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Norme di interpretazione autentica del Piano paesaggistico regionale (13-7-2020)
Sardegna
Legge n.21 del 13-7-2020
n.40 del 13-7-2020
Politiche infrastrutturali
7-8-2020 /
Impugnata
La legge regionale che detta norme di interpretazione autentica del Piano paesaggistico regionale, approvato con decreto del Presidente della Regione del 7 settembre 2006, n. 82 è censurabile in quanto la disposizione contenuta nell’articolo 1 eccede dalle competenze statutarie della Regione autonoma della Sardegna, violando gli articoli 3, 9 e 117 primo e secondo comma, lettera s) della Costituzione, per contrasto con il Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, per i motivi che di seguito si illustrano.
L’articolo 1 della legge regionale testualmente recita:
“1. La Regione autonoma della Sardegna esercita le funzioni amministrative a essa trasferite dall’articolo 6 del decreto del Presidente della Repubblica 22 maggio 1975, n. 480 (Nuove norme di attuazione dello statuto speciale della Regione autonoma della Sardegna), e delegate dall’articolo 57 del D.P.R. 19 giugno 1979, n. 348 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la Sardegna in riferimento alla L. 22 luglio 1975, n. 382, e al D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616), in conformità all’articolo 3, comma 1, lettera f) della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), senza pianificazione congiunta con il Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo sui beni paesaggistici diversi da quelli di cui all’articolo 143, comma 1, lettere b), c) e d) del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137). Conseguentemente il Piano paesaggistico regionale (PPR), primo ambito omogeneo e le relative Norme tecniche di attuazione (NTA) approvati con il D.P.Reg. 7 settembre 2006, n. 82, dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo 26 marzo 2008, n. 63 (Ulteriori disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione al paesaggio), il cui articolo 2, comma 1, lettera e) ha sostituito l’articolo 135 del decreto legislativo n. 42 del 2004, si interpreta nel senso che sono in ogni caso sottratti alla pianificazione congiunta tra Regione autonoma della Sardegna e Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo i suddetti beni e in particolare:
a) la fascia costiera di cui all’articolo 17, comma 3, lettera a) delle NTA al PPR, come definita dall’articolo 19 e disciplinata dall’articolo 20 delle medesime NTA;
b) i beni identitari di cui all’articolo 2, comma 1, lettera e), delle NTA al PPR, come definiti dall’articolo 6, comma 5 e disciplinati dall’articolo 9 delle medesime NTA;
c) le zone agricole, l’edificato in zona agricola come definito dall’articolo 79 delle NTA al PPR e l’edificato urbano diffuso come definito dall’articolo 76 delle NTA al PPR.
2. L’eccezione al divieto di realizzazione di nuove strade extraurbane di dimensioni superiori alle due corsie, contenuta nell’articolo 20, comma 1, lettera b), punto 1), della NTA al PPR, si interpreta nel senso che è esclusa da tale divieto ogni opera il cui procedimento di realizzazione, con riferimento alla data di approvazione del PPR, si trovi a uno stadio di avanzamento nel quale è in corso la procedura di valutazione di impatto ambientale e le opere che si trovino a uno stadio più avanzato. La medesima eccezione si interpreta nel senso che, se l’opera aveva le caratteristiche per essere esclusa dal divieto alla data di approvazione del PPR, continua a essere esclusa dal divieto anche in caso di variante, purché le caratteristiche generali e identificative dell’intervento non siano mutate, tenendo anche conto dell’articolo 46, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità (Testo A)).
3. L’asse viario Sassari-Alghero e, in particolare, la realizzazione nello sviluppo geometrico a quattro corsie del lotto n. 1, costituisce un’infrastruttura determinante per assicurare lo sviluppo sostenibile del territorio ai sensi dell’articolo 143, comma 1, lettera h), del decreto legislativo n. 42 del 2004 ed assume carattere strategico, essendo di preminente interesse nazionale e regionale. A tale infrastruttura, la cui progettazione a quattro corsie a tutti gli effetti coincide, nelle sue caratteristiche generali e identificative, con quella già sottoposta con esito favorevole alle pregresse valutazioni di impatto ambientale e autorizzazioni paesistico-ambientali, si applicano pertanto le deroghe previste nell’articolo 20, comma 1, lettera b), punto 1) delle NTA al PPR.”.
In sintesi, con il comma 1 dell’art. 1 la Regione asserisce che le funzioni amministrative a essa trasferite o delegate in materia paesaggistica sono esercitate sui beni paesaggistici diversi da quelli oggetto di copianificazione obbligatoria ai sensi dell’art. 135, comma 1, del Codice dei beni culturali e paesaggistici di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, comma 1, dalla Regione stessa in piena autonomia.
La norma prosegue affermando che, conseguentemente all’esplicitazione di tale principio, a far data dalla novella del 2008 al citato art. 135 del Codice di settore, si dispone che il Piano paesaggistico e le relative Norme tecniche di Attuazione si interpretano nel senso che sono in ogni caso sottratti alla copianificazione le seguenti categorie di beni:
a) la fascia costiera di cui all’articolo 17, comma 3, lettera a), delle NTA al PPR, come definita dall’articolo 19 e disciplinata dall’articolo 20 delle medesime NTA;
b) i beni identitari di cui all’articolo 2, comma 1, lettera e), delle NTA al PPR, come definiti dall’articolo 6, comma 5 e disciplinati dall’articolo 9 delle medesime NTA;
c) le zone agricole, l’edificato in zona agricola come definito dall’articolo 79 delle NTA al PPR e l’edificato urbano diffuso come definito dall’articolo 76 delle NTA al PPR.
Il comma 2 dell’art. 1 della legge regionale in esame disciplina l’eccezione al divieto di realizzazione di nuove strade extraurbane di dimensioni superiori alle due corsie, contenuta nell’articolo 20, comma 1, lettera b), punto 1), delle NTA al PPR, precisando che l’eccezione si interpreta nel senso che tale divieto non trova applicazione nei confronti delle opere con procedura di VIA in corso o in stadio più avanzato alla data di approvazione del piano regionale o in caso di varianti di opere già escluse dal divieto.
Il comma 3 dell’art. 1 della legge regionale, infine, dispone che l’eccezione al divieto di realizzazione di nuove strade extraurbane di dimensioni superiori alle due corsie, di cui all’articolo 20, comma 1, lettera b), punto 1), della NTA al PPR, si applica all’infrastruttura denominata “asse viario Sassari-Alghero”, compreso il Lotto 1.
Si rappresenta che le disposizioni contenute nel comma 2 in senso generale e nel comma 3 in modo specifico si inseriscono nell’ambito del procedimento di VIA della SS 291 c.d. “della Nurra”, relativamente ai lavori di costruzione del Lotto 1 da Alghero a Olmedo e del Lotto 4 tra il bivio di Olmedo e l’Aeroporto di Alghero, procedimento nel quale si erano espressi negativamente i Ministeri dell’ambiente, del territorio e del mare e per i beni e le attività culturali e per il turismo, questione sulla quale il Consiglio dei Ministri, a norma dell’articolo 5, comma 2, lettera c-bis), della legge 23 agosto 1988, n. 400, ha deliberato, in data 28 luglio, di superare i dissensi emersi nell’ambito del procedimento di compatibilità ambientale, ai fini dell’ulteriore corso del procedimento relativo ai lavori di costruzione di detta opera stradale.
La norma regionale in esame presenta numerosi aspetti si illegittimità costituzionale .
Si premette che l’articolo 3, lett. f), dello Statuto speciale della Regione autonoma della Sardegna (legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3) attribuisce alla Regione potestà legislativa in materia di “edilizia e urbanistica”, mentre l’articolo 6 d.P.R. 22 maggio 1975, n. 480 (“Nuove norme di attuazione dello statuto speciale della Regione autonoma della Sardegna”) trasferisce alla Regione alcune competenze già esercitate dagli organi del Ministero della pubblica istruzione, poi attribuite al Ministero per i beni culturali e ambientali.
Va tuttavia rimarcato che, in base al medesimo articolo 3 dello Statuto speciale, la potestà legislativa regionale in materia di edilizia e urbanistica deve essere esercitata “In armonia con la Costituzione e i principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica e col rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali, nonché delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica”, e quindi necessariamente nel rispetto delle previsioni del Codice dei beni culturali e del paesaggio, dettate dallo Stato nell’esercizio della potestà legislativa esclusiva di cui all’articolo 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione.
Ciò posto, occorre evidenziare che la normativa regionale in esame è lesiva dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Costituzione, che riserva allo Stato la potestà legislativa esclusiva in materia di “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”, in quanto interviene unilateralmente e non con la pianificazione condivisa prevista, per i beni vincolati, dagli artt. 135 e 143 del d.lgs. n. 42 del 2004, che costituiscono norme di grande riforma economica-sociale vincolanti anche le Regioni ad autonomia speciale.
La Corte infatti, anche recentemente, ha chiarito il ruolo e le attribuzioni del legislatore nazionale con riguardo alle previsioni dello Statuto speciale della Regione Sardegna, affermando che “Il legislatore statale conserva il potere di vincolare la potestà legislativa primaria dell’autonomia speciale attraverso l’emanazione di leggi qualificabili come «riforme economico-sociali». E ciò anche sulla base – per quanto qui viene in rilievo – del titolo di competenza legislativa nella materia «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., comprensiva tanto della tutela del paesaggio quanto della tutela dei beni ambientali e culturali” (sentenza n. 178 del 2018).
Non vi è dubbio alcuno, pertanto, che la Regione Sardegna non gode di potestà normativa primaria in materia di tutela del paesaggio, attribuita in via esclusiva allo Stato dall’art. 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione, in quanto lo Statuto speciale, come detto, attribuisce alla Regione competenza legislativa esclusiva nella diversa materia “edilizia ed urbanistica”, sostanzialmente corrispondente alla materia “governo del territorio”, in relazione alla quale le Regioni a statuto ordinario dispongono di potestà legislativa concorrente (ai sensi dell’articolo 117, terzo comma, Cost.).
E’ pur vero che l’art. 6, comma 2, del d.P.R. 22 maggio 1975, n. 480 (Nuove norme d’attuazione dello Statuto speciale della Regione autonoma della Sardegna), nel definire i confini delle competenze esclusive della Regione in materia di “edilizia ed urbanistica”, le attribuisce anche la redazione e l’approvazione dei piani territoriali paesistici di cui all’articolo 5 della legge 29 giugno 1939, n. 1497. Tale competenza, tuttavia, era riconosciuta anche a tutte le regioni ordinarie, sin dall’emanazione del d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 8 (cfr. art. 1, quarto comma), senza che ciò potesse implicare una competenza normativa in materia di tutela del paesaggio, da sempre appartenente in via esclusiva allo Stato (salvo eventuali previsioni più favorevoli contenute negli Statuti di autonomia per le Regioni a statuto speciale e le Province autonome). La stessa legge n. 431 del 1985 (c.d. “legge Galasso”), oltre a estendere il vincolo di tutela inerente a zone di particolare interesse ambientale a tutto il territorio nazionale, prevede espressamente che le regioni sottopongano “a specifica normativa d’uso e di valorizzazione ambientale il relativo territorio mediante la redazione di piani paesistici o di piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesistici ed ambientali”.
La Corte, nel chiarire la natura e la portata delle attribuzioni spettanti alla Regione Sardegna, ha evidenziato che “il Capo III del d.P.R. 22 maggio 1975, n. 480 (Nuove norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione autonoma della Sardegna), intitolato “Edilizia ed urbanistica”, concerne non solo le funzioni di tipo strettamente urbanistico, ma anche le funzioni relative ai beni culturali e ai beni ambientali; infatti, l’art. 6 dispone espressamente, al comma 1, che «sono trasferite alla Regione autonoma della Sardegna le attribuzioni già esercitate dagli organi centrali e periferici del Ministero della pubblica istruzione ai sensi della legge 6 agosto 1967, n. 765 ed attribuite al Ministero dei beni culturali ed ambientali con decreto-legge 14 dicembre 1974, n. 657, convertito in legge 29 gennaio 1975, n. 5, nonché da organi centrali e periferici di altri ministeri». Al tempo stesso, il comma 2 del medesimo art. 6 del d.P.R. n. 480 del 1975 prevede puntualmente che il trasferimento di cui al primo comma «riguarda altresì la redazione e l’approvazione dei piani territoriali paesistici, di cui all’art. 5 della legge 29 giugno 1939, n. 1497».” (sentenza n. 51 del 2006). Nella citata pronuncia la Corte ha rimarcato peraltro che, in ogni caso, le norme fondamentali statali emanate in materia – come il Codice dei beni culturali e del paesaggio – continuano “ad imporsi al necessario rispetto del legislatore della Regione Sardegna che eserciti la propria competenza statutaria nella materia edilizia ed urbanistica”.
Con la successiva sentenza n. 308 del 2013, la Corte si è occupata della legittimità di norme di interpretazione autentica emanate dalla Regione Sardegna, riaffermando il principio del limite alla potestà normativa regionale derivante dalle norme di grande riforma economica sociale statali in materia di tutela del paesaggio, tra le quali il principio di copianificazione obbligatoria per i beni paesaggistici, previsto dall’art. 135 del Codice di settore, come novellato nel 2008.
Certamente la Corte, con tali pronunce, non può avere inteso attribuire alla Regione Sardegna una competenza normativa primaria in materia di tutela dei beni paesaggistici, non prevista dallo Statuto, ma piuttosto riaffermare una competenza della Regione in ordine all’elaborazione del Piano paesaggistico, limitata cioè a quella componente di pianificazione che può astrattamente essere ricondotta alla pianificazione urbanistico-edilizia, e perciò alla materia di competenza primaria, salvi sempre i limiti derivanti dall’esercizio della potestà statale in materia di paesaggio.
In questo senso deve essere letta l’affermazione della Corte – contenuta nella predetta sentenza n. 51 del 2006 – secondo la quale “Tenendo presente che le norme di attuazione degli statuti speciali possiedono un sicuro ruolo interpretativo ed integrativo delle stesse espressioni statutarie che delimitano le sfere di competenza delle Regioni ad autonomia speciale e non possono essere modificate che mediante atti adottati con il procedimento appositamente previsto negli statuti, prevalendo in tal modo sugli atti legislativi ordinari (secondo quanto ha più volte affermato questa Corte: si vedano, fra le molte, le sentenze n. 341 del 2001, n. 213 e n. 137 del 1998), è evidente che la Regione Sardegna dispone, nell’esercizio delle proprie competenze statutarie in tema di edilizia ed urbanistica, anche del potere di intervenire in relazione ai profili di tutela paesistico-ambientale. Ciò sia sul piano amministrativo che sul piano legislativo (in forza del cosiddetto “principio del parallelismo” di cui all’art. 6 dello statuto speciale), fatto salvo, in questo secondo caso, il rispetto dei limiti espressamente individuati nell’art. 3 del medesimo statuto in riferimento alle materie affidate alla potestà legislativa primaria della Regione (l’armonia con la Costituzione e con i principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica e il rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali, nonché delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica).”.
Non può ricavarsi dalla competenza primaria riconosciuta dallo Statuto speciale alla Regione in materia di governo del territorio una competenza primaria in materia di tutela del paesaggio in quanto ciò significherebbe sconfessare, scardinandoli, capisaldi di giurisprudenza costituzionale nelle predette materie, che non solo hanno sempre distinto tra le diverse competenze, ma hanno saldamente legato il paesaggio all’ambiente (come previsto all’art. 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione), anche sulla base dell’art. 9 della stessa Costituzione, che conferisce al paesaggio valore primario e assoluto (Corte cost. n. 367 del 2007).
Se prima della riforma costituzionale del 2001 era l’ambiente ad avere avuto accesso all’ambito costituzionale e alla considerazione della Corte costituzionale in quanto sussunto nel concetto di paesaggio e collocato tra i principi fondamentali della Repubblica, dopo la riforma del Titolo V della Costituzione la Corte non solo delinea in negativo il nuovo significato di paesaggio, ma lo collega anche chiaramente all’ambiente (Corte cost. n. 367 del 2007). Come esplicitato dalla Corte nella sentenza citata, il paesaggio tutelato dall’art. 9 della Costituzione è “l’insieme delle cose, beni materiali, o le loro composizioni, che presentano valore paesaggistico” ed è “innanzitutto, la morfologia del territorio”, ciò che “riguarda … l’ambiente nel suo aspetto visivo”.
Mentre ambiente e paesaggio si compenetrano uno con l’altro, la tutela del paesaggio resta invece distinta dal “governo del territorio”, pur avendo ambiti in comune, in particolare per quanto riguarda l’attività di pianificazione.
Al riguardo, la Corte ha riconosciuto la prevalenza dell’impronta unitaria della pianificazione paesaggistica, rimarcando che: “Come questa Corte ha avuto modo di affermare anche di recente con la sentenza n. 367 del 2007, sul territorio vengono a gravare più interessi pubblici: da un lato, quelli concernenti la conservazione ambientale e paesaggistica, la cui cura spetta in via esclusiva allo Stato, in base all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.; dall’altro, quelli riguardanti il governo del territorio e la valorizzazione dei beni culturali ed ambientali (fruizione del territorio), che sono affidati, in virtù del terzo comma dello stesso art. 117, alla competenza concorrente dello Stato e delle Regioni. In definitiva, si «tratta di due tipi di tutela, che ben possono essere coordinati fra loro, ma che debbono necessariamente restare distinti» (così la citata sentenza n. 367 del 2007). Ne consegue, sul piano del riparto di competenze tra Stato e Regione in materia di paesaggio, la «separatezza tra pianificazione territoriale ed urbanistica, da un lato, e tutela paesaggistica dall’altro», prevalendo, comunque, «l’impronta unitaria della pianificazione paesaggistica» (sentenza n. 182 del 2006). E’ in siffatta più ampia prospettiva che, dunque, si colloca il principio della “gerarchia” degli strumenti di pianificazione dei diversi livelli territoriali, espresso dall’art. 145 del d.lgs. n. 42 del 2004” (sentenza n. 180 del 2008).
Attribuire alla Regione Sardegna la competenza primaria in materia di tutela del paesaggio, traendola dalla materia governo del territorio, sarebbe peraltro discriminatorio nei confronti delle altre Regioni a statuto speciale, sia di quelle che contemplano espressamente tale materia nello statuto (per esempio, la Sicilia e la Valle d’Aosta) sia di quelle che non la contemplano (per esempio, Friuli Venezia Giulia).
Con riferimento per esempio alla Regione Friuli Venezia Giulia, avente competenza primaria in materia urbanistica, ma non in materia di paesaggio, la Corte ha affermato: “La Regione Friuli-Venezia Giulia, come del resto riconosce la sua stessa difesa, non ha competenza primaria nella materia della tutela del paesaggio, ma ha solo la facoltà, ai sensi dell’art. 6 dello statuto speciale e dell’art. 1 del decreto legislativo 2 marzo 2007, n. 34 (Norme di attuazione dello statuto speciale della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, in materia di beni culturali e paesaggistici), di adeguare alle sue particolari esigenze le disposizioni delle leggi statali, emanando norme di integrazione e di attuazione. Fatta questa premessa, deve rilevarsi come questa Corte abbia più volte ribadito che il paesaggio deve essere considerato un valore primario ed assoluto e che la tutela apprestata dallo Stato costituisce un limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome possono dettare nelle materie di loro competenza (sentenze nn. 437 e 180 del 2008, nn. 378 e 367 del 2007). Si è più volte affermato che, in materia di tutela dell’ambiente e del paesaggio, la disciplina statale costituisce un limite minimo di tutela non derogabile dalle Regioni, ordinarie o a statuto speciale, e dalle Province autonome (sentenze n. 272 del 2009 e n. 378 del 2007). Inoltre, di recente, si è chiarito che la dizione ora riportata, così come quella più volte usata in precedenza, secondo la quale, in materia di tutela dell’ambiente, lo Stato stabilisce “standard minimi di tutela” va intesa nel senso che lo Stato assicura una tutela «adeguata e non riducibile» dell’ambiente (sentenza n. 61 del 2009) valevole anche nei confronti delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome. Infine, anche con specifico riferimento al procedimento volto al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, questa Corte ha affermato che «non è consentito introdurre deroghe agli istituti di protezione ambientale che dettano una disciplina uniforme valevole su tutto il territorio nazionale nel cui ambito deve essere annoverata l’autorizzazione paesaggistica» (sentenza n. 232 del 2008)” (sentenza n. 101 del 2010).
Dal descritto iter giurisprudenziale e normativo si può dedurre che la Corte ha sempre ritenuto che la materia “edilizia ed urbanistica” includa anche la possibilità di incidere sulla pianificazione del paesaggio in senso lato, salvi i limiti delle norme statali di grande riforma economico-sociale (tra le quali va annoverato il principio di copianificazione, di cui agli articoli 135, 143, 145 e 156 del Codice di settore), senza peraltro con ciò riconoscere alla Regione una potestà legislativa primaria in materia di tutela paesaggistica in senso proprio (ossia di individuazione e sottoposizione a tutela dei beni paesaggistici), che non è prevista dallo Statuto.
Tale conclusione emerge con chiarezza nella sentenza n. 178 del 2018, prima citata, con la quale la Corte costituzionale, in una visione di sintesi complessiva, ha ripercorso l’evoluzione normativa nonché i principi costituzionali via via affermati nell’occuparsi, anche a seguito della riforma costituzionale del Titolo V, dei conflitti insorti tra lo Stato e la Regione Sardegna in materia di paesaggio.
In particolare, la Corte ha precisato quanto segue: “Questa Corte ha già avuto modo di affermare, anche di recente, proprio con riferimento alla Regione autonoma della Sardegna, che «la conservazione ambientale e paesaggistica spetta, in base all’articolo 117, secondo comma, lettera s), Cost., alla cura esclusiva dello Stato [e che ] le disposizioni del Codice dei beni culturali e del paesaggio si impongono al rispetto del legislatore della Regione autonoma della Sardegna, anche in considerazione della loro natura di norme di grande riforma economico-sociale e dei limiti posti dallo stesso statuto sardo alla potestà legislativa regionale (sentenze n. 210 del 2014 e n. 51 del 2006)» (sentenza n. 103 del 2017)”.
Nel caso oggetto del giudizio, relativo agli usi civici (sui quali peraltro alla Regione Sardegna spetta la competenza esclusiva, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. n), dello Statuto) la Corte ha comunque censurato la normativa regionale impugnata, puntualizzando: “Nelle fattispecie in esame la Regione autonoma resistente ha, difatti, proceduto in via unilaterale, e non attraverso la pianificazione condivisa conformemente a quanto previsto dai citati artt. 135 e 143 del d.lgs. n. 42 del 2004. Questa Corte ha già riconosciuto a tali disposizioni il rango di norme di grande riforma economico-sociale (sentenze n. 103 del 2017, n. 210 del 2014 e n. 308 del 2013”.
Inoltre, la Corte, in virtù del nesso di interdipendenza funzionale esistente tra la competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela del paesaggio e la competenza regionale primaria in materia edilizia e urbanistica, ha richiamato l’importanza del ricorso all’istituto della concertazione istituzionale, affermando: “in ogni caso, in presenza di più competenze, quale quella dello Stato in materia ambientale, e quella della Regione autonoma della Sardegna in materia edilizia ed urbanistica, così intrecciate ed interdipendenti in relazione alla fattispecie in esame, la concertazione in sede legislativa ed amministrativa risulta indefettibile per prevenire ed evitare aporie del sistema”.
La Corte ha pertanto fornito indicazioni utili relativamente all’esercizio, da parte della Regione, delle competenze attribuite dallo Statuto: “Come sopra ricordato, questa Corte ha già avuto modo di affermare, proprio con riferimento alla Regione autonoma della Sardegna, che la conservazione ambientale e paesaggistica spetta, in base all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., alla cura esclusiva dello Stato, aggiungendo che tale titolo di competenza statale «riverbera i suoi effetti anche quando si tratta di Regioni speciali o di Province autonome, con l’ulteriore precisazione, però, che qui occorre tener conto degli statuti speciali di autonomia» (sentenza n. 378 del 2007).
Non è di per sé rilevante, quindi, che l’art. 3, primo comma, lettera f), dello Statuto speciale della Regione autonoma della Sardegna conferisca a quest’ultima la competenza legislativa primaria in materia di “edilizia ed urbanistica”, ancorché – come chiarito dall’art. 6 del d.P.R. 22 maggio 1975, n. 480 (Nuove norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione autonoma della Sardegna) – essa riguardi non solo le funzioni di tipo strettamente urbanistico, ma anche quelle relative ai beni culturali e ambientali.
Conclusivamente, la Corte chiarisce il ruolo e le attribuzioni del legislatore nazionale, affermando che: “Il legislatore statale conserva il potere di vincolare la potestà legislativa primaria dell’autonomia speciale attraverso l’emanazione di leggi qualificabili come «riforme economico-sociali». E ciò anche sulla base – per quanto qui viene in rilievo – del titolo di competenza legislativa nella materia «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., comprensiva tanto della tutela del paesaggio quanto della tutela dei beni ambientali e culturali”.
La Corte, stante la competenza primaria e esclusiva dello Stato in materia di tutela del paesaggio, precisa infine che: “Da ciò deriva che il legislatore della Regione autonoma della Sardegna non può esercitare unilateralmente la propria competenza statutaria nella materia edilizia e urbanistica quando siano in gioco interessi generali riconducibili alla predetta competenza esclusiva statale e risultino in contrasto con norme fondamentali di riforma economico-sociale”.
In materia di tutela del paesaggio, il Codice dei beni culturali e del paesaggio costituisce per la Regione espressione della competenza esclusiva dello Stato, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lett. s), nonché limite per quanto attiene alle norme di grande riforma in esso contenute in materia di “edilizia ed urbanistica”, attribuita alla Regione in via esclusiva. Conseguentemente, non spetta alla Regione sottrarre unilateralmente categorie di beni paesaggistici già sottoposti a tutela al principio fondamentale di copianificazione con lo Stato posto dal predetto Codice.
Ciò premesso, si espongono in particolare i profili di criticità contenuti nelle disposizioni della legge regionale in esame.
1) I beni paesaggistici “tipizzati”. Obbligo di copianificazione. Con la legge regionale in argomento la Regione Sardegna vuole limitare la copianificazione con lo Stato ai soli beni oggetto di pianificazione obbligatoria; pertanto sottrae alla pianificazione congiunta con lo Stato i beni paesaggistici “diversi” da quelli indicati dall’art. 143, comma 1, lettere b), c) e d), del Codice, fornendo, nella parte finale dello stesso comma 1, un elenco delle relative fattispecie come individuate dal vigente Piano paesaggistico regionale.
In merito ai predetti beni paesaggistici esclusi dalla Regione dalla copianificazione obbligatoria con lo Stato, corre l’obbligo di evidenziare che il Piano paesaggistico regionale – Primo ambito omogeneo della Regione Autonoma della Sardegna fu approvato il 5 settembre 2006, sulla base dell’allora vigente primo correttivo del Codice (decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 157), che consentiva alle Regioni di tipizzare e individuare particolari categorie di beni paesaggistici diversi dai beni paesaggistici degli articoli 136 e 142 (ai sensi dell’allora vigente art. 134, comma 1, lett. c).
L’art. 134, nella sua versione originaria, comprendeva infatti tra i beni paesaggistici elencati dal primo comma, alla lettera c), anche la seguente categoria di beni: “c) gli immobili e le aree comunque sottoposti a tutela dai piani paesaggistici previsti dagli articoli 143 e 156”.
Tale categoria “speciale” di beni paesaggistici tipizzati e individuati, tuttavia, non è stata fatta salva dal secondo correttivo del Codice (decreto legislativo 26 marzo 2008, n. 63), che ha riformulato la citata lettera c) dell’art. 134, nei termini seguenti: “gli ulteriori immobili ed aree specificamente individuati a termini dell’articolo 136 e sottoposti a tutela dai piani paesaggistici previsti dagli articoli 143 e 156”. Conseguentemente, alla predetta lettera c) si fa riferimento solo alla possibilità di introdurre con lo stesso piano paesaggistico provvedimenti sostanzialmente di tutela individuale e mirata di singoli beni o complessi (come previsto dall’articolo 136), mentre non è più contemplata la possibilità di individuare senz’altro con il piano aree o categorie di immobili da assoggettare a tutela, al di fuori dello schema proprio del vincolo provvedimentale.
La previsione si lega con quella dell’articolo 143, comma 1, lett. d), ove si prevede che il piano paesaggistico comprende almeno la “eventuale individuazione di ulteriori immobili od aree di notevole interesse pubblico a termini dell’articolo 134, comma 1, lettera c), loro delimitazione e rappresentazione in scala idonea alla identificazione, nonché determinazione delle specifiche prescrizioni d’uso, a termini dell’articolo 138, comma 1”.
Va, infine, rilevato che, ai sensi dell’articolo 135, comma 1, “(...) L’elaborazione dei piani paesaggistici avviene congiuntamente tra Ministero e regioni, limitatamente ai beni paesaggistici di cui all’articolo 143, comma 1, lettere b), c) e d), nelle forme previste dal medesimo articolo 143”.
In forza delle suddette previsioni, sussiste, quindi, un obbligo di pianificazione congiunta con lo Stato per i beni paesaggistici di cui all’articolo 134, inclusi quelli di cui alla lettera c).
La disciplina così introdotta si riferisce direttamente ai “nuovi” beni paesaggistici di cui alla predetta lettera c), come sostituita dal “correttivo” del 2008. Non può tuttavia dubitarsi del fatto che la medesima disciplina – e specificamente l’obbligo di copianificazione – debba necessariamente applicarsi anche ai beni paesaggistici già individuati sulla base della precedente versione della medesima lettera c). E ciò in quanto, una volta individuati, i predetti beni sono qualificati ai sensi di legge come beni paesaggistici e rimangono pertanto integralmente soggetti al regime di tutela.
Costituisce, infatti, principio cardine della materia della tutela del paesaggio, da sempre affermato dalla Corte costituzionale, quello della natura sostanzialmente ricognitiva del vincolo (Corte cost. n. 56 del 1968). La Corte ha infatti sottolineato come l’attività dell’Amministrazione abbia valenza meramente ricognitoria, in quanto “gli immobili qualificati di bellezza naturale hanno valore paesistico per una circostanza che dipende dalla loro localizzazione e dalla loro inserzione in un complesso che ha in modo coessenziale le qualità indicate dalla legge”. Il vincolo opera quindi una volta per tutte l’accertamento della presenza nel bene dei caratteri di pregio, e non è conseguentemente revocabile, neppure mediante un eventuale successivo piano paesaggistico (cfr. articolo 140, comma 2), atteso che al piano spetta soltanto il compito di dettare la “disciplina d’uso” dei beni tutelati.
Poiché i beni individuati dal piano paesaggistico della Sardegna ai sensi dell’art. 134, comma 1, lett. c), nel testo previgente alla novella del 2008, rientrano ormai a pieno titolo tra i beni paesaggistici, gli stessi sono necessariamente oggetto di copianificazione obbligatoria ai sensi del Codice dei beni culturali e paesaggistici e la Regione non può pertanto sottrarli, autonomamente, alla pianificazione congiunta. La norma regionale si pone pertanto in contrasto anche con l’art. 156 del Codice, in quanto essa è dettata al di fuori dell’obbligo di copianificazione finalizzata alla verifica e all’adeguamento del vigente piano paesaggistico, relativamente ai predetti beni.
Non potrebbe infatti in proposito sostenersi che il vincolo paesaggistico abbia natura ricognitiva e che dunque non possa far conservare la connotazione di beni paesaggistici dichiarati o vincolati ope legis a categorie di beni genericamente indicate, ancorché nel 2006 fossero vincolabili, ritenendosi così che con la novella del 2008 il legislatore statale avrebbe ritenuto non meritevoli di tutela detti “vincoli per categoria”. Una siffatta impostazione si porrebbe in contrasto con i cardini stessi del sistema ordinamentale di tutela paesaggistica. Costituisce, infatti, principio immanente alla predetta materia quello della conservazione del carattere di bene paesaggistico, ove lo stesso sia stato riconosciuto in base a legittimo procedimento, come incontestabilmente avvenuto, nella specie, per i beni inclusi e disciplinati nel e dal piano paesaggistico della Regione Sardegna. L’eventuale modificazione dei criteri e delle modalità per l’individuazione dei beni paesaggistici non può, pertanto, determinare in nessun caso la perdita della qualità di bene paesaggistico, ormai riconosciuta, e che comporta a sua volta l’integrale applicazione del regime di tutela vigente pro tempore (cfr. art. 157 Codice di settore).
In altri termini, il vincolo paesaggistico è un vincolo permanente, non suscettibile di revoca, nè può sostenersi che l’individuazione di nuovi beni paesaggistici operata mediante il piano del 2006 determinerebbe una presunta incertezza sull’estensione degli ambiti tutelati, atteso che questi ultimi sono, al contrario, chiaramente specificati e riportati negli elaborati di piano.
L’art. 1 della legge regionale in esame è, pertanto, illegittimo per contrasto con l’articolo 3 dello Statuto speciale della Regione, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, e con l’art. 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione, rispetto al quale costituiscono norme interposte gli articoli 135, 143, 145 e 156 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, recanti il principio di copianificazione obbligatoria dei beni paesaggistici.
2. Illegittimità per superamento dei limiti costituzionali all’interpretazione autentica con portata retroattiva. La normativa regionale contrasta con il principio di irretroattività della legge, come enucleato dalla Corte costituzionale e dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, per violazione del principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 della Costituzione e del valore costituzionale primario della tutela del paesaggio, di cui all’articolo 9 della Costituzione, nonché per contrasto con l’art. 117, primo comma, della Costituzione, che impone al legislatore regionale di rispettare gli obblighi internazionali (per contrasto con l’art. 6 della CEDU, quale parametro interposto nel giudizio di costituzionalità).
La portata retroattiva della legge regionale in esame è di per sé evidente, in quanto la Regione non si limita a chiarire l’intenzione (originaria) del legislatore, ma – dopo ben 14 anni dall’approvazione del piano paesaggistico – interviene in modo precettivo, imponendo un determinato significato normativo della disposizione interpretata, nel quale l’effetto retroattivo è logicamente incluso.
Si evidenzia peraltro che la Corte costituzionale, fin dalla sentenza n. 118 del 1957, ha riconosciuto alle leggi interpretative portata “naturalmente retroattiva”, in quanto tale portata discende direttamente dalla loro funzione. In ogni caso, appare indubitabile che con le disposizioni censurate la Regione abbia inteso introdurre nell’ordinamento un “quid novi che rende obbligatorio per tutti il significato normativo dato a un precedente atto” (cfr. sentenza Corte cost. n. 155 del 1990).
Sebbene la Costituzione riferisca espressamente il principio di irretroattività della legge alla sola legge penale (art. 25), tuttavia nel tempo la Corte costituzionale ha ricavato dalla Costituzione i limiti alla discrezionalità del legislatore di intervenire in senso retroattivo in materia diversa da quella penale, richiamando anzitutto i principi di ragionevolezza e di non contrasto con altri valori e interessi costituzionalmente protetti (sentenza n. 234 del 2007).
La normativa regionale in esame travalica senza dubbio i limiti che, secondo la Corte, il legislatore deve rispettare nell’intervenire in via interpretativa-retroattiva.
Sebbene la Corte costituzionale abbia evidenziato come la Regione sia libera nel disciplinare in via autonoma i beni non oggetto di pianificazione obbligatoria (Corte cost. n. 308 del 2013), tuttavia nel caso in esame tale scelta, rivendicata dalla Regione, si traduce in un generale abbassamento di tutela per tutte e tre le categorie di beni definite dalla norma regionale, ciò che appare, oltre che irragionevole, anche contrario all’art. 9 della Costituzione.
I beni “tipizzati”, cioè individuati dai piani paesaggistici ai sensi dell’art. 134, comma 1, lett. c) prima della novella del 2008, essendo equiparati ai beni paesaggistici sono oggetto di copianificazione obbligatoria, come sopra illustrato.
Per quanto riguarda le fasce costiere, le stesse si innestano su beni tutelati ope legis a far data dalla legge n. 435 del 1985 (c.d. legge Galasso), che rivestono un ruolo strategico nel territorio insulare regionale, a forte vocazione turistica.
Le zone agricole, l’edificato in zona agricola e l’edificato urbano diffuso di cui alla lettera c) sono contesti di particolare fragilità paesaggistica, rispetto ai quali opportunamente il piano paesaggistico ha dettato una disciplina di tutela, correttamente interpretando la propria funzione di tutela in senso ampio dei “paesaggi”, secondo l’impostazione sottesa alla Convezione europea del paesaggio del 2000 (ratificata mediante la legge 9 gennaio 2006, n. 14).
Scopo della norma regionale “interpretativa” risulta dunque quello di sottrarre intere categorie di beni alla disciplina di tutela stabilita nelle NTA del piano paesaggistico, ciò che appare contrario allo spirito stesso della normativa specifica, che intende regolamentare le trasformazioni del territorio, preservandone i caratteri peculiari di pregio paesaggistico, e comporta l’illegittimità costituzionale della normativa regionale per superamento dei predetti limiti individuati dalla Corte.
La norma è anche illegittima per violazione del principio di irretroattività come declinato nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo, secondo gli insegnamenti della Corte di Strasburgo, che ha ricondotto tale principio nell’ambito dell’art. 6 CEDU, che sancisce il diritto a un equo processo e, come suo corollario, il principio di parità delle armi; principi validi anche fuori dall’ambito penale.
Le norme della CEDU devono essere intese secondo il significato ad esse attribuito dalla Corte di Strasburgo, “specificatamente istituita per dare a esse interpretazione e applicazione” (sentenza Corte cost. n. 348 del 2007).
La Corte EDU ha già censurato norme di interpretazione autentica di portata retroattiva allorquando le stesse costituiscono un’ingerenza del potere legislativo nell’amministrazione della giustizia, avendo lo scopo di influenzare l’esito di una controversia (Raffinerie greche Stran e Stratis Andreatis c. Grecia) orientandolo in proprio favore (Papageorgiou c. Grecia), riconoscendo la responsabilità del legislatore che si ingerisce in un processo influenzandone l’esito (Ducret c. Francia).
La Corte EDU ha riconosciuto talvolta le ingerenze del legislatore ammissibili, in presenza di “motivi imperativi di interesse generale” (National & Provincial Building Society et al. c. Regno Unito). Appare evidente che nel caso in esame tali motivi non sussistono,.
La norma è pertanto illegittima anche per violazione dell’art. 6 CEDU, come interpretato dalla Corte EDU, in base al quale il legislatore (in questo caso regionale) non può, quando esso è parte di una controversia, approfittare della posizione preminente attraverso un uso improprio della funzione legislativa, se non in presenza di imperativi motivi di interesse generale.
Pertanto, l’articolo 1 della legge regionale deve essere impugnata per contrasto con il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 della Costituzione e con la tutela del valore primario nonché per violazione dell’art. 117, comma 1, della Costituzione, in considerazione del contrasto con l’art. 6 della CEDU.
3) Violazione del principio di leale collaborazione.
Deve tenersi presente che la Regione Sardegna ha approvato il Primo ambito omogeneo del Piano paesaggistico regionale, relativo esclusivamente alle aree costiere, il 5 settembre 2006.
Successivamente, il 19 febbraio 2007, è stato sottoscritto dalla Regione con il Ministero per i beni e le attività culturali il Protocollo d’Intesa per la verifica e l’adeguamento congiunto del piano paesaggistico regionale – primo ambito omogeneo (ai sensi degli articoli 143 e 156 del Codice dei beni culturali e del paesaggio), nonché per la copianificazione congiunta con lo Stato del relativo secondo ambito omogeneo (comprendente le aree interne dell’isola), attività di copianificazione estesa all’intero territorio regionale (e quindi non esclusivamente ai beni paesaggistici vincolati ai sensi del Codice di settore).
Inoltre, il 1° marzo 2013 è stato sottoscritto tra la Regione e il citato Ministero il Disciplinare attuativo del suddetto Protocollo d’Intesa, al fine di definire le modalità attuative dei lavori di copianificazione sia per il primo che per secondo ambito.
Il predetto Disciplinare è stato aggiornato con una nuova previsione e sottoscritto congiuntamente il 18 aprile 2018.
Dall’applicazione delle disposizioni dei suddetti Disciplinari sono derivate numerose e, a tratti, intense attività di collaborazione tecnica istituzionale, le quali, nonostante i numerosi sforzi condotti dagli organi ministeriali, non si sono ancora concluse con l’approvazione del piano paesaggistico verificato e adeguato alle disposizioni del Codice di settore e della sua estensione alle aree interne dell’Isola.
Ciò posto, si osserva che, mediante la legge regionale in esame, la Regione Sardegna si sottrae ingiustificatamente al proprio obbligo di redazione congiunta con il Ministero per i beni e le attività culturali del Piano paesaggistico, violando il principio di leale collaborazione. Come detto, infatti, la Regione ha assunto l’impegno, nei confronti del Ministero, di pianificare congiuntamente l’intero territorio regionale, e non solo i beni paesaggistici vincolati.
Né può assumere alcun rilievo la circostanza che l’accordo sia stato stipulato prima del c.d. secondo correttivo al Codice del 2008.
Sia prima che dopo il predetto correttivo è stata, infatti, prevista la possibilità di stipulare accordi finalizzati alla copianificazione, la quale peraltro è sempre obbligatoria con riferimento ai beni vincolati, anche ai sensi dell’articolo 156 del Codice (che non a caso prevede, in mancanza di accordo, l’esercizio di poteri sostitutivi).
Non si comprende, poi, per quale ragione le modifiche del 2008 al Codice dovrebbero porre nel nulla un accordo conforme al quadro normativo precedente e successivo alla novella, mai sconfessato dalla Regione, e anzi attuato mediante due disciplinari.
Va, invece, ribadito che la Regione ha assunto l’impegno alla copianificazione dell’intero territorio regionale d’intesa con lo Stato e che, in ogni caso, anche laddove non avesse stipulato alcun accordo, sarebbe obbligata comunque a tale copianificazione rispetto ai beni paesaggistici, inclusi quelli già individuati per la prima volta mediante il Piano paesaggistico del 2006 ai sensi dell’art. 134, comma 1, lett. c), pena l’esercizio dei poteri sostitutivi dello Stato (cfr. art. 143, comma 2; art. 156, comma 1 e comma 3).
La stessa Corte, peraltro, nella sentenza sopra prima citata ha richiamato, in virtù del nesso di interdipendenza funzionale esistente tra la competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela del paesaggio e la competenza regionale primaria in materia edilizia e urbanistica, l’importanza del ricorso all’istituto della concertazione istituzionale, affermando: “in ogni caso, in presenza di più competenze, quale quella dello Stato in materia ambientale, e quella della Regione autonoma della Sardegna in materia edilizia ed urbanistica, così intrecciate ed interdipendenti in relazione alla fattispecie in esame, la concertazione in sede legislativa ed amministrativa risulta indefettibile per prevenire ed evitare aporie del sistema” (sentenza n. 178 del 2018).
La legge regionale in esame costituisce il frutto di una scelta assunta unilateralmente dalla Regione, al di fuori del lungo percorso condiviso con lo Stato all’indomani dell’approvazione del piano paesaggistico regionale.
Va ricordato al riguardo che, secondo l’insegnamento della Corte costituzionale, il principio di leale collaborazione “deve presiedere a tutti i rapporti che intercorrono tra Stato e Regioni”, atteso che “la sua elasticità e la sua adattabilità lo rendono particolarmente idoneo a regolare in modo dinamico i rapporti in questione, attenuando i dualismi ed evitando eccessivi irrigidimenti” (così in particolare, tra le tante, Corte cost. n. 31 del 2006). In particolare, la Corte ha chiarito che “Il principio di leale collaborazione, anche in una accezione minimale, impone alle parti che sottoscrivono un accordo ufficiale in una sede istituzionale di tener fede ad un impegno assunto” (così ancora la sentenza da ultimo richiamata).
Pertanto, anche a prescindere dagli altri profili di illegittimità costituzionale sopra evidenziati, in ogni caso la Regione non avrebbe potuto, con una propria legge, liberarsi dall’obbligo della pianificazione congiunta dell’intero territorio regionale, assunto nei confronti dello Stato. La scelta della Regione Sardegna di assumere iniziative unilaterali e reiterate, al di fuori del percorso di collaborazione già proficuamente avviato con lo Stato, si pone, pertanto, in contrasto anche con il predetto principio di leale collaborazione.
4) Violazione dell’art. 9 della Costituzione.
Le norme regionali comportano, infine, un generale abbassamento del livello di tutela contrastando anche con l’art. 9 della Costituzione, ai sensi del quale il paesaggio rappresenta valore primario e assoluto (sentenza n. 367 del 2007).
La disciplina censurata è volta, infatti, a consentire alla Regione di intervenire unilateralmente nella determinazione della disciplina d’uso di beni paesaggistici, rimessa invece alla copianificazione, che è stata individuata dal legislatore nazionale quale sede appropriata per la cura dell’interesse alla tutela del paesaggio.
In questa prospettiva, va rimarcato che il potere che la Regione pretende di assumere su di sé viene concretamente esercitato mediante i commi 2 e 3 dell’articolo 1 della legge regionale, il cui scopo immediato è quello di rendere inoperanti specifici divieti contenuti nella disciplina di piano. Viene, quindi, realizzata l’effettiva compromissione dei valori tutelati, in violazione dell’articolo 9 della Costituzione.
Si rimette alla Corte costituzionale la valutazione se, a seguito dell’auspicata declaratoria di illegittimità costituzionale del predetto articolo 1, debba essere dichiarata, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, anche l’illegittimità costituzionale dell’articolo 2 della legge regionale in esame , poiché privo di presupposto e quindi inapplicabile.
Per questi motivi la legge regionale deve essere impugnata, limitatamente alle norme sopra descritte, ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione.
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