Dettaglio Legge Regionale

Norme in materia di costruzione, esercizio e vigilanza degli sbarramenti di ritenuta e dei bacini di accumulo di competenza regionale. (23-6-2020)
Veneto
Legge n.23 del 23-6-2020
n.94 del 26-6-2020
Politiche infrastrutturali
29-7-2020 / Impugnata
La legge regionale , che detta norme in materia di costruzione, esercizio e vigilanza degli sbarramenti di ritenuta e dei bacini di accumulo di competenza regionale è censurabile in quanto le disposizioni sotto richiamate risultano in contrasto con disposizioni statali di principio che costituiscono norme interposte con riferimento ai principi fondamentali in materia di governo del territorio e protezione civile, riservati allo Stato dall’articolo 117, terzo comma della Costituzione, nonché alla competenza esclusiva dello Stato in materia di ordinamento penale e tutela dell’ambiente e del paesaggio, di cui all’articolo 117 , secondo comma lettere l) ed s) della Costituzione, oltre a presentare aspetti di violazione del principio di buon andamento dell’azione amministrativa di cui all’articolo 97 della Costituzione.
In particolare:
1)Aspetti di illegittimità presentano l’articolo 1, comma 1, e l’articolo 2. Dette disposizioni nel classificare le opere di sbarramento, pur richiamando i parametri definiti dalla legge statale relativi all'altezza ed al volume di invaso, violano il riparto di competenza tra Stato e Regioni. Rientrano infatti nella competenza statale sia gli sbarramenti che superano i 15 m di altezza sia quelli che determinano un volume di invaso superiore a 1.000.000 . Sono quindi di competenza regionale quelli che, al contrario, non hanno nessuna delle due caratteristiche che non superano i 15 m di altezza e non determinano un volume di invaso superiore a 1.000.000. Pertanto, è evidente che l'uso, nella norma regionale riguardante l’ambito di applicazione delle norme regionali, della disgiuntiva "o" all'articolo 1, comma 1 ultimo periodo e della doppia congiunzione "e/o" dell'articolo 2 della legge regionale in esame potrebbe comportare la sottrazione alla competenza dello Stato della funzione di vigilanza sugli sbarramenti che non superano i 15 metri di altezza, ma che contemporaneamente determinano un volume di invaso superiore a un 1.000.000 di metri cubi e sugli sbarramenti che pur di invaso inferiore a 1.000.000 hanno un’altezza superiore a 15 metri.
Inoltre lo stesso articolo 1, al comma 3, appare escludere dall'applicazione della legge regionale le opere a servizio di grandi derivazioni, in contrasto con l'articolo 1, comma 1, del decreto-legge n.507/94 e del decreto legislativo n.112/1998, che distinguono le opere di sbarramento ai fini della competenza solo in base a criteri dimensionali. La riserva statale di alcune funzioni in materia di grandi derivazioni (in particolare idroelettriche), inizialmente mantenuta dalla legge 584/1994 per gli sbarramenti “ove posti al servizio di grandi derivazioni di competenza statale", è venuta meno ai sensi dell'articolo 29, comma 3, del citato decreto legislativo n.112/1998, e del recepimento della direttiva 96/1992/CE. L'esclusione operata all'articolo 1, comma 3, lett. a) della legge in esame, crea dunque un vuoto normativo in materia di vigilanza su una fattispecie di sbarramenti a servizio di grandi derivazioni in termini concessori ma realizzati tramite dighe con caratteristiche dimensionali ridotte. La violazione delle citate norme statali di principio determina il contrasto con l’articolo 117, terzo comma della Costituzione con riferimento al governo del territorio.
2) Lo stesso articolo 1, al comma 2, presenta ulteriori profili di illegittimità. Le opere disciplinate dalla legge regionale, infatti, afferiscono ai corsi d'acqua, beni tutelati ope legis ai sensi dell'art. 142, comma 1, lettera c) , del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo n. 42 del 2004.
Tuttavia, la disposizione in esame fa esclusivo riferimento alla compatibilità delle opere con la disciplina urbanistica, senza alcun cenno alla disciplina paesaggistica, alla quale le opere in questione sono suscettibili di essere sottoposte, interferendo necessariamente con beni tutelati ope legis, oltre che, potenzialmente, con altri beni o contesti vincolati ai sensi della Parte III di detto Codice.
Al riguardo, occorre tenere presente che la parte III del Codice dei beni culturali e del paesaggio delinea un sistema organico di tutela paesaggistica, inserendo i tradizionali strumenti del provvedimento impositivo del vincolo e dell'autorizzazione paesaggistica nel quadro della pianificazione paesaggistica del territorio, che deve essere elaborata concordemente da Stato e Regione. Tale pianificazione concordata prevede, per ciascuna area tutelata, le c.d. prescrizioni d'uso (e cioè i criteri di gestione dei vincolo, volti a orientare la fase autorizzatoria) e stabilisce la tipologia delle trasformazioni compatibili e di quelle vietate, nonché le condizioni delle eventuali trasformazioni.
In questo quadro, è alla pianificazione paesaggistica che spetta, ai sensi dell'articolo 135, comma 4, del Codice di settore, di definire "apposite prescrizioni e previsioni ordinate in particolare: ( ... ) h) alla riqualificazione delle aree compromesso o degradate; c) alla salvaguardia delle caratteristiche paesaggistiche degli altri ambiti territoriali, assicurando, al contempo, il minor consumo del territorio,-. Coerentemente con queste previsioni, l'articolo 143. Comma 1 dello stesso Codice, nel delineare i contenuti propri del piano paesaggistico, riserva al predetto strumento il compito di operare la "analisi delle dinamiche di trasformazione del territorio ai fini dell’individuazione dei fattori di rischio e degli elementi di vulnerabilità del paesaggio nonché comparazione con gli altri atti di programmazione, di pianificazione e di difesa del suolo" (lett. I). la "individuazione delle misure necessarie per il corretto inserimento, nel contesto paesaggistico, degli interventi di trasformazione del territorio, al fine di realizzare uno sviluppo sostenibile delle aree interessate" (lett. h), la "individuazione dei diversi ambiti e dei relativi obiettivi di qualità, a termini dell'articolo 135, comma 3" (lett. i).
Il mero richiamo alla sola disciplina urbanistica risulta dunque insufficiente , essendo indispensabile assicurare il rispetto della Parte III del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, a. 42, il quale impone che i suddetti interventi siano valutati nel necessario quadro di disciplina costituito dal piano paesaggistico, da elaborare previa intesa con lo Stato, ai sensi degli, articoli 135, 143 e 145 del Codice. La violazione di dette previsioni del Codice, che si pongono come norme interposte, comporta il contrasto con l’articolo 117, secondo comma lettera s) della Costituzione.

3) L’articolo 3 rinvia alla Giunta regionale la definizione di criteri e modalità procedurali per il rilascio delle autorizzazioni stabilendo che “La Giunta regionale, entro novanta giorni dall'entrata in vigore della presente legge, sentita la competente commissione consiliare, definisce i criteri e le modalità procedurali per il rilascio dell'autorizzazione, gli elaborati necessari per la progettazione nonché le forme e le tipologie di garanzia che il richiedente deve presentare a tutela degli obblighi derivanti dalla presente legge e in particolare del ripristino dello stato dei luoghi, ai sensi dell'articolo 9; la commissione consiliare competente in materia si esprime entro quarantacinque giorni dalla richiesta decorsi i quali si può prescindere da parere” L’articolo 2 del dl. n. 507 del 1994 disciplina in modo dettagliato il regolamento per la disciplina del procedimento di approvazione dei progetti e del controllo sulla costruzione e l'esercizio delle dighe, ed il comma 2 bis della medesima disposizione statale stabilisce che le regioni adottino un regolamento per la disciplina del procedimento di approvazione dei progetti e del controllo sulla costruzione e sull'esercizio delle dighe di loro competenza, disponendo quindi un preciso riferimento alle prescrizioni del predetto regolamento statale al cui modello procedimentale le regioni devono attenersi. La norma statale, che costituisce principio fondamentale in materia di governo del territorio, risulta quindi violata in contrasto con l’articolo 117 terzo comma della Costituzione.

4) L’articolo 4 , inserito nel titolo II della legge regionale riguardante la progettazione e l’autorizzazione delle opere, si occupa della presentazione del progetto di fattibilità tecnica ed economica con una disciplina procedimentale che risulta non coerente con le previsioni statali in materia di VIA di cui al decreto legislativo n. 152 del 2006.
La disciplina del procedimento di VIA /VAS deve intendersi riservata allo Stato quale titolare della competenza a fissare livelli di tutela uniforme sull’intero territorio nazionale, ferma restando la competenza delle Regioni alla cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali (cfr., sentenze n. 67 del 2014, n. 285 del 2013, n. 54 del 2012, n. 244 del 2011, n. 225 e n. 164 del 2009 e n. 437 del 2008 Corte Cost.).
Tale disciplina, «in quanto appunto rientrante principalmente nella tutela dell’ambiente, e dunque in una materia che, per la molteplicità dei settori di intervento, assume una struttura complessa, riveste un carattere di pervasività rispetto anche alle attribuzioni regionali» (sentenza n. 249 del 2009), con la conseguenza che la disciplina statale «costituisce, anche in attuazione degli obblighi comunitari, un livello di tutela uniforme e si impone sull’intero territorio nazionale, come un limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in altre materie di loro competenza, per evitare che esse deroghino al livello di tutela ambientale stabilito dallo Stato, ovvero lo peggiorino» (sentenze n. 58 del 2015, n. 314 del 2009, n. 62 del 2008 e n. 378 del 2007).
La norma regionale in esame disciplina sbarramenti e manufatti di qualsiasi tipo e forma in alveo e fuori alveo, anche temporanei, che non superino i 15 metri di altezza o che determinino un volume di invaso non superiore a 1.000.000 di metri cubi.
Dal punto di vista delle valutazioni ambientali i suddetti progetti, in ragione della loro specificità tipologica, possono ricadere nell’ambito previsionale di cui alla lett. t), dell’allegato III, alla parte II, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 che prevede la sottoposizione a VIA di competenza regionale di progetti concernenti “ Dighe ed altri impianti destinati a trattenere, regolare o accumulare le acque in modo durevole, ai fini non energetici, di altezza superiore a 10 m e/o di capacità superiore a 100.000 m3, con esclusione delle opere di confinamento fisico finalizzate alla messa in sicurezza dei siti inquinati.”
Qualora, invece, si tratti di dighe ed invasi asserviti a centrali per la produzione dell'energia idroelettrica con potenza di concessione superiore a 30 MW, i suddetti progetti sono da ritenersi riconducibili nell’elencazione di cui al punto 2, dell’allegato II, alla parte II, dell’anzidetto decreto legislativo n. 152 del 2006 (“2) Installazioni relative a: centrali per la produzione dell'energia idroelettrica con potenza di concessione superiore a 30 MW incluse le dighe ed invasi direttamente asserviti.”) e, pertanto, assoggettati a VIA di competenza statale.
Nel caso in cui il procedimento di VIA sia di competenza regionale si applica la disciplina di cui all’art. 27 bis del decreto legislativo n. 152 del 2006 (Provvedimento autorizzatorio unico regionale) che non viene espressamente richiamato all’art. 4 della legge regionale in esame che, pertanto, non risulta coerente con la citata norma nazionale.
A tal riguardo occorre evidenziare che, alla luce della novella recata dalla legge n. 104 del 2017, il provvedimento di VIA non può più essere adottato autonomamente bensì deve essere parte del più ampio "Provvedimento autorizzatorio unico regionale" scaturente all'esito di una conferenza di servizi, la cui determinazione motivata di conclusione comprende, ai sensi dell'art. 27 bis, del decreto legislativo n. 152 del 2006 e dell'art. 14, comma 4, della legge n. 241/1990, sia il provvedimento di VIA che i titoli abilitativi rilasciati per la realizzazione e l’esercizio del progetto, recandone l’indicazione esplicita.
Inoltre, all’articolo 4, comma 1, della legge regionale non viene prevista la verifica di assoggettabilità a VIA del progetto ai sensi dell’art. 19 del decreto legislativo n. 152 del 2006, pur trattandosi anche di istanze relative non solo a nuove derivazioni d’acqua ma anche a modifiche di queste.
Alla luce di quanto sopra, la disciplina procedimentale introdotta dall’articolo 4 della legge regionale è da ritenersi non coerente con le previsioni statali in materia di VIA di cui al decreto legislativo n. 152 del 2006 dianzi richiamate che rappresentano, «anche in attuazione degli obblighi comunitari, un livello di protezione uniforme che si impone sull’intero territorio nazionale, pur nella concorrenza di altre materie di competenza regionale» (sentenze n. 93 del 2019 e n. 198 del 2018 Corte Cost.).
A tal riguardo, la stessa Corte Costituzionale ha, altresì, precisato che l’art. 27-bis cod. ambiente, costituisce uno degli snodi fondamentali della riforma apportata dal decreto legislativo 16 giugno 2017, n. 104 (in attuazione della direttiva 2014/52/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, che modifica la direttiva 2011/92/UE, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, ai sensi degli articoli 1 e 14 della legge 9 luglio 2015, n. 114, che costituisce parametro normativo interposto la cui osservanza si impone alle Regione ai sensi dell’articolo 117, comma 1, Cost.); tale disposizione, infatti, rientra tra quelle «che – in attuazione degli obiettivi […] di “semplificazione, armonizzazione e razionalizzazione delle procedure di valutazione di impatto ambientale” e di “rafforzamento della qualità della procedura di valutazione di impatto ambientale” – determinano un tendenziale allineamento dei diversi schemi e modelli procedimentali, assegnando allo Stato l’apprezzamento dell’impatto sulla tutela dell’ambiente dei progetti reputati più significativi e, così, evitando la polverizzazione e differenziazione delle competenze che caratterizzava il previgente sistema». L’unitarietà e l’allocazione in capo allo Stato delle procedure relative a progetti di maggior impatto ambientale ha risposto, pertanto, «ad una esigenza di razionalizzazione e standardizzazione funzionale all’incremento della qualità della risposta ai diversi interessi coinvolti, con il correlato obiettivo di realizzare un elevato livello di protezione del bene ambientale» (sentenze n. 93 del 2019 e n. 198 del 2018).
Il rispetto delle suesposte finalità costituisce anche espressione del principio di buon andamento dell’azione amministrativa derivante dall’articolo 97 della Costituzione.
Il legislatore statale ha dunque riservato a se stesso, in via esclusiva, la disciplina dei procedimenti di verifica ambientale, definendo le modalità attraverso le quali fissare un equilibrio fra gli interessi e i diversi valori coinvolti.
In particolare, come detto, la disciplina della VIA è mossa dalla necessità di affiancare alla tutela ambientale anche la semplificazione, razionalizzazione e velocizzazione dei procedimenti che sono espressione del buon andamento dell’azione amministrativa: esigenze che sarebbero frustrate da interventi regionali che, incidendo sul relativo procedimento, finiscano per incidere significativamente sul relativo portato, in aperta contraddizione con le scelte del legislatore statale.
In siffatta cornice non è casuale, a tale riguardo, che anche l’art. 7-bis, comma 8, del decreto legislativo n. 152 del 2006, pur riconoscendo uno spazio di intervento alle Regioni e Province autonome, ne definisca tuttavia il perimetro d’azione in ambiti specifici e puntualmente precisati. Gli enti regionali, infatti, possono disciplinare, «con proprie leggi o regolamenti l’organizzazione e le modalità di esercizio delle funzioni amministrative ad esse attribuite in materia di VIA», stabilendo «regole particolari ed ulteriori» solo e soltanto «per la semplificazione dei procedimenti, per le modalità della consultazione del pubblico e di tutti i soggetti pubblici potenzialmente interessati, per il coordinamento dei provvedimenti e delle autorizzazioni di competenza regionale e locale, nonché per la destinazione […] dei proventi derivanti dall’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie» (sentenza n. 198 del 2018).
Fuori da questi ambiti è dunque preclusa alle Regioni la possibilità di incidere sul dettato normativo che attiene ai procedimenti di verifica ambientale così come definito dal legislatore nazionale.
Le previsioni regionali anzidette, nella loro attuale formulazione, si pongono, dunque in contrasto con i parametri statali interposti in materia, in quanto comportano l’esercizio di una potestà legislativa travalicante l’ambito di competenza costituzionalmente assegnato alle Regioni.
L’articolo 4 della legge regionale è dunque illegittimo per violazione degli articoli 97, 117, secondo comma, lettera s) della Costituzione, in riferimento ai dianzi evidenziati parametri statali interposti.

5) Il medesimo articolo 4, prevede che ìl progetto venga presentato alla struttura della Giunta regionale territorialmente competente unitamente, ove previsto, alla istanza di valutazione di impatto ambientale (VIA) "o ad ulteriori richieste di autorizzazioni previste da/lo vigente normativa per la realizzazione di tali opere" (comma 1). Si prevede inoltre che la struttura della Giunta regionale territorialmente competente esprima, entro sessanta giorni dalla richiesta, un preventivo parere di ammissibilità dell'opera, "previa acquisizione delle necessarie valutazioni tecniche".
Il successivo articolo 5, in tema di approvazione del progetto esecutivo e autorizzazione, demanda, una volta ottenuta l'ammissibilità dell'opera ai sensi dell'art. 4, alla struttura della Giunta regionale competente in materia di difesa del suolo l'autorizzazione alla costruzione dell'opera e l'approvazione del progetto, ivi compreso quello per il ripristino dello stato dei luoghi a fine esercizio.
Ai sensi del comma 3 dell'art. 5 della legge regionale in esame, tale approvazione "non esime il richiedente dall'acquisizione di altre autorizzazioni o nullaosta, comunque denominati, previsti da ulteriori disposizioni di legge".
Appare evidente che tale disposizione inverte il principio di necessaria priorità temporale dell'autorizzazione paesaggistica rispetto al titolo legittimante l'intervento urbanistico edilizio, stabilito dal legislatore statale al comma 4 dell'art. 146 del Codice di settore, in base al quale l'autorizzazione paesaggistica "costituisce atto autonomo e presupposto" per il valido ed efficace rilascio del titolo edilizio.
Tale principio è peraltro confermato anche dal Testo unico dell'edilizia, ove si prevede che per poter eseguire interventi edilizi, su immobili ricadenti in aree sottoposte a tutela paesaggistica occorre acquisire il preventivo rilascio dell'autorizzazione paesaggistica (art. 22, comma 6, d.P.R. n. 380 dei 2001).
Anche di recente la Corte costituzionale ha rilevato come l'art. 146, comma 4, del Codice di settore. stabilisce un "rapporto di necessaria presupposizione" tra l'autorizzazione paesaggistica e il titolo legittimante l'intervento, imponendo che quest'ultimo "non possa avere dei contenuti che non risultino già previsti e disciplinati nell'autorizzazione paesistica", annullando una disposizione regionale che introduceva "margini di flessibilità" (Corte cost, sentenza a. 210 dei 2016).
L'autorizzazione paesaggistica deve necessariamente precedere l'approvazione del progetto, ai sensi dell'art. 146, comma 4, del Codice dei beni culturali e del paesaggio.
Considerazioni analoghe a quelle esposte al punto 2 valgono anche per il progetto di ripristino dello stato dei luoghi in caso di cessazione dell'utilizzo delle opere a seguito di rinuncia, decadenza o revoca della concessione della derivazione d'acqua, di cui all'art. 9 della legge regionale in esame, atteso il richiamo, contenuto nel comma 2, per la verifica e l'approvazione del progetto medesimo alle "procedure di cui all’art. 5". La modifica dell'articolo 5 nel senso auspicato, stante il predetto rinvio, consentirebbe di sanare anche le censure relative all'art. 9.
La violazione della citate norme statali di riferimento , che si pongono come norme interposte, comporta la violazione dell’articolo 117, secondo comma lettera s), sotto il profilo della tutela del paesaggio, e terzo comma della Costituzione in ordine al governo del territorio. Considerazioni analoghe valgono anche per l'art. 9, considerato il richiamo in esso contenuto alle procedure di cui all’articolo 5.

6) L’articolo 5, comma 3, prevede che l'approvazione del progetto esecutivo da parte della struttura regionale, "tiene integralmente luogo agli adempimenti tecnici ed amministrativi di cui alla legge 5 novembre 1971 n.1086 recante "Norme per la disciplina delle spese di conglomerato cementizio armato normale e precompresso a struttura metallica ".
Poiché, ai sensi dell'articolo 7 della legge 1086/71, tutte le opere devono essere sottoposte a collaudo statico, la disposizione regionale in esame confligge con l'obbligo del collaudo statico previsto dalla normativa tecnica Nazionale. La previsione regionale prescinde dal DM del ministero infrastrutture e trasporti 26 giugno 2014 recante "Norme tecniche per la progettazione e la costruzione di sbarramenti di ritenuta quali dighe e traverse” che costituisce normativa tecnica nazionale vincolante per il collaudo statico e che, in relazione alla sua dichiarata funzione di protezione civile, rientra nella materia - funzione di cui all'art. 117, secondo comma lett. s) della Costituzione e comunque, costituisce legislazione di principio in tema di protezione civile e governo del territorio ai sensi dell’ art. 117 terzo comma della Costituzione.

7) Il Titolo IV della legge regionale disciplina le opere esistenti alla data di entrata in vigore della stessa legge regionale, introduce una sorta di "sanatoria" delle opere che, in esercizio alla data di entrata in vigore della legge, non siano state denunciate ovvero siano state realizzate in difformità dai progetti approvati. Il comma 1 dell'art. 11 dispone che i progetti esecutivi di dette opere , completi dello stato di fatto e comprensivo della certificazione di idoneità statica, che i proponenti devono presentare ai fini della regolarizzazione delle stesse, sono "approvati e realizzati secondo la procedura di cui ai titoli II e III, fatte salve, comunque, le autorizzazioni comunali in ordine all’ammissibilità delle opere”
Tale procedura si pone in contrasto con l'ari. 167 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, che dispone il generale divieto di sanatoria per gli interventi non autorizzati su beni paesaggistici, salvi i limitatissimi casi in cui è possibile l'accertamento di compatibilità paesaggistica ex post ai sensi del comma 4, peraltro riferibili a fattispecie edilizie in senso stretto. In tali casi, da ritenere eccezionali, il Codice di settore, con il comma 5 dello stesso articolo 167, richiede, ai fini dell'accertamento dì compatibilità paesaggistica, il previo parere vincolante della soprintendenza.
La Corte costituzionale ha già dichiarato l'illegittimità costituzionale di norme regionali in contrasto con la normativa del Codice dei beni culturali e del paesaggio, secondo la quale l'autorità competente si pronuncia "previo parere vincolante della soprintendenza", per violazione, oltre che della potestà esclusiva dello Stato in materia di tutela del paesaggio, ai sensi dell'articolo 117 secondo comma, lett. s). della Costituzione, anche degli standard minimi di tutela del paesaggio valevoli su tutto il territorio nazionale ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lett. m, della Costituzione (sentenza a. 238 dei 2013).

8) La norma sanzionatoria contenuta nell’articolo 12 non considera che le condotte sanzionate potrebbero integrare, in presenza degli elementi costitutivi previsti dalla legge statale, anche fattispecie penalmente rilevanti ovvero reati edilizi e/o ambientali. In tal caso opererebbe il disposto dell'articolo 9, comma 2, della legge 24 novembre 1981, n. 689 secondo cui quando uno stesso fatto è punito da una disposizione penale e da una disposizione regionale o delle province autonome di Trento e di Bolzano che preveda una sanzione amministrativa, si applica in ogni caso la disposizione penale, salvo che quest'ultima sia applicabile solo in mancanza di altre disposizioni penali. La disposizione appare riconoscere alla condotta da sanzionare una sola rilevanza amministrativa, in contrasto con il principio della prevedibilità della sanzione irrogabile e quindi in violazione della competenza esclusiva statale in materia di ordinamento penale di cui all'articolo 117, comma 2, lettera l) della Costituzione.

Per questi motivi la legge regionale , con riferimento alle disposuizioni sopra evidenziate, deve essere impugnata ai sensi dell'articolo 127 della Costituzione.

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