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Ulteriori misure di sostegno per le famiglie, i lavoratori e i settori economici connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19 e conseguente variazione al bilancio di previsione della Provincia autonoma di Trento per gli esercizi finanziari 2020 – 2022. (13-5-2020)
Trento
Legge n.3 del 13-5-2020
n.19 del 13-5-2020
Politiche economiche e finanziarie
13-7-2020 /
Impugnata
La Legge provinciale 13 maggio 2020, n. 3, recante "Ulteriori misure di sostegno per le famiglie, i lavoratori e i settori economici connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19 e conseguente variazione al bilancio di previsione della Provincia autonoma di Trento per gli esercizi finanziari 2020-2022", pubblicata sul B.U.R. 13 maggio 2020, n. 19, Numero Straordinario n. 6. presenta profili illegittimi per gli aspetti di seguito evidenziati.
L’articolo 43 disciplina la “Procedura semplificata per l’installazione di plateatici e di altre strutture leggere da parte di esercizi pubblici anche mediante occupazione di suolo pubblico”.
In particolare, il comma 1, in ragione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19 e della necessità di rispettare le misure di distanziamento sociale, prevede che per le strutture ricettive anche all'aperto si possano installare coperture o altre strutture leggere di protezione degli spazi di pertinenza, in deroga alle previsioni urbanistiche, al regolamento urbanistico-edilizio provinciale e ai regolamenti edilizi comunali.
Al comma 6 si specifica, poi, quali interventi non richiedono le autorizzazioni di cui agli articoli art. 21 e 106 del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.
Il comma 9 dello stesso articolo 43 prevede inoltre che la Provincia, d'intesa con il Consiglio delle autonomie locali, può definire linee guida necessarie per l'installazione delle strutture previste dal comma 1, che consentono di non richiedere le autorizzazioni della struttura competente per la tutela dei beni culturali previste dagli articoli 21 e 106 del decreto legislativo n. 42 del 2004.
La disciplina regionale stabilisce quale data ultima di rimozione delle opere il 31 dicembre 2021, ponendosi, così, in contrasto con la normativa nazionale in materia, che ha introdotto bensì misure di semplificazione in relazione alle domande di nuove concessioni per l'occupazione di suolo pubblico, ovvero di ampliamento delle superfici già concesse, ma ha previsto soltanto fino al 31 ottobre 2020 l'esonero dal titolo autorizzativo di cui all'articolo 21 del Codice di settore per la posa in opera temporanea di strutture amovibili in luoghi aperti al pubblico di possibile interesse culturale (cfr. art. 181 del decreto legge n. 34 del 2020).
I predetti commi 1, 6 e 9 dell'articolo 43 della legge provinciale contrastano, pertanto, con i limiti alla potestà legislativa provinciale posti dall'articolo 8 dello Statuto speciale e dagli articoli 9 e articolo 117, secondo comma, lett. s) e m), della Costituzione, in quanto prevedono ipotesi di interventi sottratti alle autorizzazioni previste dagli articoli 21 e 106, comma 2-bis, del decreto legislativo n. 42 del 2004, invadendo così la competenza dello Stato in materia di tutela dei beni culturali e del paesaggio (articolo 117, secondo comma, lett. s), Cost.), nonché la potestà esclusiva dello Stato di determinare i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (articolo 117, secondo comma, lett. m), Cost.).
La previsione statutaria richiede infatti, mediante il richiamo al precedente articolo 4, che l'esercizio delle competenze legislative provinciali in materia di "tutela e conservazione del patrimonio storico artistico e popolare" avvenga "In armonia con la Costituzione e i principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica e con il rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali - tra i quali è compreso quello della tutela delle minoranze linguistiche locali - nonché delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica". E, secondo l'insegnamento della Corte costituzionale la disciplina statale costituisce in tali ambiti un limite minimo di tutela non derogabile dalle Regioni, ordinarie o a statuto speciale, e dalle Province autonome (sentenze n. 101 del 2010, n. 272 del 2009 e n. 378 del 2007).
La Corte anche di recente (sentenza n. 201 del 2018) ha richiamato i propri precedenti, (sentenze n. 189 del 2016, n. 308, n. 238 del 2013, n. 101 del 2010) secondo i quali "il legislatore statale conserva il potere di vincolare la potestà legislativa primaria degli enti ad autonomia speciale attraverso l'emanazione di norme qualificabili come «grandi riforme economico-sociali», anche sulla base del titolo di competenza legislativa in materia di «tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali», di cui all'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. ".
Conseguentemente, le disposizioni del Codice dei beni culturali e del paesaggio, quali norme di grande riforma economico-sociale, si impongono alla Provincia autonoma di Trento nell'esercizio di tutte le competenze primarie ad essa attribuite dallo Statuto.
La Corte ha inoltre sottolineato la rilevanza dell'ulteriore limite degli "interessi nazionali" alla potestà legislativa primaria delle Provincie Autonome di cui al citato articolo 4 dello Statuto, rappresentando che "Si tratta di un'espressione che può avere molteplici significati, tra i quali va sicuramente ricondotto (in quanto è la disposizione costituzionale stessa che, nell'inciso, riconoscendo un fondamentale diritto della popolazione, evidenzia che il riferimento è anche rivolto allo "Stato comunità") quello che tutti i destinatari delle leggi della Repubblica hanno il diritto di fruire, in condizioni di parità sull'intero territorio nazionale, di una procedura uniforme nell'esame di loro istanze volte ad ottenere un provvedimento amministrativo" (Corte cost. n. 207 del 2012).
In questa ottica, si configura quindi anche la violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., in materia di livelli essenziali delle prestazioni, che vanno garantiti a tutti i cittadini in maniera uniforme nell'intero territorio nazionale, atteso che nell'ambito ditali prestazioni rientra anche l'individuazione della portata applicativa dei titoli autorizzatori previsti dal Codice dei beni culturali e del paesaggio (cfr. ancora Corte Cost. n. 207 del 2012).
È violato, inoltre, l'articolo 9 della Costituzione, che attribuisce rilevanza primaria alla tutela del patrimonio storico e artistico della Nazione, atteso che la legge provinciale determina un significativo abbassamento del livello della tutela dei beni culturali.
Alla luce di quanto sin qui illustrato, si ribadisce, pertanto, la richiesta di impugnazione dell'articolo 43, commi 1, 6 e 9, della legge provinciale n. 3 del 2020, per contrasto con l'articolo 8 dello Statuto speciale e con gli articoli 9 e 117, secondo comma, lett. s) e m), della Costituzione, rispetto al quale costituiscono norme interposte gli articoli 21 e 106 del decreto legislativo n. 42 del 2004.
L’articolo 37 apporta modifiche alla legge sul personale della Provincia 1997, L.P. 3 aprile 1997, n. 7.
I commi 2 e 3 dell’articolo in esame apportano modifiche all'articolo 22-bis, della L.P. 3 aprile 1997, n. 7, recante disposizioni sui concorsi pubblici per l'accesso alla dirigenza di ruolo della Provincia, disponendo, differentemente dal quadro legislativo regionale previgente, che i concorsi, per esami e titoli, prevedano solo eventualmente il percorso formativo e la conseguente verifica finale.
Vengono, pertanto, resi eventuali sia il percorso formativo, che invece prima della novella era obbligatorio, sia la verifica finale, volta ad accertare, attraverso un colloquio, le conoscenze e le attitudini personali dei candidati.
Le modifiche introdotte appaiono incidere in maniera determinate sul precedente e più "virtuoso" modello di accesso al ruolo dirigenziale provinciale, inserendo addirittura la previsione della possibilità che il percorso formativo stesso non venga espletato.
Di fatto, invero, la provincia può bandire concorsi per dirigenti prevedendo anche un solo esame consistente, paradossalmente, anche in un una sola prova o colloquio, tuttavia la verifica finale deve essere sempre svolta.
Infatti, l’articolo 22-bis, comma 1, lettera c) del regolamento provinciale (Decreto del Presidente della Provincia 29 luglio 2016, n. 13-47/Leg - Regolamento d'esecuzione degli articoli 22 bis, comma 4, e 30 bis, comma 2, della legge provinciale 3 aprile 1997, n. 7 (legge sul personale della Provincia 1997) in materia di concorsi pubblici per l'accesso alla dirigenza di ruolo e alla qualifica di direttore e modificazioni del decreto del Presidente della Provincia 12 ottobre 2007, n. 22-102/Leg (Regolamento per l'accesso all'impiego presso la Provincia autonoma di Trento e per la costituzione, il funzionamento e la corresponsione dei compensi delle commissioni esaminatrici (art. 37 e art. 39 della legge provinciale 3 aprile 1997, n. 7), prevede che l'eventuale verifica finale accerta infine, attraverso un colloquio, le conoscenze e le attitudini personali dei candidati, anche tenendo conto dell'apprendimento acquisito nel percorso formativo, se attivato”.
In sintesi si è in presenza di un ambito di aleatorietà molto ampio e, soprattutto, ben diverso da quello della disciplina statale e dai requisiti di derivazione costituzionale per l’accesso al pubblico impiego.
Infatti, a ben guardare, l’articolo 22-bis prevede, tra l’altro, che:
I concorsi, per esami e titoli, prevedono un esame, un eventuale percorso formativo e un'eventuale verifica finale, che può tenere conto anche dell'esito del percorso formativo, se attivato. In particolare:
a) l'esame prevede una selezione articolata in una o più prove (non specificando se scritte o orali, quindi potenzialmente anche un mero colloquio, che appare sprovvisto dei requisiti per essere considerato un vero e proprio concorso), in particolare sulla conoscenza del sistema dell'autonomia provinciale e su specifiche materie, per accertare le conoscenze teoriche e le competenze pratiche dei candidati e verificare le attitudini personali, anche relative all'orientamento ai risultati e all'abilità di gestire il ruolo di leadership e le relazioni interpersonali, la capacità di analisi e di risoluzione dei problemi, l'attitudine alla comunicazione;
b) il percorso formativo, se previsto dal bando di concorso, è finalizzato ad approfondire la conoscenza e ad accrescere le capacità dei candidati selezionati al termine della prima fase sulle materie e gli aspetti oggetto dell'esame;
c) l'eventuale verifica finale accerta infine, attraverso un colloquio, le conoscenze e le attitudini personali dei candidati.
Le disposizioni non sembrano pertanto rispettare i parametri minimi (aderenti ai principi dell’ordinamento costituzionale, trasposti nella disciplina statale di cui al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e consolidati nella copiosa giurisprudenza) che devono essere individuati nella norma di rango primario, anziché rinviati ad un successivo regolamento. Una previsione normativa quale quella in commento non garantisce, infatti, il rispetto dei principi immanenti nell’articolo 97 Cost, per quanto attiene alle modalità di accesso al pubblico impiego e contrasta con le disposizioni statutarie.
Conseguentemente le norme in esame devono essere impugnata per i medesimi profili di costituzionalità precedentemente indicati.
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