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Istituzione del Garante dei diritti delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale. (1-6-2020)
Liguria
Legge n.10 del 1-6-2020
n.5 del 10-6-2020
Politiche socio sanitarie e culturali
/ Rinuncia impugnativa
22-7-2020 /
Impugnata
La legge della Regione Liguria n. 10 del 2020, recante “Istituzione del Garante dei diritti delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale”, presenta i seguenti profili d’illegittimità costituzionale.
1) l’art. 5, concernente le funzioni del Garante regionale, laddove prevede, alla lettera f), che il citato Organo possa visitare, tra l’altro, “Centri di permanenza temporanea per stranieri” e “posti di polizia”, senza disciplinare precipue modalità o condizioni di accesso ai suddetti luoghi, eccede dalle competenze regionali e invade le competenze esclusive statali in materia di immigrazione, di ordine pubblico e sicurezza, nonché in materia di ordinamento e giurisdizione penale, in violazione dell’art. 117, secondo comma, lettere b), h) ed l) della Costituzione.
La disciplina statale di settore, infatti, con riferimento alla figura del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, proprio in considerazione della peculiarità delle condizioni dei soggetti trattenuti in tali luoghi, prevede, all’articolo 7 del decreto-legge n. 146 del 2013, attraverso le specifiche disposizioni attuative, diverse modalità di accesso agli stessi, che assicurino all’interno delle suddette strutture, la sicurezza ed il mantenimento dell’ordine pubblico, il rispetto delle disposizioni in materia di trattenimento dello straniero in attesa di espulsione e la garanzia delle eventuali attività investigative in corso.
La norma regionale in esame, nella parte in cui prevede che l’accesso ai centri di permanenza per i rimpatri si possa svolgere “incontrando liberamente i soggetti ivi reclusi”, senza specificarne le modalità e le limitazioni, contrasta con la normativa in materia di immigrazione, andando ben oltre la competenza legislativa regionale, in evidente contrasto con l’articolo 117, secondo comma, lett. b), della Costituzione.
Nella disciplina sull’immigrazione, di competenza esclusiva dello Stato, rientra infatti anche quella sul trattenimento degli stranieri in attesa dell’esecuzione del provvedimento di espulsione, nonché, necessariamente, la regolamentazione delle modalità di trattenimento nei CPR e di accesso ai medesimi che, proprio con riferimento ai Garanti regionali, prevede una «previa autorizzazione della Prefettura». In tal senso dispone infatti articolo 6, terzo periodo, lettera b) del decreto del Ministro dell’interno 20 ottobre 2014, riguardante l’accesso ai centri, emanato in attuazione degli artt. 20, 21 e 22 del DPR n. 394/1999 (Regolamento recante norme di attuazione del testo unico sull'immigrazione).
Trattandosi dunque di profili di stretta competenza del legislatore statale in materia di immigrazione e di tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza occorre assicurare, anche in ossequio al principio di unitarietà dell’ordinamento, la coerenza della disciplina regionale con i principi statali di sistema, anche ove si consideri che lo stesso articolo 7, comma 5, del citato decreto-legge n.146/2013 prevede che il Garante nazionale promuova e favorisca rapporti di collaborazione con i Garanti territoriali.
Con riguardo poi, alle camere di sicurezza presenti presso i posti di polizia, l’ articolo 7 della norma statale sul Garante nazionale, dispone alla lettera b), dell’articolo citato, che tale accesso, pur «senza restrizioni», a qualunque locale adibito o comunque funzionale alle esigenze restrittive, debba avvenire «previo avviso e senza che da ciò possa derivare danno per le attività investigative in corso».
Premesso quanto sopra, si ribadisce che la norma regionale, così formulata, senza alcun riferimento alle particolari modalità e condizioni di accesso previste dalla normativa statale, travalica gli ambiti riservati alla potestà legislativa regionale, a causa delle possibili incertezze ermeneutiche che ne potrebbero derivare, con evidenti ripercussioni sui profili applicativi della disciplina degli accessi ai citati luoghi, rischiando così di interferire con le funzioni proprie dell’Amministrazione della pubblica sicurezza e della polizia giudiziaria, con possibili “sconfinamenti” nelle materie di cui all’art. 117, comma 2, lett. h) e l), della Costituzione.
2) Le medesime censure illustrate sub 1) possono formularsi avverso l’articolo 6, che, nell’elencare i poteri del Garante, prevede, al comma 5, che tale organo possa “intimare”, a seguito di una segnalazione circa il mancato rispetto dei diritti dei detenuti, all’«ufficio competente la risoluzione e, comunque, la rimozione dell’irregolarità nel termine di quindici giorni».
Tale disposizione sembra infatti consentire al Garante regionale ambiti di azione maggiori rispetto a quelli contemplati per il suo omologo a livello nazionale. Invero, l’articolo 7, comma 5, lettera f), del decreto legge n. 146/2013 attribuisce al Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale esclusivamente il potere di formulare, nell'ambito dell'ordinamento penitenziario (ai sensi dell'art. 35 della l. n. 354 del 1975), «specifiche raccomandazioni all’amministrazione interessata», la quale, «in caso di diniego, comunica il dissenso motivato nel termine di trenta giorni». Ne consegue pertanto, per i motivi esposti sub 1), la violazione dell'art. 117, secondo comma, lettere b), h) e l), della Costituzione, per invasione delle competenze esclusive statali in materia di inmmigrazione, di ordine pubblico e sicurezza, nonché in materia di ordinamento e giurisdizione penale.
Per i motivi esposti le norme regionali sopra indicate devono essere impugnate dinanzi alla Corte Costituzionale ai sensi dell’art. 127 della Costituzione.
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