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Misure di semplificazione amministrativa in materia sanitaria (7-7-2020)
Puglia
Legge n.18 del 7-7-2020
n.99 del 9-7-2020
Politiche socio sanitarie e culturali
7-8-2020 /
Impugnata
La legge della Regione Puglia n. 18 del 7 luglio 2020 recante “Misure di semplificazione amministrativa in materia sanitaria” presenta i seguenti profili di illegittimità costituzionale.
La legge in esame introduce modifiche ed integrazioni ad alcuni procedimenti amministrativi attinenti al settore sanitario, in un’ottica di semplificazione, con particolare riferimento alle leggi regionali n. 9/2017 e n. 53/2017 e alla disciplina regolamentare in materia di autorizzazione all’esercizio e accreditamento della strutture socio-sanitarie.
Ciò premesso, alcune norme contrastano con i principi fondamentali posti dal legislatore statale in materia di tutela della salute, in violazione dell’art. 117, terzo comma, della Costituzione. Un’altra disposizione invece viola il principio del pubblico concorso per l’accesso alla pubblica amministrazione, stabilito nell’art. 97, comma 4, della Costituzione, e, ponendosi in contrasto con la normativa statale concernente le stabilizzazioni, invade la competenza esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile, in violazione dell’art. 117, secondo comma, lett. l), della Costituzione.
In particolare:
1) il comma 11 dell’art. 1, nel sostituire il comma 8 dell'articolo 12 della citata L.R. 9/2017, riguardante i requisiti del responsabile sanitario, dispone che "Il limite di età massimo previsto per lo svolgimento della funzione di responsabile sanitario è quello previsto dalla normativa nazionale vigente in materia di permanenza in servizio dei dirigenti medici e del ruolo sanitario del servizio sanitario nazionale, fatta eccezione per gli ambulatori specialistici non accreditati".
Tale previsione presenta profili di illegittimità laddove introduce un’eccezione a favore dei dirigenti medici degli ambulatori specialistici non accreditati: innanzitutto non è chiara la ratio dell'eccezione concernente il limite di età del responsabile sanitario che lavora in detti ambulatori, che sembra comportare la compressione del principio di parità di trattamento nonché del principio di proporzionalità in quanto si inserisce un elemento di differenziazione tra gli ambulatori specialistici e tutti gli altri tipi di strutture sanitarie in assenza di indicazioni che potrebbero astrattamente giustificarla.
Inoltre non è agevole comprendere i motivi e valutare le conseguenze di tale diversità di trattamento in quanto la norma regionale non precisa neppure il regime applicabile a tali strutture, né tale eccezione trova un fondamento nella normativa statale di riferimento: nessun riferimento a tale diversa regola è infatti contenuto nella legge 30 dicembre 1991, n. 412, che, all'art.4, comma 2, ultimo periodo, nel prevedere che le regioni possano stipulare convenzioni con istituzioni sanitarie private, si limita a stabilire la obbligatorietà della nomina di "un direttore sanitario o tecnico, che risponde personalmente dell'organizzazione tecnica e funzionale dei servizi...", e altrettanto è a dirsi per la successiva normativa di settore, nonché per il decreto legislativo n. 502/1992 che detta i principi fondamentali in materia.
Pertanto, poiché la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 181 del 2006, ha ritenuto che la disciplina del rapporto di lavoro e dell’attività professionale del dirigente sanitario, attiene alla materia della «tutela della salute», (dal momento che "rileva la stretta inerenza che tutte le norme de quibus presentano con l'organizzazione del servizio sanitario regionale e, in definitiva, con le condizioni per la fruizione delle prestazioni rese all'utenza, essendo queste ultime condizionate, sotto molteplici aspetti, dalla capacità, dalla professionalità e dall'impegno di tutti i sanitari addetti ai servizi, e segnatamente di coloro che rivestono una posizione apicale"), la norma regionale in esame, che si discosta da tale disciplina, si pone in contrasto con i principi fondamentali in materia di tutela della salute in essa contenuti, in violazione del terzo comma dell'art. 117 della Costituzione.
2) il comma 13 dell’art. 1 appare anch’esso in contrasto con i principi fondamentali della legislazione statale in materia di tutela della salute. La norma regionale, nel sostituire il comma 2 dell'articolo 24 della citata L.R. n. 9/2017, concernente le procedure di accreditamento delle strutture sanitarie e sociosanitarie, prevede che "Le strutture pubbliche e private, gli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS) privati e gli enti ecclesiastici possono richiedere con unica istanza il rilascio dell'autorizzazione all'esercizio e dell' accreditamento istituzionale".
Tale disposizione regionale, che accorpa in un’unica istanza sia la richiesta di rilascio dell'autorizzazione all'esercizio sia quella concernente l'accreditamento istituzionale, non tiene nella dovuta considerazione la circostanza che i due istituti sono orientati a perseguire finalità ben distinte.
Come è noto, infatti, l'accreditamento è il provvedimento con cui si riconosce alle strutture pubbliche e private, che sono già state precedentemente autorizzate all'esercizio dell'attività sanitaria, lo status di potenziali erogatori di prestazioni sanitarie nell'ambito e per conto del Servizio Sanitario Nazionale. In particolare, ai sensi dell’art. 8-quater del d.lgs. n. 502/1992, l'accreditamento viene concesso ai soggetti già in possesso dell'autorizzazione, subordinatamente alla sussistenza delle seguenti ulteriori condizioni: coerenza delle funzioni svolte con gli indirizzi della programmazione regionale; rispondenza ai requisiti ulteriori rispetto a quelli richiesti ai fini dell'autorizzazione; verifica positiva dell'attività svolta e dei risultati ottenuti.
Infine, la previsione regionale non risulta in linea con quanto previsto dalle Intese raggiunte in Conferenza Stato-regioni i1 20 dicembre 2012 e 19 febbraio 2015, in merito alle attività di verifica spettanti all'Organismo tecnicamente accreditante.
Pertanto la disposizione regionale in parola, ponendosi in contrasto con i principi fondamentali posti dal legislatore statale in materia di "tutela della salute" con la norma del decreto legislativo n. 502 del 1992 sopra richiamata, configura una violazione dell’art. 117, terzo comma, della Costituzione.
3) l'art. 9, in materia di fabbisogno di RMN (Risonanza magnetica nucleare) grandi macchine e RMN a basso campo c.d. "dedicate" o "open di nuova generazione", presenta analoghi rilievi di illegittimità per contrasto con i principi fissati nella normativa statale sopracitata. La norma sostituisce l’ultimo periodo del comma 3 dell’art. 19 della citata L.R. 9/2017 con il seguente: “Ferma restando la necessità di verificare la sussistenza dei requisiti di accreditamento, nelle soprariportate ipotesi l' autorizzazione all'esercizio produce effetti vincolanti ai fini della procedura di accreditamento istituzionale".
Al riguardo va innanzitutto rilevato che l’art. 19, comma 3, della legge 9/2017 è già stato modificato dall’art. 49 della legge regionale 52/2019, che è stato a sua volta impugnato davanti alla Corte Costituzionale, con delibera del Consiglio dei Ministri del 20/1/2020, in quanto ha introdotto tre fattispecie (relative proprio all’autorizzazione all’esercizio per l’attività di alta diagnostica sopra indicata) derogatorie al principio secondo il quale l'autorizzazione alla realizzazione e all'esercizio delle strutture sanitarie e socio-sanitarie non produce effetti vincolanti ai fini della procedura di accreditamento istituzionale, che si fonda sul criterio di funzionalità rispetto alla programmazione regionale.
A proposito dell’autorizzazione all’esercizio, la Corte Costituzionale ha più volte evidenziato il fatto che gli artt. 8, comma 4, e 8-ter, comma 4, del citato D. lgs. n. 502/ 1992, che stabiliscono i requisiti minimi di sicurezza e qualità per poter effettuare prestazioni sanitarie, rappresentano principi fondamentali stabiliti dalla legislazione statale, che le regioni devono rispettare indipendentemente dal fatto che la struttura intenda o meno chiedere l'accreditamento (sentenze nn. 245 e 150 del 2010 e n. 292/2012). La Consulta ha, inoltre, chiarito che per l’"accreditamento" occorrono "requisiti ulteriori" (rispetto a quelli necessari all'autorizzazione), ai sensi dell'art. 8-quater del d.lgs. n. 502 del 1992; quest'ultima disposizione reca, parimenti, principi fondamentali che le regioni sono tenute a rispettare, non potendosi attribuire l'accreditamento ope legis a determinate strutture, la cui regolarità sia meramente presunta e non effettivamente fondata sul possesso effettivo dei requisiti prescritti (sentenza n. 361 del 2008).
Premesso quanto sopra, la modifica introdotta dall’art. 9 della legge in esame, a differenza della norma impugnata, fa salva la verifica dei requisiti per l’accreditamento: ciononostante resta sempre da chiarire quali possano essere gli "effetti vincolanti" scaturenti dall'autorizzazione, posto che l'accreditamento non si configura quale atto vincolato e deve essere, tra l'altro, coerente rispetto alla programmazione nazionale e regionale.
Alla luce di quanto rappresentato e del quadro normativo statale richiamato, deriva che la disposizione regionale in esame, ponendosi in contrasto con i principi fondamentali posti dal legislatore statale in materia di "tutela della salute" contenuti nelle norme del decreto legislativo n. 502 del 1992 sopra richiamate, configura una violazione dell’art. 117, terzo comma, della Costituzione.
4) Emergono inoltre profili di violazione del principio del pubblico concorso, fissato dall’art. 97 della Costituzione, e di contrasto con le normative statali in materia di superamento del precariato, in violazione dell'art. 117, secondo comma, lett. l), della Costituzione, con riferimento all'art. 10, comma 1 della legge regionale in esame, “Norma in materia di incarichi a tempo determinato”. La norma dispone che "nel limite dei posti vacanti nella dotazione organica e nel rispetto della spesa sanitaria derivante dalle norme vigenti, il personale già titolare di contratto, ovvero di incarico a tempo indeterminato, presso aziende o enti del servizio sanitario nazionale e in servizio a tempo determinato alla data del 31 dicembre 2019, presso una azienda o ente del servizio sanitario della Regione Puglia è confermato nei ruoli di quest'ultima a tempo indeterminato, previa presentazione, entro sessanta giorni dalla data in vigore della presente legge, di apposita domanda di mobilità".
Va innanzitutto rilevato che la norma regionale, come formulata, presenta inesattezze terminologiche e dubbi interpretativi nella parte in cui limita al solo personale "già titolare di contratto, ovvero di incarico a tempo indeterminato presso aziende o enti del servizio sanitario nazionale e in servizio a tempo determinato alla data del 31 dicembre 2019" la possibilità di essere confermato nei ruoli dell'Amministrazione in cui presta servizio. Non risulta, infatti, comprensibile la nozione di "incarico a tempo indeterminato", dato che, per sua natura, l'incarico si configura necessariamente a tempo determinato, ai sensi del d.lgs. n. 502 del 1992, già citato, e del d.lgs. n. 165 del 2001. D'altra parte, il riferimento al personale "già titolare di contratto", non contenendo la specificazione dell'esatta tipologia, dovrebbe invero interpretarsi nel senso di contratto a termine o a tempo determinato.
Ciò premesso, la previsione regionale introduce un meccanismo di stabilizzazione del personale precario in possesso del requisito ivi specificato, eludendo il principio costituzionalmente garantito del concorso quale regola generale di accesso al pubblico impiego di cui all'art. 97, comma 3, della Costituzione, a norma del quale " agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge".
Secondo la Corte Costituzionale (sentenza n. 363/2006), "il concorso pubblico - quale meccanismo imparziale di selezione tecnica e neutrale dei più capaci sulla base del criterio del merito - costituisce la forma generale e ordinaria di reclutamento per le pubbliche amministrazioni, esso è posto a presidio delle esigenze di imparzialità e di efficienza dell'azione amministrativa" .
Le eccezioni a tale regola consentite dall'art. 97 della Costituzione, purché disposte con legge, debbono rispondere a “peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico” (sentenza n. 81/2006), per evitare che la deroga si risolva in un privilegio a favore di categorie più o meno ampie di persone (sentenza n. 205/2006). In altri termini, l'area delle eccezioni va delimitata in modo rigoroso e nel caso in esame non si evincono le condizioni per riconoscere come legittima la deroga prevista.
Sebbene la ratio della disposizione de qua sembra essere quella di superare il precariato nel settore sanitario, la disposizione regionale non risulta in linea con i principi fissati dalla normativa statale vigente, in particolare dai commi 1 e 2 dell'art. 20 del d.lgs. n. 75 del 2017 (in materia di superamento del precariato nelle pubbliche amministrazioni) nonché dai commi 11 e 11-bis del medesimo articolo, che introducono i requisiti che il lavoratore deve possedere cumulativamente ai fini della stabilizzazione immediata, subordinandoli comunque all'espletamento delle procedure concorsuali.
In particolare, per il personale del SSN, i commi 11 e 11 bis del citato art. 20 dispongono:
“11. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 si applicano al personale, dirigenziale e non, di cui al comma 1 nonché al personale delle amministrazioni finanziate dal Fondo ordinario per gli enti e le istituzioni di ricerca, anche ove lo stesso abbia maturato il periodo di tre anni di lavoro negli ultimi otto anni rispettivamente presso diverse amministrazioni del Servizio sanitario nazionale o presso diversi enti e istituzioni di ricerca”;
“11-bis. Allo scopo di fronteggiare la grave carenza di personale e superare il precariato, nonché per garantire la continuità nell'erogazione dei livelli essenziali di assistenza, per il personale medico, tecnico-professionale e infermieristico, dirigenziale e non, del Servizio sanitario nazionale, le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 si applicano fino al 31 dicembre 2022. Ai fini del presente comma il termine per il requisito di cui al comma 1, lettera c), e al comma 2, lettera b), è stabilito alla data del 31 dicembre 2019”.
Più recentemente, il legislatore statale è intervenuto per far fronte alle esigenze straordinarie ed urgenti derivanti dalla diffusione del COVID -19, e garantire i livelli essenziali di assistenza sul territorio nazionale, con il d.l. n. 18/2020, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 27/2020, che, fino al perdurare dello stato di emergenza di cui alla delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020, consente alle aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale di attivare procedure di reclutamento del personale aventi i requisiti e con le modalità di cui all'art. 2-bis (contratti di lavoro autonomo) e di conferire, ai sensi dell’art. 2- ter, incarichi individuali a tempo determinato, previo avviso pubblico e previa selezione per titoli, colloquio e procedura comparative in forma semplificata, al personale delle professioni sanitarie e agli operatori socio-sanitari.
Per i motivi suesposti l’art. 10 della legge in esame, che non risulta in linea con le disposizioni statali sopra menzionate, viola il principio costituzionale del pubblico concorso e di buon andamento della pubblica amministrazione di cui all'art. 97 della Costituzione e il riparto di competenze legislative tra lo Stato e le regioni, sancito dall'art. 117, secondo comma, lett. l), della Costituzione, in materia di ordinamento civile.
Per i motivi esposti le norme regionali sopra indicate devono essere impugnate dinanzi alla Corte Costituzionale, ai sensi dell’art. 127 della Costituzione.
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