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Disposizioni di adeguamento della normativa regionale. (19-5-2020)
Liguria
Legge n.9 del 19-5-2020
n.4 del 27-5-2020
Politiche infrastrutturali
22-7-2020 /
Impugnata
Flash Liguria 9
La legge regionale, che detta disposizioni di adeguamento della normativa regionale modificando numerose leggi regionali, è censurabile relativamente alle disposizioni contenute negli articoli, 2, comma 1, 6 e 9 che, per le ragioni di seguito indicate, si pongono in contrasto con l’articolo 9 , 117, comma 2, lettere l) , m) ed s) della Costituzione in materia di tutela del paesaggio, di ordinamento civile, di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale e tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.
1) La disposizione di cui all’articolo 2, comma 1, modifica l’articolo 29 della legge regionale 1 luglio 1994, n. 29, concernente l’esercizio venatorio da appostamento. In particolare tale norma regionale definisce gli appostamenti fissi e, in via residuale quelli temporanei, stabilendo, al comma 13 che i cacciatori che si siano avvalsi di appostamenti temporanei debbano, al termine della giornata di caccia, rimuovere il materiale usato per la costruzione dell’appostamento salvo il consenso del proprietario o conduttore del fondo. Con la modifica apportata dalla disposizione in esame viene stabilito che “il consenso si intende validamente accordato nel caso in cui non esiste un formale diniego”. Detta previsione, che non trova peraltro riscontro nella disciplina del prelievo venatorio di cui alla legge quadro n. 157/1992, incide sul regime della proprietà privata ponendosi in contrasto con l’articolo 832 del codice civile secondo cui “Il proprietario ha diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico” violando quindi la competenza esclusiva statale in materia di ordinamento civile di cui all’articolo 117, comma 2, lettera l) della Costituzione. La disciplina del consenso attiene alla materia ordinamento civile, non potendosi ritenere validamente espressi in assenza di un formale diniego. Non possono ritenersi infatti applicabili le regole proprie del diritto amministrativo riguardanti il silenzio –assenso, finalizzate a superare l’inerzia della Pubblica Amministrazione dinanzi ad una istanza provvedimentale, né si possono vanificare gli strumenti di tutela sia civili che penali assicurati dall’ordinamento al proprietario e al conduttore a difesa dei propri diritti.
2) La disposizione di cui all’articolo 6, modifica l’articolo 35 della legge regionale 22 gennaio 1999, n. 4, in materia di foreste e di assetto idrogeologico, introducendo nel comma 4 ulteriori categorie di opere “non soggette ad alcun titolo abilitativo”, diverse e ulteriori rispetto a quelle indicate nell’articolo 149 del Codice di settore e nell’allegato A del decreto del Presidente della Repubblica, 13 febbraio 2017, n. 31, “Regolamento recante individuazione degli interventi esclusi dall’autorizzazione paesaggistica o sottoposta a procedura autorizzatoria semplificata”. L’articolo 149, comma 1, lettere b) ed e), del Codice di beni culturali e del paesaggio, esonera dall’autorizzazione paesaggistica unicamente gli interventi inerenti l’attività agro-silvo-pastorale che non comportino alterazioni permanenti dello stato dei luoghi e che non alterino l’assetto idrogeologico del territorio, e gli interventi di taglio colturale, forestazione e riforestazione, bonifica, antincendio e conservazione, previsti e autorizzati in base alla normativa forestale. Tali disposizioni anzidette e le voci A.19 e A20 del d.P.R. 31 del 2017, formano un sistema chiuso, in quanto definiscono in modo compiuto ed esaustivo il novero degli interventi inerenti all’attività agro-silvo-pastorale e forestale, esclusi dall’autorizzazione paesaggistica. Spetta, peraltro, soltanto allo Stato, individuare tali esclusioni, nell’esercizio della potestà legislativa esclusiva in materia di tutela del paesaggio, di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, nonché della potestà regolamentare riservata allo Stato nella medesima materia, ai sensi dell’articolo 117, sesto comma della Costituzione. Lo Stato ha, peraltro, già assicurato la dovuta considerazione alle esigenze di partecipazione delle Regioni e delle autonomie locali nella definizione degli interventi sottratti all’autorizzazione paesaggistica, atteso che il Regolamento approvato con il d.P.R. n. 31 del 2017, è stato concertato previamente mediante l’acquisizione dell’intesa della Conferenza unificata. La disposizione censurata, ha quindi l’effetto di intervenire in una materia nella quale la Regione è sfornita di qualsivoglia potestà legislativa, individuando, in aggiunta alle fattispecie già tipizzate a livello nazionale, ulteriori interventi su terreni coperti da boschi e foreste – ossia in ambiti soggetti a vincolo paesaggistico ai sensi dell’articolo 142, comma 1, lettera g) del D.lgs. n. 42 del 2004 – che possono essere realizzati senza alcun titolo abilitativo, e quindi in assenza anche dell’autorizzazione paesaggistica, prevista dall’articolo 146 del medesimo codice.
Da ciò l'invasione della potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela del paesaggio di cui all'articolo 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione, nonché degli ambiti riservati alla potestà regolamentare dello Stato, ai sensi del sesto comma del medesimo articolo 117. La Corte costituzionale ha infatti statuito che "La procedura di autorizzazione paesaggistica disciplinata dalla normativa statale, non derogabile da parte delle Regione, è volta a stabilire proprio se un determinato intervento abbia o meno un impatto paesaggistico significativo" e che la qualificazione, da parte della regione, di taluni interventi come paesaggisticamente irrilevanti "si pone, dunque, in contrasto con il richiamato art. 146, oltre che con l'art. 149 del medesimo Codice dei beni culturali e del paesaggio - che individua tassativamente le tipologie di interventi in aree vincolate realizzabili anche in assenza di autorizzazione paesaggistica" (Corte cost. n. 189 del 2016). Anche a voler ammettere astrattamente una qualche possibilità della Regione di intervenire nella materia riservata allo Stato, tale intervento dovrebbe limitarsi a recepire fedelmente le disposizioni statali vigenti, peraltro concertate con le Regioni, secondo quanto sopra detto. Come evidenziato dalla Corte costituzionale, infatti, solo le disposizioni regionali che rispecchiano il contenuto della disciplina statale possono considerarsi non affette da illegittimità costituzionale, poiché spetta esclusivamente al legislatore statale individuare quegli interventi che, pur incidendo su beni vincolati, quali sono i boschi e le foreste, sono esonerati dall'autorizzazione paesaggistica, in quanto si configurano come attività di gestione e manutenzione ordinaria, prevista e autorizzata dalla normativa vigente in materia (Corte cost., sentenza n. 201 del 2018). La Corte ha inoltre evidenziato che, anche nel caso in cui le competenze regionali in materia di difesa del suolo possono rendere opportuni taluni esoneri, gli stessi devono essere realizzati sulla base della normativa statale, ribadendo l'illegittimità di norme regionali che ampliano la portata della disciplina nazionale, sia quanto al tipo di interventi esonerati, sia quanto alle condizioni che devono sussistere per l'esonero (sentenza n. 88 del 2018).
La medesima norma regionale contenuta nell’articolo 6 è inoltre censurabile in quanto incide sulla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, materia riservata allo Stato ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lett. m), della Costituzione. Come già evidenziato dalla Corte costituzionale con le sentenze n. 207 del 2012 e n. 238 del 2013, le esigenze di uniformità della disciplina in tema di autorizzazione paesaggistica su tutto il territorio nazionale si impongono infatti sull'autonomia legislativa delle Regioni, alle quali non è pertanto consentito individuare altre tipologie di interventi realizzabili in assenza di autorizzazione paesaggistica, al di fuori di quelli tassativamente determinati ai sensi della normativa sopra richiamata.
È violato, infine, anche l'art. 9 della Costituzione, in base al quale il paesaggio costituisce valore costituzionale primario e assoluto (Corte cost. sentenza 378 del 2007), poiché la Regione, ampliando gli interventi sottratti all'autorizzazione paesaggistica, ha determinato l'abbassamento dei livelli di tutela posti a presidio dei beni paesaggistici.
Alla luce di quanto fin qui rappresentato, la norma deve essere impugnata per violazione degli articoli 9 e 117, secondo comma, lett. s) e m), e sesto comma della Costituzione, stante il contrasto della disposizione censurata con gli articoli 142, 146 e 149 del Codice di dei beni culturali ed il paesaggio , d.lgs. n. 42/2004, nonché con le previsioni dell'articolo 2 e dell'Allegato A, voci A.19 e A.20 del d.P.R. n. 31 del 2017, che costituiscono norme interposte.
3) La disposizione di cui all’articolo 9 modifica la lettera a) del comma 1 dell’articolo 7 della legge regionale concernete le misure di salvaguardia in ambito venatorio nelle Zone di protezione speciale. La norma novellata fa divieto , nelle Zone di protezione speciale (ZPS) , tra l’altro dell’ “ esercizio dell'attività venatoria nel mese di gennaio, con l'eccezione della caccia da appostamento fisso e temporaneo e in forma vagante, nonché della caccia agli ungulati, per due giornate settimanali a scelta del cacciatore”. La disposizione consente quindi l’effettuazione di due giornate di caccia a scelta del cacciatore (da appostamento fisso e temporaneo e in forma vagante, nonché la caccia degli ungulati) all’interno delle zone di protezione speciale, nel mese di gennaio, in contrasto con quanto previsto dall’articolo 5, comma 1, lettera a) del decreto ministeriale 17 ottobre 2007, che vieta l’esercizio dell’attività venatoria nel mese di gennaio, consentendolo solo per due giornate alla settimana prefissate dal calendario venatorio, disciplinato dall’articolo 18, comma 4 della legge n. 157 del 1992, e non quindi non a scelta del cacciatore. L’aver lasciato ai cacciatori la scelta delle giornate in cui l’attività venatoria può essere esercitata, rappresenta una modifica indiretta e surrettizia al calendario venatorio previsto dall’articolo 18, comma 4 della legge n. 157/1992 che costituisce norma interposta nella materia tutela dell’ambiente e dell’ecosistema ., attribuita dall’articolo 117 comma 2, lettera s) della Costituzione , alla competenza esclusiva dello Stato. Nell'ordinamento italiano la vigente normativa in materia di protezione della fauna selvatica e di prelievo venatorio è contenuta nella legge quadro il febbraio 1992, n. 157, concernente «Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio» ritenuta dalla Corte Costituzionale disciplina contenente, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Costituzione, il nucleo minimo di salvaguardia della fauna selvatica, il cui rispetto deve essere assicurato sull'intero territorio nazionale (Corte Costituzionale n.. 233/2010).
La stessa giurisprudenza della Corte Costituzionale ha sul punto, affermato che «spetta allo Stato, nell'esercizio della potestà legislativa esclusiva in materia di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, prevista dall'art. 117, secondo comma, lettera s), Costituzione, stabilire standard minimi e uniformi di tutela della fauna, ponendo regole che possono essere modificate dalle Regioni, nell'esercizio della loro potestà legislativa in materia di caccia, esclusivamente nella direzione dell'innalzamento del livello di tutela» (ex plurimis, sentenze n. 303 dei 2103, n. 278, n. 116 n. 106 del 2012).
Secondo principi costantemente affermati dalla Corte Costituzionale, la disciplina sulla caccia ha per oggetto la fauna selvatica. che rappresenta «un bene ambientale di notevole rilievo, la cui tutela rientra nella materia "tutela dell'ambiente e dell'ecosistema affidata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, che deve provvedervi assicurando un livello di tutela, non "minimo', ma "adeguato e non riducibile"» (Corte Costituzionale, sentenza n. 193 del 2010).
Da ciò consegue che le norme statali rappresentano limiti invalicabili per l'attività legislativa della Regione, dettando norme imperative che devono essere rispettate sull'intero territorio nazionale per primarie esigenze dì tutela ambientale.
Pur essendo la caccia, materia affidata alla competenza legislativa residuale della Regione ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Costituzione, è tuttavia necessario che la legislazione regionale rispetti la normativa statale adottata in tema di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, ove essa esprime regole minime uniformi (ex plurimis, Corte Costituzionale sentenze n. 2 del 2015, n. 278 del 2012, n. 151 del 2011 e n. 315 del 2010) e costituenti (come nel caso della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), il nucleo minimo di salvaguardia deve essere assicurato sull’intero territorio nazionale (Corte Costituzionale n. 233/2010).
In tale contesto l’articolo 18, comma 2, della legge n. 157/1992, espressivo della competenza di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Costituzione, stabilisce che le regioni possono modificare il calendario venatorio, con riferimento all’elenco delle specie cacciabili e al periodo in cui è consentita la caccia, attraverso un procedimento che contempla l’acquisizione del parere dell’Istituto nazionale per la fauna selvatica (nelle cui competenze oggi è subentrato l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA). Lo stesso articolo 18 della legge n. 157/1992, al relativo comma 4, nella parte in cui dispone che il calendario venatorio sia approvato con regolamento “esprime, altresì, una scelta compiuta dal legislatore statale che attiene alle modalità di protezione della fauna e si ricollega, per tale ragione, alla competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema” (cfr. Corte Costituzionale sentenza n. 536/2002; in seguito, con riferimento alla stagione venatoria, sentenze n. 165/2009, 313/2006, 393/2005, 311/2003 e 226/2003).
Alla luce di quanto fin qui rappresentato e del quadro normativo eurounitario e statale in cui si colloca la tutela delle specie oggetto della disposizione censurata, si rileva il contrasto della norma regionale con il secondo comma, lettera s), dell'art. 117 Costituzionale, poiché tendente a ridurre in peius il livello di tutela della fauna selvatica stabilito dalla legislazione nazionale e dalle direttive comunitarie in materia (Direttiva 92/43/CEE c.d. “Direttiva habitat” e Direttiva n. 74/409/CEE c.d. Direttiva Uccelli), invadendo illegittimamente la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, - confliggendo, altresì, con il principio del buon andamento dell’amministrazione sancito dall’art. 97 Costituzionale.
Per i motivi esposti, la legge regionale, limitatamente alle norme indicate, deve essere impugnata dinanzi alla Corte Costituzionale ai sensi dell'articolo 127, della Costituzione.
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