclusivamente i limiti di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati di cui alle norme di attuazione degli strumenti urbanistici generali ed esecutivi, nonché, nei casi di cui al comma 1-bis, le destinazioni d'uso, fermo restando in ogni caso il rispetto delle disposizioni di cui agli articoli 7, 8 e 9 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444.”.
Le modifiche apportate all’articolo 4, comma 3, della legge regionale n. 30 del 2019, per effetto dell’articolo 24, comma 3, della legge regionale in esame, pur dovendosi prendere atto della soppressione del riferimento all’ “approvazione dell’eventuale programma integrato di intervento”, nondimeno lasciano invariata la previsione dell’applicabilità delle disposizioni regionali anche ai locali, alle pertinenze e agli immobili per la cui costruzione sia stato conseguito il titolo abilitativo edilizio. In relazione a tale disposizione, pertanto, le modifiche introdotte non appaiono integralmente satisfattive rispetto ai motivi di impugnativa del citato articolo 4, comma 3 della leggenda regionale n. 30/2019 che, pertanto, si ribadiscono (fatta eccezione per il richiamo alla sentenza della Corte costituzionale n. 232 del 2017 che era stato operato in relazione alla previsione dell’approvazione dell’eventuale programma integrato di intervento, ora soppressa) e che integralmente si riportano:
"Ulteriore profilo di criticità è rappresentato dalla circostanza che ai sensi dell’articolo 4, comma 3, le disposizioni della legge in esame si applicano non solo agli immobili esistenti (presumibilmente corrispondenti ad immobili legittimamente realizzati o regolarmente legittimati alla data di entrata in vigore della legge medesima, ex art. 1, comma 3 della legge regionale), ma anche a quelli per la cui costruzione sia già stato conseguito il titolo abilitativo edilizio o l’approvazione dell’eventuale programma integrato di intervento richiesto alla data di approvazione della delibera del Consiglio comunale di cui al comma 1 del medesimo articolo.
In tal modo, la portata derogatoria (già di per sé, non coerente con le disposizioni del TUE, nel senso sopra precisato) viene, di fatto, estesa, con valenza retroattiva, ad immobili per la cui costruzione sia già stato conseguito il titolo abilitativo edilizio o l’approvazione dell’eventuale programma integrato di intervento.
Atteso che la previsione regionale è caratterizzata da un indubbio carattere innovativo, con efficacia retroattiva, essa potrebbe rendere legittime condotte che, non considerate tali al momento della loro realizzazione (perché non conformi agli strumenti urbanistici di riferimento), lo divengono per effetto dell’intervento successivo del legislatore, con l’ulteriore conseguenza di consentire la regolarizzazione ex post di opere che, al momento della loro realizzazione, erano in contrasto con gli strumenti urbanistici di riferimento, dando corpo a un intervento che esula dalle competenze regionali e risulta pertanto illegittimo.
Al riguardo, si precisa che nella sentenza n. 73 del 2017, la Corte costituzionale ha ribadito che:
“4.3.1…Al legislatore non è preclusa la possibilità di emanare norme retroattive sia innovative che di interpretazione autentica. La retroattività deve, tuttavia, trovare adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza attraverso un puntuale bilanciamento tra le ragioni che ne hanno motivato la previsione e i valori, costituzionalmente tutelati, al contempo potenzialmente lesi dall’efficacia a ritroso della norma adottata (sentenza n. 170 del 2013, che riassume sul tema le costanti indicazioni di principio espresse dalla Corte).
Questa Corte ha, pertanto, individuato alcuni limiti generali all’efficacia retroattiva delle leggi, attinenti alla salvaguardia di principi costituzionali tra i quali sono ricompresi «il rispetto del principio generale di ragionevolezza, che si riflette nel divieto di introdurre ingiustificate disparità di trattamento; la tutela dell’affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto; la coerenza e la certezza dell’ordinamento giuridico; il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario» (sentenza n. 170 del 2013, nonché sentenze n. 78 del 2012 e n. 209 del 2010).
Nella citata sentenza n. 73 del 2017, la Corte costituzionale ha, altresì, affermato che “Anche a voler ritenere che, nella specie, le disposizioni impugnate possano trovare una loro giustificazione nell’esigenza della Regione di assicurare una maggiore omogeneità alle norme in oggetto per fare fronte al sovrapporsi delle modifiche intervenute nel tempo, siffatta finalità deve ritenersi recessiva rispetto al valore della certezza del diritto, nel caso messo in discussione in una materia, quella urbanistica, rispetto alla quale assume una peculiare rilevanza l’affidamento che la collettività ripone nella sicurezza giuridica (sentenza n. 209 del 2010). Del resto, pur guardando alla potenziale incidenza delle norme impugnate sui rapporti interprivati, va osservato che le stesse, per quanto prevalentemente di favore rispetto agli interessi dei singoli destinatari, retroagendo nel tempo sacrificano, in linea di principio, le posizioni soggettive dei potenziali controinteressati che facevano affidamento sulla stabilità dell’assetto normativo vigente all’epoca delle singole condotte.”.
A ciò, si aggiunga, con specifico riferimento alla prevista approvazione dell’eventuale programma integrato di intervento, che la Corte costituzionale, nella sentenza n. 232 del 2017, ha precisato che “Né alcun rilievo assume la presunta coerenza delle disposizioni impugnate con gli approdi di una parte della giurisprudenza amministrativa (sulla cosiddetta sanatoria giurisprudenziale), peraltro contraddetta da orientamenti consolidati, espressi anche di recente (Consiglio di Stato, sez. sesta, n. 3194 del 2016), «perché un suo eventuale riconoscimento normativo non potrebbe che provenire dal legislatore statale» (sentenza n. 233 del 2015).
In ogni caso, va ricordato che, nella sentenza n. 89 del 2019, la Corte costituzionale ha affermato che “...possono trovare ingresso, nel giudizio in via principale, questioni promosse in via cautelativa ed ipotetica, sulla base di interpretazioni prospettate soltanto come possibili, purchè non implausibili e comunque ragionevolmente desumibili dalle disposizioni impugnate" (ex multis, sentenza n. 103 del 2018, punto 4.1. del Considerato in diritto). Nel giudizio in via principale possono dunque essere dedotte "anche le lesioni in ipotesi derivanti, da distorsioni interpretative delle disposizioni impugnate" (sentenza n. 270 del 2017, punto 4.2. del Considerato in diritto).»”.
La richiamata disposizione della legge regionale in questione travalica i limiti individuati dalla giurisprudenza della Corte richiamata, violando l’articolo 3 della Costituzione.”
Con riferimento a sopravvenute disposizioni non satisfattive di norme precedentemente oggetto di impugnativa, riproduttive nella sostanza delle norme stesse, la Corte costituzionale ha ritenuto legittimo il conseguentemente trasferimento della relativa impugnazione (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 181 del 2013), dovendosi, altresì, rilevare che la normativa all’esame introduce una disciplina della materia, «senza modificare né i principi ispiratori della complessiva disciplina normativa preesistente né i contenuti normativi essenziali dei singoli precetti» (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 199 del 2012).
Per questi motivi la legge regionale in esame, limitatamente alle norme contenute negli articoli 8 e 24, deve essere impugnata ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione per violazione degli articoli 3, 9, e 117, secondo comma lettera s), tutela del paesaggio, e terzo comma, della Costituzione con riferimento alla materia “governo del territorio” .
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