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Disposizioni relative alle linee guida regionali in materia di economia circolare e all’installazione degli impianti fotovoltaici a terra. Modifiche alla l.r. 34/2020 e alla l.r. 11/2011. (7-8-2020)
Toscana
Legge n.82 del 7-8-2020
n.81 del 12-8-2020
Politiche infrastrutturali
7-10-2020 /
Impugnata
La legge regionale, che detta disposizioni relative alle linee guida regionali in materia di economia circolare e all’installazione degli impianti fotovoltaici a terra e modifica la legge regionale 34/2020 e la legge regionale 11/2011, è censurabile relativamente alla disposizione contenuta nell’articolo 2, commi 1, 2 e 3 che dettano disposizioni relative alla realizzazione di impianti fotovoltaici.
In particolare :
1) La disposizione di cui all’articolo 2, comma 1, inserisce nell’articolo 9 della legge regionale n. 11 del 2011, recante “Disposizioni in materia di installazione di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili di energia. Modifiche alla legge regionale 24 febbraio 2005, n.39 (Disposizioni in materia di energia) e alla legge regionale 3 gennaio 2005, n.1 (Norme per il governo del territorio) “, il comma 1-bis, che recita : “1 bis. Fatte salve le aree individuate all’articolo 5, nelle aree rurali come definite dall’articolo 64 della legge regionale 10 novembre 2014, n. 65 (Norme per il governo del territorio) e identificate negli strumenti della pianificazione territoriale e negli altri atti di governo del territorio di cui alla stessa l.r. 65/2014 , è ammessa la realizzazione di impianti fotovoltaici a terra fino alla potenza massima, per ciascun impianto, di 8.000 chilowatt elettrici. ”.
La norma regionale quindi introduce, riguardo alla aree rurali - fatte salve le aree urbanizzate destinate ad insediamenti produttivi, commerciali e servizi - un limite di potenza ai fini della realizzazione di impianti fotovoltaici a terra. Si rileva in proposito che, ai sensi dell’ articolo 12, comma 7, del decreto legislativo 29 dicembre 2007, n. 387, la destinazione agricola di un’area non costituisce, in generale, elemento ostativo all’installazione di impianti fotovoltaici ed in tal senso, la disposizione statale richiamata dispone che gli impianti di produzione di energia elettrica possono essere ubicati anche in zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici. Come precisato dalla giurisprudenza amministrativa, “Appare evidente come il legislatore, nel rendere possibile l’ubicazione di impianti di produzione di energia anche in zone classificate agricole, non intende consentire, in via generalizzata, la possibilità di ubicare impianti, per così dire “a discrezione del privato”, derogando alle destinazioni impresse al territorio dagli strumenti urbanistici. La disposizione in esame, infatti, contiene una possibilità offerta alla Regione in sede di rilascio di autorizzazione unica regionale, di consentire l’ubicazione anche in zone classificate agricole dagli strumenti urbanistici regionali, ed a tal fine indica alla medesima Regione una serie di elementi dei quali la stessa deve tenere conto, laddove intenda determinarsi a tale scelta. L’articolo 12 comma 7 del decreto legislativo 387/2007, non prevede affatto una immediata possibilità di deroga alla zonizzazione comunale, ma si limita a non impedire che ciò possa avvenire qualora – nel bilanciamento degli interessi pubblici presenti e tenuto conto degli elementi indicati dal legislatore – si ritenga che l’ubicazione in zona agricola risulti ragionevole ed opportuna” (Cons. Stato, Sez. IV, sentenza n. 1298/2017).
Seppure il legislatore nazionale, nel solco di un percorso normativo teso a salvaguardare la destinazione agricola dei territori, ha introdotto un generale divieto di accesso agli incentivi per impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra in aree agricole (articolo 65 del decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito con modificazioni dalla legge 24 marzo 2012, n. 27), la disposizione in esame contenuta nell’articolo 2, comma 1, della legge regionale non trova riscontro nella normativa nazionale, violando quindi i limiti della competenza della Regione in materia di “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia” art. 117, comma 3 della Costituzione.
Con costante orientamento giurisprudenziale, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità di previsioni regionali che sanciscano, in via generale ed astratta, la non idoneità di intere aree di territorio ovvero impongano limitazioni in maniera generalizzata ed aprioristica.
Come affermato dalla Consulta : “la disciplina di regime abilitativo degli impianti di energia da fonti rinnovabili, rientra, oltre che nella materia “tutela dell’ambiente”, anche nella competenza legislativa concorrente, in quanto riconducibile a “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia” (art. 117, terzo comma, Cost.), nel cui ambito, i principi fondamentali sono dettati dal decreto legislativo n. 387/2003 ed in particolare dall’articolo 12” (Corte Cost. sentenza n. 177 del 2018). Alle Regioni, quindi, “ è consentito soltanto individuare, caso per caso, aree e siti non idonei (o porre particolari limitazioni) in via di eccezione e solo qualora ciò sia necessario per proteggere interessi costituzionalmente rilevanti, esclusivamente all’esito di un procedimento amministrativo nel cui ambito deve avvenire la valutazione sincronica di tutti gli interessi pubblici coinvolti e meritevoli di tutela, come prevede il paragrafo 17.1 delle linee guida nazionali di cui al D.M. 10 settembre 2010, (Corte Cost. sentenza n. 68/2018)” . Il margine di intervento riconosciuto al legislatore regionale per individuare aree e siti non idonei, non permette, invece, “ che le Regioni prescrivano limiti generali inderogabili, valevoli sull’intero territorio regionale, specie nella forma di distanze minime o di potenza dell’impianto perché ciò contrasterebbe con il principio di massima diffusione delle fonti di energia rinnovabili, stabilito dal legislatore statale in conformità alla normativa dell’Unione europea (Corte Cost. sentenza n. 13/2014).” Diversamente, la soluzione normativa adottata dalla Regione Toscana con la norma in esame, nel prescrivere un vincolo generalizzato alla potenza dell’impianto da realizzare in “area rurale” (vale a dire area agricola), a fronte di una disciplina normativa nazionale che non prevede un divieto alla realizzazione di impianti fotovoltaici in area agricola superiore ad una determinata soglia di potenza, non consente un’adeguata tutela dei molteplici e rilevanti interessi coinvolti, ponendosi in contrasto con il principio, di derivazione europea, della massima diffusione degli impianti da fonti di energia rinnovabili.
La norma regionale eccede quindi dai limiti della competenza della Regione in materia di “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia” i cui principi fondamentali, ai sensi dell’articolo 117 , terzo comma, della Costituzione devono essere stabiliti dallo Stato
2) Parimenti illegittima , per violazione di principi fondamentali dettati dallo Stato in materia di “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia “ e quindi per contrasto con l’articolo 117, terzo comma della Costituzione, è la disposizione di cui all’articolo 2, comma 2, della legge regionale in esame, che introduce all’articolo 9 della citata legge regionale n. 11 del 2011, il comma 1-ter, disponendo che, “nelle aree rurali di cui al comma 1-bis, per gli impiantì fotovoltaici a terra di potenza superiore a 1000 chilowatt elettrici, l’autorizzazione unica alla costruzione ed esercizio è rilasciata previa intesa con il comune o i comuni interessati”.
Al riguardo, il decreto legislativo n. 28/2011, le disposizioni dettate dalle Linee Guida nazionali di cui al D.M. 10 settembre 2010, nonché l’articolo 12 del decreto legislativo n. 387/2993, agli articoli 5 e 6 rubricati “Autorizzazione unica” e “Procedura abilitativa semplificata e comunicazione per gli impianti alimentati da energia rinnovabile”, fissano in modo chiaro ed inderogabile le procedure autorizzative per la realizzazione e l’esercizio degli impianti alimentati a fonte rinnovabile. In particolare, dal complesso normativo emerge chiaramente che la Conferenza dei Servizi, convocata dalla Regione o Provincia delegata, nel caso di specie riguardo all’ipotesi di Autorizzazione Unica, costituisce l’unico strumento “nell’ambito del quale confluiscono tutti gli apporti amministrativi necessari per la costruzione e l’esercizio dell’impianto, delle opere connesse e delle infrastrutture indispensabili” (paragrafo 14.1 delle Linee Guida nazionali di cui al D.M. 10 settembre 2010).
In ragione del rinvio operato dall’articolo 12 del decreto legislativo n. 387/2003 alla legge n. 241/1990 in tema di conferenza dei servizi, ai sensi dell’articolo n14-quater della legge n. 241/1990, le amministrazioni convocate devono esprimere il proprio eventuale dissenso, a pena di inammissibilità, motivatamente e all’interno della conferenza di servizi. Invero, come affermato dalla Corte Costituzionale, “La costruzione e l’esercizio degli impianti di produzione elettrica alimentati da fonti rinnovabili, sono soggetti ad una autorizzazione unica rilasciata dalla Regione, che è tenuta a convocare la Conferenza di servizi. Tutte le Amministrazioni interessate dal progetto sono tenute a partecipare alla conferenza e ad esprimere in tale sede, anche i pareri di cui sono investiti per legge, secondo le dinamiche collaborative proprie dello strumento di semplificazione procedimentale che disciplina il procedimento amministrativo volto al rilascio della indicata autorizzazione. La norma statale infatti, ispirata a canoni di semplificazione, è finalizzata a rendere più rapida la costruzione degli impianti di energia alternativa e non contempla alcuna delle condizioni o degli adempimenti previsti dalle disposizioni regionali impugnate, quali, tra gli altri, la necessaria previa adozione da parte dei Comuni, di uno specifico strumento di pianificazione (PRIE) e la fissazione di un indice massimo di affollamento (parametro di controllo P). Tale contrasto comporta la violazione dell’indicato parametro costituzionale, non potendo il legislatore regionale introdurre, nell’ambito del procedimento di autorizzazione di cui all’articolo 12 del decreto legislativo n. 387/2003, nuovi o diversi adempimenti rispetto a quelli indicati dalla norma statale” (Sentenza n. 344/2010).
In termini analoghi si esprime la prevalente giurisprudenza amministrativa, osservando che “L’adozione di misure (…) che comportino un sostanziale blocco generalizzato delle procedure autorizzative per la realizzazione di impianti eolici, deve ritenersi illegittima, sia per violazione dell’articolo 12 del decreto legislativo n. 387/2003, e, per tale via, dell’articolo 117, terzo comma della Costituzione, sia per violazione dei principi sovranazionali tesi alla valorizzazione e incentivazione della produzione di energia da fonti rinnovabili, derivanti dalla disciplina comunitaria e dagli accordi internazionali (Direttiva 27 settembre 2001, 2001/77/CE ”Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità” e il Protocollo di Kyoto”) (T.A.R. Sardegna Sez. I, 14 gennaio 2011, n. 32).
3) Le illegittimità sopra evidenziate si estendono al comma 3 dello stesso articolo 2 della legge regionale in esame, che , intervenendo sull’articolo 9 della legge regionale n. 11 del 2011, prevede che “Le disposizioni di cui ai commi 1-bis e 1-ter, si applicano anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del presente comma, relativi all’autorizzazione unica di cui all’articolo 12 del decreto legislativo n. 387/2003”.
Per i motivi sopra esposti la legge regionale, limitatamente alle disposizioni contenute nell’articolo 2, commi 1, 2 e 3 , deve essere impugnata ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione.
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