Dettaglio Legge Regionale

Norme in materia di contratti di formazione specialistica aggiuntivi regionali. (6-3-2020)
Sardegna
Legge n.6 del 6-3-2020
n.9 del 9-3-2020
Politiche socio sanitarie e culturali
/ Rinuncia impugnativa
29-4-2020 / Impugnata

La legge della regione Sardegna n. 6 del 6 marzo 2020, recante “Norme in materia di contratti di formazione specialistica aggiuntivi regionali”, presenta profili di illegittimità costituzionale.

Con la legge in esame la Regione, al fine di garantire la copertura continuativa dei fabbisogni professionali del servizio sanitario regionale, promuove interventi a sostegno della formazione in ambito sanitario, con particolare riferimento alla formazione specialistica dei medici. All’uopo la Regione finanzia contratti di formazione specialistica aggiuntivi, rispetto a quelli statali, per incentivare la formazione specialistica dei medici e favorirne la permanenza nelle strutture del Servizio sanitario regionale.
Ciò premesso, alcune norme della legge in esame esulano dalle competenze attribuite alla regione dallo Statuto speciale (l. cost. n. 3 del 1948) e contrastano con i principi di ragionevolezza, di uguaglianza e di autodeterminazione, in violazione degli artt. 2, 3 e 41 della Costituzione.
In particolare.

1) l'art. 4, comma 1, lett. a), stabilisce che possono accedere ai contratti aggiuntivi regionali i medici abilitati all'esercizio della professione che non abbiano già beneficiato di altri contratti finanziati dalla stessa Regione e che siano stati residenti in Sardegna per almeno dieci anni, anche non continuativi, nel ventennio precedente alla data di scadenza della presentazione delle domande di partecipazione al concorso di ammissione alla scuola di specializzazione.
Il requisito della residenza in Regione per almeno dieci anni, anche non continuativi, richiesto ai medici ai fini dell’ammissione alla specializzazione è censurabile sotto il profilo della ragionevolezza. Tale requisito, infatti, nel limitare considerevolmente la platea degli aspiranti specializzandi, non appare giustificato da una ragionevole correlazione tra la condizione cui è subordinata l’attribuzione del beneficio e il tipo di beneficio concesso, ed è censurabile sotto il profilo della ragionevolezza, in violazione dell’art. 3 della Costituzione.
Come è noto, la Corte Costituzionale è stata chiamata, più volte, a pronunciarsi sul requisito della residenza previsto da alcune leggi regionali ai fini dell'attribuzione di varie provvidenze sociali e dell'assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica. Nonostante il diverso ambito, si ritiene che alcune argomentazioni della Corte possano essere mutuate agli odierni fini e si richiama, all'uopo, la recente sentenza n. 44/2020, relativa al requisito della residenza protratta (per un periodo di almeno cinque anni).
In tale sentenza, mentre si precisa che il requisito della residenza tout court serve a identificare l'ente pubblico competente a erogare una certa prestazione ed è un requisito che ciascun soggetto può soddisfare in ogni momento, si afferma che “ i criteri adottati dal legislatore per la selezione dei beneficiari dei servizi sociali devono presentare un collegamento con la funzione del servizio (ex plurimis, sentenze n. 166 e n. 107 del 2018, n. 168 del 2014, n. 172 e n. 133 del 2013 e n. 40 del 2011). Il giudizio sulla sussistenza e sull'adeguatezza di tale collegamento - fra finalità del servizio da erogare e caratteristiche soggettive richieste ai suoi potenziali beneficiari - è operato da questa Corte secondo la struttura tipica del sindacato svolto ai sensi dell'art. 3, primo comma, Cost., che muove dall'identificazione della ratio della norma di riferimento e passa poi alla verifica della coerenza con tale ratio del filtro selettivo introdotto. Nel caso in esame, l'esito di tale verifica conduce a conclusioni di irragionevolezza del requisito della residenza ultraquinquennale previsto dalla norma censurata come condizione di accesso al beneficio dell'alloggio ERP. Se infatti non vi è dubbio che la ratio del servizio è il soddisfacimento del bisogno abitativo, è agevole constatare che la condizione di previa residenza protratta dei suoi destinatari non presenta con esso alcuna ragionevole connessione (sentenze n. 166 del 2018 e n. 168 del 2014). Parallelamente, l'esclusione di coloro che non soddisfano il requisito della previa residenza quinquennale nella regione determina conseguenze incoerenti con quella stessa funzione."
La Corte sottolinea inoltre che "La previa residenza ultraquinquennale non è di per sé indice di un'elevata probabilità di permanenza in un determinato ambito territoriale, mentre a tali fini risulterebbero ben più significativi altri elementi sui quali si può ragionevolmente fondare una prognosi di stanzialità. In altri termini, la rilevanza conferita a una condizione del passato, quale è la residenza nei cinque anni precedenti, non sarebbe comunque oggettivamente idonea a evitare il "rischio di instabilità" del beneficiario dell'alloggio di edilizia residenziale pubblica, obiettivo che dovrebbe invece essere perseguito avendo riguardo agli indici di probabilità di permanenza per il futuro."

Così, nel caso specifico, è vero che la residenza richiesta quale condizione di accesso dalla legge regionale in esame non deve necessariamente essere continuativa e può essere calcolata nell'ambito di un ventennio, ma è anche vero che la durata minima della residenza è decennale e si somma a quella che il medico dovrà conservare per il periodo di formazione. Inoltre, è da sottolineare che gli obblighi di cui agli articoli 5 e 6 della legge che si sta esaminando vincolano già il beneficiario per un ulteriore quinquennio, considerato che il medico specializzato è tenuto a prestare la propria attività lavorativa per cinque anni dal conseguimento del diploma di specializzazione nelle strutture e negli enti del servizio sanitario regionale ovvero presso le università degli studi della Sardegna.
Pertanto dinanzi al dichiarato intento della legge regionale di sostenere e di incentivare le professioni sanitarie, mentre ben si comprendono le misure atte a favorire la permanenza in Sardegna dei medici specializzati con contratti aggiuntivi finanziati dalla stessa Regione, non appaiono ragionevoli le limitazioni in fase d'accesso, apparendo il requisito del radicamento sul territorio sproporzionato (per durata) e non ragionevole, anche perché esclusivo.

2) l'art. 5, al comma 1, lett. c), prevede che il medico assegnatario di un contratto aggiuntivo regionale debba impegnarsi a prestare la propria attività lavorativa per cinque anni dal conseguimento del diploma di specializzazione nelle strutture e negli enti del SSR ovvero presso le università della Sardegna. Al riguardo - pur non facendosi questione della competenza regionale o statale a determinare il contenuto del contratto di formazione specialistica, la cui definizione viene effettuata ai sensi dell’art. 37, comma 2, del d.lgs. n. 368 del 1999 con un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, e il cui contenuto, nel rispetto dello schema tipo nazionale, può essere arricchito da specifiche disposizioni regionali ai sensi dell’art. 7, comma 1, del d.P.C.M. 6 luglio 2007 (Definizione schema tipo del contratto di formazione specialistica dei medici) - la previsione regionale, imponendo, di fatto, al soggetto beneficiario del contratto aggiuntivo scelte di carattere strettamente personale, quali la prestazione dell’attività lavorativa presso gli enti del SSR, si pone in contrasto con i principi costituzionali in materia di autodeterminazione, in violazione degli articoli 2 e 41 della Costituzione. La previsione in parola, inoltre, rischiando di risolversi in una ingiustificata discriminazione dei soggetti beneficiari del contratto in parola rispetto ai soggetti non beneficiari, viola il principio costituzionale di uguaglianza, in violazione dell’art. 3 della Costituzione.

Per i motivi esposti, le norme regionali sopra indicate devono essere impugnate dinanzi alla Corte costituzionale ai sensi dell’art. 127 della Costituzione.

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