Dettaglio Legge Regionale

Disciplina delle modalità e delle procedure di assegnazione delle concessioni di grandi derivazioni idroelettriche in Lombardia e determinazione del canone in attuazione dell’articolo 12 del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79 (Attuazione della Direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica), come modificato dall’articolo 11 quater del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135 (Disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le imprese e per la Pubblica Amministrazione) convertito, con modificazioni, dalla legge 11 febbraio 2019, n.12. (8-4-2020)
Lombardia
Legge n.5 del 8-4-2020
n.15 del 10-4-2020
Politiche infrastrutturali
/ Rinuncia impugnativa
5-6-2020 / Impugnata
La legge regionale, che reca la disciplina delle modalità e delle procedure di assegnazione delle concessioni di grandi derivazioni idroelettriche in Lombardia e determinazione del canone, in attuazione dell’articolo 12 del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79 (Attuazione della Direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica), è censurabile con riferimento a numerose disposizioni che presentano aspetti di illegittimità costituzionale con riferimento agli articoli 9 e 117, secondo comma, lettere l) e s) della Costituzione , che attribuiscono allo Stato la competenza legislativa in materia di ordinamento civile e tutela del paesaggio, violando altresì lo stesso articolo 117, terzo comma della Costituzione , con riguardo alla materia produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia, e gli articoli .42 e 43 della Costituzione, i quali impongono alla legge di riconoscere un indennizzo ai privati che subiscano, anche attraverso l'imposizione di obblighi, limitazioni nella disponibilità o nell'utilizzo di beni di loro proprietà o comunque necessari per Io svolgimento di un'attività d'impresa. In particolare :

1) La norma contenuta nell’articolo 2 dispone, al comma 1, il passaggio delle opere di cui all’articolo 25, comma 1, del r.d. n. 1775/1933 ( c.d. opere bagnate ) in proprietà alla Regione così come disciplinato dal legislatore statale all’articolo 12, comma 1, del D.Lgs. 79/1999, ma prevede anche l’appartenenza dei beni in parola al patrimonio della Regione; la proprietà delle opere stesse (non cedibile a terzi); la possibilità di costituire diritti di godimento diversi dalla proprietà, fermo restando il mantenimento della destinazione d'uso e la perdurante validità della concessione nonché diritti reali a beneficio di enti strumentali della Regione o di società da essa partecipate direttamente o indirettamente. La stessa norma prevede, ai commi 5 e 6, l’acquisizione dei beni diversi da quelli di cui al comma 1.
Le descritte previsioni regionali travalicano le competenze legislative regionali e la delega conferita dal legislatore statale (“…le regioni disciplinano con legge, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente disposizione e comunque non oltre il 31 marzo 2020, le modalità e le procedure di assegnazione delle concessioni di grandi derivazioni d'acqua a scopo idroelettrico…”), nella parte in cui disciplinano la proprietà dei beni in questione e la costituzione di diritti di godimento e reali sui medesimi, materia riconducibile all’ordinamento civile ex art. 117, comma 2, lett. l) riservata alla competenza esclusiva dello Stato. La norma regionale infatti ha un tenore molto ampio, in quanto , così come detto, non solo al primo comma dispone il passaggio delle opere di cui all’articolo 25, comma 1, del r.d. n. 1775/1933 in proprietà alla Regione (e tanto era stato già disciplinato dal legislatore statale all’articolo 12, comma 1, del D.Lgs. 79/1999, proprio perché, in difetto di tale specificazione, tali beni avrebbero continuato a passare in proprietà dello Stato, ex art. 25, r.d. n. 1775/1933), ma disciplina: a) l’appartenenza dei beni in parola al patrimonio della Regione; b) la proprietà delle opere stesse (non cedibile a terzi); c) la possibilità di costituire (c.1) “diritti di godimento diversi dalla proprietà, fermo restando il mantenimento della destinazione d'uso e la perdurante validità della concessione”; (c.2) “diritti reali a beneficio di enti strumentali della Regione o di società da essa partecipate direttamente o indirettamente” (soggetti, questi ultimi, ai quali la Regione prevede la possibilità di conferimento delle opere, “ferma restando la loro inalienabilità se ed in quanto destinate alla produzione di energia idroelettrica”).
Le previsioni regionali travalicano la delega conferita dal legislatore statale secondo cui “…le regioni disciplinano con legge, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente disposizione e comunque non oltre il 31 marzo 2020, le modalità e le procedure di assegnazione delle concessioni di grandi derivazioni d'acqua a scopo idroelettrico…, nella parte in cui disciplina la proprietà dei beni in questione e la costituzione di diritti di godimento e reali sui medesimi.
I beni cui il legislatore statale fa riferimento quando attribuisce il passaggio in proprietà alle regioni senza diritto al compenso sono quelli di cui all’articolo 25, comma 1, del RD n. 1775/1933: tutte le opere di raccolta, di regolazione e di derivazione, principali e accessorie, i canali adduttori dell'acqua, le condotte forzate ed i canali di scarico (beni che rientrano nel demanio idrico, come può evincersi anche da Corte Costituzionale, sentenza n. 133/2005, su conflitto di attribuzioni in materia di grandi derivazioni a scopo idroelettrico). Altra è la facoltà di cui all’articolo 25, comma 2, del citato RD n. 1775/1933, ora riconosciuta in capo alle Regioni: “… di immettersi nell'immediato possesso di ogni altro edificio, macchinario, impianto di utilizzazione, di trasformazione e di distribuzione inerente alla concessione, corrispondendo agli aventi diritto un prezzo uguale al valore di stima del materiale in opera, calcolato al momento dell'immissione in possesso, astraendo da qualsiasi valutazione del reddito da esso ricavabile. (…).”. La stessa norma precisa all’ultimo comma che “Agli effetti del secondo comma del presente articolo, per impianti di trasformazione e distribuzione inerenti alla concessione si intendono quelli che trasportano prevalentemente energia prodotta dall'impianto cui si riferisce la concessione. La previsione regionale , dunque finisce per estendere il regime di regionalizzazione previsto per le opere “bagnate” ad una cerchia più ampia di beni che potrebbero ricadere nella definizione di cui all’art. 25, comma 2, R.D. n. 1775/1993 (che ricomprende edifici, macchinari, impianti di utilizzazione, trasformazione e distribuzione inerenti la concessione) per i quali è previsto un diverso regime di valorizzazione ai sensi dell’articolo 12, comma 1 ter , lettera n) del d.lgs. n. 79 DEL 1999.
Lo stesso articolo 2, al comma 4, prevede che restino a carico del concessionario uscente gli interventi di manutenzione necessari per la sicurezza, fino al subentro dell’aggiudicatario, senza prevedere che al riguardo sia riconosciuto al primo alcun indennizzo. Né sembra, per gli interventi da porre in essere tra la scadenza della concessione e il subentro dell’aggiudicatario, che tale indennizzo possa essere incluso nell’indennizzo in generale riconosciuto al concessionario uscente per gli investimenti, previsti dall’atto di concessione o comunque autorizzati dal concedente, realizzati “nel periodo di validità della concessione. Nella misura in cui la suddetta disciplina esclude l’indennizzo per gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria posti in essere a sue spese dal concessionario uscente per assicurare la sicurezza degli impianti (e del territorio), la stessa risulta illegittima per contrasto con l’art. 12 del D.Lgs. n. 79/1999, che non prevede né consente di imporre agli operatori tale genere di oneri; con l’art. 26 del R.D. n. 1775/1933, che prevede espressamente che l’onere degli interventi di manutenzione straordinaria posti in essere dal concessionario nell’ultimo quinquennio della concessione sia a carico dello Stato. La norma regionale, inoltre, allorché esclude l’indennizzo per gli interventi di manutenzione anche straordinaria, implica un ovvio disincentivo all’effettuazione di tali interventi o comunque un incentivo alla minimizzazione degli stessi, il che può determinare un rilevante pericolo per la sicurezza degli impianti. La norma regionale risulta quindi in contrasto con gli articoli 117, terzo comma della Costituzione, per violazione delle sopracitate norme interposte da considerasi principi fondamentali in materia di produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia, configurando , altresì, un contrasto con gli artt. 42 e 43 della Costituzione, i quali impongono alla legge di riconoscere un indennizzo ai privati che subiscano, anche attraverso l'imposizione di obblighi, limitazioni nella disponibilità o nell'utilizzo di beni di loro proprietà o comunque necessari per Io svolgimento di un'attività d'impresa.

2) La disposizione contenuta nell’articolo 10, comma 2, lettera b1) sottrae al procedimento unico, cui partecipano tutte le amministrazioni interessate, la fase di selezione delle proposte progettuali presentate. Il citato art. l0, al comma 1 stabilisce che : “Con regolamento regionale sono definiti, nel rispetto di quanto previsto ai sensi della presente legge e del principio di non aggravamento del procedimento, tempi e modalità per lo svolgimento da parte della Regione delle procedure di assegnazione di cui all'articolo 9, ivi compresa la disciplina del procedimento unico per la valutazione dei progetti presentati”.
Inoltre, riguardo alle singole fasi in cui si articolano le procedure di assegnazione, per quanto qui di interesse, l'art. 10, comma 2, prevede che "Le procedure di assegnazione di cui al comma 1, si articolano nelle seguenti fasi:
a) adozione e pubblicazione del bando di assegnazione (..);
b) procedimento unico di valutazione e selezione delle istanze e della relativa documentazione tecnico - progettuale, presentate in esito alla fase di cui alla lettera a), che comprende le seguenti attività:
b1) istruttoria e valutazione delle proposte progettuali presentate ai fini della loro selezione e individuazione della proposta prget1uale su cui effettuate le successive attività:
b2) verifica o valutazione di impatto ambientale, valutazione di incidenza nei confronti dei siti di importanza comunitaria interessati, autorizzazione paesaggistica e ogni altro atto di assenso, concessione, permesso, licenza o autorizzazione, comunque denominato, previsto dalla normativa statale, regionale o locale, e conseguente adeguamento della proposta progettuale selezionata in esito all'attività b 1)".
La Regione, quindi, scompone il procedimento unico di valutazione in più fasi, la prima delle quali volta alla selezione - sulla base di apposita istruttoria - ed individuazione delle proposte progettuali su cui effettuare le successive attività.
Tuttavia, al comma 3, il medesimo articolo 10 , specifica che soltanto "L'attività tecnico-amministrativa di cui al comma 2, lettera b2), si svolge tramite conferenza di servizi di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme sul procedimento amministrativo), alla quale partecipano, ai sensi dell'articolo 12, comma 1 ter, lettera m), del D.Lgs. n. 79/1999, tutte le amministrazioni centrali o locali, gli enti e i soggetti ai quali, a termini di legge, compete assumere un atto di assenso, concessione, permesso, licenza o autorizzazione, comunque denominato", escludendo quindi da tale ambito l'attività di cui al comma 2, lettera b 1).
Tale disciplina, pertanto, sottrae al procedimento unico (cui, tramite lo strumento della Conferenza di servizi, partecipano tutte le amministrazioni interessate) la selezione delle proposte progettuali presentate. nel contempo rinviando ad un successivo provvedimento regolamento di dettaglio la disciplina del predetto procedimento.
In relazione a tale profilo, la disciplina regionale si pone in contrasto con il novellato art. 12 del citato d.lgs. n. 79 del 1999 , che, al comma 1 -ter, prevede quanto segue: "(...) le regioni disciplinano con legge (..) le modalità e le procedure di assegnazione delle concessioni di grandi derivazioni d'acqua a scopo idroelettrico, stabilendo in particolare:
(lettera m) “ le modalità di valutazione, da parte dell'amministrazione competente, dei progetti presentati in esito alle procedure di assegnazione, che avviene nell'ambito di un procedimento unico ai fini della selezione delle proposte progettuali presentate, che tiene luogo della verifica o valutazione di impatto ambientale, della valutazione di incidenza nei confronti dei riti di importanza comunitaria interessati e dell’autorizzazione, comunque e denominata, prevista dalla normativa statale, regionale o locale; a tal fine, alla valutazione delle proposte progettuali partecipano, ove necessario, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministero dello sviluppo economico, il Ministero per i beni e le attività culturali e gli enti gestori delle aree naturali protette di cui alla legge 6 dicembre 1991 n. 394: per gli aspetti connessi alla sicurezza degli invasi di cui al decreto-legge 8 agosto 1994, n. 507, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 ottobre 1994, n. 584, e all'articolo 6, comma 4- bis, della legge 1° agosto 2002, n. 166, al procedimento valutativo partecipa il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti”.
La legge statale, quindi, impone alla Regione di disciplinare con legge le modalità sulla base delle quali la stessa, in quanto Amministrazione procedente, è chiamata a valutare i progetti presentati all'esito delle procedure di assegnazione, nel contempo prescrivendo espressamente che tale valutazione avvenga nell'ambito di un procedimento unico finalizzato - ancor prima che alla valutazione - alla "selezione delle proposte progettuali presentate'.
Si ricorda che l'art. 11 -quater del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135 ha inciso sensibilmente sulla disciplina delle concessioni di grandi derivazioni idroelettriche, disponendo la regionalizzazione della proprietà delle opere idroelettriche (di cui all'articolo 25, primo comma, del testo unico di cui al regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775) alla scadenza delle concessioni e nei casi di decadenza o rinuncia alle stesse e conferendo alle Regioni, già titolari della funzione amministrativa di rilascio delle concessioni di grandi derivazioni d'acqua a scopo idroelettrico, la potestà di legiferare sulle modalità e sulle procedure di assegnazione delle medesime concessioni, seppure nel rispetto di principi e parametri indicati dalla legge statale. È evidente che la novella legislativa, nel delineare il nuovo assetto regolatorio della materia, connotato - come detto - dal riconoscimento di nuove prerogative in favore delle Regioni, ha contestualmente introdotto, in un'ottica di compromesso, una serie di previsioni volte a salvaguardare principi e valori ritenuti basilari, primi fra tutti quelli tesi a garantire la tutela della concorrenza e la tutela dell'ambiente, evidentemente riconducibili ad ambiti di competenza statale esclusiva. In tal contesto si inserisce e si giustifica la previsione dettata dall'art. 12, comma 1 ter, lettera m) che, includendo nell'ambito del procedimento unico la selezione (a monte) delle proposte progettuali presentate, riscontra l'esigenza di assicurare - anche a tali fini - il coinvolgimento delle amministrazioni statali, a garanzia della controllabilità della scelta effettuata in ordine al progetto migliore sul piano tecnico e ambientale, di una maggiore trasparenza del procedimento stesso e, in ultima analisi, a garanzia del rispetto di quegli stessi principi che la riforma legislativa in esame, come detto, ha inteso salvaguardare.
A tale stregua, riservare alla sola sfera di competenza regionale l'attività di selezione dei progetti presentati, di fatto imprimendo un indirizzo univoco di valutazione in ordine a quell'unico progetto individuato, sminuirebbe la rilevanza della previsione di un procedimento unitario, in patente contrasto con la ratio sottesa alla previsione medesima volta a salvaguardare il corretto dispiegarsi delle dinamiche concorrenziali e della tutela ambientale, in un'ottica di valorizzazione della produzione idroelettrica nazionale e di tutela e conservazione del bene acqua.
Per le ragioni esposte, la norma regionale in discorso si pone in contrasto con la disposizione statale dettata dall'art. 12, comma 1 -ter lett. m) e, più in generale, con il nuovo assetto regolatorio della materia, per come delineato dalla novella legislativa recata dall'art. 11 -quater del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135 e con la ratio alla stessa sottesa, disposizione che costituisce norma interposta , determinando la violazione dell’articolo 117 , terzo comma della costituzione con riguardo alla materia della produzione, il trasporto e la distribuzione nazionale dell'energia.

3) Numerose disposizioni risultano violare il principio di legalità, in quanto rinviano la disciplina di aspetti essenziali a norme future di rango inferiore alla legge ordinaria regionale, quali regolamenti e delibere di Giunta o bando di gara, senza indicare i criteri guida della successiva potestà regolamentare dell’organo regionale Giunta - che lo stesso Statuto vigente della Regione Lombardia individua quale organo esecutivo e non deliberativo. La violazione della riserva di legge regionale contenuta nell’articolo 12 del d.lgs. n. 79 del 1999, che si qualifica come norma interposta, si pone in contrasto con un principio fondamentale, la cui determinazione è riservata alla legislazione dello Stato, nella materia di legislazione concorrente quale quella della produzione, il trasporto e la distribuzione nazionale dell'energia.Detta illegittimità riguarda in particolare :
- la disposizioni contenuta nell'art. 4, comma 2 , che individua nella Giunta regionale l'organo deputato per la stipula di intese con la Regione o Provincia Autonoma confinante per definire i rapporti necessari a procedere all'assegnazione della concessione di derivazione interregionali, senza peraltro definire le specifiche modalità procedimentali da seguire in termini di gestione delle derivazioni, vincoli amministrativi e ripartizione dei canoni tra le regioni e province autonome interessate;- l'art. 6 che rimanda al regolamento regionale la disciplina di valutazione dell'interesse pubblico all'uso delle acque , che risulta inoltre generico , prevedendo solo la partecipazione dei "comuni territorialmente interessati" e non contiene specifici indirizzi procedimentali che garantiscano la considerazione dell'interesse nazionale anche in termini di partecipazione dello Stato al procedimento, in ragione dell'ampiezza della materia concorrente «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia» e del rapporto sussistente tra potere legislativo regionale e i principi fondamentali della legislazione statale e comunitaria, tra cui anche quelli applicabili alla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, confermati dalla recente sentenza della Corte Cost. n. 148 del 2019; -l’articolo 10, comma 3 , che rinvia alla disciplina secondaria per la partecipazione delle amministrazioni dello stato alla conferenza di servizi finalizzata alle autorizzazioni al progetto di concessione, in proposito si ricorda che L'art. 12 comma 1-ter, lettera m) del D.Lgs. 79/1999 richiama espressamente gli aspetti connessi alla sicurezza degli invasi, e quindi la partecipazione del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti nel procedimento valutativo dei progetti presentati, secondo il quale la legge regionale è chiamata a coinvolgere le varie amministrazioni ministeriali per gli aspetti di relativi competenza, la norma regionale viola quindi la norma nazionale;- l'art. 12 comma 4 che demanda a una delibera di Giunta la facoltà di imporre, nel singolo bando per l'aggiudicazione della concessione, "ulteriori requisiti di capacità tecnica, organizzativa; patrimoniale e finanziaria" per i partecipanti, senza che a monte la legge regionale abbia disciplinato i criteri e i limiti ditale facoltà; con ciò determinando la concreta possibilità di violazione del principio di libera e paritaria concorrenza, costituzionalmente tutelato; - l’articolo 15, comma 1, lettera a) che rinvia ad una delibera di giunta l’individuazione di condizioni generali per gli obblighi e i vincoli inerenti alla sicurezza delle persone e del territorio, subordinatamente ai quali sono ammissibili i progetti di sfruttamento e utilizzo delle opere e delle acque, anche con riferimento alla possibilità di utilizzare l'acqua invasata per scopi idroelettrici per fronteggiare situazioni di crisi idrica o per la laminazione delle piene.

4) Profili di illegittimità costituzionale presentano inoltre le disposizioni contenute negli articoli 13, comma 1, lettera h) e 17, comma 1 della legge regionale in esame.
Ai sensi dell’articolo 12 del d.lgs. n. 79 del 1999, le regioni sono infatti richiamate espressamente al rispetto dei principi fondamentali dell'ordinamento statale, tra i quali rientra necessariamente la tutela del paesaggio e del patrimonio storico artistico della nazione, costituenti interessi costituzionali primari ai sensi dell'art. 9 della Costituzione. Come è noto, le concessioni di grandi derivazioni d'acqua a scopo idroelettrico, aventi a oggetto l'utilizzo di acque pubbliche a fine di produrre energia da fonti rinnovabili, incidono necessariamente sullo stato dei corsi d'acqua, i quali costituiscono beni paesaggistici tutelati ope legis dall'art. 142, comma 1, lettera q, del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004. n. 42.
Ai sensi dell'articolo 11 della legge regionale in esame, la procedura di assegnazione delle concessioni di grandi derivazioni a scopo idroelettrico è indetta mediante la pubblicazione di un bando, La Giunta regionale definisce, con propria deliberazione, gli elementi essenziali del bando, la durata della concessione, i requisiti di ammissione, i criteri di selezione degli operatori economici e delle offerte e individua il Responsabile Unico del Procedimento (RUP). Nell'ambito dei contenuti del predetto bando, l'articolo 13, al comma 1, lettera h), prevede la specificazione dei livelli minimi in termini di miglioramento e risanamento ambientale del bacino idrografico di pertinenza. Tali livelli minimi sono meglio definiti al successivo articolo 17, ai sensi del quale la Giunta regionale definisce gli obiettivi minimi da conseguire mediante interventi dì conservazione, miglioramento e risanamento ambientale del bacino idrografico di pertinenza, finalizzati alla tutela dei corpi idrici e alla mitigazione degli impatti sull'ambiente, attenendosi alle prescrizioni del piano regionale di tutela delle acque, dei piano di gestione del distretto idrografico dei fiume Po o della pianificazione di bacino provinciale più specifica, ove esistente.
Con riferimento alle previsioni sopra richiamate, si evidenzia che i medesimi interventi di conservazione, miglioramento e risanamento ambientale avrebbero dovuto essere definiti nel rispetto, altresì, del piano paesaggistico, così come la tutela, già prevista all'articolo 17 comma I, lettera d,), in favore dell'ecosistema, della natura e della biodiversità avrebbe dovuto essere estesa, altresì, ai valori paesaggistici dei corpi idrici.
Le citate norme regionali omettono del tutto dì considerare il ruolo centrale assegnato dall'ordinamento al piano paesaggistico e l'evoluzione della disciplina della materia della tutela del paesaggio nel senso della necessaria co-pianificazione dei beni tutelati, che scaturisce a sua volta dall'assetto costituzionale della materia delineato dalla riforma costituzionale del 2001. E’ di tutta evidenza che le norme regionali in esame, incidenti su beni paesaggistici tutelati ope Iegis, non possano prescindere dalla normativa di settore in materia paesaggistica, che costituisce peraltro parametro interposto alla tutela costituzionale riservata al paesaggio, costituente valore primario e assoluto (Corte cost. n. 367 del 2007).
Il fatto che l'articolo 12 del decreto legislativo n. 79 del 1999 non contenga un espresso riferimento al piano paesaggistico non vale di certo a escludere l'obbligo della Regione, nell'attuare le previsioni della legge statale, di subordinare espressamente ogni e qualsivoglia decisione pubblica concernente la modifica dello stato dei luoghi in relazione ai corsi d'acqua, costituenti beni sottoposti a tutela, alle previsioni del predetto piano, da adattarsi previa intesa tra lo Stato e la Regione.
Non può ritenersi infatti che i criteri dettati dal legislatore statale per l'esercizio della potestà legislativa regionale alle lettere da a) a p) del comma 1 ter di detto articolo 12 siano gli unici i principi cui la medesima potestà legislativa deve attenersi, e ritenuti esaustivi anche di questi ultimi.
Nel dettare i criteri per l'esercizio della delega il legislatore statale ha infatti stabilito, alle predette lettere da a) a p), quali siano i profili che la Regione deve specificamente regolare, indicando talora il ventaglio delle scelte nell'ambito delle quali deve essere definita una specifica opzione (ad esempio, la lettera e) richiede la fissazione di precisi requisiti di capacità finanziaria, organizzativa e tecnica degli operatori, e indica a tal fine anche appositi requisiti minimi).
Non è dubbio, tuttavia, come sopra detto, che nell'esercizio della medesime attribuzioni legislative la Regione sia tenuta ad osservare anzitutto i principi fondamentali dell'ordinamento statale, tra i quali rientra il necessario rispetto del quadro ordinamentale tracciato dal Codice dei beni culturali e del paesaggio, con il quale è stata esercitata la potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela dei beni culturali e del paesaggio (articolo 117, secondo comma, lett. s),della Costituzione).
Se, quindi, il legislatore non ha inteso elencare espressamente e dettagliatamente tutti tali principi, è nondimeno evidente che la Regione non avrebbe potuto esimersi dal darvi concreta e specifica applicazione. In particolare, la Regione avrebbe dovuto espressamente inquadrare l'esercizio delle funzioni amministrative disciplinate mediante la propria legge nel contesto del piano paesaggistico elaborato previa intesa conio Stato, ai sensi degli articoli 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio.
Il richiamo al piano paesaggistico non può, infatti, ritenersi implicito negli sporadici richiami al paesaggio, all'autorizzazione paesaggistica e alla pianificazione territoriale contenuti nella legge regionale.
Basta considerare, al riguardo, che nessuna previsione della legge in esame assicura che la tutela del paesaggio e il rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche siano inquadrati nell'ambito delle previsioni del piano paesaggistico, cui spetta in via esclusiva la valutazione complessiva dell'assetto delle aree tutelate e delle trasformazioni ivi ammissibili sotto il profilo paesaggistico.
Manifestamente insufficiente è pure il richiamo alla "pianificazione e programmazione territoriale, ambientale ed energetica, statale e regionale" contenuto all'articolo 6. Si tratta, infatti, di una locuzione generica, che non solo non dà esplicito rilievo al piano paesaggistico, ma ne pretermette anche il ruolo di necessaria sovra ordinazione rispetto a ogni altro strumento pianificatori (cfr. art. 145, comma 3, del Codice dei beni culturali e del paesaggio). Si prevede, d'altro canto, che la Giunta regionale debba soltanto "tenere conto" di tutto il complesso degli atti pianificatori genericamente richiamati, e non debba quindi necessariamente osservarli, e il richiamo è comunque limitato al solo profilo della valutazione dei diversi possibili usi delle acque, ma non anche alle modalità di realizzazione delle concessioni di derivazione idroelettrica.
In base alle considerazioni sopra esposte le norme regionali in esame sono costituzionalmente illegittime, per violazione dell'articolo 117, secondo comma, lettera s), e dell'articolo 9 della Costituzione, nella parte in cui, all'articolo 17, comma 1, non subordina la definizione degli obiettivi minimi da conseguire mediante interventi di conservazione, miglioramento e risanamento ambientale del bacino idrografico di pertinenza, finalizzati alla tutela dei corpi idrici e alla mitigazione degli impatti sull'ambiente, nell'ambito delle concessioni di grandi derivazioni idroelettriche, al rispetto delle previsioni dei piano paesaggistico, approvato ai sensi degli articoli 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo n. 42 del 2004.
Il punto di equilibrio dei poteri statali e regionali nella materia della tutela e valorizzazione del paesaggio risponde a un fondamentale principio, che sorregge l'intero sistema della tutela, che si compendia nella codecisione e nella compartecipazione necessarie tra Stato e Regione in tutte e tre le fasi in cui si articola la tutela paesaggistica, ossia individuazione, pianificazione e gestione, quest'ultima esercitata mediante il rilascio delle autorizzazioni degli interventi relativi ai beni tutelati, in questa prospettiva, scopo del piano paesaggistico è quello di evitare che, in sede di rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche, le singole trasformazioni vengano valutate in modo parcellizzato, e non nell'ambito della considerazione complessiva del contesto tutelato specificamente demandata al predetto strumento pianificatorio, secondo la scelta operata al riguardo dal legislatore nazionale.
Si tratta di una scelta di principio la cui validità e importanza è già stata affermata più volte dalla Corte costituzionale, la quale ha avuto modo di sottolineare l'esistenza di un vero e proprio obbligo, costituente un principio inderogabile della legislazione statale, di elaborazione congiunta del piano paesaggistico, con riferimento ai beni vincolati (Corte cost. n. 86 del 2019) e ha rimarcato che l'impronta unitaria della pianificazione paesaggistica "è assunta a valore imprescindibile, non derogabile dal legislatore regionale in quanto espressione di un intervento teso a stabilire una metodologia uniforme nel rispetto della legislazione di tutela dei beni culturali e paesaggistici sull'intero territorio nazionale" (Corte Cost., n. 182 del 2006; la sentenza n.22 72 del 2009). In particolare, la Corte ha affermato che "La disciplina statale volta a proteggere l'ambiente e il paesaggio viene quindi a "funzionare come un limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in altre materie di loro competenza ", salva la facoltà di queste ultime di adottare norme di tutela ambientale più elevata nell'esercizio di competenze previste dalla Costituzione, che concorrano con quella dell'ambiente» (sentenza n. 199 del 2014; nello stesso senso, sentenze n. 246 e n. 145 del 2013, n. 67 del 2010, n. 104 del 2008, n. 378 del 2007). Essa richiede una strategia istituzionale ad ampio raggio, che si esplica in un 'attività pianificatoria estesa sull'intero territorio nazionale. In tal senso, l'attribuzione allo Stato della competenza esclusiva di tale "materia obiettivo" non implica una preclusione assoluta all’ intervento regionale, purché questo sia volto all’implementazione del valore ambientale e all'innalzamento dei suoi livelli di tutela" (sentenza n. 66 del 2018).
Il piano paesaggistico, in quanto piano sovraordinato a tutti gli altri strumenti di pianificazione territoriale, sia urbanistica, sia settoriale (cfr. articolo 145 del Codice), costituisce quindi l'architrave del sistema della tutela del paesaggio e, per così dire, la “Costituzione del territorio". Spetta, conseguentemente, alle Regioni, nel disciplinare l'esercizio delle funzioni amministrative loro demandate, di assicurare che tutte le determinazioni concernenti i beni tutelati siano necessariamente inquadrate nel contesto di disciplina dettato dal predetto piano, pena la violazione dei precetti costituzionali sopra richiamati.
Conseguentemente le norme regionali contenute negli articoli 13, comma 1, lettera h e 17, comma 1, invadono la competenza legislativa esclusiva statale in materia di tutela dei beni culturali e del paesaggio di cui all’articolo 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione – rispetto al quale le previsioni del Codice dei beni culturali e del paesaggio costituiscono norme interposte – ponendosi altresì in contrasto con il principio fondamentale della tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione di cui all’articolo 9 della Costituzione.

Per questi motivi la legge regionale deve essere impugnata, limitatamente alle norme sopra evidenziate, ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione.

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