Dettaglio Legge Regionale

Misure per lo sviluppo economico, l’attrattività degli investimenti e la semplificazione. (27-2-2020)
Lazio
Legge n.1 del 27-2-2020
n.17 del 27-2-2020
Politiche economiche e finanziarie
24-4-2020 / Impugnata
La legge della Regione Lazio n. 1 del 27 febbraio 2020 recante "Misure per lo sviluppo economico, l’attrattività degli investimenti e la semplificazione" reca alcune disposizioni contrastanti con la competenza esclusiva statale in materia di tutela dell'ambiente e dei beni culturali (art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.).

Art. 5 Semplificazioni procedimentali in materia di varianti urbanistiche. Modifiche alla legge regionale 2 luglio 1987, n. 36 “Norme in materia di attività urbanistico-edilizia e snellimento delle procedure” e alla legge regionale 18 luglio 2017, n. 7 “Disposizioni per la rigenerazione urbana e per il recupero edilizio” e successive modifiche.
L’art. 5, che apporta modifiche alla disciplina dei procedimenti di approvazione delle varianti urbanistiche e dei piani attuativi dello strumento urbanistico generale, si pone in violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in ordine alla tutela dell'ambiente e dei beni culturali, in quanto non in linea con le disposizioni dettate in materia dal Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.
In particolare, si rileva che nella normativa regionale non vi è alcun richiamo né alle procedure di adeguamento e conformazione degli strumenti urbanistici al Piano paesaggistico, né alla partecipazione del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo al procedimento di conformazione e adeguamento, che pure la Regione deve obbligatoriamente assicurare ai sensi dell' art. 145, commi 4 e 5, del Codice dei beni culturali e del paesaggio. Il predetto Codice assegna una posizione di assoluta preminenza, nel contesto della pianificazione territoriale, al Piano paesaggistico, approvato sulla base dell'intesa tra to Stato e la Regione. Gli articoli 143, comma 9, e 145, comma 3, del Codice sanciscono infatti l'inderogabilità delle previsioni del predetto strumento da parte di piani, programmi e progetti nazionali o regionali di sviluppo economico e la loro cogenza rispetto agli strumenti urbanistici, nonché l'immediata prevalenza del piano paesaggistico su ogni altro atto della pianificazione territoriale e urbanistica (cfr. Corte cost. n. 180 del 2008). In tale disegno normativo si colloca la previsione secondo la quale la verifica della coerenza con il piano paesaggistico degli altri strumenti di pianificazione deve necessariamente avvenire con la partecipazione dei competenti organi del Ministero. L' articolo 145, comma 5, del Codice stabilisce, infatti, che "La Regione disciplina il procedimento di conformazione ed adeguamento degli strumenti urbanistici alle previsioni della pianificazione paesaggistica, assicurando la partecipazione degli organi ministeriali al procedimento medesimo". Manca peraltro un rinvio alle procedure di adeguamento e conformazione degli strumenti urbanistici comunali al PTPR, cosi come disciplinate dall'art. 65 delle Norme di Piano, oggetto della deliberazione del Consiglio regionale del Lazio n. 5 del 2019, concernente l'approvazione del "Piano territoriale paesistico regionale (PTPR)", pubblicata sul Bollettino ufficiale della Regione Lazio il 13 febbraio 2020. A tal proposito, si precisa che le predette Norme di Piano, compreso l'art. 65, come unilateralmente modificate dalla Regione Lazio rispetto alla precedente versione concordata con il Ministero, sono state sottoposte al vaglio della Corte Costituzionale, con conflitto di attribuzione ai sensi dell'art. 134 Cost. nei confronti della predetta deliberazione, con la quale la Regione Lazio ha illegittimamente approvato in via unilaterale i PTPR, in violazione del principio di rilievo costituzionale di co¬pianificazione paesaggistica obbligatoria.
La ripresa dei lavori di copianificazione tra la Regione e il Ministero, successivamente alla deliberazione n. 5 citata, ha comunque consentito l'elaborazione di un nuovo testo normativo, comprensivo anche dell'art. 65, confluito come Allegato alla proposta di deliberazione consiliare n. 42 del 2020 formulata dalla Giunta regionale. Per assicurare la legittimità costituzionale della disciplina regionale nella materia de qua è quindi necessario che si faccia riferimento a tale ultima formulazione, condivisa con il Ministero e coerente con l'impianto del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.

Art. 6 Semplificazione istruttoria per l’approvazione degli strumenti urbanistici generali e dei piani attuativi. Modifiche alla legge regionale 22 dicembre 1999, n. 38 “Norme sul governo del territorio” e successive modifiche.
Il comma 1, lett. b), sostituisce il comma 2 dell’art. 54 della legge n. 38 del 1999, che disciplina le trasformazioni urbanistiche in zona agricola.
Per effetto della novella, il predetto comma 2 assume la seguente formulazione: “Nel rispetto degli articoli 55, 57 e 57-bis e dei regolamenti ivi previsti, nelle zone agricole sono consentite le attività rurali aziendali come individuate all’articolo 2 della L.R. 14/2006, comprensive delle attività multimprenditoriali individuate dal medesimo articolo 2. Rientrano nelle attività multimprenditoriali le seguenti attività:
a) turismo rurale;
b) trasformazione e vendita diretta dei prodotti derivanti dall’esercizio delle attività agricole tradizionali;
c) ristorazione e degustazione dei prodotti tipici derivanti dall’esercizio delle attività agricole tradizionali;
d) attività culturali, didattiche, sociali, ricreative, sportive e terapeutico-riabilitative;
e) accoglienza ed assistenza degli animali;
f) produzione delle energie rinnovabili.”.
L’attività di “produzione delle energie rinnovabili” viene, quindi, espressamente inclusa tra le attività “multimprenditoriali”, a loro volta rientranti tra le attività generalmente consentite in zona agricola.
Il Ministero rileva che, in tal modo, la Regione conferma una linea di indirizzo già tracciata nell’ambito di diverse altre iniziative legislative intraprese negli ultimi anni, volta ad ampliare le categorie delle attività ritenute “compatibili” con il territorio rurale, segnalando che gli effetti applicativi di tali modifiche, sebbene tendenzialmente orientati al raggiungimento degli obiettivi fissati al 2030 in materia di riduzione delle emissioni di CO2, facilitano l’utilizzo del territorio agricolo per la produzione di energia da fonti rinnovabili, a prescindere dalla sua effettiva capacità produttiva e vocazione colturale, oltre che dai suoi valori paesaggistici. Si consente, così, in concreto, una vera e propria riconversione funzionale di ampie porzioni (anche centinaia di ettari) di territorio da agricolo a industriale, al di là di qualsiasi strumento di pianificazione di settore, e pertanto in assenza di una effettiva, preventiva, mirata e necessaria programmazione degli interventi di trasformazione del territorio regionale, da compiersi in prima istanza nel piano paesaggistico regionale.
Si ritiene, pertanto, imprescindibile che la norma richiami espressamente la necessità di adeguarsi alle previsioni della pianificazione paesaggistica, previamente condivisa mediante intesa con lo Stato, oltre che del PER e delle altre leggi regionali.
In assenza di tale richiamo, la normativa regionale risulta invasiva della sfera di competenza esclusiva riservata allo Stato, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione, rispetto al quale le disposizioni degli articoli 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio costituiscono norme interposte, e pregiudica l’interesse costituzionale alla tutela del paesaggio, di cui all’articolo 9 della Costituzione, che costituisce valore primario e assoluto (Corte cost. 367 del 2007).
Al riguardo, occorre ricordare che la Corte costituzionale ha precisato, in termini generali, che: “Sul territorio (…) «vengono a trovarsi di fronte» – tra gli altri – «due tipi di interessi pubblici diversi: quello alla conservazione del paesaggio, affidato allo Stato, e quello alla fruizione del territorio, affidato anche alle Regioni» (sentenza n. 367 del 2007, punto 7.1 del Considerato in diritto). Fermo restando che la tutela del paesaggio e quella del territorio sono necessariamente distinte, rientra nella competenza legislativa statale stabilire la linea di distinzione tra le ipotesi di nuova costruzione e quelle degli altri interventi edilizi. Se il legislatore regionale potesse definire a propria discrezione tale linea, la conseguente difformità normativa che si avrebbe tra le varie Regioni produrrebbe rilevanti ricadute sul «paesaggio […] della Nazione» (art. 9 Cost.), inteso come «aspetto del territorio, per i contenuti ambientali e culturali che contiene, che è di per sé un valore costituzionale» (sentenza n. 367 del 2007), e sulla sua tutela” (sentenza n. 309 del 2011).
La disciplina regionale censurata, prevedendo in modo generalizzato la possibile destinazione di aree agricole alla produzione di energie rinnovabili, pretermette il ruolo proprio del piano paesaggistico nell’individuazione degli usi compatibili e non compatibili con i beni soggetti a tutela paesaggistica. Le disposizioni contrastano, nello specifico, con la scelta del legislatore statale di rimettere alla pianificazione la disciplina d’uso dei beni paesaggistici (c.d. vestizione dei vincoli), ai fini dell’autorizzazione degli interventi; scelta esplicitata negli articoli 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturale e del paesaggio, costituenti norme interposte rispetto al parametro costituzionale di cui agli articoli 9 e 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione.
La parte III del Codice dei beni culturali e del paesaggio delinea un sistema organico di tutela paesaggistica, inserendo i tradizionali strumenti del provvedimento impositivo del vincolo e dell’autorizzazione paesaggistica nel quadro della pianificazione paesaggistica del territorio, che deve essere elaborata concordemente da Stato e Regione. Tale pianificazione concordata prevede, per ciascuna area tutelata, le cd. Prescrizioni d’uso (e cioè i criteri di gestione del vincolo, volti a orientare la fase autorizzatoria) e stabilisce la tipologia delle trasformazioni compatibili e di quelle vietate, nonché le condizioni delle eventuali trasformazioni.
Il legislatore nazionale, nell’esercizio della potestà legislativa esclusiva in materia, ha assegnato al piano paesaggistico una posizione di assoluta preminenza nel contesto della pianificazione territoriale. Gli articoli 143, comma 9, e 145, comma 3, del Codice di settore sanciscono infatti l’inderogabilità delle previsioni del predetto strumento da parte di piani, programmi e progetti nazionali o regionali di sviluppo economico e la loro cogenza rispetto agli strumenti urbanistici, nonché l’immediata prevalenza del piano paesaggistico su ogni altro atto della pianificazione territoriale e urbanistica (cfr. Corte cost. n. 180 del 2008).
La disposizione regionale in esame, pertanto, confligge con la normativa statale, laddove incentiva possibili trasformazioni del territorio agricolo, anche paesaggisticamente vincolato, in contrasto con la vocazione naturale del territorio e a scapito della sua conservazione e integrità, senza richiamare espressamente la disciplina dettata al riguardo dal piano paesaggistico.
Occorre peraltro rimarcare che, allo stato attuale, la Regione Lazio è ancora priva di un piano paesaggistico concordato con il Ministero. La Regione, come già anticipato, ha infatti approvato, con la delibera del Consiglio regionale n. 5 del 2019, oggetto di impugnativa da parte del Governo avanti alla Corte costituzionale, un piano unilaterale, in violazione del principio di leale collaborazione, in quanto da tempo erano in corso i lavori di co-pianificazione con il Ministero. Con la pubblicazione di tale deliberazione, in data 13 febbraio 2020, nel Bollettino regionale, tale piano ha assunto piena efficacia nel territorio regionale, anche se nel frattempo i lavori di co-pianificazione erano ripresi e avevano portato all’elaborazione di un nuovo testo condiviso, allo stato non approvato dal Consiglio regionale.
Anche alla luce della mancanza, nel territorio regionale, di un piano paesaggistico oggetto di pianificazione congiunta con il Ministero, la disciplina introdotta dalla legge regionale impugnata avrebbe, perciò, dovuto espressamente subordinare l’applicabilità delle previsioni in materia di localizzazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili in aree agricole alla previa definizione, al riguardo, di un quadro di regole condiviso con questo Ministero nell’ambito della pianificazione paesaggistica. Ciò anzitutto allo scopo di evitare che, in sede di rilascio delle autorizzazioni, le singole trasformazioni vengano valutate in modo parcellizzato, e non nell’ambito della considerazione complessiva del contesto tutelato specificamente demandata al piano paesaggistico, secondo la scelta operata al riguardo dal legislatore nazionale.
La Corte costituzionale ha, infatti, da tempo affermato l’esistenza di un vero e proprio obbligo, costituente un principio inderogabile della legislazione statale, di elaborazione congiunta del piano paesaggistico, con riferimento ai beni vincolati (Corte cost. n. 86 del 2019) e ha rimarcato che l’impronta unitaria della pianificazione paesaggistica “è assunta a valore imprescindibile, non derogabile dal legislatore regionale in quanto espressione di un intervento teso a stabilire una metodologia uniforme nel rispetto della legislazione di tutela dei beni culturali e paesaggistici sull’intero territorio nazionale” (Corte cost., n. 182 del 2006; cfr. anche la sentenza n. 272 del 2009).
In contrasto con il principio enunciato dalla Corte, la disposizione regionale censurata attua una vera e propria “fuga” dal piano paesaggistico, nei termini sopra indicati.
L’articolo 6 della legge regionale in esame è, quindi, da ritenere costituzionalmente illegittimo laddove, nel disciplinare le attività “multimprenditoriali” consentite in zona agricola e nel prevedere, tra queste, espressamente la produzione delle energie rinnovabili, richiama soltanto il rispetto della normativa regionale, ma non prevede analoga clausola in favore del piano paesaggistico, frutto di elaborazione congiunta con il Ministero, ai sensi degli articoli 135, comma 1, e 143, comma 2, del Codice di settore.
In particolare, la suddetta disposizione si pone in contrasto con la potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela del paesaggio, di cui all’articolo 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione, rispetto al quale costituiscono norme interposte gli articoli 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio.
È, inoltre, violato l’articolo 9 della Costituzione – il quale pone la tutela del paesaggio quale interesse primario e assoluto (cfr. Corte cost. n. 367 del 2017) – in considerazione del potenziale pregiudizio ai beni tutelati derivante dagli interventi incentivati dalla legge regionale.
Da ciò la richiesta di impugnazione della disposizione regionale in esame.

Si evidenzia, inoltre, anche la criticità delle disposizioni introdotte con le lettere c), d) ed e) del comma 1 dell’articolo 6, relative all’edificazione in zona agricola e ai PUA – Piani di utilizzazione aziendale (artt. 55, 57 e 57-bis della legge n. 38 del 1999), che consentono di realizzare manufatti connessi alle attività agricole, ampliando sensibilmente le relative categorie mediante il riferimento “alle attività agricole tradizionali, connesse e compatibili” e prevedendo, tra i vari interventi possibili, anche la realizzazione di piscine.
Pure in questo caso la Regione consente la trasformazione indiscriminata delle aree agricole, senza una definizione preventiva degli interventi compatibili con il contesto, che deve avvenire nell’ambito piano paesaggistico previamente elaborato d’intesa con lo Stato. Gli effetti possono coinvolgere anche contesti tutelati, come le aziende agricole situate in aree vincolate, oggetto di specifica previsione nelle Norme del PTPR (art. 52) approvate e pubblicate nel B.U. regionale del 13 febbraio 2020 (la cui formulazione attuale, peraltro, non è stata condivisa con questo Ministero ed è pertanto all’attenzione della Corte costituzionale, innanzi alla quale è stato proposto conflitto di attribuzioni).
Per quanto riguarda la tutela paesaggistica, di cui alla parte III del Codice, si richiama quanto già affermato con riferimento al comma 1, lett. b), del medesimo articolo 6.
Quanto agli interventi resi possibili e riferibili anche a manufatti di interesse culturale, tutelati ai sensi della parte II del Codice dei beni culturali e del paesaggio, deve tenersi presente che, in base all’articolo 20, comma 1, del medesimo Codice, “I beni culturali non possono essere distrutti, deteriorati, danneggiati o adibiti ad usi non compatibili con il loro carattere storico o artistico oppure tali da recare pregiudizio alla loro conservazione”. È pertanto del tutto estranea alle attribuzioni regionali la disciplina delle possibili modificazioni di beni culturali sottoposti a tutela, essendo tale disciplina rimessa esclusivamente allo Stato.
Sulla questione, si richiamano i costanti orientamenti della Corte costituzionale, la quale ha posto una precisa linea di distinzione tra le competenze legislative statali e regionali, riservando allo Stato la competenza tutte le volte in cui oggetto della disciplina sia un bene tutelato, anche avendo riguardo al “supporto materiale” inciso dalla normativa.
In particolare, già con la sentenza n. 9 del 2004 la Corte ha evidenziato come rientri tra le attività costituenti tutela, riservata in via esclusiva allo Stato, quella diretta “a conservare i beni culturali e ambientali”, ossia volta “principalmente ad impedire che il bene possa degradarsi nella sua struttura fisica e quindi nel suo contenuto culturale”.
Non spetta, pertanto, alla Regione dettare una disciplina volta a individuare le modificazioni consentite di immobili sottoposti a tutela ai sensi della parte II del Codice dei beni culturali e del paesaggio.
Si chiede, pertanto, di impugnare la disposizione regionale in esame, per violazione dell’articolo 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione, rispetto al quale costituiscono norme interposte gli articoli 20, 21, 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, nonché per violazione dell’articolo 9 della Costituzione.

Art. 7 Riordino dei procedimenti amministrativi concernenti concessioni su beni demaniali e non demaniali regionali.
Criticità si evidenziano anche relativamente al comma 7, lett. c), che modifica il comma 1 dell’art. 10 della legge regionale n. 53 del 1998, attribuendo ai comuni il rilascio della concessione dei beni del demanio marittimo per i porti turistici, gli approdi turistici e punti di ormeggio, sulla base di quanto stabilito dal PUA (Piano di utilizzazione degli arenili) regionale e dai rispettivi PUA comunali (nuovo numero 2-quater).
Infatti la normativa (oltre ad attribuire ai comuni tali funzioni), non fa alcun riferimento alla fase necessaria di verifica della coerenza dei predetti PUA con la disciplina di tutela delle fasce costiere marittime, e quindi degli arenili, contenuta nel piano paesaggistico.
La previsione della legge regionale ha cura di stabilire un preciso parametro di riferimento per il rilascio dei titoli da parte dei comuni (i PUA regionale e comunale), ma non si occupa di prevedere – come è doveroso da parte dell’Ente, ai sensi dell’articolo 145, comma 5, del Codice dei beni culturali e del paesaggio – che tali strumenti possano costituire un punto di riferimento soltanto se e in quanto conformi a un piano paesaggistico approvato previa intesa con il MIBACT, ai sensi degli articoli 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio.
Al riguardo, occorre aggiungere che, come sopra ricordato, la Regione non è attualmente munita di un piano paesaggistico approvato previa intesa con lo Stato, atteso che il PPTR recentemente entrato in vigore non è conforme all’intesa intercorsa con questo Ministero e, per questa ragione, è stato impugnato innanzi alla Corte costituzionale mediante conflitto di attribuzioni.
Il risultato della disposizione censurata è, quindi, di rendere possibile il rilascio delle concessioni, sulla base dei PUA, al di fuori del quadro della pianificazione paesaggistica definita previa intesa con detto Ministero. Si realizza, quindi, una vera e propria “fuga” dal piano paesaggistico, sottraendo alla sede propria stabilita dalla legge la pianificazione delle aree costiere, sottoposte a tutela paesaggistica ope legis, ai sensi dell’art. 142, comma 1, lett. a) del Codice, proprio per la loro fragilità, in considerazione dell’uso massiccio delle coste per finalità turistiche, economiche, commerciali, ecc.
Da ciò la violazione dell’articolo 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione, rispetto al quale costituiscono norme interposte le previsioni degli articoli 135, 142, 143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, nonché la lesione del principio fondamentale della tutela del paesaggio, di cui all’articolo 9 della Costituzione.

Art. 9 Disposizioni di semplificazione in materia ambientale.
Il comma 9, lett. d), n. 1), modifica la legge regionale n. 39 del 2002 “Norme in materia di gestione delle risorse forestali”. In particolare, viene modificata la definizione di “faggeta depressa” contenuta nel comma 2 dell’articolo 34-bis della predetta legge regionale, abbassando la quota al di sotto della quale gli ecosistemi forestali governati a fustaia a prevalenza di faggio sono definiti tali a 300 metri s.l.m., invece che a 800 metri s.l.m. come in precedenza.
La novella ha una diretta incidenza sull’ambito applicativo della disposizione del comma 3, ultimo periodo, dello stesso articolo 34-bis della legge regionale n. 39 del 2002, ove si stabilisce che “Per le faggete depresse di cui al comma 2 sono vietate le utilizzazioni per finalità produttive fatto salvo i tagli necessari per la conservazione della faggeta o per motivi di pubblica incolumità”.
Al riguardo, occorre tenere presente che “i territori coperti da foreste e da boschi” sono sottoposti a tutela paesaggistica ai sensi dell’articolo 142, comma 1, lett. g), del Codice dei beni culturali e del paesaggio. L’effetto della norma regionale censurata è, quindi, quello di prevedere in modo indiscriminato, per tutto il territorio regionale, e al di fuori della pianificazione paesaggistica, una norma applicabile in modo uniforme alle aree boscate a faggeta, diminuendo il livello della relativa tutela.
Anche in questo caso, è pertanto ravvisabile la violazione dell’articolo 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione, rispetto al quale costituiscono norme interposte le previsioni degli articoli 135, 142, 143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, nonché la lesione del principio fondamentale della tutela del paesaggio, di cui all’articolo 9 della Costituzione, per le ragioni già sopra illustrate.

Il comma 16 dispone che: “Al fine di semplificare le procedure di approvazione della pianificazione forestale aziendale, i procedimenti di approvazione dei piani predisposti ai sensi degli articoli 13 e 14 della legge regionale 28 ottobre 2002, n. 39 (Norme in materia di gestione delle risorse forestali), che contemplano interventi a carico dei beni ai sensi degli articoli 136 e 142 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137) e successive modifiche, sono soggetti all’acquisizione dell’autorizzazione di cui all’articolo 146 del D.Lgs. 42/2004. Tale preventiva autorizzazione paesaggistica si intende acquisita per tutti gli interventi previsti nei piani stessi e resi esecutivi. Resta salvo quanto previsto dall’articolo 149, comma 1, lettere b) e c), del D.Lgs. 42/2004 in merito agli interventi esonerati dall’obbligo di acquisire l’autorizzazione paesaggistica.”.
Effetto della disposizione è quello di anticipare l’autorizzazione paesaggistica ai piani di gestione e assestamento forestale e al piano poliennale di taglio di cui agli artt. 13 e 14 della legge regionale n. 39 del 2002 ove siano previsti interventi su beni tutelati, esonerando poi dal rilascio dell’autorizzazione i singoli interventi.
La previsione si pone in diretto contrasto con gli articoli 146 e 149 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, in base ai quali tutti gli interventi sui beni tutelati devono essere previamente autorizzati (articolo 146), salvo che non ricadano nelle ipotesi di espressa esclusione stabilite dal legislatore statale (articolo 149).
Pur essendo ipotizzabile, in analogia a quanto previsto in materia urbanistica, l’espressione di un “parere paesaggistico” preliminare in relazione al piano, non può essere tuttavia esclusa la necessità, a valle, di autorizzare i singoli interventi conformi al piano assentito, prendendo in considerazione tutti gli aspetti di dettaglio di tali interventi, pena la violazione del regime di tutela stabilito dal Codice.
Con riferimento all’autorizzazione paesaggistica, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 189 del 2016, ha affermato – richiamando al riguardo anche le sentenze n. 232 del 2008, n. 101 del 2010 e n. 235 del 2011 – che non è consentito alle regioni introdurre deroghe alla legislazione statale che detta regole uniformi su tutto il territorio nazionale.
La norma regionale censurata invade, quindi, la potestà legislativa esclusiva dello Stato di cui all’articolo 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione, rispetto al quale gli articoli 146 e 149 del Codice dei beni culturali e del paesaggio costituiscono norme interposte, e incide, inoltre, sul livello della tutela del paesaggio, stabilito in via uniforme sul tutto il territorio nazionale, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lett. m), della Costituzione.
L’abbassamento della tutela determina, inoltre, la violazione anche dell’articolo 9 della Costituzione.
Si chiede, pertanto, l’impugnazione della norma in esame.
Art. 10 Disposizioni in materia di fonti energetiche rinnovabili.
Il comma 11, inserisce, dopo l’articolo 3 della legge regionale 16 dicembre 2011, n. 16 (“Norme in materia ambientale e di fonti rinnovabili”), l’art. 3.1, rubricato “Localizzazione di impianti fotovoltaici in zona agricola”.
La disposizione riconferma il ruolo fondamentale e strategico del piano energetico regionale (PER), come strumento di programmazione della produzione di energia da fonti rinnovabili e del risparmio energetico in agricoltura per le zone “E”, pur richiamando la necessità che tale programmazione venga effettuata in coordinamento con il piano agricolo regionale (PAR) di cui all’articolo 52 della legge regionale n. 38 del 1999.
Al riguardo, deve tenersi presente che, allo stato, il PER in itinere – che in tema di localizzazione degli impianti si propone di ridurre al minimo il consumo di suolo, favorendo il riutilizzo di aree già degradate, nonché lo sfruttamento di infrastrutture già esistenti, nel rispetto del contesto storico, naturale e paesaggistico – non è stato ancora approvato, nonostante abbia concluso il procedimento di VAS e disponga da luglio 2018 del parere motivato necessario per essere approvato.
Ciò posto, con riferimento al nuovo art. 3.1 della legge regionale n. 16 del 2011, occorre osservare che viene omesso il necessario richiamo al piano paesaggistico e alla sua disciplina programmatoria e pianificatoria, benché soltanto quest’ultimo piano possa orientare l’individuazione delle aree, sia in negativo quali aree escluse, sia in positivo quali aree idonee all’installazione delle diverse tipologie di impianti destinati alla produzione di energia da fonti rinnovabili e i limiti del relativo dimensionamento.
Sotto altro profilo, il Ministero ha ritenuto apprezzabili gli intenti del legislatore regionale, espressi nei commi 3 e 4 del predetto articolo 3.1 della legge regionale n. 16 del 2011, di delineare un diverso approccio per la gestione della notevole pressione che il territorio agricolo del Lazio sta subendo in questi ultimi mesi da parte degli operatori del settore (FER). Tuttavia, non si può non rilevare come tale finalità dichiarata sia sostanzialmente vanificata da quanto stabilito al comma 5 del medesimo articolo.
Il predetto comma 3 dispone, infatti, che “I comuni, nelle more dell’entrata in vigore del PER, che comunque deve essere operativo entro centottanta giorni dall’approvazione della presente disposizione, al fine di garantire uno sviluppo sostenibile del territorio, la tutela dell’ecosistema e delle attività agricole, nel rispetto dei principi e dei valori costituzionali ed eurounitari, individuano, considerate le disposizioni del decreto del Ministro dello sviluppo economico 10 settembre 2010(Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili), le aree idonee per l’installazione degli impianti fotovoltaici a terra per una superficie complessiva non superiore al 3 per cento delle zone omogene “E” di cui al D.M. 1444/1968, identificate dagli strumenti urbanistici comunali.”. Fino all’entrata in vigore del PER, dunque, le aree idonee all’installazione degli impianti sono identificate dai Comuni nel rispetto di una serie di criteri e non possono includere comunque oltre il 3 per cento delle aree classificate come agricole (zone E) degli strumenti urbanistici comunali.
Il successivo comma 5 contraddice tuttavia apertamente la suddetta previsione – rendendo anche difficile comprendere il rapporto esistente tra le due disposizioni – poiché stabilisce che: “Nelle more delle previsioni di cui al comma 1 [ossia in attesa del PER, che dovrebbe disciplinare la programmazione della produzione di energia da fonti rinnovabili e del risparmio energetico in agricoltura per le zone omogenee “E”, in coordinamento con il PAR], resta sempre consentita la produzione di energia da fonti rinnovabili con le modalità previste dalla legge regionale 2 novembre 2006, n. 14 (Norme in materia di diversificazione delle attività agricole) e successive modifiche per la quale non trovano applicazione le limitazioni di cui al comma 3”.
La Regione, in relazione alla mancanza di un espresso richiamo al piano paesaggistico, ripropone ancora la replica generica in base alla quale tale richiamo non sarebbe necessario, essendo nota la valenza sovraordinata del piano stesso.
Con riferimento al comma 5, l’Ente si limita ad affermare che, ai sensi dell’articolo 54, comma 3, della legge regionale n. 38 del 1999, le attività per la produzione di energie rinnovabili localizzate all’interno dell’azienda agricola sono esercitate previa approvazione di un piano di utilizzazione ambientale (PUA), ai sensi dell’articolo 57-bis della medesima legge regionale. Conseguentemente, poiché la disciplina dei PUA (articoli 57 e 57-bis della legge regionale n. 38 del 1999 e Regolamento regionale 5 gennaio 2018, n. 1) imporrebbe limiti stringenti in termini di superficie utilizzabile per la realizzazione di un impianto di energia rinnovabile, la disposizione regionale introdotta con la legge n. 1 del 2020 sarebbe “addirittura più restrittiva di quanto appaia ad una prima lettura”.
Al riguardo, deve anzitutto rimarcarsi che – contrariamente a quanto affermato dalla Regione – l’articolo 54, comma 3, della legge regionale n. 38 del 1994 subordina alla previa approvazione di un PUA esclusivamente la localizzazione all’interno dell’azienda agricola delle attività di “trasformazione e vendita diretta dei prodotti derivanti dall’esercizio delle attività agricole tradizionali” (di cui al comma 2, lett. b), del predetto articolo 54), e non anche le attività di “produzione delle energie rinnovabili” (cui si riferisce la lett. f) del comma 2 dell’articolo 54). Conseguentemente, la localizzazione di queste ultime attività non è comunque subordinata (neppure) al PUA.
L’effetto combinato della modifica dell’articolo 54, comma 2, della legge regionale n. 38 del 1999 (che, come ricordato, è stato integralmente sostituito dall’articolo 6, comma 1, lett. b), della legge regionale n. 1 del 2020) e dell’articolo 3.1, comma 5, della legge regionale n. 16 del 2011 (introdotto dall’articolo 10, comma 11, della legge regionale n. 1 del 2020) è, quindi, quello di consentire la realizzazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili in aree agricole, al di fuori non solo del piano energetico regionale, ma soprattutto del quadro programmatorio condiviso con il Ministero a monte, nell’ambito del piano paesaggistico, che costituisce la sede propria nell’ambito della quale deve essere valutata la compatibilità paesaggistica del complesso degli interventi, onde evitare che la sommatoria dei singoli impianti realizzati e di futura realizzazione nel territorio sfugga a qualsiasi logica programmatoria, e quindi a una visione d’insieme, con grave danno del paesaggio complessivamente inteso.
La mancanza di un quadro programmatorio condiviso a monte assume ancora maggiore rilevanza in relazione al regime autorizzatorio attuale che caratterizza la realizzazione dei nuovi impianti di fonti rinnovabili nel territorio regionale, in attesa dell’efficacia del PER. Le numerose richieste di realizzazione di impianti fotovoltaici di rilevanti estensioni in zone agricole, classificate e tutelate dal PTPR quali paesaggi agrari di valore o di elevato valore, vengono infatti ordinariamente autorizzate caso per caso con provvedimenti regionali, nell’ambito di procedimenti ai sensi dell’articolo 27-bis del d.lgs. N. 152 del 2006, nonostante il parere negativo di questo Ministero.
Alla luce di quanto sin qui esposto, l’articolo 10, comma 11, della legge regionale n. 1 del 2020 è costituzionalmente illegittimo: (i) in quanto, introducendo l’articolo 3.1 della legge regionale n. 16 del 2011, non subordina la programmazione della produzione di energia da fonti rinnovabili e del risparmio energetico in agricoltura per le zone omogenee “E” di cui al decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444 alla pianificazione paesaggistica elaborata previa intesa con questo Ministero; (ii) nella parte in cui, mediante la previsione del comma 5 del predetto articolo 3.1, consente, in attesa del PER, la realizzazione degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili in aree agricole senza alcuna programmazione nell’ambito di un piano paesaggistico previamente condiviso con questo Ministero, secondo quanto prescritto dal Codice dei beni culturali e del paesaggio.
La disposizione censurata invade, infatti, la potestà legislativa esclusiva dello Stato di cui all’articolo 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione, rispetto al quale gli articoli 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio costituiscono norme interposte, e si pone inoltre in contrasto con il principio fondamentale della tutela del paesaggio, di cui all’articolo 9 della Costituzione, in quanto determina un abbassamento del livello della tutela, laddove consente l’indiscriminata localizzazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili nelle aree agricole.
Alla luce di quanto sopra esposto si propone di impugnare la legge ai sensi dell'articolo 127 della Costituzione.

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