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Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione 2021 e bilancio pluriennale 2021-2023 della Regione Puglia - legge di stabilità regionale 2021. (30-12-2020)
Puglia
Legge n.35 del 30-12-2020
n.174 del 31-12-2020
Politiche economiche e finanziarie
/ Rinuncia parziale
26-2-2021 /
Impugnata
La legge Regione Puglia - del 30 dicembre 2020, n. 35, recante “Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione 2021-2023 della Regione Puglia-Legge di stabilità 2021”, pubblicata nel B.U. Puglia 31 dicembre 2020, n. 174 presenta aspetti illegittimi in relazione agli articoli 15 e 27 per le motivazioni di seguito indicate :
L’articolo 15 della legge in esame, intervenendo a modificare gli articoli 5 e 7 della legge regionale 30 luglio 2009, n. 14, recante “Misure straordinarie e urgenti a sostegno dell’attività edilizia e per il miglioramento della qualità del patrimonio edilizio residenziale”, dispone un’ulteriore proroga delle norme straordinarie e temporanee di cui all’articolo 1 della stessa L.R. n. 14 del 2009, protraendo ulteriormente l’efficacia di una disciplina eccezionale a carattere derogatorio, quale quella del c.d. piano casa, destinata in origine ad avere un’applicazione temporale estremamente limitata.
Nello specifico, l’articolo 15 della legge in oggetto consente di realizzare gli interventi straordinari di ampliamento, demolizione e ricostruzione, di cui agli articoli 3 e 4 della L.R. n. 14 del 2009, su immobili esistenti alla data del 1° agosto 2020 – estendendo ulteriormente il precedente termine del 1° agosto 2019 – e proroga di un ulteriore anno la possibilità di avvalersi del regime derogatorio della predetta legge regionale, differendo al 31 dicembre 2021 il termine per la presentazione della SCIA o dell’istanza per il rilascio del permesso di costruire.
Occorre evidenziare che, ai sensi dell’articolo 6, comma 1, lettera f), della legge regionale n. 14 del 2009, la realizzazione dei predetti interventi straordinari non è ammessa “su immobili ubicati in area sottoposta a vincolo paesaggistico ai sensi degli articoli 136 e 142 del D.Lgs. n. 42/2004, così come da ultimi modificati dall’articolo 2 del decreto legislativo 26 marzo 2008, n. 63” né, ai sensi della successiva lettera j), “nelle zone umide zone umide tutelate a livello internazionale dalla Convenzione relativa alle zone umide d’importanza internazionale, soprattutto come habitat degli uccelli acquatici, firmata a Ramsar il 2 febbraio 1971 e resa esecutiva dal decreto del Presidente della Repubblica 13 marzo 1976, n. 448”. Tuttavia, al successivo comma 2, lettera c-bis), dello stesso articolo 6, come modificato dalla L.R. n. 37 del 2016, si ammette che, mediante motivata deliberazione del Consiglio comunale, possa essere consentita la realizzazione degli interventi straordinari di ampliamento, demolizione e ricostruzione anche in aree sottoposte a vincolo ai sensi del Piano paesaggistico territoriale (PPTR), approvato con delibera della Giunta regionale n. 176 del 2015, previa intesa con lo Stato, ai sensi degli articoli 135 e 143 del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.
Benché la predetta disposizione eccezionale ammetta tali interventi secondo gli indirizzi e le direttive del PPTR, quest’ultimo, oltre agli indirizzi e alle direttive, detta, nell’ambito delle norme tecniche di attuazione (NTA), anche le c.d. prescrizioni d’uso (ossia i criteri di gestione del vincolo, volti a orientare la fase autorizzatoria), che non consentono gli interventi straordinari prorogati da ultimo dalla legge in esame.
Conseguentemente, la legge regionale, pur avendo inizialmente escluso la propria applicazione in relazione ai beni paesaggistici, ai sensi dell’art. 6, comma 1, lettera f), con l’introduzione della successiva lettera c-bis), viceversa, la consente, e ciò anche in deroga alle prescrizioni del Piano paesaggistico. Peraltro, sulla base del disposto della predetta lettera c-bis), la possibilità di realizzare gli interventi de quibus in deroga alle prescrizioni d’uso è estesa non solo agli immobili e aree dichiarati di notevole interesse pubblico ai sensi dell’articolo 136 e alle aree di cui al comma 1 dell’articolo 142, oggetto di ricognizione da parte del Piano ai sensi dell’art. 143, comma 1, lettere b) e c) del Codice, ma anche agli eventuali nuovi beni paesaggistici individuati dal piano ai sensi della successiva lettera d) del richiamato art. 143, comma 1.
Al riguardo, occorre evidenziare che gli articoli 3 e 4 della L.R. n. 14 del 2009, oggetto della proroga de qua, si riferiscono a interventi chiaramente in contrasto con svariate prescrizioni d’uso contenute nelle NTA del piano paesaggistico, quali, a titolo esemplificativo.
a) l’articolo 45 (“Prescrizioni per i territori costieri e i territori contermini ai laghi”), che non consente la realizzazione di qualsiasi opera edilizia, fatta eccezione per le opere finalizzate al recupero/ripristino dei valori paesistico/ambientali;
b) l’articolo 62 (“Prescrizioni per boschi”) che consente la ristrutturazione di edifici esistenti, ad esclusione di quelli che prevedono la demolizione e ricostruzione;
c) l’articolo 64 (“Zone umide Ramsar”) che non consente nuove edificazioni, ammettendo la demolizione e la ricostruzione di edifici esistenti a precise condizioni e senza aumento di volumetria e di superficie coperta.
Pertanto, mediante la proroga dell’operatività della disciplina piano casa, ivi inclusa la richiamata eccezione di cui all’articolo 6, comma 2, lettera c-bis), la Regione Puglia permette la realizzazione di interventi di rilevante impatto sul territorio in deroga al piano paesaggistico approvato previa intesa con lo Stato.
E ciò non solo con riferimento al paesaggio non direttamente vincolato – comunque co-pianificato con lo Stato, in quanto anch’esso oggetto di tutela ai sensi della Convenzione europea del paesaggio, sottoscritta a Firenze del 20 ottobre 2000 e ratificata dall’Italia con la legge 9 gennaio 2006, n. 14 – ma anche in relazione ai beni paesaggistici vincolati, sulla base di una mera deliberazione del Consiglio comunale interessato.
Vengono, quindi, radicalmente disconosciute la natura e la funzione del piano paesaggistico, il quale costituisce lo strumento cardine della pianificazione del territorio, cui devono conformarsi gli strumenti di pianificazione urbanistica comunale (art. 145, commi 4 e 5, del Codice di settore), e che è immediatamente cogente e prevalente sulle previsioni dei piani territoriali e urbanistici (art. 143, comma 9, del Codice) e assolutamente inderogabile da parte di qualsivoglia altro atto pianificatorio (cfr. artt. 145, comma 3, del Codice).
La proroga disposta dalla normativa regionale in oggetto segue, peraltro, numerose proroghe da parte di disposizioni regionali succedutesi nel tempo (L.R. n. 1/2012, L.R. n. 18/2012, L.R. n. 49/2014, L.R. n. 33/2015, L.R. 37/2016, L.R. n. 51/2017, L.R. n. 59/2018 e L.R. n. 55/2019), sebbene l’intesa del 1° aprile 2009 in sede di Conferenza unificata, di cui all’articolo 11 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, che ha introdotto il piano casa, quale piano nazionale di edilizia abitativa volto a garantire su tutto il territorio nazionale i livelli minimi essenziali di fabbisogno abitativo per il pieno sviluppo della persona umana, subordinandolo alla predetta intesa, avesse previsto un limite temporale di 18 mesi per la disciplina regionale attuativa, salvo diversa disposizione regionale.
In sostanza, con l’ulteriore – ennesima – proroga contenuta nella legge regionale n. 35 del 2020, la Regione perpetua ulteriormente una disciplina derogatoria introdotta per la prima volta nel 2009 e che consente la realizzazione di interventi straordinari di ampliamento, demolizione e ricostruzione anche nelle aree sottoposte a tutela paesaggistica ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio.
L’estensione del termine temporale si accompagna, peraltro, anche all’estensione dell’oggetto materiale della normativa straordinaria, in quanto gli interventi previsti dagli articoli 3 e 4 possono essere realizzati su immobili esistenti alla data del 1° agosto 2020.
La finalità normativa era originariamente quella di consentire interventi “straordinari”, per un periodo temporalmente limitato, mentre le continue proroghe, apportate con leggi regionali che si susseguono nel tempo, hanno determinato la sostanziale stabilizzazione di tali deroghe nel lungo periodo, con il risultato di accrescere enormemente, per sommatoria, il numero degli interventi assentibili in contrasto con la disciplina urbanistica e paesaggistica, quest’ultima peraltro condivisa tra lo Stato e la Regione con l’approvazione del PPTR, in tal modo determinando una riduzione dei livelli di tutela paesaggistica ivi previsti.
In proposito, giova rammentare che, secondo un consolidato avviso della Corte costituzionale, da ultimo confermato con Corte cost. n. 25 del 2021, la proroga di una disposizione di legge è autonomamente impugnabile “in quanto, secondo il costante orientamento di questa Corte, «ogni provvedimento legislativo esiste a sé e può formare oggetto di autonomo esame ai fini dell’accertamento della sua legittimità: l’istituto dell’acquiescenza non si applica invero ai giudizi in via principale, atteso che la norma impugnata ha comunque l’effetto di reiterare la lesione da cui deriva l’interesse a ricorrere dello Stato (ex plurimis, sentenze n. 237, n. 98 e n. 60 del 2017, n. 39 del 2016, n. 215 e n. 124 del 2015)» (sentenza n. 286 del 2019).”.
L’articolo 15 della legge regionale n. 35 del 2020 è manifestamente affetto da illegittimità costituzionale.
Invero, gli interventi consentiti dalla previsione normativa sono collocati al di fuori del necessario quadro di riferimento che dovrebbe essere costituito – laddove incidano su beni soggetti a tutela paesaggistica – dalle previsioni del piano paesaggistico, ai sensi degli articoli 135, 143, 145 e 156 del Codice di settore. Soltanto a quest’ultimo strumento, elaborato d’intesa tra Stato e Regione, spetta infatti stabilire, per ciascuna area tutelata, le prescrizioni d’uso, nonché individuare la tipologia delle trasformazioni compatibili, di quelle vietate e le condizioni delle eventuali trasformazioni.
La legge regionale in esame introduce invece una modifica unilaterale della disciplina di tutela prevista dal PPTR e dalle sue NTA, la cui revisione può avvenire esclusivamente nel rispetto dei presupposti e delle modalità previsti dall’articolo 3 dell’Accordo di copianificazione, sottoscritto congiuntamente con questo Ministero il 16 gennaio 2015, ai sensi dell’articolo 143, comma 2, del Codice di settore.
Così operando, la norma regionale si pone in contrasto con gli articoli 135, 143 e 145 del Codice di settore, che costituiscono norme interposte rispetto all’articolo 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione.
La Corte costituzionale ha, infatti, da tempo affermato l’esistenza di un vero e proprio obbligo, costituente un principio inderogabile della legislazione statale, di elaborazione congiunta del piano paesaggistico, con riferimento ai beni vincolati (Corte cost. n. 86 del 2019) e ha rimarcato che l’impronta unitaria della pianificazione paesaggistica “è assunta a valore imprescindibile, non derogabile dal legislatore regionale in quanto espressione di un intervento teso a stabilire una metodologia uniforme nel rispetto della legislazione di tutela dei beni culturali e paesaggistici sull’intero territorio nazionale” (Corte cost., n. 182 del 2006; cfr. anche la sentenza n. 272 del 2009).
La Regione, con l’ennesima proroga di norme derogatorie e straordinarie, destinate ad applicarsi anche con riferimento ai beni paesaggistici in difformità alle prescrizioni d’uso stabilite dalle NTA del PPTR del 2015 (approvato previa intesa con lo Stato), determina surrettiziamente l’effetto di operare una pianificazione ex lege che non tiene conto dei valori paesaggistici, ponendosi al di fuori della necessaria condivisione con lo Stato.
Al riguardo, la Corte ha riconosciuto la prevalenza dell’impronta unitaria della pianificazione paesaggistica, rimarcando che: “Come questa Corte ha avuto modo di affermare anche di recente con la sentenza n. 367 del 2007, sul territorio vengono a gravare più interessi pubblici: da un lato, quelli concernenti la conservazione ambientale e paesaggistica, la cui cura spetta in via esclusiva allo Stato, in base all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.; dall’altro, quelli riguardanti il governo del territorio e la valorizzazione dei beni culturali ed ambientali (fruizione del territorio), che sono affidati, in virtù del terzo comma dello stesso art. 117, alla competenza concorrente dello Stato e delle Regioni. In definitiva, si «tratta di due tipi di tutela, che ben possono essere coordinati fra loro, ma che debbono necessariamente restare distinti» (così la citata sentenza n. 367 del 2007). Ne consegue, sul piano del riparto di competenze tra Stato e Regione in materia di paesaggio, la «separatezza tra pianificazione territoriale ed urbanistica, da un lato, e tutela paesaggistica dall’altro», prevalendo, comunque, «l’impronta unitaria della pianificazione paesaggistica» (sentenza n. 182 del 2006). E’ in siffatta più ampia prospettiva che, dunque, si colloca il principio della “gerarchia” degli strumenti di pianificazione dei diversi livelli territoriali, espresso dall’art. 145 del d.lgs. n. 42 del 2004” (sentenza n. 180 del 2008).
Coerentemente con questa impostazione, la Corte ha espressamente affermato anche l’illegittimità costituzionale delle previsioni regionali che consentano la deroga al piano territoriale con valenza anche di piano paesaggistico. In particolare, si è evidenziato che “Il codice dei beni culturali e del paesaggio definisce (…), con efficacia vincolante anche per le regioni, i rapporti tra le prescrizioni del piano paesaggistico e le prescrizioni di carattere urbanistico ed edilizio – sia contenute in un atto di pianificazione, sia espresse in atti autorizzativi puntuali, come il permesso di costruire – secondo un modello di prevalenza delle prime, non alterabile ad opera della legislazione regionale”, ulteriormente evidenziando che “l’eventuale scelta della regione (…) di perseguire gli obiettivi di tutela paesaggistica attraverso lo strumento dei piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesaggistici non modifica i termini del rapporto fra tutela paesaggistica e disciplina urbanistica, come descritti, e, più precisamente, non giustifica alcuna deroga al principio secondo il quale, nella disciplina delle trasformazioni del territorio, la tutela del paesaggio assurge a valore prevalente” (Corte cost. n. 11 del 2016).
D’altro canto, la Corte ha affermato anche che la compressione di diritti costituzionali, quali l’interesse alla tutela del paesaggio e il principio di copianificazione, può essere giustificata per ragioni eccezionali e per un limitato arco temporale, qualificandosi conseguentemente come illegittima la proroga reiterata di tale compressione (cfr. Corte cost., sentenza n. 186 del 2013).
La disposizione regionale censurata è, pertanto, illegittima per violazione della potestà legislativa esclusiva in materia di tutela del paesaggio, di cui all’articolo 117, secondo comma, lett. s), Cost., rispetto alla quale costituiscono norme interposte gli articoli 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio.
È, inoltre, ravvisabile la violazione dell’articolo 9 della Costituzione, rispetto ai medesimi parametri interposti richiamati, in quanto la disciplina introdotta mediante la legge regionale censurata è potenzialmente pregiudizievole per la tutela del paesaggio, che ha valenza di interesse costituzionale primario e assoluto (v. Corte cost. n. 367 del 2007).
Come anzidetto, anche a voler ritenere giustificata la prima compressione subita da tale interesse, non si giustifica, invece, la proroga sine die della disciplina regionale che ha determinato l’abbassamento del livello della tutela del paesaggio.
Deve, ancora, osservarsi che la disciplina derogatoria è operante non solo con riferimento a tutti i beni paesaggistici, ma anche al paesaggio non vincolato.
Al riguardo, deve tenersi presente che anche tale paesaggio, pur non assoggettato al regime dei vincoli paesaggistici, costituisce comunque oggetto di tutela ai sensi della Convenzione europea del paesaggio, sottoscritta a Firenze del 20 ottobre 2000 e ratificata dall’Italia con la legge 9 gennaio 2006, n. 14.
La Convezione prevede infatti, all’articolo 1, lett. a), che il termine «paesaggio» “designa una determinata parte di territorio, cosi come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni”. Oggetto della protezione assicurata dalla Convenzione sono, quindi, tutti i paesaggi, e non solo i beni soggetti a vincolo paesaggistico.
Con riferimento ai paesaggi, così definiti, la Convenzione prevede, all’articolo 5, che “Ogni Parte si impegna a:
a) riconoscere giuridicamente il paesaggio in quanto componente essenziale del contesto di vita delle popolazioni, espressione della diversità del loro comune patrimonio culturale e naturale e fondamento della loro identità;
b) stabilire e attuare politiche paesaggistiche volte alla salvaguardia, alla gestione e alla pianificazione dei paesaggi, tramite l’adozione delle misure specifiche di cui al seguente articolo 6;
c) avviare procedure di partecipazione del pubblico, delle autorità locali e regionali e degli altri soggetti coinvolti nella definizione e nella realizzazione delle politiche paesaggistiche menzionate al precedente capoverso b);
d) integrare il paesaggio nelle politiche di pianificazione del territorio, urbanistiche e in quelle a carattere culturale, ambientale, agricolo, sociale ed economico, nonché nelle altre politiche che possono avere un’incidenza diretta o indiretta sul paesaggio.”.
In forza del successivo articolo 6, inoltre, l’Italia si è impegnata all’adozione di misure specifiche, tra l’altro, in tema di “Identificazione e valutazione”, da attuare “Mobilitando i soggetti interessati conformemente all’articolo 5.c, e ai fini di una migliore conoscenza dei propri paesaggi, ogni Parte si impegna a:
a) i identificare i propri paesaggi, sull’insieme del proprio territorio;
ii analizzarne le caratteristiche, nonché le dinamiche e le pressioni che li modificano;
iii seguirne le trasformazioni;
b) valutare i paesaggi identificati, tenendo conto dei valori specifici che sono loro attributi dai soggetti e dalle popolazioni interessate; (…)”.
Le misure richieste dalla Convenzione prevedono, inoltre, la fissazione di appositi obiettivi di qualità paesaggistica e l’attivazione degli “strumenti di intervento volti alla salvaguardia, alla gestione e/o alla pianificazione dei paesaggi”.
L’adempimento degli impegni assunti mediante la sottoscrizione della Convenzione impone che tutto il territorio sia oggetto di pianificazione e di specifica considerazione dei relativi valori paesaggistici, anche per le parti che non siano oggetto di tutela quali beni paesaggistici. Nel sistema ordinamentale, ciò si traduce nei precetti contenuti all’articolo 135 del Codice di settore, il cui testo è stato integralmente riscritto dal decreto legislativo n. 63 del 2008, a seguito del recepimento della Convenzione europea del paesaggio.
In particolare, il comma 1 del predetto articolo 135 stabilisce che “Lo Stato e le regioni assicurano che tutto il territorio sia adeguatamente conosciuto, salvaguardato, pianificato e gestito in ragione dei differenti valori espressi dai diversi contesti che lo costituiscono. A tale fine le regioni sottopongono a specifica normativa d’uso il territorio mediante piani paesaggistici, ovvero piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesaggistici, entrambi di seguito denominati: "piani paesaggistici". L’elaborazione dei piani paesaggistici avviene congiuntamente tra Ministero e regioni, limitatamente ai beni paesaggistici di cui all’articolo 143, comma 1, lettere b), c) e d), nelle forme previste dal medesimo articolo 143.”.
Il medesimo articolo 135 disciplina, poi, la funzione e i contenuti del piano paesaggistico.
Ne deriva che, anche con riferimento al paesaggio non vincolato, le regioni sono tenute alla pianificazione paesaggistica. E, del resto, in questo senso si è correttamente orientata la Regione Puglia, la quale ha approvato nel 2015 il piano paesaggistico territoriale regionale, previa intesa con lo Stato; intesa riferita sia ai beni paesaggistici che al paesaggio non vincolato.
In questa prospettiva, appare confliggente con le disposizioni dell’articolo 135 del Codice di settore, che danno attuazione alla Convenzione europea sul paesaggio, prevedere che interventi di impatto assai rilevante sul territorio, quali quelli di cui agli articoli 3 e 4 della L.R. n. 14 del 2009, avvengano sulla base di una mera previsione di legge e siano realizzabili in deroga alla pianificazione urbanistica, senza tenere conto della circostanza che i piani urbanistici devono a loro volta essere conformati al piano paesaggistico, recependone le prescrizioni, gli indirizzi e le direttive. Soltanto in quest’ultimo strumento dovrebbe essere individuata la sede appropriata per definire eventuali misure di premialità edilizia, non indiscriminate, bensì indirizzate verso finalità ritenute meritevoli e calibrate in funzione dei singoli contesti territoriali.
Per le ragioni illustrate, emerge la violazione degli articoli 9 e 117, primo comma, della Costituzione, rispetto ai quali costituiscono norme interposte la legge n. 14 del 2006, di recepimento della Convenzione europea sul paesaggio, nonché gli articoli 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio.
Deve, inoltre, rilevarsi che la legge regionale in esame costituisce il frutto di una scelta assunta unilateralmente dalla Regione, al di fuori del lungo percorso condiviso con lo Stato che ha condotto all’approvazione del piano paesaggistico regionale.
Va ricordato al riguardo che, secondo l’insegnamento della Corte costituzionale, il principio di leale collaborazione “deve presiedere a tutti i rapporti che intercorrono tra Stato e Regioni”, atteso che “la sua elasticità e la sua adattabilità lo rendono particolarmente idoneo a regolare in modo dinamico i rapporti in questione, attenuando i dualismi ed evitando eccessivi irrigidimenti” (così in particolare, tra le tante, Corte cost. n. 31 del 2006). In particolare, la Corte ha chiarito che “Il principio di leale collaborazione, anche in una accezione minimale, impone alle parti che sottoscrivono un accordo ufficiale in una sede istituzionale di tener fede ad un impegno assunto” (così ancora la sentenza da ultimo richiamata).
La scelta della Regione di assumere iniziative unilaterali e reiterate, al di fuori del percorso di collaborazione già proficuamente concluso con lo Stato mediante l’approvazione del Piano paesaggistico del 2015, si pone, pertanto, in contrasto anche con il predetto principio di leale collaborazione (cfr., con riferimento alla leale collaborazione ai fini della pianificazione paesaggistica, Corte cost. n. 240 del 2020).
La sostanziale “stabilizzazione” della normativa regionale de qua consente di mettere in luce un ulteriore profilo di illegittimità della novella apportata dal censurato articolo 15, in relazione all’art. 117, terzo comma, Cost., per violazione dei principi fondamentali in materia di governo del territorio.
Si è già evidenziato come il carattere straordinario della normativa relativa al piano casa sia stato rimarcato dalla Corte costituzionale (Corte cost. n. 70 del 2020 e n. 217 del 2020) e come tale finalità risulti del tutto snaturata mediante la sostanziale stabilizzazione delle deroghe consentite dalla legge regionale n. 49 del 2009 alla pianificazione urbanistica.
Il risultato è quello di assicurare a regime la possibilità di realizzare interventi di rilevante impatto sul territorio direttamente ex lege, in deroga agli strumenti di pianificazione urbanistica, e quindi del tutto al di fuori di qualsivoglia valutazione del singolo contesto territoriale.
Secondo l’intesa sul piano casa siglata nel 2009, infatti, “La disciplina introdotta dalle suddette leggi regionali avrà validità temporalmente definita, comunque non superiore a 18 mesi dalla loro entrata in vigore, salvo diverse determinazioni delle singole Regioni”. Se pur è fatta salva una diversa volontà regionale, la espressa previsione di un termine, peraltro di soli 18 mesi, non consente di ipotizzare, legittimamente, una “messa a regime”, da parte delle Regioni, di una normativa eccezionale e derogatoria alla pianificazione urbanistica.
Viene scardinato così il principio fondamentale in materia di governo del territorio – sotteso all’intero impianto della legge urbanistica n. 1150 del 1942, in particolare a seguito delle modifiche apportatevi dalla legge n. 765 del 1967 – secondo il quale gli interventi di trasformazione edilizia e urbanistica sono consentiti soltanto nel quadro della pianificazione urbanistica, che esercita una funzione di disciplina degli usi del territorio necessaria e insostituibile, in quanto idonea a fare sintesi dei molteplici interessi, anche di rilievo costituzionale, che afferiscono a ciascun ambito territoriale.
In particolare, costituiscono principi fondamentali in materia di governo del territorio, che si impongono alla potestà legislativa concorrente spettante in materia alle Regioni a statuto ordinario, quelli posti dall’articolo articolo 41-quinquies della legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150, aggiunto dall’articolo 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765.
Con le disposizioni ora richiamate, il legislatore statale ha infatti stabilito:
(i) che tutto il territorio comunale debba essere pianificato e che, dunque, ogni intervento di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio debba inserirsi nel quadro dello strumento urbanistico comunale;
(ii) che “In tutti i comuni, ai fini della formazione di nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, debbono essere osservati limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza tra i fabbricati, nonché rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi.” (ottavo comma) e che “I limiti e i rapporti previsti dal precedente comma sono definiti per zone territoriali omogenee, con decreto del Ministro per i lavori pubblici di concerto con quello per l’interno, sentito il Consiglio superiore dei lavori pubblici. In sede di prima applicazione della presente legge, tale decreto viene emanato entro sei mesi dall’entrata in vigore della medesima.” (nono comma); disposizione, quest’ultima, che ha trovato puntuale attuazione con l’emanazione del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, recante “Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’art. 17 della L. 6 agosto 1967, n. 765”.
In questo quadro, il legislatore nazionale ha previsto che la possibilità di assentire interventi in deroga alla pianificazione urbanistica sia ammessa soltanto in forza di una decisione assunta, caso per caso, a livello locale, sulla base di una ponderazione di interessi che tenga conto del contesto territoriale e nei soli casi di interesse pubblico (cfr. articolo 14 del decreto del Presidente della Repubblica 6 luglio 2001, n. 380).
Posta la predetta cornice di principio, non è consentito alle Regioni – al di fuori della normativa straordinaria e temporanea del piano casa, avente copertura a livello statale – introdurre deroghe generalizzate ex lege alla pianificazione urbanistica e agli standard urbanistici di cui al decreto ministeriale n. 1444 del 1968, tanto più laddove tali deroghe generalizzate assumano carattere stabile nel tempo. Una tale opzione normativa viene, infatti, a snaturare del tutto la funzione propria della pianificazione urbanistica e degli standard fissati a livello statale, volti ad assicurare l’ordinato assetto del territorio.
Per completezza, deve osservarsi che la legge regionale della Puglia n. 14 del 2009 si fonda esclusivamente sull’intesa in Conferenza unificata del 1° aprile 2009, e non costituisce invece attuazione del c.d. “secondo piano casa”, previsto dall’articolo 5, comma 9, del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 (c.d. decreto “Sviluppo”), che è peraltro rigidamente ancorato a finalità di rigenerazione urbana non riscontrabili nella legge in esame (basti pensare che gli interventi sono eseguibili su immobili realizzati entro il 1° agosto 2020, ossia anche edificazioni recentissime, rispetto alle quali non sono neppure configurabili esigenze di riqualificazione o rigenerazione). In ogni caso, anche la disciplina del c.d. secondo piano casa deve considerarsi di natura necessariamente temporanea, come testimoniato dall’introduzione mediante decreto-legge, non essendo ipotizzabile l’introduzione di regimi derogatori rispetto alla pianificazione urbanistica operanti a regime.
Consegue da quanto sin qui esposto che l’articolo 15 della legge regionale della Puglia n. 35 del 2020, nel prorogare l’efficacia della normativa straordinaria del c.d. primo piano casa, estendendone persino la portata agli immobili esistenti al 1° agosto 2020, viola anche con l’art. 117, terzo comma, della Costituzione, per contrasto con i principi fondamentali statali in materia di governo del territorio stabiliti dall’articolo 41-quinquies della legge n. 1150 del 1942, come attuato mediante il decreto ministeriale n. 1444 del 1968, atteso che la deroga a tali principi non può più considerarsi consentita – a distanza di quasi dodici anni – dall’intesa sancita in Conferenza unificata il 1° aprile 2009.
Le disposizioni regionali contrastano anche con i principi di ragionevolezza e di buon andamento dell’amministrazione, violando così anche gli artt. 3 e 97 Cost.
Al riguardo, si evidenzia che la giurisprudenza amministrativa, richiamata anche dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 217 del 2020, ha statuito la necessità di assoggettare a stretta interpretazione le disposizioni sul “piano casa” (per tutti, Tribunale amministrativo regionale della Campania, sentenza 3 agosto 2020, n. 3474, e Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenza 30 ottobre 2017, n. 4992, riguardanti specificamente i limiti di densità edilizia di cui all’art. 7 del d.m. n. 1444 del 1968).
Ciò significa che la normativa regionale che apporti continue modifiche in senso ampliativo alla portata delle disposizioni statali sul piano casa, fino ad arrivare ad un regime derogatorio sempre più ampio e stabile nel tempo, si pone in contrasto anche con i principi costituzionali di ragionevolezza e di buon andamento dell’amministrazione.
Si ravvisa inoltre un ulteriore profilo di irragionevolezza con riferimento al principio di intangibilità del piano paesaggistico, al quale la normativa regionale consente invece di derogare.
Appare infatti contradditorio, e quindi irragionevole, che la Regione da una parte approvi il piano paesaggistico e dall’altra reiteri ed estenda la portata di disposizioni eccezionali derogatorie al piano stesso, al di fuori della necessaria cornice pianificatoria inderogabile e cogente per gli strumenti urbanistici.
In questo senso l’approvazione del Piano paesaggistico segna necessariamente il naturale esaurimento delle normative regionali applicative del c.d. piano casa, con riguardo a tutto il paesaggio regionale, sia esso vincolato o meno. Le finalità di rilancio dell’economia mediante il sostegno all’attività edilizia e al miglioramento della qualità architettonica, energetica e ambientale del patrimonio edilizio esistente dovrebbero trovare adeguato spazio all’interno del Piano paesaggistico, anche, se del caso, in sede di revisione o aggiornamento del Piano stesso.
Più in generale, la previsione a regime di interventi di impatto molto rilevante sul territorio realizzabili in deroga alla pianificazione urbanistica e al piano paesaggistico e al d.m. n. 1444 del 1968 determina esiti irragionevoli e contrari al buon andamento dell’amministrazione, con conseguente violazione degli artt. 3 e 97 Cost. Si ritiene, pertanto, che l’articolo 15 della legge regionale n. 35 del 2020, che modifica gli articoli 5 e 7 della legge regionale 30 luglio 2009, n. 14, sia affetto dai profili di illegittimità costituzionale illustrati e conseguentemente deve essere impugnata ex art. 127 della Costituzione.
L’art. 27 della legge regionale in esame che istituisce un’ulteriore centrale del 118 nel territorio di competenza della ASL BT si appalesa illegittimo . A riguardo si richiama il criterio demografico puntualmente indicato dal decreto ministeriale 2 aprile 2015, n. 70, recante “Regolamento recante definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 127 del 4 giugno 2015. In particolare, al punto 9.1 Centrali Operative (CO) 118 e rete territoriale di soccorso - 9.1.1 Centrale operativa, l’allegato al predetto DM precisa che “sulla base dell’esperienza organizzativa e gestionale maturata, con importanti contributi di modernità ed efficienza, si ritiene percorribile una revisione organizzativa che preveda una centrale operativa con un bacino di riferimento orientativamente non inferiore a 0,6 milioni ed oltre di abitanti o almeno una per regione/provincia autonoma”. In aggiunta, si rileva che l’idea di dotare ciascuna azienda sanitaria di una centrale non è funzionale alla logica di miglioramento della gestione delle attività di emergenza. È, infatti, fuori di dubbio che un minor numero di centrali favorisce l’accesso e il ricovero dei pazienti gravi presso le strutture maggiormente idonee e che hanno la disponibilità di ricovero, riducendo potenziali e pregiudizievoli dispendi di tempi nella presa in carico del paziente.
Inoltre si precisa che l’adozione del decreto ministeriale n. 70 del 2015, in attuazione dell’articolo 1, comma 169, della legge 30 dicembre 2004 n. 311, discende dall’esigenza di garantire la “tutela della salute”, di cui all’articolo 32 della Costituzione, attraverso la definizione, in modo uniforme per l’intero territorio nazionale, degli standard non solo qualitativi, strutturali, tecnologici, ma anche quantitativi delle strutture sanitarie dedicate all’assistenza ospedaliera. In aggiunta, considerato che, ai sensi dell’art. 27, comma 3 della legge regionale, “Gli oneri finanziari sono a carico del fondo sanitario regionale”, si ribadisce che la disposizione in esame è altresì suscettibile di incidere sulle esigenze di equilibrio della finanza pubblica (artt. 117, comma 3, e 81 Cost.), che impongono il contenimento dei costi del servizio sanitario.
Per le esposte considerazioni l’art. 27 della legge regionale contrasta con la normativa interposta indicata , viola conseguentemente gli articoli 117, terzo comma, e 81 della Costituzione e deve essere impugnata ex articolo 127 della Costituzione
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